Pluralismo e rinnovamento della scuola pubblica
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Pluralismo e rinnovamento della scuola pubblica
d.p. Pluralismo e rinnovamento della scuola pubblica Alessandro Catelani Il pluralismo scolastico è un'esigenza di democrazia, che è costituzionalmente garantita. Esso soddisfa un'esigenza di libertà, la quale si identifica con la presenza di istituti scolastici differenziati, sia pubblici che privati, nell'ambito dei quali possa essere effettuata una libera scelta per il tipo di istruzione, conformemente alle esigenze espresse dai cittadini. Come la libertà di manifestazione del pensiero si basa sul pluralismo, così il diritto all'istruzione in tanto si deve ritenere che sia costituzionalmente garantito, in quanto vi sia la concreta possibilità per i genitori degli alunni di scegliersi la scuola che più reputano opportuno far frequentare ai propri figli. Nella Costituzione non vi è quindi soltanto la possibilità di scegliere la scuola nell'ambito degli istituti scolastici gestiti dallo Stato, ma anche quella di far frequentare agli alunni la scuola privata. Quest'ultima è garantita attraverso la parità scolastica nell'ambito del Servizio di istruzione. Attraverso un controllo pubblicistico la scuola non statale viene inserita in quella statale, e il cittadino deve essere libero di scegliere l'una o l'altra, secondo le proprie preferenze, senza imposizioni che provengano dalla pubblica autorità. La presenza della scuola non statale soddisfa quindi un'esigenza di libertà, e pertanto diritti inviolabili che spettano ai consociati. A questa esigenza fondamentale del Servizio di istruzione un'altra però si accompagna, che comunemente viene ignorata - unitamente alla prima-; ed è che la presenza della scuola non statale, qualora fosse realmente garantita, rappresenterebbe l'asse portante di un reale rinnovamento della scuola pubblica, tale da renderla veramente idonea al raggiungimento degli scopi che la Costituzione si prefigge. Occorre esaminare brevemente le ragioni di tale assunto, evidenziando l'inconsistenza delle argomentazioni che vengono addotte per contrastare il pluralismo scolastico, e ridurre il relativo Servizio ad un'attività formativa esclusivamente statale. Riduzione della spesa pubblica conseguente ai finanziamento della scuola non statale La ragione principale che viene addotta a livello di dibattito politico e di opinione pubblica, nonché dottrinale, è che la scuola pubblica deve avere la priorità su quella privata, e che non si possono stornare fondi destinati all'istruzione dalla scuola statale a quella non statale. Quest'ultima, come è noto, da sempre è in posizione di estrema debolezza, e ristretta di fatto quasi esclusivamente ad una scuola confessionale. Per sopravvivere necessiterebbe di finanziamenti, di appositi fondi ad essa destinati. Ma questi vengono sempre negati per ogni eventuale ampliamento, ed anche ferocemente contestati per le pur minimali scuole - di fatto quasi esclusivamente confessionali - che ancora sopravvivono. La ragione che viene addotta per negare tali fondi è appunto un asserito depauperamento della scuola pubblica, che da tali assegnazioni deriverebbe. Tale affermazione è del tutto destituita di qualunque fondamento, perché il costo delle scuole non statali, gestite sulla base delle rette pagate dagli alunni partecipanti, è per ciò stesso decisamente inferiore a quello di strutture esclusivamente pubbliche. È vero pertanto che di per sé un finanziamento ad una scuola non statale distoglie certi fondi da quella statale; ma è vero anche che tali fondi non sono, come comunemente si ritiene - se ci si consente l'espressione - gettati al vento, ma sostituiscono strutture statali assai più costose, realizzando un risparmio di spesa. In tutta la pubblica amministrazione, in ogni pubblico servizio, sempre si è fatto ricorso alla privatizzazione allo scopo di realizzare un risparmio di spesa. Le strutture esclusivamente pubbliche sono infinitamente più pesanti e costose di 1 d.p. quelle private; le quali, se vi sono adeguati controlli, sono in grado di realizzare gli obiettivi prefissi in maniera spesso anche assai più valida di corrispondenti strutture statali, esclusivamente pubbliche. La pubblica istruzione ha un costo colossale proprio perché è sempre esclusivamente pubblica - tranne che per quelle poche scuole parificate che hanno un'importanza estremamente marginale. Le privatizzazioni hanno precisamente questo scopo primario di realizzare un risparmio di spesa. Accusare pertanto i finanziamenti alla scuola non statale di costituire sperpero di pubblico denaro sottratto all'istruzione non ha quindi senso, e rispecchia una mentalità statalista antiquata e fanatica, che identifica il perseguimento dell'interesse pubblico con la presenza esclusiva di strutture burocratiche pubbliche; affermazione questa così palesemente inattendibile e superata che fa veramente meraviglia che ancora qualcuno si azzardi a sostenerla. Il Servizio di pubblica istruzione, che è infinitamente costoso, appare tale proprio perché manca del tutto ogni significativo apporto di strutture private, le quali ne alleggerirebbero il costo. Il mastodontico apparato burocratico della pubblica istruzione, che attualmente sussiste, potrebbe essere snellito attraverso quel potenziamento della scuola non statale, che è l'unica soluzione che ormai da tempo viene da tutti categoricamente esclusa, sulla base di un'asserita priorità del pubblico sul privato, che vieterebbe ogni finanziamento alla scuola non statale. La concorrenza tra scuola pubblica e privata come decisivo incentivo ad un miglioramento della scuola pubblica I vantaggi di una parziale privatizzazione del Servizio scolastico non sarebbero esclusivamente economici, ma riguarderebbero - e questo è ancora più rilevante - il livello qualitativo della stessa istruzione. Gli istituti privati, che si sostengono sul pagamento delle rette degli alunni, hanno notoriamente un interesse ben preciso ad avere un livello qualitativo che giustifichi l'onere imposto ai frequentanti, e quindi sono incentivati a raggiungere un livello qualitativo elevato, che è l'unico che giustifichi la loro presenza. Qualora vi fosse una reale alternanza tra una scuola pubblica e una scuola privata veramente qualificata, si creerebbe una concorrenza ed un possibilità di paragone tra l'ima e l'altra, che attualmente di fatto non esiste, e che sarebbe un incentivo ad un effettivo miglioramento della stessa scuola pubblica. Secondo la mentalità statalista che finora ha dominato il legislatore, tale concorrenza vi dovrebbe essere sulla base dell'autonomia scolastica, nell'ambito della scuola pubblica; ma tale scuola è pur sempre inserita in un apparato unitario, che esclude una diversificazione effettiva. La valutazione della scuola pubblica - a differenza di quella privata, la quale, basandosi sulle rette degli alunni, consente una agevole valutazione sulla base del successo economico ottenuto - viene effettuata tramite parametri burocratici, che non hanno uguale attendibilità. Una concorrenza reale, un'alternanza valida sulla base di un effettivo livello di qualità, richiede un paragone con la scuola non statale. Allora veramente si creerebbe una diversificazione concretamente in grado di dare nuova vita all'inerte e colossale apparato amministrativo della pubblica istruzione. Il pluralismo scolastico, per essere veramente tale, non deve esaurirsi in una pluralità di istituti scolastici statali dotati di autonomia pubblica, ma richiede un rapporto di questi ultimi, che ne stimoli la concorrenza, con una scuola ad essi estranea, anche se necessariamente rispondente ai parametri prescritti dallo Stato. II miglioramento della condizione degli insegnanti Un primo ed effettivo miglioramento da tale situazione riguarderebbe la situazione nella quale attualmente si trovano gli insegnanti. Parte di questi sarebbero assorbiti dalla scuola non statale, evidentemente sulla base di retribuzioni più elevate, mentre i rimanenti non ne 2 d.p. avrebbero alcun danno, conservando la posizione nella quale si trovano. Un alleggerimento dei costi del servizio consentirebbe indubbiamente anche un miglioramento delle loro condizioni di vita, che appare indispensabile per il livello qualitativo del servizio di istruzione. Quest'ultimo non è determinato unicamente dai criteri pedagogici applicati, ma anche dalle condizioni - che attualmente sono di estremo degrado - in cui si trova la scuola pubblica. Attualmente gli elementi migliori sono incentivati a dedicarsi ad altre attività, anche se hanno una autentica vocazione per la professione dell'insegnante. La scarsezza delle retribuzioni e la scarsissima considerazione che si ha per la cultura, non solo a livello di opinione pubblica, ma anche purtroppo di classe politica e sindacale, che considerano il servizio di istruzione quasi del tutto inutile e privo di interesse, sono alla base dello scarso livello qualitativo dello stesso servizio, che spesso si riscontra nell'ambito della scuola. E questo aspetto istituzionale è di fatto assai più importante, per quello che riguarda i risultati raggiunti, dei criteri pedagogici che vengono adottati, pur se di per sé validissimi e innovativi. Un servizio depresso e demotivato è la causa prima indubbiamente di ogni sua carenza, più di quanto non lo sia la scelta - anche se di per sé pienamente valida - dell'uno o dell'altro tipo di criterio formativo. Auspicabile rinnovamento della scuola pubblica Per risolvere i problemi della scuola pubblica l'unica riforma veramente efficace sarebbe dunque introdurre quel pluralismo scolastico contro il quale finora si è combattuto, riuscendo a farlo scomparire quasi del tutto. Gli ostacoli non sono certo di carattere giuridico, perché la norma che consente l'istituzione di scuole private " senza oneri per lo Stato "deve essere interpretata, per tradursi in un divieto di ogni finanziamento alla scuola non statale, in senso estensivo; il che la Costituzione vieta in quanto ciò contrasterebbe con il principio, espressamente garantito, di sussidiarietà orizzontale (art. 118, 4° comma), così come con quella valorizzazione dell'attività lavorativa privata, che viene ritenuta in grado di perseguire fini di pubblica utilità, ed anzi ritenuta indispensabile a tale scopo, quale obbligo imposto a tutti i consociati (art. 4, 2° comma). E per di più si tratterebbe di un divieto contrario a tutti i precetti della Costituzione che prevedono una collaborazione tra pubblico e privato e non restringono - il che sarebbe espressione di un pregiudizio ideologico che la Costituzione non ha mai accettato - il perseguimento dei fini di pubblica utilità alla presenza di strutture pubbliche. Le difficoltà sono solo di carattere politico, perché gli interpreti che giungono a conclusioni restrittive hanno lo scopo di garantire un monopolio statale della pubblica istruzione che consente - è doloroso dirlo - una propaganda politica, attraverso un'interpretazione faziosa e distorta dei precetti costituzionali, che vengono funzionalizzati ad interessi di partito, in aperta violazione sia della lettera che dello spirito della Costituzione. Attualmente si è giunti ad escludere, da tempo, ogni ampliamento della scuola non statale attraverso finanziamenti pubblici, e si è sul punto di sopprimerla del tutto. E non ci si rende conto che è proprio la via che si è adottata che è la causa prima della crisi della scuola pubblica. A livello di opinione pubblica e di classe politica, oltre che dottrinale, non ci si rende conto che è solo la garanzia di un effettivo pluralismo che può determinare un vero rinnovamento nel settore della pubblica istruzione. In Scuola e didattica, n. 1 settembre 2014, pp. 62-64 3