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Una volta, da Barcellona, mi sono autospedito una cartolina, tornato a Lecce dopo qualche giorno, merito delle poste italiane, la mia
cartolina è arrivata. Tra l’incredulità di mia madre, il sorriso rassegnato di mio padre e la mia sincera emozione ho capito che le cartoline
sono anche una piccola memoria, ricordo breve di momenti di felicità, una sintetica e desueta testimonianza di un passaggio in luoghi
che per un po’ hai vissuto. Da Omero a Conrad, da Céline a Dante, il viaggio e il suo racconto sono tra le pagine più affascinanti scritte
in letteratura. Perché non importa se fisico o mentale, l’uomo è esploratore, curioso di vite e spazi altrui. La cartolina ne è l’espressione
più concisa, una bizzarra corrispondenza tra immagine e parole, un accenno per la fantasia, un assaggio al racconto di un’avventura.
Ultimamente Ringo Star ha pubblicato “Cartoline dai Beatles”, un libro in cui sono raccolte le cartoline ricevute da parte di John, Paul
e George. Più delle biografie e delle interviste queste frasi, le immagini, i disegni e il poco spazio a disposizione racchiudono un grande
valore: l’amicizia, quella che anche se il gruppo si era sciolto manteneva indissolubilmente legati i quattro.
E ci è piaciuto pensare ai nostri amici. A quelli lontani, a quelli partiti e poi tornati, quelli rimasti nel Salento. Tutti con un ricordo, una
personale cartolina di questa estate trascorsa. Abbiamo chiesto loro, in poche battute, di raccontarci la loro estate. In una sorta di
meccanismo a catena siamo riusciti a compiere il giro del mondo in otto cartoline. Si parte dalla nostra città, dalla sua estate in vetrina,
e poi via, passando per Bari, a vedere cosa ci siamo persi in giro per l’Italia con i report da alcuni festival estivi. Tra Arezzo Wave, il Traffic
di Torino e l’estate romana band da tutto il mondo hanno suonato in Italia. Il mondo in Italia ma anche l’Italia nel mondo con le cartoline
dall’America, la Bosnia, l’Africa. C’è la musica dei festival, tema prediletto dal nostro giornale, ma ci sono anche storie, estati diverse,
viaggi e non vacanze, esperienze a conoscere posti e vite diverse.
Numero di passaggio questo per il nostro giornale che si prepara dal mese prossimo a un nuovo viaggio. C’è chi decide di rigenerarsi
cambiando aria, partendo e c’è chi preferisce cambiare veste. Da ottobre ci sarà un nuovo Coolclub.it. Finalmente raggiungeremo le
tanto desiderate 40 pagine. Questo ci permetterà di approfondire alcuni argomenti, di trattarne altri fino ad ora trascurati per problemi
di spazio, di ospitare sempre più gente e punti di vista. Come al solito rinnoviamo l’invito a entrare in contatto con noi. Se avete voglia di
scrivere delle vostre passioni, di condividere ascolti, visioni e letture con noi, scriveteci a [email protected].
Osvaldo
CoolClub.it
Via De Jacobis 42 73100 Lecce
Telefono: 0832303707
e-mail: [email protected]
Sito: www.coolclub.it
Anno 2 Numero 18
settembre 2005
Iscritto al registro della stampa del
tribunale di Lecce il 15.01.2004 al
n.844
CARTOLINE PER
L’INVERNO
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
Dario Goffredo, Pierpaolo Lala, Dario
Quarta, C. Michele Pierri, Gianpiero
Chionna, Cesare Liaci
Collaboratori:
Giancarlo Susanna, Valentina
Cataldo, Sergio Chiari, Maurizia
Calò, Marcello Zappatore, Davide
Castrignanò, Amedeo Savino,
Patrizio Longo, Augusto Maiorano,
Antonio Iovane, Rossano Astremo,
Rita Miglietta, Marta Vignola, Daniele
Lala, Elisa De Portu, Daniele Rollo,
Marco Leone, Fulvio Totaro, Stefano
Toma, Federico Vaglio, Lorenzo
Coppola, Paola Volante, Nicola
Pace, Giacomo Rosato, Antonietta
Rosato, Nino D’Attis, Luca Greco,
Luisa Cotardo, Rakelman, Antonella
Lippo, Livio Romano, Pierfrancesco
Pacoda, Stefano Cristante, Carlo
Chicco, Antonino De Blasi, Fabio
Rossi, Marcello Aprile, Annalisa
Serpilli, Nicola Pace, Massimo Muci,
Francesco Lefons, Alfredo Borsetti,
Fabio Striani, Gianni De Blasi, Antonio
Calogiuri, Camillo Fasulo, Chiara
Piovan, Ruggero Bondi, Mauro
Marino, Federico Baglivi, Lorenzo
Donvito
7
Cartoline
Dischi
11
Libri
Progetto grafico
dario
Stampa
Lupo Editore - Copertino
Chiuso in redazione alla 25° ora
del 12 settembre 2005
1
Per inserzioni pubblicitarie:
Cesare Liaci
T
[email protected]
Cinema
}
}
Cartolina di fine estate…
la Regione concede il contributo
alla Notte della Taranta
Parte prima. Il viaggio nel sud
“Gli ospiti sono un dono degli dei”… siamo
nella sperduta montagna calabrese, difficile
da affrontare in auto per me che sono
abituato alla pianura leccese, e un gruppo
di cacciatori seduti ad un bar si rivolge a noi
con questa frase. Che un po’ ci fa sorridere
e un po’ ci dà il senso dell’ospitalità della
gente del sud. Cercavamo un posto dove
andare a mangiare e questi sconosciuti,
poco abituati alla presenza del forestiero,
ci invitano a sorseggiare con loro del buon
vino rosso e trangugiare bistecche di patate
e anatra all’arancia. Una cortesia dovuta,
secondo loro, proprio perché l’ospite è un
dono divino. Partire dal sud e scendere
ancora più giù provoca strane sensazioni. E
quando a Catania qualcuno mi chiedeva
quando salite, per informarsi sulla data
del mio rientro a Lecce, restavo un po’
basito per la sensazione di dover salire per
tornare. Io sono abituato (come tutti i miei
amici) a salire per andare, per scappare
da qualcosa o alla ricerca di qualcosa.
Ogni viaggio porta con sé ricordi buoni e
amarezze. Ogni viaggio ti lascia qualcosa,
un posto, un sorriso, un amico, un cannolo o
una cassata, un arancino o la soppressata, il
peperoncino (che poi quello di Soverato ho
scoperto che non esiste) e soprattutto, per
chi nella vita cerca di organizzare concerti
e “cose” culturali, quello che succede e
come succede da quelle parti.
Seconda parte. Prima della partenza e il
dopo.
Il Salento e la Puglia quest’anno, come
un po’ tutta l’Italia, hanno vissuto una crisi
turistica dovuta alle carenze economiche
o alla scarsa voglia di divertimento che io
(forse sbagliando) ho percepito.
L’estate porta con sé discussioni interminabili
sul ruolo che un territorio deve svolgere per
i turisti e per i propri abitanti. Le “politiche
culturali” e il “meticciato” – usate a
volte solo per cercare di fare scalpore e
stordire l’avversario - pare siano state le
parole d’ordine dell’estate 2005 (insieme
all’immancabile Sudoku). Ci sono però dei
passaggi diffusi in ogni zona del mondo!
I politici oltre che sponsorizzare il proprio
territorio cercano di sponsorizzare loro
stessi per essere rieletti e vogliono sempre
la prima pagina e sono disposti anche a
commentare la notizia dei canarini afoni
dell’amazzonia pur di uscire in tv (e adesso
datemi del qualunquista); i privati vanno dai
politici a chiedere soldi per non rischiare i
propri (e hanno pure il coraggio di definirsi
imprenditori); gli “artisti” rivendicano spazi
e tempi e denari pubblici per mettere in
mostra la propria bravura (o le proprie idee,
indiscutibilmente migliori di tutte le altre);
gli Enti pubblici si trasformano in uffici di
collocamento dello spettacolo (serbatoio
infinito di voti) e non sembrano poi aperti
alle richieste di chi tenta con il proprio lavoro
di accogliere i turisti; alcuni esercenti fanno
i furbi e cercano di mangiare il più possibile
da una tavola imbandita di leccornie
straniere e italiane.
Insomma un cane che si morde la coda
perché nel meccanismo perverso entrano
(ed entriamo) tutti (sono pochi quelli
esclusi). Prezzi
sballati, servizi
inesistenti,
cialtronerie,
carrozzoni da
circo spacciati
per
novità
del millennio,
spettacoli
di
migliaia
di
euro preparati
in fretta e furia
(o solo per il
finanziamento
pubblico) che
si trasformano
in
flop
clamorosi.
Il
tutto condito
dalle
solite
parole
che
Cartolina d’inizio estate,
la Regione nega il contributo
al Premio Valentino
di Mauro Marino
Han fatto bene! L’estate sembra iniziare col piede giusto. E i deliri
sudati troveranno giusta quiete.
La funzione di pubblica utilità (come ci si augurerebbe per ogni atto
che riguardi una istituzione dello Stato) non sta nel ritorno d’immagine
ma nel “resto” che produce nelle comunità.
Il Premio Valentino non è bene pubblico è vetrina di vanità di cui
non abbiamo bisogno. Avremmo più bisogno d’un altro Rodolfo
Valentino o di dare corpo ad un altro Carmelo Bene, ma sappiamo
che un attore si coltiva da sé, in solitudine, nella cura della propria
personalità, nell’oscillazione narcisistica ed istrionica che lo oppone al
contesto culturale ed ambientale che lo genera. Celebrarli dovrebbe
essere un atto di dolore che colma la mancanza d’ascolto del loro
talento, tradito e spinto ad emigrare, a farsi nell’oltre della provincia,
via da ogni morale ed appartenenza. Solo lì la novità può nascere,
l’unico, l’irripetibile trova linfa, lontano dallo stantio, dal consueto,
dall’ordinario.
si usano per idolatrare o seppellire, per
riconoscere i meriti o fare finta di nulla.
Insomma l’estate 2005 va via come tutte
le altre con le inutili discussioni sulla Movida
(quest’anno miracolosamente sparita) e
sulla sinistrorsità della Taranta (quest’anno
abbondantemente
finanziata
dalla
regione di Nichi Vendola), sulle stucchevoli
polemiche per la rassegna organizzata dal
Comune di Bari, considerata, da molti, senza
un vero pensiero politico-culturale alle spalle
ma comunque un tentativo del sindaco
Emiliano e della sua giunta di ricucire uno
strappo tra la politica e la società civile, tra i
quartieri degradati e le giovani generazioni.
Purtroppo e infine c’è la solita convinzione
che il proprio territorio sia l’ombelico
del mondo (con accuse incrociate di
provincialismo). Che l’identità sia un valore
inestimabile e a questo punto diffondibile.
Ma il mondo è pieno di ombelichi, di vitalità,
di proposte altrettanto pregnanti. La moda
è un’altra cosa (e adesso datemi del
provinciale).
Il rilancio del turismo e la buona vita
dei cittadini dovrebbero partire da una
semplice constatazione. A ciascuno il suo
ruolo. Solo così l’ospite, il turista sarà trattato
da dono divino e non come merce di
scambio (il più delle volte elettorale).
Pierpaolo Lala
Le vocazioni sono il bene comune, ed un’accorta politica culturale
dovrebbe andare incontro a quelle, producendo relazioni e non vacue
passerelle, occasioni di scambio e non vetrine del nulla telegenico,
luoghi e spazi di formazione e di accadimento creativo e non inutili
palchi moquettatti volti al poco culturale di pubblici selezionati.
L’ estate di Puglia può farcela a dire no a modelli di paccottiglia
televisiva, può e deve! Che la primavera è venuta ed è suo dovere
essere laboratorio di cambiamento, non può tradire la spinta
innovativa che l’elezione di Vendola ha posto sul piatto della
politica. E la politica culturale è terreno dove verificare la validità
e l’oculatezza del cambiamento dando valore alla spesa, sapendo
spendere, sapendo investire oltre il momentaneo di un passaggio
tv. Guardare a quel ‘minore’ finanziato con spiccioli di bilancio per
cantierizzare la risorsa culturale del territorio che non sono gli impresari
di spettacolo, imprenditori incapaci di rischiare in proprio senza la rete
del finanziamento pubblico.
Sedimentare esperienze deve essere il compito di un assessorato alla
cultura in regione, ma anche nelle province e nei comuni. Assessorati
di militanza critica, di controllo, di produzione. Assessorati di pratiche
attive di visione e di sguardo sul divenire della qualità territoriale.
L’ispirazione di Casole, dell’abbazia amanuense è ancora martoriata
dal turco della superficialità e dell’imponimento mediatico, stavolta ce
l’abbiamo fatta, Valentino e l’estate saranno libere dall’ingombro e dal
rimorso d’aver sprecato denari.
17 luglio 2005
CoolClub.it
Mostar - Bosnia
Meno Turbo Folk
più Visti per l’estero
di Francesco Lanzo
Sono nella camera dell’Hotel Bristol di Mostar, un centinaio di chilometri
a sud di Sarajevo, ho acceso la tv e dopo un rapido zapping per
osservare la programmazione locale, soprattutto telenovelas e soap,
mi sintonizzo su Mtv.
Andiamo in giro, io e Livio Romano, tutto il giorno per intervistare
artisti, visitare atelier e mostre, parlare con questo o quel giornalista
e la sera, dopo una rapida sosta in albergo, ci gettiamo per le strade
alla scoperta della vita notturna di questa cittadina dove i segni della
guerra sono ben evidenti sulle facciate butterate dei palazzi.
Usciamo con un gruppo di giovani attori del Mostarski Teatar Mladih,
ci portano al centro a bere qualcosa e dare un’occhiata alla fauna
locale. Qui, come a Sarajevo, siamo sopraffatti da un incredibile
miscuglio di stili e tendenze, le magliette della Benetton si confondono
con le lunghe vesti tipicamente orientali, così come tipicamente
orientali sono gli orecchini e i bracciali che indossano le ragazze; poi
basta girarsi dall’altra parte e osservare due ragazze dark parlare con
un ragazzo con jeans aderenti e tanto di cresta colorata e vederli
passare davanti, in poche decine di metri, al minareto di una moschea
e al campanile di una chiesa.
È questo quel che colpisce maggiormente dei ragazzi bosniaci, sono
consapevoli di far parte del mondo intero: hanno parenti e amici sparsi
per il globo, con la religione hanno un rapporto intimo e spirituale
(se ne impippano dei discorsi alterati di qualche barbuto) e parlano
dell’Australia o dell’America come della loro seconda casa, una
seconda casa, però, difficile da raggiungere visto che il passaporto
bosniaco consente di andare solo in Croazia o a Cuba.
Quella sera conosco Ajla, una giovane insegnante d’inglese delle
scuole medie. Mi parla della sua famiglia e della sua religione, dice
di essere musulmana ma di aver ricevuto un’educazione moderna,
non beve alcolici, non per la sua religione, mi dice, solo perché non le
piace perdere il controllo, a dispetto delle decine di Ronhill che fuma.
Andiamo in questo posto che potrebbe essere un qualsiasi disco bar di
Berlino o di Amsterdam eppure quello che si balla e si suona qui dentro
è la terribile Turbo Folk, i ragazzi del MTM arricciano il naso, un mix di
pop e ritmi gitani, lontanissima dalle frequenze rocchettare dei nostri
amici che alla prima occasione ci trascinano fuori, su una terrazza bar
dove possiamo osservare Mostar dall’alto.
Quando torno in camera quella sera sono agitato, mi metto a letto
ma non riesco a dormire, accendo la tv e dopo essermi sorbito
cinque minuti di telenovelas messicane delle quali non ci capisco
nulla mi sintonizzo su Mtv e ho come un’illuminazione: sullo schermo
campeggia l’ultimo rapper con i suoi pettorali fichi, circondato da uno
stuolo di giovani donne seminude, ecco, in quel momento seduto sul
mio letto nella mia stanza di Mostar ho capito cos’era realmente lo
sguardo dei nostri amici che qualche ora prima ci avevano augurato
di fare buon viaggio e di tornare presto a trovarli.
Hamburg – Sud Africa
Rosso d’Africa
di Luisa Cotardo
Sono stata dove il sole al tramonto si tuffa
nell’acqua e tinge tutto di rosso, pensi che
un giorno il mondo cominciò proprio così. Ad
Hamburg, piccolo villaggio nel Eastern Cape,
capo orientale del Sud Africa, a due passi
dal paradiso. Il suono dell’Oceano Indiano mi
svegliava e mi accompagnava per tutto il giorno,
potente massa d’acqua paragonabile solo alla
voce di Dio. Un’onda e una preghiera. Per la
gente che ti sorride e ti saluta per strada, unica
strada sterrata che dopo ore d’auto portava
alla prima asfaltata. E per le stradine secondarie
arrampicate verso le case della gente, lungo il
Keiskamma river. Fiume immobile, tinto di rosso, me
lo sono trovato intorno in un pomeriggio passato
in canoa. Sono andata in Sud Africa a luglio, per venti giorni, lì era
inverno, ma solo di sera. Di giorno il sole era caldo come d’estate.
Sono stata invitata dalla Keiskamma Trust per insegnare a fare rose
di cartapesta leccese. Sono una giornalista che ama l’arte al punto
che passare dalla carta stampata alla cartapesta mi risulta un gioco.
Il Keiskamma Art Project si avvale del contributo di artisti provenienti
da tutto il mondo per insegnare alle donne del villaggio un’arte, un
mestiere. Una vera opportunità, con la vendita dei lavori sfamano i
figli e supportano i piccoli ospedali. Ora ci sono esperte del ricamo
con filo e perline, per esempio. Alcuni lavori si possono ammirare nel
sito ufficiale www.keiskammafriends.com. Non hanno nulla, a parte
il paradiso ed un sacco di tempo. Alle prese con l’alcolismo dei loro
compagni che non trovano lavoro o con la depressione, quando va
bene e non c’è l’Aids contratta a causa del marito che, lontano da
casa, ha trovato lavoro e altre donne. E ti sorridono e ti abbracciano.
Quando distribuivo i fogli di carta mi tendevano le mani, come se
distribuissi pane. Per partecipare ad un festival dovevano costruire un
altare ispirato alla Vergine delle rose di Martin Schongauer: dovevano
saper fare le rose. Hanno imparato subito. Abbiamo unito le tecniche e
sono nate rose di carta, stoffa e perline. Grazie a Carol Hofmeyr che mi
ha voluto come unica italiana del gruppo, a Jan Chalmers e a Jachie
Jezewski incontrate a Londra. La vita ha sempre più fantasia di noi. Ho
visto le mucche pascolare liberamente, le capre e gli asini, le scimmie,
coloratissimi pappagalli. Ho visto conchiglie che non si possono
immaginare, distese di deserto sull’acqua da aver paura di perdersi.
Poi ho visto un ospedale, piccolo, in attesa. In attesa di diventare più
grande, troppi i malati. Alcune donne malate di Aids al mio ingresso
hanno salutato e sorriso. Sembravano chiedere scusa. Carol, che è un
medico, oltre che responsabile del progetto - lei mi ha insegnato che
l’arte e la medicina sono le cure necessarie alla vita - si occupa di loro,
insieme ad altri volontari. C’era anche un bambino di un paio d’anni
e occhi da adulto, l’unico che non mi ha sorriso. In una recente e-mail
dal Sud Africa mi raccontano che ha cominciato a farlo. Gioca anche
sul prato del giardino. Guarda verso il sole che tinge tutto di rosso
anche quando si leva, e pensi che un giorno tutto sia cominciato così.
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“Back in time. You’re so kind”. Cammini lungo la Broadway e nel reticolo
di cartelli, insegne, segnali stradali, la scritta emerge stranamente
all’altezza dei tuoi occhi. È un Blockbuster, le sue dimensioni non ti
colpiscono più, dopo un po’ hai fatto l’abitudine agli spazi enormi e
saturi di stimoli sensoriali ma la scritta, la scritta ti sembra che esprima
qualcosa e continui a pensarci a questa pseudofilosofia americana
della gentilezza a ogni costo, mentre ti fai spazio tra ondate di gente
che scorre, mentre prendi velocità, che non è solo adeguare il passo
ed evitare gli scontri, è il ritmo, il respiro, il battito e tutte quelle altre
stronzate New Age che proprio non riesci a sopportare. Cammini e una
dopo l’altra le facce entrano nel tuo campo visivo ma sono solamente
impressioni fugaci; del miscuglio di gente e origini e storie confluite in
questi pochi chilometri quadrati di terra che chiamano il centro del
mondo – ti fermi a pensare a quell’euforia e a quella sensazione di
potenza, di centralità che vedi negli occhi esaltati di quelli appena
arrivati qui, come fossero immigrati sbarcati dopo un viaggio impervio
per mare – di quel miscuglio incredibile ti rendi conto in modo preciso
come l’odore misto di spazzatura e carne arrostita che ti nausea
lievemente mentre percorri lento la fila ordinata che si snoda fino a
Battery Park di fronte alla statua della Libertà. Ti senti bene, dopo, nella
confusione, ti arriva anche uno sbuffo di aria di mare in mezzo a tutti
quei corpi che ballano con i grattacieli alle spalle. È il quattro luglio e
New York - USA
Not a nice day
di Chiara Piovan
scendendo nella subway, in mezzo alla gente sudata per il caldo da
girone infernale, sulla banchina ricoperta di cicche spiaccicate ad
aspettare un treno e il refrigerio dell’aria condizionata. Ma l’hai capito
anche stamattina, ora che ci pensi, è stata una sensazione netta di
appartenenza, è cominciata quando il tabaccaio indiano ti ha detto
“Buongiorno” nella tua lingua ricevendo il dollaro quotidiano per il New
York Times, è proseguita al Connecticut Muffin vicino a Central Park
dove il portoricano che ti vende il caffé col ghiaccio (in un bicchierone
da Coca Cola con tanto di cannuccia) è andato oltre l’ “Have a nice
day” nazionale – continuamente ripetuto, ossessivo – e ti ha chiesto
fino a quando ti fermerai.
La frenata. È la tua stazione, scendi, il pensiero interrotto, gli occhiali
che si appannano per lo sbalzo di temperatura all’esterno. Ma fuori
c’è la notte di nuovo, pericolosa e affollata. E c’è la musica. Qui ascolti
la musica in un modo che altrove non era tuo, è un sollievo per te
questo modo facile di coinvolgimento, adori i concerti qui, capitano
ovunque. Ti rendi conto che la musica permea le strade di New York
sei felice mentre ascolti gli Yo la tengo, con tutta quell’energia punk
e quella dolcezza jazz e quel rock movimentato che ti viene spinto
addosso. Sorridi e ancora non sai. Che riproverai quella sensazione,
identica e sempre diversa, ascoltando una batteria solitaria alla
Grand Central Station, ballando a un concertino funky improvvisato
nel giardino della New York University o ridendo per un gospel stonato
sentito sulla Fifth Avenue. Non lo sai ma soffrirai per la malinconia
drammatica di Anthony (and the Johnston) che accarezza e percuote
il suo pianoforte, che impazzirai letteralmente per il fascino di Rufus
Wainwright e per quel modo incredibile con cui Ben Folds pesta i tasti
del suo pianoforte. Ancora non lo sai…
Not only nice days.
Roma – Italia
22/07/2005 Bryan Wilson
di Giancarlo Susanna
Di scorci e
paesaggi
da cartolina
Roma ne ha fin
troppi. Tutti un
po’ scontati,
però, come se
nessuno avesse
il coraggio di
aggiungerne di
inediti, magari
battendo la
periferia e i
quartieri più
dimenticati
della città.
Per crearne di
nuovi, poi, ci
vuole un artista,
un architetto e
un urbanista che sia anche un poeta. Qualcuno che sappia inventare
delle forme che subito appaiono naturali, che occupano terra e cielo
come se ci fossero sempre state. Renzo Piano ci è riuscito. Gli edifici
del Parco della Musica sono quanto di più bello e importante sia
stato fatto a Roma dopo gli anni terribili della speculazione. Ci piace
anche che lo spazio aperto fra i tre grandi “coleotteri” grigi sia stato
- e sia - chiamato con la serena noncuranza dei romani “cavea”.
Il 22 luglio, quando Brian Wilson è salito su quel palco e le note di I
Get Around si sono levate nell’aria, leggere, soffici e colorate come
le nuvole di questa mutevole estate, abbiamo avuto la sensazione
che questo concerto tanto atteso e sognato sarebbe stato davvero
speciale. Sembrava che Brian volesse farsi perdonare per non esser
mai venuto a Roma e avesse per questo studiato apposta un “best
of”: Don’t Worry Baby, Dance Dance Dance, In My Room, Surfer Girl,
Break Away, Do It Again, Help Me Rhonda, California Girls, Sloop John
B, Wouldn’t It Be Nice, God Only Knows, Heroes And Villains, Good
Vibrations... Suonata con passione da un gruppo eccezionale, la
musica arrivava a ondate, inarrestabile ed emozionante, alternando
dolcezza estrema a energia incontenibile. Con Good Vibrations, la
“sinfonia tascabile” di tre minuti che fu il più grande successo dei
Beach Boys, Brian avrebbe voluto salutarci e andar via, ma il pubblico
non ne voleva sapere e lo ha richiamato a gran voce, Brian è tornato
con una sequenza micidiale di bis - Johnny B. Goode di Chuck Berry,
Barbara Ann, Surfin’ USA, Fun Fun Fun - ha perfino ripreso e suonato
il basso come ai vecchi tempi, poi ha riguadagnato i camerini tra
applausi entusiasti e fragorosi. L’andatura un po’ incerta, l’aria un po’
smarrita ma felice. Questa fragilità che non fa nulla per nascondere
- se non stando seduto dietro una tastiera che non tocca quasi mai
e di cui si serve come un’estrema difesa - rende Brian Wilson ancora
più caro al suo pubblico. Molti di noi avrebbero voluto abbracciarlo,
quest’uomo grande e grosso di 63 anni con l’aria da bambino, dirgli
che lo aspettavamo da anni o almeno stringergli la mano. Per fargli
capire, non solo con il battito di mille e mille mani, che avevamo
capito e che la sua musica e le sue canzoni, soprattutto quelle in cui
il contrasto tra luci e ombre è più forte e marcato, ci ha aiutato e ci
aiuta ad affrontare la vita con più serenità. Alla fine ci ha lasciato
con Love And Mercy, che non a caso sigla sempre i concerti dal
suo ritorno negli anni ‘80 e ‘90 e racchiude la sua filosofia. Pensieri,
note e parole da portare nel cuore tornando a casa nella notte e da
mandare anche a voi su questa cartolina.
Torino - Italia
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29/06/2005 Traffic Free Festival
di Federico Baglivi
Giunge alla seconda edizione
questo evento sostenuto e finanziato
dalla Città di Torino e dalla Regione
Piemonte: ingresso completamente
gratuito per quattro giorni in tutti
i luoghi del festival. Non poteva
esserci un inizio migliore e, quasi a
perpetuare il caldo asfissiante e lo
smog appena arrivati nella città
della Mole ci aspettano Throbbling
Gristle, Pan Sonic e CCC CNC NCN
nel luogo simbolo post-industriale
dell’area metropolitana torinese,
le ex-Fonderie Limone: Genesis
P’Orridge, dopo il cambio di sesso,
basso alla mano, riempie la scena,
accanto a un Peter Christopherson
“uomo della porta accanto” visto i
suoi capelli brizzolati, gli occhialini
e la pacatezza con cui agiva sul
personal computer. Gli anni si fanno
sentire: molte basi sono registrate,
si riconoscono un sacco di preset
e
pochissima
improvvisazione
nonostante le parti sperimentali di
Cosey Fanny Tutti alla chitarra e alla
tromba.
Dopo di loro all’esterno del Teatro
fonderia tocca ai CCC CNC NCN,
gruppo/squadra di operai edili
della scena industriale di Torino.
Senza un vero e proprio palco,
improvvisano costruzioni e colano
cemento
intorno
ai
presenti,
fra squarci techno e betoniere.
La serata proseguirà con i Pan
Sonic, indiscussi maestri finlandesi
dell’elettronica, intenti a manipolare
le loro strane scatoline del suono
autocostruite. Profondi conoscitori
delle loro sintesi granulari riescono a
rendere bollente all’udito qualsiasi
frequenza proveniente da una
fredda macchinetta di resistenze e
saldature di stagno. Piacevoli, con
frequenze da mal di pancia.
L’indomani è soprattutto il giovedì di
Aphex Twin e di Chris Cunningham.
Purtroppo
non
mancano
le
classiche coincidenze e così mi
ritrovo costretto a rinunciare a
The Faint e Bright Eyes: scelgo
la techno, con le Cocorosie da
special guest. Ma il destino si
accanisce e l’eccessiva rilassatezza
mi fa giungere alle ultime note
delle dolcissime francesi. Il re della
serata è però Richard D.James:
contornato da uno spettacolo
multimediale diretto dallo stesso
Chris Cunningham, con tanto di
ballerine, per la prima volta il regista
e il producer si trovano insieme sullo
stesso palco. Aggressivo per tutte le
quasi tre ore di performance, riesce
a far perdere la concezione del
tempo e dello spazio: brani vecchi
come Come to Daddy sono capaci
di rivoltare la terra sotto i piedi dei
migliaia di corpi che si muovono
come in crisi d’astinenza di fronte
ad un palco immenso. Chicca finale
del matto inglese un remix di pochi
secondi di Rosso Relativo di Tiziano
Ferro, quasi a suggellare l’agonia
della musica di quest’ inizio secolo,
musica a cui lui, nella notte torinese,
dà il colpo di grazia. Probabilmente
è più avanti di chiunque altro,
probabilmente è pazzo, ma uno
spettacolo cosi non si era mai visto.
Dopo un delirio del genere ti aspetta
solo la decompressione totale: un
DJ set fino al mattino ai Murazzi del
Po con Feel Good Productions dj;
refrigerio per le orecchie a cercar
di far tornare l’udito a livelli normali
dopo devastazioni di bpm.
La terza giornata del festival è
vissuta pigramente: il concerto di
Carmen Consoli con Lura & Virginia
Rodriguez & Jean “Binta” Breeze in
un happening dedicato alle donne
del Sud del mondo. Alle 21 allo
Spazio 211 ci sono invece i torinesi
Pertubazione e la dolcissima italoislandese Emiliana Torrini. Scelgo
la tranquillità dello Spazio 211 e la
dolce Emiliana che esegue i pezzi
del suo secondo album Fisherman’s
Woman uscito per Rought Trade:
nonostante i problemi audio di
un amplificazione poco consona
all’evento, il folk-rock minimalista
della cantante colpisce nel segno,
fresco e caldo allo stesso tempo
come il timido carattere della
donna, che tra un pezzo è l’altro
non omette di raccontare aneddoti
e vicende estive londinesi.
Giornata finale con i Jaga Jazzist
nel pomeriggio e i New Order
previsti al Parco della Pellerina in
serata. I Jaga Jazzist sono subito
trascinanti: ibridano jazz, post-rock,
elettronica, con un Lars Horntveth in
ottima forma. Dieci polistrumentisti
norvegesi sul palco per un suono
che ha il sapore di Squarepusher,
Stereolab, Davis, Coltrane.
Traffic Free Festival chiude i battenti
con l’unica data italiana dei
New Order. Già nel pomeriggio
il discorso era stato introdotto
dalle proiezioni in prima nazionale
del film sull’epopea musicale
di Ma’D’chester, “24 hour Party
People”, dal post-punk di fine anni
settanta all’acid-house celebrata
sul dancefloor dell’Hacienda. Dopo
una coinvolgente performance
degli 808 state, puro spleen
ibizenco ’88 circa, salgono gli dei di
Manchester, introdotti da un’acida
introduzione del vate Tony Wilson.
Dai primi Joy Division al nuovo suono
anni ottanta contaminato dall’acid
house, il concerto ripercorre tutte
le tappe della loro carriera. Una
celebrazione. Ci aspetta ancora il
set di Shaun Ryder sulle rive del Po
aspettando un’altra stupenda alba
torinese.
Arezzo - Italia
12-17 luglio Arezzo Wave Love Festival
di Lorenzo Donvito
Scrivere di Arezzo Wave non è proprio facile, ci
sarebbero da raccontare un bel po’ di storie e
non solo musicali. Quello di cui siamo sicuri e per
questo anche soddisfatti è che qualcuno ancora
sale su un palco per il piacere di farlo e non solo
per la fama, i soldi e l’appagamento del suo
ego. Di che stiamo parlando vi chiederete? Di
quello che abbiamo visto e ascoltato durante i
quattro giorni di questo Love Festival. Sono stati
proprio i musicisti a comunicarci questo: “Loro
non pensano di fare canzoni per tutta la vita e si
vede, io sì, penso sempre a scrivere”, abbiamo
un po’ origliato quello che diceva Manuel
Agnelli nel Bakstage dello Pshyco Stage tra un
piatto di cus cus e un bicchiere d’acqua. Per la
cronaca loro erano i Subsonica, che alla Mescal
ultimamente non godono di molta popolarità.
“Ma te pensi che io faccia questo per essere
famoso?” Le domande alla fine ce l’ha fatte
Giorgio, batterista degli Afterhours. E ancora
Giorgio Canali che tra una sigaretta e l’altra ci
ha raccontato di come abbia smesso di fare il
meccanico del suono per fare solo quello che
lo “sfagiolasse” e che sul palco si può anche
rischiare perché una cosa non la fai per avere
il consenso ma per far riflettere gli altri. Potremo
anche non credere ai Negramaro, logorroici
nella loro voglia di comunicare quanto fosse
vero quello che fanno. Sì, è vero, sono andati
a Sanremo e sotto il palco del main stage,
dal pomeriggio c’erano ragazzine pronte con
striscioni e macchine fotografiche. Che dire?
Anche Springsteen è andato a Sanremo e di
ragazzine che correvano sul palco per baciarlo
ne ha viste parecchie. Potrei continuare per
dieci pagine ma il concetto è che eventi come
Arezzo Wave, come il Tora Tora (apertosi proprio
domenica 17 con la conclusione del Festival
toscano) eliminano quella barriera tra “l’artista”
- lo mettiamo tra virgolette per sottolineare
l’imbarazzo con cui spesso alcuni musicisti hanno
reagito ad essere chiamati così - e il pubblico,
riportando il mondo della musica su un
terreno più popolare da cui certi soldi
facili, certe case discografiche lo hanno
allontanato. Sarà che ultimamente sono
le cose più elementari a sfuggirci ma ce lo
ricordiamo o no che quello che sta là sopra,
con il microfono davanti alla bocca, avrà
tutti i meriti del mondo, ma non ci sarebbe
mai arrivato senza quello che sta lì sotto e
batte le mani?
Ma basta con i polpettoni di saggezza
e parliamo di musica. Di canzoni dal 12
al 17 luglio ne sono state suonate tante,
forse anche troppe. Questo per dire che
forse anche una selezione più severa avrebbe
potuto portare un minor numero di gruppi e una
migliore attenzione da parte degli ascoltatori
e della stampa. Soltanto nel wake up e nello
pshyco stage sono girati una cinquantina di
gruppi. Ci sarebbe da scrivere qualcosa su
ognuno: il reggae dei Blueabeaters, l’hip hop
misto drum&bass degli Instituto dal Brasile, il punk,
funk dei lcd Soundsystem, quella miscela un po’
indecifrabile di rock, dance ed elettronica dei
Soulwax dal Belgio, le tristi ballate cantate da
quel Nick Cave androgino di Antony con i suoi
Johnsons, per finire con il sano e puro rock&roll
degli Afterhours.
CoolClub.it
Richard Hawley
Coles corner
Mute
Fosse nato negli anni 50
sarebbe un crooner e
farebbe parte dei Ratpack,
uscirebbe con Frank Sinatra
ed Elvis e invece è l’ex
chitarrista dei Pulp. Sembra
un classico ma è il nuovo
bellissimo disco di Richard
Hawley.
B-back
In time
Cd ariapirata
Non vengono dalla Svezia
ma sono toscani, nati dalla
fusione di elementi di due
storici gruppi italiani Ray
datona e Gloves. I B-back
ci propongono un disco
pieno di vagonate di fuzz,
garage punk selvaggio e
primitivo. Finalmente sono
arrivati i veri eredi dei Sink
Rose.
The Magic
Numbers
The Magic
Numbers
Heavenly
di Osvaldo
Piliego
Deus
Pocket
Revolution
V2
Enri
Music performer
Record kicks 2005
Dopo l’esordio di Docktor
zoil, un altro ex vip 200
giunge
al
suo
primo
lavoro discografico. Disco
per gli amanti del funk,
dell’hammond groove con
ballate tenere alternate
a pezzi più di matrice
stomper senza tralasciare i
commentatori sonori italiani
come Piero Piccioni.
Marco Parente
Neve Ridens
Mescal
Esce il 16 settembre il primo
dei due nuovi album di
Marco Parente. Non un
doppio ma due lavori
diversi per umore, suoni
e atmosfere. Gli album,
omonimi, si distingueranno
nella parte grafica del
titolo: il primo avrà la
parola Ridens cancellata,
il secondo (in uscita a
febbraio), la parola Neve.
Di certo non siamo al cospetto della nuova fashion band inglese, niente ragazzotti bellocci
ed efebici ma straripante e debordante pop di ottima fattura. La musica avanti a tutto
per i The Magic Numbers che senza fronzoli ma con un singolo a presa rapida hanno
fatto immediatamente parlare di sé. Parola d’ordine in questo disco è la melodia, nulla di
imprescindibile per carità, di dischi come questo i nostri scaffali si affollano, dischi stagionali mi
piace chiamarli, album che passano e raramente vengono riascoltati. Ma, messa da parte la
data di scadenza del prodotto in questione, questo disco ha in sé un compromesso che lo rende
diverso e per questo bello. I The Magic Numbers conciliano trovate spiccatamente british pop
a rimandi più folk e psichedelici. La natura raminga del cantante Romeo Stodart condisce di
influenze brani che sembrano palleggiare tra America e Inghilterra. Le voci, infine, sono il tratto
distintivo dei The Magic Numbers, oltre al carattere di quella di Stodart gli altri due elementi
femminili della band creano intrecci quasi dream che aggiungono bellezza e spessore alle
aperture e alle pause di questo disco sbarazzino e romantico.
Era dal lontano 99 che non sentivamo parlare di loro. I più feticisti, compreso il
sottoscritto, li hanno sempre seguiti, anche nel silenzio riempito da progetti paralleli
e solisti. Una raccolta di singoli, il progetto Zita Swoon dell’ex bassista Stef Kamil,
l’esperimento elettronico Magnus del leader Tom Barman, sono stati il lenitivo prima del
nuovo album ufficiale dei Deus. La band belga, rimaneggiata nella formazione, torna,
dopo The Ideal Crash con questo nuovo Pocket Revolution.
Prima del trapasso al nuovo millennio ci avevano lasciato un testamento spiazzante,
quasi una riflessione sul decennio vissuto da assoluti protagonisti nella scrittura di
una nuova grammatica dell’indie, un rock lontano dai grandi centri, denso di idee,
eclettico, spigoloso. L’idea che abbiamo avuto dall’inizio, fin dai tempi del bellissimo
Worst Case Scenario del 94 era quella di un collettivo di musicisti, una fucina di voci
e idee diverse confluenti in un risultato sorprendente per quegli anni. La potenza
dirompente del loro sound sembrava sempre preparare un tracollo che mai arrivava,
spinti fino all’estremo in un equilibrio che li rendeva rocciosi e fragili allo stesso tempo.
Rumorosi e violenti riuscivano a riservarsi riflessioni ricche di dolcezza e malinconia, il
violino (forse mai usato così bene nel rock se si escludono i Velvet Underground) era
parte integrante di un nuovo suono che presto avrebbe segnato una nuova stagione
per la musica. Il mini My Sister = My Clock del ‘95 e l’album In A Bar, Under The Sea del
96 scrivono pagine di post grunge, intagliano gemme low-fi, proseguono un cammino
culminato e interrotto con The Ideal Crash. E oggi finalmente la nuova prova sulla lunga
distanza. Gli anni sono passati e hanno lasciato il loro segno anche sui Deus. Barman
non è più circondato da una band ma sembra esserne supportato. Un disco che esalta
tutto di lui, l’eclettismo, la voce, le nuove fascinazioni più elettroniche. Ma lo zoccolo
duro, l’anima di quel suono c’è ancora, la senti fin dalla prima nota e la segui in un disco
che sa graffiare e accarezzare. 7 Days, 7 Weeks, primo singolo estratto arriva dopo una
circolare e deflagrante apertura e ci restituisce l’anima melodica della band. A seguire
una doppietta che alza tono e volume prima di una ballata tra elettronica, feedback,
delay, che sembra quasi una filastrocca simil country sognante e acida, straniante in
perfetto stile Deus. Tra piani e forti il disco scorre veloce e vorresti non finisse con la
bellissima bossa Nothing really ends. La nuova formazione convince, interprete nuova
di un suono che ancora si evolve. La sensazione alla fine è quella di un disco che non
accetta omologazioni alle mode correnti, un album con una personalità che ancora
ruggisce e ci auguriamo lo faccia ancora per molto. In attesa dei concerti italiani di
fine novembre vi consigliamo Pocket Revolution e l’intera discografia di questa grande
band.
Osvaldo
CoolClub.it C
Sigur Ros
Takk
Capitol
di Osvaldo Piliego
Concerti e dischi di questa
band sono sempre un evento.
Questi
ragazzi
Islandesi
sono stati capaci con pochi
album di ridisegnare i confini
dell’indie, sapendo calibrare
sperimentalismo
a
eteree
melodie
senza
tempo.
Impossibile
identificare
la
provenienza
della
lingua,
assolutamente
inventata,
che usano nelle loro liriche e
impossibile classificare i forti
contrasti che compongono la
densa amalgama delle loro
canzoni. è quasi visionario
ascoltare un loro disco. Li vedi
lì in queste distese immense,
tra ghiacci e vulcani. Lontani
come se venissero da un altro
pianeta, come se fossero un
unico strumento che produce
un suono nuovo e ricco di
sfumature.
Attesissimo questo nuovo Takk
dopo il celestiale “()” non
tradisce le aspettative di una
band che solo a se stessa può
essere paragonata. Più diretti
senza sentire il peso della
sopraggiunta major i Sigur Ros
ci regalano un’ora di sogni in
musica. Takk (che in islandese
significa grazie) allora ai Sigur
Ros per questo nuovo bellissimo
disco.
John Hiatt
Master Of Disaster
New West/I.R.D.
di Giancarlo Susanna
Quando John Hiatt è in forma e
si muove in una situazione che
gli è congeniale, fa mangiare
la polvere a chiunque lo sfidi
sul terreno del rock più classico.
La sua concezione del “suono
americano” ci ha dato in passato
dischi bellissimi, ma Master Of
Disaster ci arriva come una
gradita sorpresa, perché era da
tempo che Hiatt non realizzava
un album così incisivo. Merito suo,
naturalmente, della sua voce,
della sua scrittura, del suo modo
di suonare la chitarra, ma anche
del produttore Jim Dickinson e dei
musicisti da lui convocati. Se in
questo momento ci chiedessero
il titolo di un disco capace di
racchiudere in sé il suono di cui
dicevamo, non avremmo alcuna
esitazione a indicare Master Of
Disaster. Prendete ad esempio
Wintertime
Blues.
Sembra
uscita da una session tra John
Sebastiane, Ry Cooder, con in più
la voce rauca e inconfondibile di
Hiatt, che trascina la sua band
in una performance davvero
superlativa.
Conoscenza e padronanza della
musica tradizionale - folk, blues,
rock’n’roll, jazz - padronanza
assoluta di quello che fa,
passione, ironia... in poche
parole: cuore e mente al posto
giusto. Cosa chiedere di più a un
musicista che calca le scene da
così da tanto tempo?
I am Kloot
Gods And Monsters
Echo/Self
di Camillo Fasulo
Heavy Trash
Heavy Trash
Yep Records/I.R.D.
di Camillo Fasulo
Mentre tutti arrancano appresso alla
scia del garage-revival, copiando
in sostanza la Blues Explosion, Jon
Spencer alza il dito medio e se ne
va direttamente ai primordi del
rock’n’roll ed anche se il nome di
questa ditta suggerirebbe ben altro,
Heavy Trash è la copertura sotto la
quale Mr. Spencer, accompagnato
da una combriccola di sgangherati
amici, ha deciso di agire. Blues &
country dalla loro parte gli Heavy
Trash si abbeverano direttamente
alla fonte del rock’n’roll! Questo
è avere le palle, altroché! Sarà
pure uno scherzo Heavy Trash,
forse un gruppo fittizio, di quelli
da una botta e via, ma se pure
fosse c’è da godere un bel po’
con questa inattesa spruzzata di
godibilissimo rock’n’roll! Revival del
revival, praticamente un revival al
quadrato! Fantastico! Potremmo
quasi
definirli
una
rock’n’roll
explosion pensando al fatto che
una delle due metà di questi Heavy
Trash è Jon Spencer in persona che
smessi momentaneamente, forse,
i panni del bluesman selvaggio
si unisce a Matt Verta-Rey degli
Speedball
Baby,
sottovalutata
band newyorkese, per dar vita a
questo progetto totalmente legato
ai Fifties. Ad essere presi in esame
qui ci sono, se ancora non si fosse
capito, generi come il rockabilly
ed il country rurale ma senza
dimenticare la grande lezione del
blues più nero e grezzo che ci sia.
Tant’è che viene piuttosto facile
raccomandare questo disco quale
complemento ideale per sbronze,
orge ed happening di vario tipo!
Giunti con Gods And Monsters
al traguardo del terzo album, gli
I am kloot si confermano come
una delle realtà più interessanti e
meno allineate della scena poprock britannica. Con l’esordio
Natural
History(2001)
vennero
inseriti
nel
fantomatico
new
acoustic movement. Null’altro che
un maldestro tentativo di trovare,
all’epoca, un successore al brit pop,
fenomeno ormai in forte declino.
Chiaramente un’invenzione! Quel
disco era ricco di rock acustico,
certo, ma anche elettrico e
beatamente scassato, sicuramente
più vicino all’espressione di “rock
tradizionalmente britannico” tanto
da far guadagnare al trio anche la
definizione, abbastanza azzardata,
di “Oasis in bassa fedeltà illuminati
dalla fantasia di Robyn Hitchcock”.
I due album successivi, l’omonimo
“I Am Kloot” (2003) e il nuovissimo
Gods And Monsters, aggiungono
alla formula base rifiniture ed
elettricità in dosi variabili ma senza
modificare di molto l’attitudine
musicale del trio. L’allergia per le
etichette, invece, resta immutata.
John Bramwell (voce e chitarre),
Peter Jobson (basso) e Andrew
Heargraves
(batteria)
sanno
perfettamente
come
si
crea
e si interpreta un buon pezzo.
Spaziando tra rock e folk, con
una classe ed un senso artigiano
che sbalordisce, non si curano
minimamente di assomigliare a tutti
i costi a qualcuno o a qualcosa. Gli
I am Kloot sono, per farla breve, una
delle poche certezze di qualità per il
pop odierno. Non hanno grandi rivali
in quest’ambito. Gods And Monsters
conserva così le energie migliori dei
nostri e nello stesso tempo aggiunge
un altro importante tassello alla loro
storia artistica.
CoolClub.it
Ry Cooder
Chavez Ravine
Nonesuch-2005
di Lorenzo Donvito
Sono passati quasi 30 anni da
Chicken Skin Music, un po’ meno
dall’ormai ultranoto Buena Vista
Social Club e Ry Cooder è sempre
pronto a stupirci con una delle
sue zampate di classe. Perché
abbiamo citato questi due dischi?
Perché probabilmente all’interno
della sterminata produzione del
chitarrista californiano dalle mille
collaborazioni (potremo citare i
Rolling Stones, ma anche Flaco
Jimenez, Willie Dixon, Taj Mahal, e
molti altri ancora) i due titoli sono
quelli più vicini al suo nuovo progetto
dal titolo di Chavez Ravine. A questo
giro però il buon Ry non è andato
né in Messico, Cuba o Africa. No,
è tranquillamente rimasto a Los
Angeles, vicino a casa sua, a Santa
Monica, dedicando questi ultimi tre
anni alla riscoperta del quartiere
di Chavez Ravine scomparso negli
anni ’50. La frenesia americana
di
distruggere
e
ricostruire
continuamente parti di intere città,
portò infatti alla sua estinzione,
come se l’esistenza di qualcosa di
vecchio potesse suggerire l’idea
di povertà. E ascoltando le storie
contenute nelle tracce di questo
lavoro, ci rendiamo conto che il
barrio messicano di Chavez Ravine
sarà sicuramente stato povero, ma
non per questo poco divertente
o triste. Ry Cooder, recuperando
alcuni musicisti di quegli anni, ha
riportato alla luce un tesoro. Tra
quelle case, buttate giù per far
posto ad uno stadio da baseball
per ricchi californiani, risuonava
una musica che non ne ha voluto
sapere di morire. A dimostrarcelo i
15 pezzi dell’album -molti dei quali
scritti apposta- nati dal passato ma
piacevolmente freschi ed attuali.
Valéry Larbaud
Altro non è rimasto
Acide produzioni
Ci sono tanti modi per approcciare
il rock in italiano. I Valery Larbaud
scelgono una commistione tra
atmosfere decadenti e poesia
(il nome stesso della band è
un omaggio al critico artefice
dell’incontro tra Svevo e Joyce).
Affiancare
alla
melodia
e
dissonanze
sembra
l’artificio
artistico prediletto da questa
band che muovendosi in un rock
di matrice noise riesce a inserire
liriche che puntano in alto o in
profondità a seconda di come lo
si voglia intendere. Il filone seguito
è quello vagamente dark o wave
più nell’atmosfera che nei suoni
che invece sembrano divisi tra
derive americane di scuola sonic
youht o più italiane ibridazioni alla
Marlene. Brano portante oltre
che in apertura dell’album è
Dublino, diretta, con un ritornello
ad effetto. La sensazione globale
è quella di un progetto che non
manca di personalità, una band
che porta avanti un percorso
sicuramente non facile, difficile è
infatti distinguere in questa nuova
scuola italiana figlia degli anni
novanta prodotti non omologabili
ad esempi precedenti). Nel caso
dei Valery Larbaud gli spunti sono
molti, sta a noi cercarli e a loro
svilupparli.
Uselesswoodentoys
Uselesswoodentoys
Dai Bentley Rhythm Ace,
passando per Fatboyslim fino
ad arrivare ai 2 Many DJ’s ho
sempre provato fascinazione
e curiosità per chi riesce a
catturare, rimaneggiare,
amalgamare frammenti
musicali di altri e farne nuova
musica.
Uselesswoodentoys
è il nome di questo progetto
tutto italiano che poco ha
da invidiare ai più blasonati
colleghi stranieri. Che l’Italia in
ambito elettronico non fosse
solo sinonimo di house e dance
cominciamo finalmente ad
accorgercene e fa piacere
la vitalità e la qualità di
produzioni
come
questa.
Questo lavoro è un tripudio di
ritmi funk (la seconda traccia
Wooden boogie è un esaltante
omaggio ai Kool and the Gang)
che si lasciano affascinare da
cadenze hip hop, hammond
groove e atmosfere da spy
stories del nuovo millennio. Più
si va avanti più il beat si fa lento
in una wait e walk dal touch in
crescendo che si muove tra la
Francia degli Air e l’Inghilterra
di Bristol. Jackbass quasi in fine
sembra ringraziare i Chemical
Brothers
fino
alle
liquide
suggestioni ambient di Corner.
Una buona prova.
Traffic Sound
Yellow sea years
Vampi soul – 2005
di Postman Ultrachic
Il limite storico del rock è stato
quello di avere delle aree
geografiche
ben
precise,
trascurando autentici meraviglie
provenienti dalla parti più
disparate del pianeta. L’esempio
lampante ci viene dato da
questa
antologia
dedicata
ad una delle band latino
americane
più
apprezzabili
degli anni 60. Questo disco
recupera alcune registrazioni
della MAG che vanno dal 1968
al 1971. I Traffic sound sono stati
gli agitatori assoluti della scena
psichedelica
peruviana.
Un
disco ben strutturato, rock farcito
da tocchi psychedelici con
ritmiche influenzate dall’origine
latina. Capace di evocare
immagini sonore dilatate e
caledoscopiche.
Ascoltate
Meshkalina:
è
un
classico
esempio di psychedelia andina
con un incontro scatenato tra
vibrafono e sax da capogiro.
You got to be sure è una
ballata a colori di spaventoso
splendore che investe l’orecchio
di una eccitazione permanente.
Immaginate
i
Cream
che
giocano con il latin soul e
verrà fuori Inca snow. Yellow
sea years è un disco da avere
assolutamente. Rispetto alle
tante produzioni odierne usa
e getta alcune volte bisogna
fermarsi di fronte a capolavori
senza tempo.
CoolClub.it
Fr Luzzi
Happiness is an overestimated
value
Arabsheep
La felicità è un valore sopravvalutato,
mentre il Friuli Venezia Giulia è una
regione sottovalutata dal punto
di vista musicale. Lo dimostra
questo disco di Francesca Luzzi
che sembra figlio legittimo del New
acoustic movement. Il suo stile ha
rimandi diretti alla Glasgow dei
Belle and Sebastian, ai The Gentle
weaves di Isobell Campbell, a tutte
quelle produzioni malinconiche al
femminile di maternità francese e
adottate dal pop acustico europeo
e non solo. Il disco è dolce come la
voce di Francesca, elegante negli
arrangiamenti mai troppo invadenti
ma ricchi e suggestivi. E scorre con
un ruscello di note, a tratti quasi
sussurrato questo disco adatto a
questo autunno ormai alle porte.
Niente di rivoluzionario sia ben
chiaro ma una bella e piacevole
sorpresa come il guizzo cadenzato
e ritmato di Sugar family prima del
finale The thorn in my side is gone
con una cover di Mark Eitzel.
Medusa
Migliore Attore Non
Protagonista
Dracma Records
Il cantante lo abbiamo già visto
accanto a Caparezza nel brano
“Vengo dalla luna”, chi segue la
scena punk probabilmente li avrà
già ascoltati. I Medusa sono in pista
dal 1990 e dopo una capatina
in Extra Labels/ Virgin tornano al
primo amore: la Dracma Records.
In tanti anni di concerti e canzoni
molto cambia e molto cresce.
Questo nuovo Migliore Attore Non
Protagonista è un album diverso
rispetto alle precedenti produzioni
della band, che imbocca nuove
strade mantenendo un sound
granitico e compatto. L’irriverenza
nei testi è in pieno stile punk con un
calcio alla banalità e uno a tutto il
mondo. In equilibrio tra ciò che va in
radio e quello che mai ci potrebbe
andare, i Medusa calibrano bene
i colpi in serbo, una sferzata di
potenza e freschezza, forse non per
i puristi ma un’ottima alternativa a
tutto il finto rock da classifica.
Giorgio Tuma
Uncolored (swing ’n’ pop around
rose)
I dischi de l’amico immaginario 2005
di Valentina Cataldo
Mentre parlava io stavo ad
ascoltarlo e quasi non ci credevo.
Perché da un ventisettenne non
te l’aspetti mica una passione
così forte per le giostre, specie
quelle grandi, e il sogno di poterne
comprare una un giorno, da tre
miliardi. E non a caso uno dei pezzi
forti del suo nuovo, primo, lavoro si
intitola The Stockholm rollercoaster,
la giostra più bella del parco di
divertimento di Stoccolma.
Giorgio Tuma esce così, con un cd
intitolato Uncolored (swing’n’pop
around rose) prodotto dalla nuova
etichetta indipendente I dischi de
l’amico immaginario e supportato
dal suo silly group tra cui spicca
Matilde De Rubertis dei noti Studio
Davoli alla voce, suadente e
convincente come sempre.
Una gestazione alquanto lunga
-il cd è stato registrato nel Marzo
2003- per questo lavoro dalle chiare
sonorità lounge e dai toni sognanti
e malinconici. Non mancano i
richiami ad un bossa più fresco e
leggero, come in Happiness is a
stupid song, per esempio, prima
traccia del disco. Grazie anche a
partecipazioni importanti, come
quella di Populous ospite del quarto
pezzo, questo lavoro è validissimo
nel suo genere, e spalanca le porte
ad un nuovo talento che la giovane
e
attenta
casa
discografica
ha scoperto e supportato. Mi
auguro di vederlo presto dal vivo,
Giorgio, magari mentre suona tra
gigantesche montagne russe.
Valentina Dorme
Il coraggio dei piuma
Fosbury
Se esistono nuove strade per la
musica d’autore italiana forse
quella intrapresa dei Valentina
Dorme è tra le migliori possibili. Dopo
il successo di critica del precedente
Capelli di Rame questo nuovo e
atteso Il Coraggio dei piuma arriva
come una conferma. La conferma
che dopo i Diaframma, i Massimo
Volume, i La Crus qualcosa si
muove nel tentativo di unire testi
con un certo peso specifico a
nuove confezioni musicali non di
tradizione. IMario Pigozzo Favero
scandaglia ancora dentro di sé
con parole dirette, a volte violente
come quello che intorno a lui oscilla
dispari prima di liberarsi in rabbiose
sfuriate
chitarristiche.
Racconti
crudi e semplici come quelli del
Carver citato in copertina trovano
giusta dimora in strutture musicali
che riproducono il suono di oggi.
Se si potesse separare musica e
testi il valore sarebbe pari, se le due
cose convivono così bene il valore
è doppio.
AA.VV.
Filati pregiati vol.2
Tavolo Melega – 2005
di Postman Ultrachic
Il progetto Filati pregiati, a cura del
dj e musicologo Robert Passera e
caratterizzato dallo stile grafico di
Eric Kilkenny, giunge al suo secondo
appuntamento dopo il successo
ottenuto dal primo volume sia in
Francia che in Giappone. Filati
pregiati vuole essere una collana
che analizza in tutti i suoi aspetti la
cultura della cocktail generation.
Mentre il primo era dedicato alla
bossanova, questo volume ci
trasporta verso orizzonti più variegati
e stravaganti pieno di energia sottile
con andamento morbido. La forza
di questa compilazione è quella di
unire musicisti notissimi con degli
autentici
sconosciuti
riuscendo
a creare un lavoro bilanciato,
versatile e pieno di motivi di
interesse. Si passa da una samba
sofisticata, leggera e accattivante
di Gerardo Frisina al lounge dalle
influenze urbane e soffici di Raffaele
Vasquez. Disco ideale con un
massaggio sushi per sentirsi meno
centrifugati nel rito collettivo.
24 Grana
Metaversus Edizione Speciale
La canzonetta/Self
di Giancarlo Susanna
La
realtà
dei
24
Grana
nell’ambito della “nuova musica
italiana” è davvero particolare.
Non lo è soltanto per la notevole
qualità della loro discografia,
ma anche e soprattutto per la
loro indipendenza. Presi sotto
contratto da La canzonetta,
storica casa editrice napoletana,
i 24 Grana hanno dato in licenza
alla CGD soltanto Metaversus.
Questa edizione speciale mette
riparo alla sua scomparsa dal
mercato e offre come ulteriore
motivo d’interesse un DVD che
ripercorre la storia del gruppo. Se
la situazione dei consumi culturali
non fosse in Italia quel disastro che
tutti conosciamo, la presenza dei
24 Grana sarebbe molto più forte.
Metaversus suona ancora oggi
come un’opera di passaggio
in cui le varie componenti di
una musica sempre vissuta
con passione coabitano senza
trovare un equilibrio. Quello
che potrebbe essere un difetto
si rivela tuttavia un pregio. Qui
trovate fra l’altro quella che non
è solo una delle cose migliori
della bands, ma anche una delle
più belle canzoni italiane degli
ultimi dieci anni, “La costanza”.
Se si può parlare a ragion veduta
di “nuova canzone napoletana,
è proprio grazie al talento del
leader Francesco Di Bella e a
dischi come Metaversus.
10
CoolClub.it
Valter Binaghi
La porta degli
innocenti
Dario Flaccovio
C’è un gioco virtuale
che diventa reale e ci
sono le sue vittime. Uno
speculatore spiantato
finito per caso in un
rave in campagna e
un extra comunitario
senza casa né lavoro.
E così cominciano le
indagini.
Nanni Svampa
Bisogna saperle
raccontare
Ponte alle Grazie
Fermata
del
tram.
“Scusi, l’undici passa di
qui?” “No, mi spiace.
L’undici
sono
a
Venezia”. Una delle
barzellette
raccolte
da Nanni Svampa, un
maestro del cabaret
che offre il meglio del
suo repertorio.
Giulio Mozzi
Questo è il giardino
Sironi 2005
di Rossano Astremo
libro del mese
Girolamo De
Michele
Scirocco
Einaudi - 2005
11
Valerio Neri
Anna e il Meccanico
Marsilio
Un
giovane
perito
meccanico,
viene
attirato in un perverso
congegno psicologico,
ideato dalla vedova
Gatelli, a capo di una
famiglia di imprenditori
antifascisti, per sedurre
la ribelle figlia Anna,
innamorata
di
un
colonnello tedesco.
Nick Hornby
Non buttiamoci giù
Guanda
Come
ritrovarsi
sulla
cima di un grattacielo
per suicidarsi e invece
diventare
amici
e
insieme
riuscire
a
superare le difficoltà.
Con la penna ironica
abituale Hornby affronta
un tema difficile.
Giulio Mozzi, editor, insegnante di scrittura creativa, animatore di siti internet letterari tra i
più visitati d’Italia, ma soprattutto scrittore di libri quali La felicità terrena, Il male naturale,
Fantasmi e fughe, Fiction è da poco tornato nelle librerie con il suo testo d’esordio risalente
al 1993, Questo è il giardino, pubblicato dalla casa editrice Sironi, per la quale lavora.
Perché ripubblicarlo a dodici anni di distanza? Sentito via e-mail Mozzi ha risposto: “Perché,
banalmente, le edizioni precedenti sono totalmente (Theoria del 1993) o pressoché (Oscar
Mondadori del 1998) esaurite. E, ovviamente, mi fa piacere che un mio libro continui a
essere “vivo”. Ma anche perché sono convinto, molto convinto, che Questo è il giardino
sia un libro di valore: un libro tale, che non sarò mai più capace di scrivere niente di
paragonabile”. Leggendo gli otto racconti che strutturano il testo, ciò che appare con
evidenza è che Questo è il giardino è l’opera nella quale la scrittura di Giulio Mozzi
coincide maggiormente con la sua vita. È il libro nel quale Mozzi si confessa in maniera
totale, senza filtri o schermi letterari d’ogni sorta. In racconti come L’apprendista o Lettera
accompagnatoria c’è tutto il codice genetico dell’uomo Mozzi, che nei testi successivi
subirà una lenta dissoluzione in favore di un approccio più oggettivo e meno sentito del
fare scrittura.
Lo scirocco è il vento che non asciuga niente. Lo sa la madre di Girolamo De Michele, lo sa
la mia, lo sanno bene tutte le madri del profondo sud dello stivale. Caldo e umido, quando
soffia appanna la mente, può provocare un cerchio alla testa, indurre a cali di attenzione,
concentrazione e memoria.
In valigia, prima di partire per il mare, ho messo questo secondo romanzo dell’autore di Tre
uomini paradossali (sempre per Einaudi), in parte spinto dall’entusiasmo di un amico appena
entrato nello staff della Stile Libero: “Ti piacerà, vedrai che ti piacerà!”
Misteri d’Ita(g)lia. Servizi segreti. Partigiani in Guzzi. Bologna. I Pixies. Il Sud Sound System. Gli
Almamegretta. Nick Cave in duetto con Shane McGowan. I cavalier, le armi, gli amori (con
una roscia che si tinge i capelli, la dà negli alberghi di lusso e, se interrogata, espone meglio di
Melanie Moore le differenze tra una Top Escort e una puttana da marciapiede).
Un thriller agganciato alla nostra storia contemporanea come una tavola disegnata da Andrea
Pazienza. Un noir epico e feroce con sbirri, assassini, sobillatori, figure grandi e piccole appese
ai fili di quel Grande Romanzo Italiano inaugurato da Q di Luther Blissett e Romanzo Criminale di
Giancarlo De Cataldo.
L’avvio è così e così: non si capisce quasi niente, urta un po’ il calco wuminghiano della vicenda
e di alcuni personaggi, si fa strada un’intuizione che rischia di farsi certezza: duecento pagine
in meno di ricette culinarie, abbuffate, chinotti, alcolici e caffè assortiti non avrebbero guastato.
Superato tale scoglio, l’opera affascina, entusiasma, travolge, mette addirittura la sordina ad una
svista da editing (a pag. 520 l’hacker Ferodo si trasforma nel defunto Lester per una sola riga)
portando il lettore all’interno di un romanzo di destini individuali e paranoie collettive, radiografia
di una nazione assediata da misteri irrisolti, consegnata come un gran teatro del vuoto ad oscuri
burattinai.
Stragi di Stato. Aldo Moro. I soldati politici. I generali. Il lato oscuro della Forza: eredità pesante.
Il fardello che la Tv di Buona Domenica e Saranno Famosi, di una scuola senza più memoria da
tramandare stanno sollevando dalle spalle delle nuove generazioni.
Tornano i protagonisti del libro precedente: un detective sui generis, un poliziotto non bastardo,
un reduce della lotta armata che in cella si è messo a leggere Manzoni. Tre amici catapultati
dagli anni ’70 nella Piazza Grande delle infinite-sempre attuali macchinazioni italiane (con
propaggini internazionali, nel segno della “guerra creativa”): una scena raccontata solo in
parte dalle cronache, la punta di un iceberg spesso ridotto ad innocuo ghiacciolo dall’impegno
indefesso degli insabbiatori di professione.
Non si fatica a riconoscere figure reali (poco) nascoste dietro nomi di fantasia (il senatore
Cappas, oppure il fascio tarantino Giancarlo Ceffo, giusto per fare due esempi). Riemergono
dolore e sdegno, fitte che attestano la sopravvivenza di un sentire civile, di una lotta al cancro
che addormenta le coscienze.
Si esce da queste pagine in silenzio. Ho chiuso il libro ricordando una volta di più che fascismo e
terrorismo non possono che essere sinonimi quando le trame della storia si scrivono e si riscrivono
sfruttando criminalmente le diminuzioni di attenzione, concentrazione e memoria dei popoli.
Nino G. D’Attis
CoolClub.it
in cui non succede nulla >>,
giorni cullati da un <<rumore
bianco>>, impercettibile, come
racconta DeLillo.
Pino Casamassima
Donne di piombo. Undici vite nella
lotta armata
Bevivino – 2005
di Antonietta Rosato
Massimo Loche
Lo scottante problema delle
caldarroste
Piccolo Vademecum per giornalisti
televisivi (e non)
Manni – 2005
di Pedroso
Tante volte vedendo un telegiornale
viene in mente “ma che cavolo
vorrà dire”, come tante volte
sfogliando un giornale il lettore si
rende conto che alcuni termini sono
assolutamente fuori luogo. Per non
parlare della maldestra abitudine di
fare copia e incolla dai comunicati
ufficiali (non sapete come sono
divertenti quelli in burocratese
delle forze armate). Lo scottante
problema delle caldarroste è un
libro per chi vuole fare il giornalista
e per chi vuole tentare di capire
quella lingua forse un po’ troppo
oscura che i giornalisti usano.
Massimo Loche, cronista di lungo
corso, attualmente a Rai News
24, firma questo agile volume,
pubblicato dalla salentina Manni,
diviso in due parti fondamentali. La
prima presenta la lingua utilizzata
nel giornalismo contemporaneo
(con tutte le sue contraddizioni) e
una rapida sintesi dei manualetti
esistenti e delle regole basilari da
seguire. La seconda parte è un vero
e proprio manuale di consultazione
con le regole sulla punteggiatura
e sulle parole, sull’uso delle lingue
straniere e sui titoli con esempi tratti
da telegiornali e quotidiani.
Undici ritratti di donne. Sono quelli
delle “pasionarie” della lotta
armata raccontate a partire dalla
vicenda di Margherita Cagol, la
prima donna terrorista caduta
per mano dello Stato cui lei stessa
aveva dichiarato guerra, fino
ad arrivare a Nadia Desdemona
Lioce, ultima in ordine di tempo
ad aver imbracciato il fucile in
nome dell’eversione sociale. Storie
di donne diventate guerriere,
protagoniste di vicende forse mai
del tutto capite e sulle quali è
faticoso dare un giudizio, interpreti
di alcune delle pagine più scomode
della storia del nostro Paese.
Non si tratta di un’analisi storica
del terrorismo, il libro è piuttosto
un album fotografico delle donne
degli anni di piombo, figure che
sembrano uscire da un romanzo
cruento e legate a doppio nodo
da un filo rosso che sembra
spezzarsi solo con il racconto di
Francesca
Mambro,
militante
neofascista, la cui storia troviamo
a conclusione del libro. In realtà la
cesura è solo apparente perché
tutte le vicende hanno lo stesso
comune denominatore: sono tutte
donne che, per dirla con le parole
dell’autore, “hanno verificato che
l’evangelico consiglio di porgere
l’altra guancia autorizzava solo chi
gli schiaffi li dava a continuare nella
prepotenza e che infine hanno
deciso di mollarlo loro qualche
ceffone”.
Crolli
Marco Belpoliti
Einaudi 2005
di Rita Miglietta
Cosa ha spinto Warhol nel ’62,
a riprodurre su tela, una pagina
del NY Mirror con l’immagine di
un incidente aereo? Perché a
Berlino dopo lo smantellamento
del muro, alcuni pezzi sono
stati spacciati per souvenir?
E perché il crollo del WTC ha
assunto la dimensione di un
evento più che di un fatto
storico?
Procedendo per frammenti,
l’autore di questo piccolo libro
ci racconta di letteratura, arte,
cinema e media, delineando
una
cultura
occidentale
contemporanea
estremista:
da una parte banalità e kitch,
dall’altra paura e claustrofobia.
Le tele di Warhol e i souvenir
del muro di Berlino, se pur da
presupposti differenti, sono la
medesima espressione di una
<<banalità ininterrotta>>, che
appiattisce e omologa tutto
ciò che incontra e soprattutto
il tempo. Ugualmente, le
immagini
dei
media
di
catastrofi e incidenti assetano
il bisogno quotidiano che
qualcosa succeda per farci
credere, nella paura, che il
mondo va avanti; ma come
suona in apertura del libro,
una frase di Calvino: <<giorni
di catastrofe sono tutti i giorni
Sergio Bianchi
La Gamba del Felice
Sellerio
di Osvaldo
Quale sguardo è più limpido
e sincero se non quello di
un bambino, quale migliore
testimone
colui
che
non
conosce compromessi, puro
e semplice come la sua età, il
bambino è come uno specchio,
una finestra aperta e curiosa sul
mondo. Ed è con questo spirito
che Sergio Bianchi decide di
raccontarci la sua e la nostra
Italia, quella a cavallo con gli
anni 60, anni importanti, di grossi
cambiamenti per il nostro paese.
Attraverso la descrizione del suo
paesino il bambino, ci ripropone
in maniera agile e leggera,
tradizioni, cambiamenti sociali
di un’Italia che cominciava a
crescere. Divertente, minuzioso
il libro è un testamento
importante, una raccolta di
aneddoti e storie che fanno
sorridere, incuriosiscono e fanno
riflettere.
12
CoolClub.it
13
Ron Howard
Cinderella
man
Buena Vista
Il più delle volte parlando di cinema si può ascoltare la frase “In fondo è solo un film”. Ma chi era veramente
James Braddock? Un pugile esageratamente più forte degli altri, una vittima della Grande Depressione
o cos’altro? Ron Howard e Russel Crowe raccontano la vera storia di questo grande personaggio che
incarna tutte le caratteristiche dell’americano da cartolina, tenace che non si abbatte e guarda al
futuro. Strano soprannome Cinderella man per un pugile e quella di Braddock è stata in effetti proprio
come quella di Cenerentola, una parabola ascendente partita dalla miseria per arrivare alla nobiltà. Da
segnalare la presenza di Renée Zellweger (la moglie Mae) un po’ al di sotto delle attese e di Paul Giamatti
(il manager Joe Gould) eccezionale come al solito. Incredibili le scene di battaglia che oltre a farci
immedesimare nel protagonista, ci danno la sensazione di sentirne il sudore, di spostarci affannosamente
sul ring, di avvertirne la sofferenza. La sofferenza di una persona che non solo accusa colpi terribili, ma
anche quella di un uomo che lotta per valori veri ed universali che non possono non renderci partecipi
e che non potranno che trionfare. Ed è in quel momento che mentre il sangue sgocciola dal viso e
l’avversario sta per crollare al tappeto che viene da urlare “Vai Jim! Sei tutti noi”. E in fondo ci rende conto
che non è solo un film.
Cristina
Comencini
La bestia nel
cuore
01 Distribution
Quarta prova dietro la macchina da presa per Cristina Comencini figlia d’arte e già apprezzata scrittrice
che questa volta porta in sala proprio la trasposizione del suo ultimo romanzo, “La bestia nel cuore”,
edito da Feltrinelli. Sabina (Giovanna Mezzogiorno) è bella, fa un lavoro che le piace e ha un compagno
che ama. Tuttavia, da un po’ di tempo, strani incubi la tormentano e si domanda se è veramente felice.
Quando scopre di aspettare un bambino, Sabina inizia a recuperare i ricordi legati alla sua infanzia
passata in una famiglia borghese, severa e rassicurante, che nasconde però un angosciante segreto.
Con l’aiuto del fratello Daniele, trasferitosi negli Stati Uniti, cercherà di recuperare la serenità e il rapporto
con il suo compagno Franco (Alessio Boni). E tutto il film non è altro che la ricerca della consapevolezza
di quella “bestia” che per i protagonisti ha un significato ben preciso, ma che è inevitabilmente presente
in tutti noi. Quel disagio per quello che è stato o che sarà, quel senso di inadeguatezza che nasconde
spesso fantasmi rimossi per il timore di affrontare a muso duro le nostre paure. La vita è un percorso a
ostacoli e la Comencini cerca di darcene uno spaccato, in parte veritiero, sicuramente doloroso.
pagina a cura di
C. Michele Pierri
Dalla laguna
alle sale
Venezia
2005
La 62esima Mostra del Cinema di Venezia, dopo le proiezioni, le polemiche, le serate di gala, segnerà
la programmazione delle sale per le prossime settimane (per non dire mesi). Successo di botteghino
(quasi) assicurato per George Clooney che è arrivato in piazza San Marco nei panni di regista
impegnato con Goodnight and Good Luck con David Strathairn (miglior attore), lo stesso Clooney,
Jeff Daniels, Robert Downey Jr, Patricia Clarkson. Il film si basa sulla storia vera del giornalista Edward
R. Murrow che, con l’appoggio del suo editore, Fred Friendly, è riuscito a far crollare la manovra
politica di terrore anti-comunista del senatore Joseph McCarthy negli Usa degli anni Cinquanta. Un
film dedicato dall’attore brizzolato, vincitore morale del festival (così è stato detto) e premiato per la
sceneggiatura, al padre giornalista.
Chissà come andrà in Italia la storia dei cowboy omossessuali raccontata dal regista Ang Lee in
Brokeback Mountain. La giuria, dopo lunghe discussioni, ha assegnato al regista de La tigre e il
dragone il leone d’oro come miglior film. Ma vediamo un po’ cosa esce da Venezia.
Partendo dalla Puglia segnaliamo tre produzioni girate in questa terra ricca di fascino e tradizione.
Tanto per cominciare c’è Craj, il film-rivelazione di Davide Marengo presentato nella sezione Giornate
degli Autori che vede la presenza nel cast di Teresa De Sio, Giovanni Lindo Ferretti e Uccio Aloisi (e
tratto dall’omonimo spettacolo). Tutto inizia da un sogno fatto dal Principe Froridippo, dove un
enorme ragno lo spinge a compiere un viaggio verso sud. Durante il viaggio, il principe ed il suo servo
faranno tre tappe, in ognuna delle quali incontreranno e parleranno con tre dei principali maestri
della musica tradizionale pugliese. Girati poi rispettivamente dalle parti di Fasano e Ostuni il primo e
nel Salento il secondo sono La seconda notte di nozze di Pupi Avati e La bestia nel cuore di Cristina
Comencini (vedi recensione) grazie al quale una splendida Giovanna Mezzogiorno ha conquistato
la Coppa Volpi come migliore attrice protagonista. Tra gli altri film (nelle varie sezioni) sono in
uscita gli italiani I giorni dell’abbandono di Roberto Faenza con Margherita Buy, Luca Zingaretti e il
musicista Goran Bregovic e Mary di Abel Ferrara, una coproduzione italo statunitense, con Juliette
Binoche, Matthew Modine, Forest Whitaker. In concorso erano anche il nonno del cinema mondiale
Manoel de Oliveira con Espelho magico, John Turturro con Romance and Cigarettes (nel cast
James Gandolfini, Kate Winslet, Susan Sarandon, Christopher Walken), la nutrita rappresentanza
di produzioni provenienti dalla Francia e dal Canada (Jo o Botelho con O Fatalista Portogallo,
Laurent Cantet con Vers le sud’ Francia, Patrice Chereau con Gabrielle, Philippe Garrel con Les
Amants réguliers – che ha conquistato il Leone d’argento). Dall’est hanno tentato di conquistare il
Leone d’oro il russo Aleksey German Jr con Garpastum, il cinese Stanley Kwan con Changhen ge,
il coreano Chin-jeol-han Geum-ja-ssi di Park Chan-wook e il polacco Persona non grata firmato da
Krzysztof Zanussi. Chiudono la pattuglia gli anglosassoni The Brothers Grimm di Terry Gilliam con Matt
Damon, Heath Ledger, Jonathan Pryce e Monica Bellucci, Proof di John Madden con Gwyneth
Paltrow, Jake Gyllenhaal, Anthony Hopkins e The Constant Gardener di Fernando Meirelles. Molte di
queste pellicole sono destinate all’estinzione immediata (soprattutto in piazze piccole come Lecce)
o al “confino” in rassegne di cineforum. Fuori concorso ma con grande successo al botteghino (così
sperano i produttori) hanno partecipato Ron Howard con Cinderella Man (vedi recensione) e Tim
Burton. Dopo il successo con Big Fish l’istrionico regista è tornato con due pellicole. A Venezia è
arrivata l’animazione di Corpse Bride, firmato in coppia con Mike Johnson. Ci troviamo in un villaggio
europeo del diciannovesimo secolo: qui il giovane Victor (che ha la voce e le fattezze di Johnny
Depp) sta per sposare la sua amata Victoria, ma il ragazzo scoprirà presto che a reclamare il suo
cuore ci sarà un’altra fanciulla, una donna come non se ne trovano tutti i giorni, sicuramente non nel
regno dei vivi. Nelle sale Burton arriva con Charlie e la fabbrica di cioccolato. Insomma un autunno
pieno di nuovi arrivi.
Segnalateci il vostro evento
Puglia
[email protected]
Se sei un organizzatore di eventi
(teatro, cineforum, concerti, mostre,
feste e tutto il resto) manda una mail
a [email protected]. L’evento
sarà inserito sul giornale o sul sito.
sino al 28 settembre
Caffé Letterario – Lecce
Ora o mai più
da mercoledì 14 a sabato 17
Palazzo dei Celestini - Lecce
Jazzinpuglia summer 2005
Il Caffé Letterario riapre dopo la pausa
estiva. Torna l’appuntamento con il
mercoledì sonoro, che quest’anno si
chiama Alta Fedeltà, e con le mostre.
L’apertura è riservata a Ora o mai più di
Alessandra Lupo e Emanuela Bartolotti.
Info: www.caffeletterario.org
Due film e due concerti per la rassegna
Jazzinpuglia summer 2005 organizzato
dalla South Production in collaborazione
con la Provincia di Lecce. In programma
le proiezioni di Ray e Bird e i live di
Charles McPherson e Sarah Jane. Info
0832392629.
domenica 18
Martignano
Luoghi d’allerta
da lunedì 19 a sabato 24
Palazzo Baronale – Novoli
Il cinema dei generi
sabato 1 ottobre
Saletta della Cultura – Novoli (Le)
Radicanto
Fondo Verri presenta per il terzo anno
consecutivo i viaggi artisticamente
itineranti dei Luoghi d’allerta. Tra gli artisti
ospiti Mattias Hermann Ibach, i Croque
Mule, Elio Coriano. La rassegna si chiude
il 23 a Ugento. Inizio ore 20.00. Altre info su
www.coolclub.it
La rassegna, organizzata da Arci Novoli
e Coolclub, prevede la proiezione di film,
cortometraggi, trailer, documentari. Inizio
ore 19.30, ingresso gratuito. A seguire
selezioni musicali di Postman Ultrachic.
Sabato 24 festa finale con i dj di Coolclub.
Programma completo su www.coolclub.it
Nuova stagione di concerti per la Saletta
della Cultura di Novoli. Sul palco la musica
d’autore dei Radicanto che propongono
una musica dal centro volutamente
incerto. Quello dei Radicanto è canto
tradotto. Canto che attraversa più
culture, più linguaggi. Inizio ore 21.30. Info
3470414709.
dal 10 al 18 – cinema
Salento International Film Festival a
Tricase
domenica 11 – musica
Giorgio Canali-Rossofuoco a Palmariggi
(Le)
martedì 13 – musica
Elisa a Foggia
mercoledì 14 – musica
Elisa a Molfetta (Ba)
giovedì 15 – musica
Studio Davoli a Molfetta (Ba)
Tiromancino a Bari
venerdì 16 – musica
One Dimensional Man a Bitonto (Ba)
sabato 17 - musica
Franziska in Piazza Ferrarese a Bari
Kumenei a Cutrofiano (Le)
Shank a Vernole (Le)
lunedì 19 - musica
Radiodervish a Palo Del Colle (BA)
Negramaro a Copertino (Le)
sabato 24 - musica
Hill Metal Festival a Mottola (Ta)
venerdì 30 - musica
Radiodervish a Trani (BA)
domenica 9 - musica
Moravagine a Lecce
La redazione di
Coolclub.it non
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eventuali variazioni o
annullamenti.
Gli altri appuntamenti su
www.coolclub.it
Per segnalazioni
[email protected]
Da giovedì 29 settembre a domenica 2 ottobre
Lecce
Gran Bazar
Dal 29 settembre al 2 ottobre l’ex convento
dei Teatini a Lecce ospita la quinta edizione di
Gran Bazar – scritture, esperienze, culture. La
manifestazione, organizzata da Presidi del Libro,
Libreria Icaro e Fondo Verri con il patrocinio del
Comune di Lecce, nel 2005 decide di cambiare.
Da banco dell’editoria e della poesia salentina,
dicitura e motivazione che ha accompagnato
le precedenti edizioni, diventa luogo di incontro
e di approfondimento di scritture, esperienze e
culture. Questa edizione sarà contraddistinta
da due ‘dediche’ che ‘descriveranno’ la linea
del lavoro della quattro giorni dedicata al libro
e alla lettura. La prima dedica è all’opera di
Franco Basaglia (in foto), uno degli esponenti di
maggior rilievo della cultura contemporanea,
psichiatra, artefice di quel movimento di pensiero
e soprattutto di pratiche che portarono alla
legge 180 che sancì la chiusura dei manicomi.
Basaglia ispirerà gli incontri dedicati alle pratiche
di cura e accudimento del disagio mentale ed
esistenziale e all’agire culturale ed artistico come
argine e strumento terapeutico. L’altra dedica è
alla scrittura di Pier Paolo Pasolini di cui ricorre il
trentennale della morte. Un uomo che ha fatto
della scrittura uno strumento di verità e denuncia
sociale, affrontando a viso aperto le strategie di
rifiuto e di emarginazione che la società borghese
mise in atto nei suoi confronti, fino a chiudergli
la bocca con la morte. Tra gli ospiti la sociologa
Maria Grazia Giannichedda; lo psichiatra Eugenio
Borgna; la psicoterapeuta Ivana Castoldi; gli
scrittori Osvaldo Capraro, Giordano Meacci,
Antonio Errico, Mario Desiati, Giuse Alemanno,
Vincenzo Camerino; i poeti Lino Angiuli, Vittorino
Curci, Giuseppe Goffredo; gli editori Grazia Manni,
Livio Muci, Mauro Minervino, Aldo D’Antico. Lo
spazio visioni sarà a cura dell’Archivio del Cinema
del Reale di Bigsur. Info: Mauro Marino_3333841113
– 0832304522 / e.mail:[email protected] - Libreria
Icaro_0832241559. Il programma completo su
www.coolclub.it
Riflessioni ai margini di un’estate
normale
Appunti in forma di furto
Experimental remix #1
Tnx to: B. M./G. L. F./G. G./L. F. C./RTC/V.
B./B./D. M./D. V./V. S./P. C./S. Q.
Tornerà un altro inverno, cadranno
mille petali di rose, la neve coprirà tutte
le cose.
Bisogna essere attenti, per essere
padroni di se stessi bisogna essere
attenti.
Ma di mattina, quando la gente
dorme, col suo normale malumore,
può bastare un niente, forse un
piccolo bagliore, un’aria già vissuta, un
paesaggio che non so, e sto bene.
Un altro paese, altra gente intorno
a te, agitata in un modo un po’
bizzarro, qualche piccola vanità in
meno, dispersa, qualche orgoglio che
non trova più la sua ragione, la sua
menzogna, la sua eco familiare, e non
occorre altro, la testa vi gira, e il dubbio
vi attira, e l’infinito si spalanca solo per
voi, un ridicolo piccolo infinito e voi ci
cascate dentro...
Il viaggio è la ricerca di questo niente
assoluto, di questa piccola vertigine
per coglioni...
I’m a gabber baby, why don’t you
fuck me?
Il tabacco è a seccare,
e la vita cocumola fra le pentole
dove donne pennute assaggiano il
brodo.
Ultima di una lunga serie di cleptomani
letterari
(un tempo professione onorata)
Liberati i loro istinti più primitivi, gli uomini
si ritrovarono abbracciati l’un l’altro
a scambiare opinioni sulle strategie
da adottare il giorno seguente per
catturare una grossa preda. Erano
felici e si sentivano l’uno il fratello
dell’altro. Parlando, aspettavano il
momento in cui avrebbero potuto
giacere tra le braccia della propria
compagna. Le donne non erano in
comune, e anch’esse scambiavano
commenti sulla giornata passata e su
quella a venire, desiderando di poter
stringere i propri compagni.
Il comunismo è un pessimo istinto?
i musei sono scatole solcate
da alipedi furori i bar un incubo
ho chiesto un’ombra che non c’era
e mi han guardato come fossi un
ostrega
dove sono finite le osterie?
Che tempi - mormori - sempre più
confusi
che trambusto di scafi e di motori
che assortita fauna sul mare.
Non lasciatemi qui solo.
Luglio-settembre 2005: una lunga estate
calda in cerca di un po’ d’ombra in un
parco conteso, con la polizia che, si sa,
fa solo il proprio dovere.
M’investe della sua forza il mare.
Sì, d’inverno è meglio.
è a questo che penso se qualcuno mi
parla di rivoluzione.
Mai più nessuno mi porterà nel Sud.
Dario Goffredo