AUTO · Il titolo crolla in Borsa. Stop della produzione in Sicilia

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AUTO · Il titolo crolla in Borsa. Stop della produzione in Sicilia
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AUTO · Il titolo crolla in Borsa. Stop della produzione in Sicilia - La Fiat blocca Termini
giovedì 28 gennaio 2010
Da Il Manifesto del 28 gennaio 2009
Antonio Sciotto
Stabilimenti sempre più caldi alla Fiat, dopo l’annuncio improvviso – due giorni fa – della messa in cassa integrazione d
tutte le fabbriche italiane per due settimane. Gli animi si sono esacerbati, oltretutto, perché lamannaia sui dipendenti è
arrivata esattamente 24 ore dopo la distribuzione di un lauto dividendo agli azionisti da parte dell’amministratore delegato
SergioMarchionne. I diversi impianti sono entrati in ebollizione,ma come se non bastasse ieri mattina l’azienda ha
aggiunto benzina sul fuoco: ha deciso lo stop immediato della produzione a Termini Imerese, con la messa in libertà di
tutti i 1350 operai a tempo indeterminato; in pratica, ha spiegato, finché non cesseranno le proteste e l’occupazione del
tetto. Senza contare, tra l’altro, che si bloccano così anche i 600 dell’indotto.Male anche il titolo in Borsa, in calo sin da
mattino, fino a raggiungere -4,8% nel pomeriggio. La direzione della Fiat siciliana ha spiegato con un telegramma il
perché del blocco dell’assemblaggio della Lancia Y a Termini: «Da alcuni giorni – dice l’azienda – lo stabilimento
manifestazioni e proteste che in varie forme ne hanno disturbato l'attività lavorativa. Dal 26 gennaio ha avuto la forma di
un presidio dei cancelli con blocco delle merci in entrata e in uscita. Il mancato ricevimento di componenti da parte dei
fornitori blocca la produzione. Perdurando questa impossibilità di svolgere l'attività , a partire dal 27 gennaio l'azienda è
costretta a sospendere dal lavoro tutto il personale, fatto salvo quello strettamente necessario per questioni tecniche e
organizzative di presidio degli impianti». Lo stop alle linee, aggiuge Fiat, «sarà revocato non appena si avranno
garanzie certe dello scioglimento del blocco e del ripristino delle condizioni di normalità e sicurezza, compreso
l'allontanamento dallo stabilimento delle persone che in questo momento, illegalmente e arbitrariamente, ivi stazionano
». Il riferimento è ai 13 operai della «DeliveryMail», appalto che cura le pulizie dei cassoni, sul tetto da 10 giorni: con
altri 5 colleghi, sono stati i primi licenziati della «nuova fase» (quella iniziata con l’annuncio che Termini cesserà di fare
auto da fine 2011). Blocchi e proteste non sonomancati anche negli altri stabilimenti. A Pomigliano, i 38 precari della Fiat
a cui il contratto è scaduto (e non è stato rinnovato) a fine anno, hanno bloccato la circolazione. Tensioni anche
aMirafiori, dove l’annuncio della cassa – seppure i torinesi ci siano più che abituati – è arrivato come una doccia fredda
alcuni temono che si possa concretizzare la voce secondo cui Fiat avrebbe intenzione di ridurre le linee di produzione,
dalle attuali quattro a solo una. Le tute blu si fanno i conti in tasca: le due settimane di cassa, da fare a cavallo tra
febbraio e marzo, vogliono dire ben 300 euro inmeno in busta paga. Secondo i lavoratori, poi, è un modo con cui
Marchionne vuole pressare il governo a varare nuovi incentivi auto. E Marchionne, dal canto suo, ieri è volato a Detroit,
dove può occuparsi della Chrysler. I ministri Scajola e Sacconi hanno spiegato di aver saputo delle due settimane di
cassa solo dai giornali: Scajola ha definito la misura «inopportuna», e con Sacconi ha annunciato di voler «riavviare il
dialogo». Si spera sempre. Dall’altro lato, il leader della Cisl Raffaele Bonanni parla di «ricatto»: «Ci fanno trovare 30
mila cassintegrati all’incontro del 29 gennaio con il governo». A questo punto, quindi, tutti guardano al tavolo di domani a
Roma. Intanto è confermato lo sciopero di tutto il gruppo per il 3 febbraio.
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L'ad della Fiat: "Non cerchiamo lo scontro con l'esecutivo e il sindacato non c'è niente che non sia stato annunciato con
largo anticipo" Marchionne vola a Detroit "Nessun ricatto, il governo sapeva"
di SALVATORE TROPEA
 Da repubblica.it
TORINO - Un ricatto? Un messaggio trasversale? Sergio Marchionne non si mostra né sorpreso né offeso. Da Detroit,
dove è arrivato ieri per occuparsi dell'altra "metà della luna" chiamata Chrysler, fa sapere che "non c'è niente che non
sia stato già annunciato con largo anticipo, quando abbiamo ripetuto che senza gli incentivi ci sarebbero state
conseguenze sulle fabbriche". L'ultima volta lo ha detto al cda e agli analisti lunedì scorso, quando probabilmente la
nuova ondata di cassa integrazione era stata già decisa. Lo ripete dall'America e non sembra intenzionato a fare marcia
indietro anche se ci tiene a sottolineare che "la Fiat non cerca lo scontro col governo e con il sindacato". Ma questo
esordio del 2010 lascia temere che niente sarà più come prima. Qualcosa si è rotto e sarà complicato rimettere assieme i
cocci anche se in serata John Elkann tenta di stemperare il clima: "Non lasceremo Torino e l'Italia. Qui c'è la nostra
testa, qui c'è il nostro cuore". La cassa integrazione è la goccia che ha fatto traboccare il vaso non solo nei rapporti con
Roma: è una misura che il sindacato interpreta come un segnale di guerra e che riaccende il fronte di Termini Imerese e
quello di Pomigliano d'Arco. A Torino danno per scontato che l'incontro di domani non aggiungerà nulla di nuovo. Questa
è la convinzione del Lingotto. "Non ho mai detto che sarei andato a Roma, non era previsto" ha ribadito Marchionne
appena due giorni fa e a Detroit, dove conta di stare almeno una settimana secondo un piano di lavoro ormai collaudato
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che alterna la sua presenza tra Torino e l'America, non ha certo cambiato idea. La cassa integrazione, che per la prima
volta dal novembre 2008 coinvolge contemporaneamente tutti gli stabilimenti del Gruppo, ci sarà . Al Lingotto non fanno
mistero che essa sia la risposta ai ritardi del governo sul rinnovo degli incentivi. Anzi la considerano una misura
indispensabile per fronteggiare la caduta della domanda o, più esattamente, per coprire il buco di ordini che si sta
creando dal 31 dicembre data della fine degli incentivi. Forse il governo non ci ha creduto, rinviando una decisione giÃ
presa in altri paesi europei, esclusa la Germania. Ma questo non cambia il ragionamento dell'ad della Fiat. E che tradotto
nei fatti è il seguente: "In assenza degli incentivi, in Italia, si perderanno 300mila auto: il mercato da 2 milioni scenderà a
1,7 e poiché a soffrirne saranno le vetture piccole l'impatto sarà più pesante sulla Fiat". A Torino calcolano che la perdita
possa essere attorno alle 150mila auto e avvertono che la caduta è già in atto. In attesa del rinnovo il flusso degli ordini
è prossimo allo zero, si smaltiscono quelli accumulati in dicembre. Se e quando il mercato tornerà alla normalità sarà una
corsa al recupero. E per il Lingotto questa altalena si sarebbe potuta evitare. Ma ci sono le elezioni alle viste e, in Italia,
tutto tende a drammatizzarsi secondo una liturgia alla quale il manager italo-elvetico-canadese, ripete, di non voler
partecipare. Non è un ricatto la cassa integrazione è non lo è nemmeno la "linea dura" adottata per Termini Imerese.
"Non c'è nulla da aggiungere a quanto detto" insiste Marchionne. E se non fosse chiaro spiega che la Fiat "in futuro non
pensa di utilizzare lo stabilimento siciliano per nessuno dei suoi business". La ragione? Anche questa è stata chiarita
più volte: "Non è mai successo che qualcuno abbia annunciato la chiusura di un impianto con trenta mesi di anticipo". E
a chi gli chiede se non possa esserci un ripensamento, ufficiosamente ma non tanto, risponde: "Se dovessi pagare tutti i
dipendenti fino alle pensione e a produzione zero ci guadagnerei". Commentando che "tutto questo è ridicolo". Ma
poiché il fronte si è allargato c'è anche Pomigliano d'Arco a rendere sempre più tesi i rapporti tra il Lingotto e le parti
sociali. L'argomento ha dominato anche nelle telefonate intercorse per tutta la giornata di ieri tra le due sponde
dell'Atlantico. E rimane un tema caldo perché, anche se non lo si dice apertamente, tutti sanno che, dopo la "cura" che
due anni fa è costata alla Fiat 250 milioni, Marchionne si aspettava di più dallo stabilimento campano. E se oggi ha
accettato di sostituire l'Alfa con la Panda lo ha fatto per evitare guai peggiori. Certo, non pensa di fare il bis di Termini,
ma non sembra disposto a concessioni: "Ho portato via la produzione della Panda a un impianto come quello di Tichy, in
Polonia, che ha vinto il World class manifacturing per l'alta qualità dei processi produttivi, ma non intendo essere costretto
a passare i miei fine settimana in trattative snervanti per un sabato lavorativo in più o per qualche altra forma di
flessibilità ". L'ad della Fiat sa anche di dover pagare un prezzo per la scelta di Pomigliano: "Mi costerà l'apertura di una
discussione con i sindacati polacchi di Solidarnosc e sarebbe ben singolare se dovessi fare altrettanto in Italia".
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