merito della Svizzera o demerito della Francia? Il

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merito della Svizzera o demerito della Francia? Il
N°22 - Dicembre 2014
Tennis World
Analisi della finale di Coppa Davis: merito della Svizzera o demerito della Francia?
Il Tennis
Giapponese
Novak Djokovic:
stagione da record?
Il collegamento
tattico/tecnico
Analisi della finale di Coppa Davis:
merito della Svizzera o demerito
della Francia?
by Giorgio Giannaccini
Una cosa è certa, la sconfitta in Coppa Davis non è stata
presa poi così tanto bene in Francia
Una cosa è certa, la sconfitta in Coppa Davis non è
stata presa poi così tanto bene in Francia, e i
maggiori giornali transalpini non hanno esitato nel
dare la colpa a colui che è stato inquadrato come
l'artefice di questa storica disfatta: il capitano non
giocatore Arnaud Clement.
Clement, dal canto suo non è nemmeno l'ultimo
pivellino venuto per caso nel ruolo di capitano, difatti
vanta una carriera davvero buona, pur non essendo
stato né un Yannick Noah né un Cédric Pioline: è
stato fino al suo ritiro uno dei migliori doppisti al
mondo, top 10 fisso, vincendo nel 2007, proprio in
questa specialità, Wimbledon, in più, vanta da
singolarista la posizione n°10 del ranking mondiale.
Il suo gioco non era nemmeno brutto a vedersi,
nonostante i suoi pochi centimetri – 1.72 – era in
grado di battere spesso sopra i 200 km/h, gran
giocatore di volo e di tocco, e abbastanza incisivo
anche da fondo campo, riuscì a raggiungere nel 2008
– praticamente da redivivo, visto che era ormai in
declino – un'incredibile quarto di finale a
Wimbledon. Insomma, un giocatore che non ha
troppi rimpianti per quello che ha raggiunto in
carriera, specie in un tennis, come quello d'oggi, fatto
di potenza fisica e atletismo, dove i giocatori di tocco
vengono svantaggiati – pensiamo, sempre parlando
di francesi, a Michael Llodra: se fosse nato negli anni
'60 avrebbe vinto diversi Slam nell'erba, invece
ormai da ritirato, non solo non ha vinto nulla, ma ha
raggiunto al massimo 21° posizione mondiale di
Solo il doppio sembrava equilibrato perché, se da una parte
c'era la coppia semifinalista al Masters di quest'anno – ovvero
Roger Vasselin – Benneteau -, dall'altra c'era la coppia
medaglia d'oro alle Olimpiadi di Pechino del 2008
singolare (pur vincendo in doppio molto, come 3
Slam e la 3° posizione mondiale).
Ciò che appare quasi sicuro è che non sarà
riconfermato per il prossimo anno, ma questo
relativamente ci importa – anche se, sicuramente, un
po' ci dispiace per lui -, quanto capire se egli abbia
realmente delle colpe – fuori, insomma, dalla
partecipazione emotiva francese – o se
effettivamente non sia stata colpa sua ma merito
degli svizzeri.
Partiamo da un presupposto lapalissiano, la Svizzera
era favorita, anzi probabilmente abbastanza favorita.
Per quanto la Francia abbia la migliore scuola tennis
mondiale assieme alla Spagna – entrambe le
suddette scuole possono vantare, durante l'anno, una
decina abbondante di giocatori in top 100 – e abbia
diversi giocatori che hanno stazionato anche – e con
buone posizioni – in top 10, la Svizzera arrivava da
molto positivo, avendo un rigenerato Roger Federer
– nonché il più grande giocatore di sempre – e uno
Stanislas Wawrinka che aveva vinto, proprio in
questo anno, il primo Slam e che stava conoscendo la
sua migliore annata tennistica. Il ranking parlava
chiaro: Federer n°2 al mondo, Wawrinka n°4. E già
questa era una brutta premonizione.
Solo l'improvviso infortunio di Federer alla schiena –
rimediato all'ultimo, nel Masters di fine anno contro
il “gemello” Wawrinka – sembrava aver rimesso le
carte in tavola. A dire il vero, solo il doppio sembrava
equilibrato perché, se da una parte c'era la coppia
semifinalista al Masters di quest'anno – ovvero
Roger Vasselin – Benneteau -, dall'altra c'era la
coppia medaglia d'oro alle Olimpiadi di Pechino del
2008, – e come già spiegai in un altro articolo - solo
una scarsa applicazione dei due elvetici aveva minato
profondamente lo scarso risultato ottenuto dai due
nella Olimpiade successiva. Dunque, almeno in
questo confronto, sembrava esserci partita pari.
Wawrinka ha fatto suo il match con Tsonga. Non uno
Tsonga perfetto, ma Wawrinka era il favorito ed ha
vinto – e per quanto in un match contro Tsonga
possa succedere di tutto – c'era da aspettarselo vista
la forma dello svizzero “minore” (tra l'altro fresco di
semifinale al Masters). Mentre è stato proprio
l'infortunio alla schiena a far perdere Federer in
maniera indecorosa contro Monfils. Diciamoci la
verità: quest'anno Monfils aveva messo in
grandissima difficoltà Federer, facendolo vincere solo
al quinto set agli Us Open, dove si era visto annullare
in faccia due match point nel quarto set dall'elvetico,
ma un Federer che viene dominato totalmente da
fondo campo e perde tre set a zero, beh, ci pare pure
fin troppo logico dire che era una sbiaditissima copia
del Federer visto quest'anno e che, con tutta la
simpatia per Monfils – che ugualmente è stato bravo
a vincere la partita -, quest'incontro – dalla visuale di
Federer – è stato compromesso dall'infortunio alla
schiena, che aveva messo in dubbio, fino all'ultimo, la
sua partecipazione alla finale di Coppa Davis.
Quindi, un infortunio a testa, e uno a uno palla al
centro? Nossignore! Reputiamo che l'infortunio di
Tsonga sia stato meno grave e meno invasivo di
quello che aveva subito Federer. Perché, se da una
parte Tsonga era già sfavorito, e comunque un
minimo equilibrio c'è stato – Tsonga ha vinto almeno
un set -, Federer non si è visto minimamente in
campo contro un giocatore, sì molto forte, ma
comunque di levatura molto minore rispetto a lui.
Il doppio è stata la discriminante che ha deciso la
finale, e forse proprio qui c'è stato il primo e vero
errore tattico del capitano francese Clement.
Perché non schierare l'ormai collaudatissima coppia
– ma anche prolifera – Roger Vasselin-Benneteau?
Contro un doppio che sicuramente sarà tostissimo
come quello elvetico? E a questo punto, escluso
improvvisamente Roger Vasselin – giocatore che ha
nella volèe il suo miglior colpo -, perché far giocare
Gasquet e non l'appena ritirato Llodra – comunque
convocato -, che è stato il miglior doppista di Francia
degli ultimi vent'anni?
Ecco, questo è stato un clamoroso autogol, perché
una partita che si presentava incerta, e quasi
Un non perfetto Arnaud Clement, ma non un
traditore della patria, come ci vogliono far
credere i rotocalchi francesi. “Sbagliare è
umano”, diceva il vecchio saggio.
sicuramente da concludere al quinto set, proprio per queste scelte,
si è trasformata in una vittoria facile per la Svizzera in tre comodi
set.
A questo punto, “Il dado è tratto” come disse il celebre Giulio
Cesare, e la vittoria della Svizzera appariva ormai una mera
formalità, era difficile che almeno uno dei due svizzeri non
vincesse il proprio incontro.
L'infortunio di Tsonga, prima del match di Federer, non aveva
migliorato la situazione di un destino, però - come già detto - che
sembrava ormai già scritto. Ovvio, la conferma di Gasquet, questa
volta nel singolare, appare tutt'ora incomprensibile, perché
Gasquet ha quasi sempre perso in carriera contro Federer –
escluse appena due vittorie del transalpino – ed una vittoria
addirittura al meglio dei tre set appariva quasi totalmente utopica.
A questo punto era meglio far giocare – viste anche le prestazioni
di fine anno – la bestia nera di Rogere Federer, ovvero Gilles
Simon. Ma sinceramente credo – vista anche, col senno di poi, la
prestazione di Federer contro Gasquet – che ci sarebbe stato poco
da fare anche per Simon, difatti Federer è sembrato pienamente
ripreso dall'infortunio e apparso, come diverse volte quest'anno,
ingiocabile. Il resto è storia, o se volete cronaca sportiva.
Sta di fatto che la Svizzera era discretamente favorita ed ha vinto,
mentre la Francia ha probabilmente aiutato la più quotata Svizzera
– soprattutto nel doppio -, ma a parte ciò non ravviso gravi colpe,
anche se, sbagliare un singolo incontro a questi livelli, può
compromettere tutto il match, e forse è anche accaduto.
Il Tennis Giapponese
di Marco Avena
Un tennis fino a poco tempo fa quasi sconosciuto ai più e
negli ultimi tempi salito agli onori delle cronache.
Da giornalista di sport ma, soprattutto, da
appassionato di tennis quale sono, non potevo non
andare a Tokyo a fare shopping all'Uniqlo Megastore
nel quartiere di Ginza e a vedere l'Ariake Tennis
Center, la struttura che tutti gli anni tra fine
settembre e inizio ottobre ospita nell'ordine il torneo
WTA e quello ATP.
È stato quasi un modo per rendere omaggio al tennis
giapponese, un tennis fino a poco tempo fa quasi
sconosciuto ai più e negli ultimi tempi salito agli
onori delle cronache soprattutto grazie a Kei
Nishikori, attualmente numero 5 del mondo e primo
giapponese ad arrivare alla finale di uno Slam (agli
US Open 2014, battuto dal croato Marin Cilic).
“Special Kei” è la massima espressione di uno sport
che oggi (al 15 dicembre, data in cui scrivo, ndr)
vanta altri due giocatori nei primi centro del Mondo,
il numero 93 Tatsuma Ito e il numero 100 Go Soeda,
oltre a due tenniste come Kurumi Nara, numero 44
del ranking WTA, e soprattutto come l'inossidabile
Kimiko Date-Krumm, 43enne ancora in grado di
dare battaglia alle più giovani rivali e oggi al numero
89 della classifica.
Quel numero 5 che capeggia a fianco del nome di
Nishikori sta destando grossa curiosità in un paese
che fino a ieri aveva fatto follie soprattutto per il
baseball e per il più nazionale Sumo, ma che pian
piano sta scoprendo la bellezza di questo
meraviglioso sport.
In Giappone nulla si improvvisa, soprattutto quando
si tratta di sport: c'è un'organizzazione perfetta e
tutto ruota intorno al mondo della scuola. Ed è
proprio l'attività sportiva promossa a livello
scolastico che sforna i campioni di domani: vi dicevo
dell'Ariake Tennis Center e non proprio per caso ci
sono voluto andare nei giorni in cui si svolgevano le
finali nazionali a squadre: è stato un vero e proprio
spettacolo, una partita dietro l'altra, pubblico sugli
spalti, giudici di sedia e giudici linea piazzati lì a
giudicare le giocate dei giovani tennisti fin dal primo
incontro del primo turno e l'ultimo atto giocato su
quello stesso centrale che lo scorso 5 ottobre ha
premiato proprio Nishikori ai Rakuten Japan Open
Tennis Championships.
Le finali nazionali sono una vera e propria olimpiade
dello sport giapponese, si svolgono a Tokyo e in
contemporanea per tutte le discipline. Per Tokyo è un
pullulare di giovani atleti in divisa arrivati da chissà
quale parte del paese sui famosi Shinkansen – i treni
superveloci – che si sfidano su tutti i principali campi
sportivi di questa immensa megalopoli.
Lo sport in Giappone è servito nel menù della scuola, i
ragazzi sono spinti a praticarlo
Da piccolino, come credo molti di voi, guardavo
tantissimi cartoni animati – molti dei quali sportivi,
da Holly e Benji a Mila e Shiro o Jenny la tennista
(guarda caso tutti studenti, ndr) – e abituato a vedere
i tornei giovanili italiani e gli impianti che li
ospitavano mi ero sempre domandato come fosse
possibile che i realizzatori di questi manga
disegnassero così tanta gente sulle tribune di queste
partite giocate da ragazzi e ragazzini.
Pensavo che fosse semplicemente finzione dei cartoni
animati. Beh, credetemi, mi sbagliavo.
C'è tantissima gente a vedere queste gare e la tv
nazionale trasmette anche gli eventi in diretta per chi
a Tokyo in quei giorni non può andarci.
Lungi da me dire se il loro tennis stia crescendo più
del nostro, ma di certo vedere un sistema del genere
mi ha fatto pensare: lo sport in Giappone è servito
nel menù della scuola, i ragazzi sono spinti a
(aiutati anche nell'utilizzo delle strutture e dei
materiali) e non devono sostenere costi che per molti
sarebbero impossibili.
Un sistema che aumenta il bacino di potenziali
giocatori “pro” del futuro. Il tennis laggiù si gioca
prevalentemente sul cemento e dove manca il
cemento c'è la terra, ma non quella rossa che vi
potreste immaginare voi bensì la terra classica,
quella polverosa che dalle nostre parti si vede solo su
tanti campi di calcio.
Già, giocano proprio su quel tipo di terra,
specialmente nelle cittadine più rurali (non possiamo
dire povere), si adattano e imparano. Ma il Giappone
tennistico sta crescendo anche a livello di marchi. Le
racchette più conosciute sono da decenni quelle
Yonex ma presto potrete vedere sui campi di tutto il
mondo anche le Asics.
Il Giappone, un paese tanto diverso
dal nostro quanto affascinante, è
tutto da scoprire e lo è anche nel
tennis
I due brand sono celebri anche per il loro abbigliamento e, a
proposito di indumenti, i meno giovani come me ricorderanno che
qualche decennio fa fu la Mizuno ad entrare prepotentemente nel
mercato del tennis ricoprendo di soldi Ivan Lendl nella parte finale
della sua carriera.
Oggi, invece, sta facendo breccia nel cuore degli appassionati il già
citato Uniqlo, il marchio che capeggia su magliette, pantaloncini e
calze di Novak Djokovic e Kei Nishikori. Il fondatore di questo
brand si chiama Tadashi Yanai, l'uomo più ricco del Giappone e i
suoi negozi stanno nascendo come funghi in tutto il mondo.
Uniqlo è un universo dell'abbigliamento a 360 gradi, potete
trovarci di tutto, dalle mutande ai piumini, passando per
pantaloni, maglie, magliette e poi ancora completi da golf e
ovviamente da tennis. Il tutto a prezzi moderati.
Il Megastore di Ginza ha 12 piani, c'è da perderci un'intera giornata
e soprattutto c'è la possibilità di scegliere il completo da tennis del
colore che si preferisce. Ma non è finita qui perché i più attenti di
voi conosceranno anche la Srixon, l'azienda che con le sue
racchette fornisce il sudafricano Kevin Anderson e la già citata
Krumi Nara. Il Giappone, insomma, è un paese che sembra
proprio intenzionato ad entrare con la forza nel mondo del tennis e
se fino a ieri lo faceva solamente con i suoi prodotti, oggi può
finalmente contare su un top ten.
Il Giappone, un paese tanto diverso dal nostro quanto affascinante,
è tutto da scoprire e lo è anche nel tennis. Provare per credere!
Michael Chang
di David Cox
"Aiutare Kei era un’opportunità unica”
All’interno della O2 Arena, il magnifico ritrovo del
tennis per le ATP World Tour Finals di fine stagione,
Michael Chang sta provando a spiegare la
combinazione di fattori che l’ha riportato nel circuito,
una decennio dopo essersi ritirato. L’influenza di
Chang è stata una rivelazione, portando Kei Nishikori
alla sua prima finale di un Grande Slam e un posto
nella top five dopo appena dieci mesi insieme.
“Era davvero un’opportunità unica,” ha detto. “In
normali circostanze, probabilmente è qualcosa che
non avrei preso in considerazione. Allenare non è
qualcosa a cui avevo pensato di dedicarmi. Ma non ci
sono stati molti giocatori asiatici di successo in
campo maschile,e sentivo che Kei aveva davvero una
buona possibilità di andare oltre.”
Chang è stato ripetutamente assediato da giovani
giocatori, sia negli Stati Uniti che in Asia, gli è stato
chiesto di essere il loro allenatore fisso, ma con una
famiglia giovane, dice che non era preparato a
dedicarsi a ulteriori viaggi a meno che non fosse
qualcosa che non poteva davvero rifiutare.
Allenare non soddisfa del tutto lo spirito competitivo
di Chang ma dice che ha avuto grande soddisfazione
lavorando con giovani giocatori alle clinic di
allenamento negli Stati Uniti e aiutando la sua
famiglia a capire il gioco.
“In generale mi piace allenare”, spiega. “E’ divertente
essere in grado di migliorare e ricavo molta
soddisfazione nel vedere persone che sorridono sul
campo da tennis, divertirsi e vedere i loro occhi che si
illuminano e che dicono qualcosa tipo,’Wow, questo
mi ha davvero aiutato. Ora mi sento davvero meglio.’
E’ così anche se si tratta di aiutare periodicamente
mio padre con il suo gioco e semplicemente
incoraggiare le persone con cui entro in contatto.”
“Ai livelli più alti, è sicuramente soddisfacente poter
vedere Kei migliorare, vederlo soddisfatto e conscio
di questo miglioramento, ‘Hey, sto migliorando. Sto
migliorando e si vedono i risultati.’ Penso che questa
sia una cosa positiva per me.”
Ma ci sono state sfide per Chang, in particolare nello
sviluppare il livello di pazienza che serve per questo
lavoro.
“L’aspetto più impegnativo è sapere che per alcune
cose ci vorrà tempo,” dice. “Ti piacerebbe poter dire a
qualcuno, ‘Hey vai un po’ di più sulla palla’ e
all’improvviso lo fanno e tu non devi più ripeterglielo.
Sfortunatamente, come vi dirà ogni allenatore e
insegnante, la ripetizione è parte del processo. E
richiede tempo. Quando si ripetono continuamente le
stesse cose e si prova a instillare nel gioco di
qualcuno, serve tempo per far si che queste cose
vengano ingranate.”
Per Nishikori, Chang ha capito che per renderlo in
grado di competere al meglio dei cinque set contro il
resistente Novak Djokovic, aveva bisogno di
sviluppare qualche opzione in più. Lo stesso Chang si
è spinto nel campo di alcuni tra i migliori colpitori di
sempre. Ma ha lottato contro le possibilità di
Boris Becker, Goran Ivanisevic, Andre Agassi, Pete
Sampras e altri attraverso un mix di accorgimenti,
velocità fenomenale e varietà di colpi.
“Abbiamo parlato di aggiustare alcune cose del suo
gioco e dal punto di vista tecnico,” dice Chang.
“Riguarda la flessibilità. Il tennis maschile è piuttosto
variegato, quindi aveva bisogno di arrivare al punto
in modo che per lui fosse comodo venire avanti e
giocare una volèe. Bisogna avere diverse opzioni così
si può cambiare tra vari stili di gioco piuttosto che
giocare sempre nello stesso modo. Aumentando le
opzioni di gioco, si diventa un opponente più duro.
Le persone non riescono a tagliarti fuori dal gioco.
Volevo aiutarlo così che potesse essere paziente se ne
aveva bisogno, ma anche aggressivo o mescolare il
gioco.”
Nishikori è già arrivato a un punto in cui viene visto
tra i favoriti per i tornei più importanti. Solo in pochi
si sono sorpresi del fatto che sia arrivato tra i primi
quattro alle World Tour Finals lo scorso mese,
battendo Andy Murray e David Ferrer prima di
diventare l’unico giocatore a togliere un set al
campione finale Novak Djokovic.
Comunque a Chang farebbe ancora piacere vederlo
sviluppare un po’ più di consistenza nell’arco
dell’intero anno, su tutte le quattro superfici, per fare
il paio con l’inarrestabile Novak Djokovic.
“Mi piacerebbe davvero veder diventare più costanti i
suoi risultati,” ha detto. “Ha ottenuto qualche buon
risultato qui e lì ma non sono stati davvero costanti
durante l’anno, e mi piacerebbe costruire
un’abitudine di risultati costanti con le occasioni
Con le racchette e le corde di adesso, i giocatori
colpiscono la palla molto più velocemente con più
giro,e le racchette permettono di farlo
di vincere più tornei e inanellare vittorie sui top
players.” Lavorare con Nishikori ha aperto gli occhi a
Chang su quanto il gioco, e in particolare la
tecnologia, abbia fatto passi avanti negli ultimi
vent’anni.
Ammette di provare un misto di invidia quando ha
visto quello che i migliori sono capaci di fare. “Se
avessi giocato con il mio vecchio equipaggiamento
contro questi ragazzi ora, semplicemente non avrei
combinato nulla,” ha detto.
“Sicuramente non sarei capace. Con le racchette e le
corde di adesso, i giocatori colpiscono la palla molto
più velocemente con più giro,e le racchette
permettono di farlo. Persino nel Champions Tour,
nessuno usa la vecchia tecnologia. Adesso possiamo
fare molto di più rispetto a quanto potevamo fare
quando eravamo al nostro meglio all’epoca.”
Pezzi da '90
di Valerio Carriero
Molto sta cambiando in entrambi i circuiti, soprattutto in
quello WTA.
Il 2014 tennistico non verrà ricordato solo per le
incredibili vittoria Slam di Wawrinka e Cilic, per la
rinascita di Federer e la Davis vinta dalla Svizzera. O
ancora per il Roland Garros numero 9 di Nadal, per
la continuità di Djokovic, per lo storico aggancio di
Serena Williams a Evert e Navratilova. Molto sta
cambiando in entrambi i circuiti, soprattutto in
quello WTA ormai orfana di Li Na e con un disperato
bisogno di colmare il vuoto dalla pioniera asiatica.
Parliamo dei classe ’90, sempre più presenti ai piani
alti del ranking o nelle fasi finali dei tornei.
Il punto sull’ATP
Sono 18 i figli del ’90 nella top 100, ma solo uno nei
primi 10 alla fine della stagione. Si tratta di Milos
Raonic, il primo nella storia di questa generazione
capace di chiudere in top10, ma anche il primo a
conquistare la qualificazione alle Finals. Apparizione
in chiaroscuro, anche a causa di acciacchi fisici ma
poco importa. La sua stagione resta di assoluto livello
con solidi piazzamenti anche sulla terra,
miglioramenti premiati dal quarto di finale al Roland
Garros e dalla prima semifinale Slam qualche
settimana dopo ai Championships. Un solo titolo
vinto per lui, ma anche una finale in un 1000 (a
Parigi-Bercy).
Immediatamente fuori dall’olimpo, c’è Grigor
Dimitrov. Il bulgaro, classe 1991, ha anche
assaporato la top10, ma non l’ha difesa
adeguatamente perdendo questa e qualificazione al
Masters per una manciata di punti, a causa di cali
evitabili nel corso del 2014, chiuso comunque con tre
tornei vinti. Scendendo leggermente, troviamo
David Goffin (letteralmente rinato dopo la serie di
infortuni con un filotto di 44-4 nel dopo Wimbledon,
con quattro titoli Challenger e due sul circuito
maggiore) e Dominic Thiem (autore di un balzo di
100 posizioni rispetto al 2013). I loro destini si sono
incrociati quest’estate in casa dell’austriaco, sulla
terra di Kitzbuhel, in occasione della prima finale
ATP tra due ’90. Curiosamente, sarà ricordata come
“la prima” solamente per una manciata di ore,
considerando quella oltreoceano in scena nella
medesima giornata tra Milos Raonic e Vasek Pospisil,
con il derby canadese che regala il titolo di
Washington al nr.1 del Paese. Scorrendo ancora la
classifica troviamo Jack Sock, unico americano
della new generation in top100, dopo il flop Harrison
(attualmente nr.190).
Un gradino sotto c’è Jerzy Janowicz, crollato a
causa di una deludente stagione compromessa da
problemi fisici ma già capace nel 2013 di conquistare
la semi a Wimbledon e nel 2012 una finale in un
1000. Appena fuori dalla top 50 c’è Pablo Carreno
Busta, in un anno difficilissimo per lui con tutti i
limiti dell’iberico che vengono a galla sul circuito
maggiore. Poi il già citato Pospsil, sino a giungere
alla piazza nr.52 occupata da Nick Kyrgios.
L’australiano esploso con i quarti di finale raggiunti a
Wimbledon con il capolavoro sul nr.1 del momento
Rafael Nadal, ma comunque capace di vincere in
precedenza ben 3 Challenger.
Poco più in basso (56) un altro dei giovani canguri,
quel Bernard Tomic sempre pizzicato dai media
anche a causa di atteggiamenti poco ortodossi di
suo padre, ma bravo nel reagire ad un postoperazioni difficilissimo (il suo ritorno sul circuito lo
ha visto perdere da Nieminen in 28 minuti, per il
triste record di match più corto della storia) con il
secondo titolo in carriera vinto a Bogotà. Dopo JanLennard Struff (59), Federico Delbonis (60), Diego
Schwartzman (61), Jiri Vesely (66), Blaz Rola (80),
Ricardas Berankis (86), troviamo il 17enne croato
Borna Coric (91), primo vero mostro di precocità in
top100 dai tempi di Nadal e Gasquet. Per lui una
stagione da incorniciare con un Challenger vinto e le
semifinali ATP nel 250 casalingo di Umago e nel 500
di Pechino, superando nel tabellone ostacoli quali
Gulbis e il suo idolo Rafa (anche se decisamente fuori
forma per i dolori all’appendice). Chiude questo
spaccato di classifica il russo Andrey Kuznetsov
(93), ma anche fuori dai primi 100 c’è abbastanza
talento per star tranquilli in vista di un futuro
prossimo.
Lucas Pouille, Jason Kubler ma soprattutto
Alexander Zverev. Il tedesco, 17enne come Coric, ha
stupito tutti nel 500 di Amburgo raggiungendo
un’incredibile semifinale, prima di cedere di schianto
a Ferrer. Il resto della sua stagione non è stata
all’altezza delle aspettative, anche a causa del
carattere particolarmente fumantino da affinare con
il passare degli anni. Poco più in basso un altro
interessantissimo australiano, Thanasi Kokkinakis,
per non parlare del 16enne Stefan Kozlov già
ampiamente in top500 con la finale nel Challenger di
Sacramento persa solamente dall’ex top20 Querrey.
Per l’Italia, il capofila nel ranking è Marco Cecchinato
alla posizione nr.162. Poi Stefano Travaglia (197),
Alessandro Giannessi (357), Lorenzo Giustino (359)
sino a Matteo Donati al nr.403, seguito a 32 posizioni
di distanza da Gianluigi Quinzi, in un’annata con
molte difficoltà tra l’impatto durissimo col mondo
professionistico e l’infortunio al polso patito nella
seconda parte del 2014.
Il punto sul WTA
Ben diversa la situazione tra le donne, già ai piani
alti. Tra le prime 10 al mondo sono 4 le nate negli
anni ’90: Simona Halep, Petra Kvitova,
Eugenie Bouchard e Caroline Wozniacki. Tutte
loro hanno giocato una finale Slam nel 2014, con la
chicca di Wimbledon tra Petra e Genie, la prima
assoluta in un Major tra due tenniste di questa
generazione. Decisamente più avanti rispetto all’ATP
anche riguardo alla serie di piazzamenti di ognuna di
loro. Per Simona, che ha anche assaporato il best
ranking di nr.2, oltre alla finale del Roland Garros,
spicca l’atto conclusivo delle Finals e il primo
Premier 5 della carriera. Per Petra, già il secondo
Slam e un potenziale che non scopriamo di certo nel
2014.
Per Caroline, dominatrice nel ranking fino a qualche
anno fa, una rinascita inaspettata quanto bella, una
rivoluzione anche dal punto di vista tecnico,
aggiungendo potenza da fondo e nuove trame
offensive. Le sorprese arrivano più che altro dalla
bella Genie, con due semi e una finale Slam nell’arco
della stagione oltre al primo titolo in carriera,
qualificazione a Singapore e storia del tennis
canadese riscritta. Ma c’è tanta freschezza anche
scendendo gradatamente. Alizè Cornet (19), Garbine
Muguruza (20), Karolina Pliskova (23), Anastasia
Pavlyuchenkova (24), Elina Svitolina (28), Madison
Keys (30): tutte loro hanno vinto almeno un torneo
nel 2014.
Non finisce qui, con la pazzesca Belinda Bencic,
classe 1997 e già numero 32 al mondo, capace di
raggiungere i quarti agli Us Open e una finale
International (a Tianjin).
Seguono a ruota alle piazze 32 e 33 Zarina Diyas e
la nostra Camila Giorgi, anche loro ad un passo dal
primo titolo (nel caso dell’azzurra per ben due volte,
con le finali perse a Katowice e Linz). Molto
deludente invece l’annata di Sloane Stephens,
crollata al nr.36 dopo gli ottimi risultati del 2013 da
confermare. E’ probabilmente l’eccezione che
conferma la regola.
Immediatamente alle sue spalle, infatti, troviamo
Caroline Garcia: la francese dall’enorme
potenziale, seppur con poca continuità, scala il
ranking e si sblocca a Bogotà, battendo in finale
Jelena Jankovic.
Lista che si allunga con Coco Vandeweghe (39, a
segno a s’Hertogenbosch), Irina-Carmelia Begu (41,
sconfitta in finale a Mosca), Mona Barthel (42,
vittoriosa a Bastad), Alison Riske (43, campionessa
di Tianjin), Kurumi Nara (44, regina a Rio).
Ma anche Heather Watson, che tenterà la risalita dal
nr.49 dopo la mononucleosi; Christina McHale, nr.52
e finalista ad Acapulco; Annika Beck, 53 e trionfatrice
a Lussemburgo. Lauren Davis (55), Jana Cepelova
(56 e finalista a Charleston), Bojana Jovanovski (57 e
due volte finalista nel 2014), Monica Puig (59 e
vincitrice a Strasburgo), Ajla Tomljanovic (62, con
ottavi di finale raggiunti al Roland Garros grazie allo
scalpo della Radwanska), Kristina Mladenovic (67),
Kiki Bertens (68), Tereza Smitkova (69), Vitalia
Diatchenko (71), Shelby Rogers (73, finalista a Bad
Gastein), Anna Karolina Schmiedlova (74), Stefanie
Voegele (80). Poi c’è Donna Vekic, classe 1996 ma già
titolata a Kuala Lumpur. Tuttavia la sua seconda
metà di stagione l’ha vista preda di un periodo di crisi
nerissima tra doppi falli e cambi di allenatore,
chiudendo solamente come nr.82. Più in basso la sua
coetanea Katerina Siniakova al nr.84, seguita da AnaLena Friedsam.
Posizioni nr.87 e 88 presidiate dalle spagnole Lara
Arrabuarrena e Maria Teresa Torro-Flor (a segno a
Marrakech).
Al nr.92 l’interessantissima Ana Konjuh (classe
1997), seguita da Sorana Cirstea in una stagione
deludente, e le americane Madison Brengle e Nicole
Gibbs. Chiudono la parata di ’90 Polona Hercog (96),
Timea Babos (98), Saisai Zheng (99) e An-Sophie
Mestach (100), a quota 48. Praticamente (quasi) una
tennista su due nelle attuali top 10 ha meno di 25
anni.
Volti che dunque cambiano decisamente in modo più
rapido nella WTA e lo dimostra anche l’età media
della top 10 dei due circuiti (25.4 contro 27.8),
probabilmente dalla maggior emotività che
caratterizza il circuito femminile rispetto a quello
maschile. Riuscirà anche la nuova generazione ad
entrare nel cuore degli appassionati?
Un anno, una crescita
straordinaria...
Stanislas Wawrinka
di Laura Saggio
Una cosa di cui siamo profondamente certi è che, quest'anno,
Stanislas Wawrinka non lo scorderà tanto facilmente.
Una cosa di cui siamo profondamente certi è che,
quest'anno, Stanislas Wawrinka non lo scorderà
tanto facilmente. Un anno iniziato e concluso nel
migliore dei modi, all'insegna di due vittorie, a dir
poco, storiche, sia personalmente che per la sua
patria, la Svizzera.
Prima il sigillo che ha scioccato il mondo del tennis,
la sua vittoria agli Australian Open battendo in finale
nientepopodimeno che Rafael Nadal, ovvero uno di
quei giocatori che, quando si ritirerà dal tennis
giocato, sarà sicuramente considerato fra i più grandi
di sempre in questo sport. Ovvio, c'è da dire che la
sua vittoria in finale è stata un po' particolare, dopo
un primo set giocato sulla soglia della perfezione
tecnica e vinto meritatamente – nell'incredulità di
quasi tutti gli spettatori ma anche dei cronisti -, c'è
stato l'infortunio di Rafa che di fatto ha compresso il
match, in favore dell'elvetico. Certo, il tennis è
strano, e per quanto Nadal fosse rimasto in campo
solo per il rispetto del pubblico, Wawrinka ha un po'
tremato e non si sa come abbia fatto a perdere il
terzo set, ma nel quarto è tornato in campo con la
testa giusta, e ha confermato quello che – per lui – si
presentava ormai come una mera formalità,
vincendo il quarto set e aggiudicandosi il primo
torneo del Grande Slam della sua carriera, coronando
due settimane di tennis giocato a davvero altissimo
livello.
Wawrinka ha poi confermato questo eccelso livello di
gioco, e nei primi mesi della stagione è stato il
giocatore più in forma del circuito ATP.
Sicuramente, se dovessimo analizzare come sia stato
possibile un'evoluzione del genere - e poi così
improvvisa -, ci verrebbe da dire che questa crescita
esponenziale sia da ravvisare nell'improvvisa
maturazione fisica, soprattutto nella copertura del
campo e nella mobilità dello svizzero.
Già c'era stata una prima maturazione nella carriera
di Wawrinka, ma questa non era stata di natura fisica
bensì di natura mentale. Basti pensare a come, nei
quarti di finali degli Us Open del 2007, nonostante
avesse la partita in pugno contro l'allora costante ma
non talentuoso Juan Ignacio Chela, perse
improvvisamente la calma – che aveva sempre
contraddistinto il suo mansueto carattere -, con tanto
di racchetta frantumata per terra, e perse anche il
treno per una possibile semifinale che sembrava
fattibile oltreché storica.
Da qui in poi, ci saranno dei miglioramenti
psicologici sulla gestione della partita da parte di
Stan, e che collimeranno nell'entrata in top 10,
ottenuta grazie alla finale del Masters Series
nostrano, ovvero quello ospitato a Roma. E da qui ci
sarà un continuo sali e scendi in classifica - per
diversi anni - fra top 15 e top 30. Ma è nel 2013 che
questa altalena si interrompe bruscamente, proprio
perché si registra questo repentino cambiamento
fisico, che porta l'elvetico a navigare fisso nei
magnifici dieci. Wawrinka non è più un giocatore che
possiede un potente e costante servizio, uno dei
migliori rovesci del circuito – peraltro giocato ad una
mano – e un pesante dritto in chiusura – difatti, in
talune interviste, ha dichiarato che non è tanto il
rovescio ad essere il suo miglior colpo quanto il dritto
in chiusura – senza però un'adeguata mobilità che
comprometteva la fase difensiva, che in sede di top
10 diventa essenziale se si vuole essere, a questi
altissimi livelli, competitivi.
Il Wawrinka di quest'anno si è dimostrato abile nei
recuperi col back di rovescio – back non perfetto
tecnicamente come quello di Federer, ma comunque
buono – e anche con quelli di dritto, mostrando di
avere una buona sensibilità in recupero. Sensibilità
tecnica mostrata anche nella conquista - quando
opportuno - della rete, che si presenta in diversi
frangenti nel suo gioco, essendo il suo tennis molto
offensivo. E per quanto la sua mano non sia così
vellutata come quella di un Llodra, ha dimostrato
bene o male di avere un tocco quantomeno educato,
e di essere un buon giocatore di rete – anche se, c'è
da ricordarlo, lo standard attuale di manualità nel
gioco di volo, oggi come oggi, è molto più bassa
rispetto, ad esempio, agli anni '70 (e questo lo si deve
al cambio di racchetta, che avvantaggia chi tira i
passanti: infatti, più che passanti, si dovrebbe parlare
di bombe molotov lanciate addosso al giocatore a
rete!).
Il trionfo svizzero, dunque, in Coppa Davis non ci
deve per nulla sorprendere, gli elvetici avevano due
dei primi cinque giocatori al mondo in singolare, in
più, c'è da ricordare che nel lontano 2008, alle
Olimpiadi di Pechino, i due vinsero la medaglia d'oro
in doppio. Solo una scarsa applicazione degli svizzeri,
in questa specialità, aveva impedito di ripetere uno
storico bis d'oro nell'Olimpiade successiva. Infatti,
tutti e due, non giocarono praticamente mai il doppio
durante l'anno, sicché aveva portato a diverse
imperfezioni ed errori da dilettante che i due
commettevano durante le partite olimpioniche: come
il fatto che Federer, quando stava a rete, si girava
verso il fondo del campo per vedere dove Wawrinka
mandasse la palla – errore che si vede solo nelle
partite da quarta categoria!
Ma l'applicazione appunto – di un potenziale di
inesprimibile livello – ha portato anche a superare
questo ultimo scoglio, e credeteci – per quanto, col
senno di poi, sarebbe stato più opportuno, per la
Francia, schierare il doppio che ha disputato il
Masters, ovvero Benneteau-Roger Vasselin – non
sarebbe stata comunque scontata la vittoria
transalpina in doppio anzi!
E poi il singolare è andato come è andato, ovvero con
la vittoria della Svizzera che, appunto, nelle due
vittorie ottenute negli incontri di singolare, ha potuto
annoverare anche una conquistata da Wawrinka.
Questo a sottolineare che stavolta non ha vinto Roger
Federer da solo, perché la grande vittoria di
Wawrinka alla partita d'esordio della finale con
Tsonga, e la grande prova - sempre di Stan - in
doppio, sono valsi sicuramente il 50% del merito (se
non più, viste le precarie condizioni di Federer nella
prima giornata!) di questa fantastica e storica vittoria
della Svizzera.
Novak Djokovic:
stagione da record?
di Marco Di Nardo
Si è parlato tanto di Novak Djokovic in questo 2014
Si è parlato tanto di Novak Djokovic in questo 2014.
Il rapporto con il nuovo allenatore Boris Becker, il
martimonio con la storica fidanzata Jelena Ristic, il
primo figlio Stefan, e tanti successi tennistici. Oltre a
tutti questi avvenimenti, Djokovic ha chiuso l'anno al
numero 1 del mondo per la terza volta, coronando
una stagione fantastica. In molti hanno definito
questa come una delle migliori annate del tennista
serbo, e lo stesso Novak ha parlato del momento
migliore della sua carriera. Ma dal punto di vista
esclusivamente tennistico, è davvero stata una
stagione da record per il numero 1 Atp?
Se si termina l'anno in vetta al ranking mondiale non
c'è dubbio sul fatto che si sia giocato ad un livello
altissimo. Ma per un giocatore come Djokovic,
abituato a vincere quasi ovunque, prima di parlare di
stagione supelativa bisogna analizzare attentamente i
risultati. Sia chiaro, non si vuole sminuire il
fantastico lavoro svolto dal serbo, né i risultati
ottenuti in questo 2014, ma semplicemente
confrontare quanto fatto quest'anno con le scorse
stagioni.
Partiamo dall'inizio. Novak apre la stagione negli
ultimi giorni del 2013, partecipando all'esibizione che
dal 2009 si svolge ad Abu Dhabi anticipando i primi
tornei dell'Atp World Tour. Per la terza volta
consecutiva si aggiudica l'evento, battendo in
semifinale Jo-Wilfried Tsonga e in finale David
Ferrer. E fin qui niente di nuovo. Poi il tennista serbo
vola a Melbourne per aprire ufficialmente la sua
annata tennistica.
A Parigi le cose vanno benissimo fino all'ultimo
atto, quando un Nadal super gli blocca la strada al
titolo.
All'Australian Open arriva il primo colpo di scena:
Djokovic, vincitore delle ultime tre edizioni, viene
eliminato da Stanislas Wawrinka ai quarti di finale, e
iniziano le prime critiche sul rapporto con Boris
Becker, definito da molti solo legato a questioni di
marketing. Dopo la sconfitta subita contro Federer in
semifinale a Dubai, Djokovic in ogni caso dimostra di
non essere in crisi vincendo entrambi i Masters 1000
della primavera americana: Indian Wells e Miami.
Poi un infortunio al polso ne condiziona la
perfomance nella semifinale del torneo di MonteCarlo, in cui cede nettamente a Federer, e lo
costringe a saltare il Masters 1000 di Madrid. Novak
torna però in campo a Roma e trionfa superando
Nadal in finale, presentandosi al Roland Garros come
principale favorito. A Parigi le cose vanno benissimo
fino all'ultimo atto, quando un Nadal in versione
super non gli permette però di conquistare il suo
titolo all'Open di Francia.
Il tennista serbo non subisce il colpo e a Wimbledon
gioca due settimane di grande tennis, e al termine di
una epica finale vince per la seconda volta ai
Championships, superando Federer dopo 5 set
lottatissimi. Sembra essere tutto in discesa a quel
punto, ma nel mese di agosto Novak offre due
pessime prestazioni nei Masters 1000 del Canada e
Cincinnati: due sconfitte in due set, sempre negli
ottavi, contro Tsonga e Robredo, e gli spettri di inizio
anno sembrano riaffiorare.
Poi agli US Open arriva la sorprendente sconfitta in
semifinale contro Kei Nishikori, e dopo la vittoria
nell'Atp 500 di Pechino, un'altra sconfitta in
semifinale contro Federer nel Masters 1000 di
Shanghai. Nel frattempo Federer vince un torneo
dopo l'altro e mette in discussione la leadership del
serbo nel ranking Atp. Poi il fantastico finale di
Tra Roland Garros e Wimbledon,
viceversa, Novak ha ottenuto i
migliori risultati in carriera
stagione di Djokovic, con i trionfi nel Masters 1000 di Parigi e alle
Atp World Tour Finals, fa tornare tutto alla normalità e gli
permette di chiudere l'anno in vetta alla classifica mondiale.
Andando ad analizzare i risultati ottenuti, quindi, che stagione è
stata rispetto alle precedenti? Per quando riguarda i successi nei
Masters 1000, che sono stati quattro, Djokovic in passato aveva
fatto meglio solo nel 2011 con cinque titoli in questa categoria di
eventi. Nel 2012 e 2013 si era invece fermato a quota tre. Sotto
questo aspetto è stata quindi un'ottima annata per lui.
I risultati negli Slam, però, sono stati abbastanza particolari. Nei
due Majors in cui solitamente il serbo si comportava meglio,
ovvero quelli sul cemento, sono arrivate le peggiori prestazioni,
mentre nei due Slam centrali Novak ha giocato benissimo. Nel
complesso è stata la sua peggiore stagione da questo punto di vista,
con 4280 punti contro i 5120 del 2012 e 2013, e addirittura i 6720
del 2011. Dividendo però (come fatto in precedenza) in due blocchi
i quattro tornei, mettendo insieme i due su cemento e i due centrali
(Roland Garros e Wimbledon), si possono fare considerazioni
diverse.
Tra Australian Open e US Open, Djokovic ha fatto addirittura
peggio del 2010, non raggiungendo nemmeno una finale, cosa che
per l'ultima volta gli era successa nel 2009. Nel 2010 aveva
raggiunto i quarti a Melbourne e la finale a New York, nel 2011
aveva vinto entrambi i tornei, nel 2012 e 2013 vittoria in Australia
e finale negli Stati Uniti.
Tra Roland Garros e Wimbledon, viceversa, Novak ha ottenuto i
migliori risultati in carriera.
Quella di Novak Djokovic, è stata un'annata
fantastica e piena di vittorie.
Per la prima volta ha infatti giocato la finale sia a
Parigi che a Londra, perdendo la prima e vincendo la
seconda. A Wimbledon aveva già vinto nel 2011, ma
in quella annata si era fermato prima al Roland
Garros, non andando oltre la semifinale.
Per chiudere il discorso, andiamo a confrontare i
punti totali conquistati nel 2014, che sono stati
11,360, con quelli conquistati negli anni precedenti.
Nel 2011 erano stati 13,630, nel 2012 12,920 e nel
2013 12,260. Anche questo dato conferma un'ottima
prestazione del serbo, ma comunque inferiore alle
precedenti.
In conclusione, quella di Novak Djokovic, è stata
un'annata fantastica e piena di vittorie. Ma parlare di
stagione da record o di miglior momento della
carriera del serbo, probabilmente non corrisponde
alla realtà dei fatti.
Nole, il numero 1
di Laura Saggio
I numeri e le parole del campione indiscusso del 2014
Il 2014 è stato sicuramente l’anno di Nole. Ha chiuso
la stagione davanti a tutti. Ha vinto le finals di
Londra. È diventato papà. E sarà il protagonista si se
stesso in un documentario sulla sua vita annunciato
sui social dal campione così: “Per la prima volta dirò
chi sono”.
Prodotto in Australia, uscirà pochi giorni prima degli
Australian Open. Sulla scena vedremo non solo i
successi sportivi di Nole, partendo dal rapporto con
la sua prima coach Jelena Gencic, ma anche la sua
vita di ragazzo serbo nato nel 1987, sulla scia della
guerra e della miseria.
Che sia un bravo ragazzo lo sappiamo tutti.
Simpatico, mai fuori dalle righe, impegnato nella vita
e nel sociale. Un Campione vero.
E oggi anche tenerissimo papà: “Tutto ruota intorno
a mio figlio”, così cinguetta ai suoi fan durante i venti
minuti di conversazione virtuale con il mondo.
“Mi piace viaggiare, conoscere posti nuovi e nel
tempo libero fare altri sport. Ma nella mia seconda
vita c'è un bambino: sono sempre in giro per il
mondo, ma ora, durante questo periodo di riposo,
posso dare una mano a mia moglie Jelena, che in
questi due mesi se l'è cavata da sola”.
Finita la pausa, Nole dovrà difendere la prima
posizione in classifica e non sarà certo una
passeggiata. Tra le nuove, ormai affermate, leve e
forse l’ultimo sprint di grandi campioni affamati
degli ultimi bocconi, la sfida sarà certamente
appassionante.
Djokovic dalla sua avrà un tifoso in più molto
speciale e la consapevolezza di essere oggi il numero
1.
I numeri parlano chiaro:
600- partite vinte in carriera da Novak Djokovic.
20- Masters 1000 vinti in carriera. 3 Indian Wells
(2008, 2011 e 2014), 4 Miami (2007, 2011, 2012 e
2014), 1 Monte Carlo (2013), 1 Madrid (2011), 3
Roma (2008, 2011 e 2014), 3 Canadian Open (2007,
2011 e 2012), 2 Shanghai (2012 e 2013), 3 Parigi
Bercy (2009, 2013 e 2014).
1310- punti di vantaggio di Novak su Roger Federer
alla vigilia dell'inizio del Master conclusivo di
Londra.
47 - tornei vinti in carriera. 6 di questi vinti nel 2014
(Indian Wells, Miami, Roma, Wimbledon, Pechino e
Parigi Bercy).
La ricerca del regno di
Djokovic
di Princy Jones
È stato determinato nel cambiare il suo destino.
Quando negli anni ‘90 Roger Federer sembrava
invincibile sul campo, è arrivato Rafael Nadal a
provare il falso; insieme, il duo ha ridefinito il
concetto di rivalità, reimpostando così gli standard
del gioco ancora più in alto dei loro predecessori.
Con quei due che monopolizzavano il gioco, il
panorama appariva piuttosto faticoso per ogni
giocatore. Neanche per Novak Djokovic è stato facile.
Il 20enne passato alla storia per essere diventato il
primo serbo a vincere un Grande slam quando ha
vinto gli Australian Open nel 2008, pensò di
smettere presto, frustrato dalle molte sconfitte subite
contro Federer e Nadal. Fortunatamente non si è
arreso. È stato determinato nel cambiare il suo
destino.
Veloce passo avanti al 2014 – Djokovic è un uomo
felice. Ha vinto una seconda corona di Wimbledon, e
portando il suo bottino a un totale di 7 titoli del
Grande Slam; lo stesso mese ha sposato il suo amore
di lunga data Jelena Ristic; è diventato padre del
piccolo Stefan in ottobre; ha vinto quattro titoli
Master; ma soprattutto ha finito l’anno da numero 1
per la terza volta in quattro anni! Un bel traguardo
per qualcuno che stava pensando al ritiro nel 2010.
Comunque quando si tratta di statistiche del Grande
Slam, il serbo è molto indietro rispetto al maestro
svizzero al matador spagnolo. Mentre ci sono 10
major che separano lui e Federer, lui ha vinto solo la
metà di Nadal, che è più vecchio di lui solo di un
anno. Ma quando si arriva ai dettagli, Djokovic è il
giocatore più temuto del tour in questo momento.
Può anche non sostituire Nadal o Federer, ma è
quello che ha rallentato il loro bottino di Grandi
Slam.
Alcuni giorni fa, l’allenatore e zio di Nadal, Toni
Nadal, ha lodato molto Djokovic, dicendo è
leggermente superiore a suo nipote, ed è abbastanza
vicino a Federer da poterlo acchiappare. Toni ha le
sue ragioni per fare un commento del genere,
considerando la precisione clinica per la linea di
fondo del serbo e il suo acume mentale.
Le sue statistiche testa-a-testa con Nadal stanno a
19-23 e con Federer, è 17-19, qualcosa a cui si è
avvicinato negli ultimi anni.
Ci sono possibilità che sorpassi i due in un prossimo
futuro.
Sì, Djokovic ha provato che è il miglior giocatore del
circuito del momento. Ha grandi speranze per il 2015
e punta a prendersi gli Australian Open, l’evento
Grande Slam in cui ha fatto meglio. ma più di tutto,
dovrà rompere la maledizione dell’Open francese.
Come Federer, sul rosso sporco, non è ancora stato
capace di far capitolare Nadal, la sua vera nemesi.
Djokovic è arrivato in finale due volte, nel 2012 e nel
2014, perdendo contro Nadal in entrambe le
occasioni.
Tranne in queste occasioni, Nadal l’ha sconfitto tre
volte in semi-finale, nel 2007, 2008 e 2013.
Al serbo serve una vittoria al Roland Garros per
essere considerato alla parti con Nadal, nonostante
quello che pensi Toni Nadal. Djokovic può anche
avere una tecnica migliore, ma quello che conta sono
i numeri.
Il numero 1 dovrebbe concentrarsi sull’agguantare
più major l0’anno prossimo, così da essere
considerato tra i più grandi della storia di questo
gioco. Nadal è il “Re della terra rossa”, Federer è il
“Re dell’erba” e Melbourne è il posto dove anche
Djokovic può costruire il suo regno.
Altre due vittorie all’Australian Open lo metteranno
alla pari con Roy Emerson, che ne detiene il record,
con sei vittorie.
In questa stagione, Djokovic ha vinto sette titoli sulle
otto finali che ha giocato. Considerando la sua forma
attuale, possiamo dire che il 27enne ha buone
possibilità di ripetersi anche nella stagione a venire,
se non meglio.
Con Nadal che si sta riprendendo dagli infortuni e
senza segnali di ritiro da parte di Federer, il 2015
offre ampie speranze di vedere incontri affascinanti
fra il trio delle meraviglie.
L'ennesimo ritorno di
Rafael Nadal
di Marco Di Nardo
Ora il più grande giocatore di tennis su terra rossa della
storia è chiamato a rientrare a gennaio del 2015.
Ormai è quasi una costante. Rafael Nadal vince, poi
un infortunio lo costringe a stare lontano dalle
competizioni, ritorna e sorprende tutti vincendo
ancora. E' successo tante volte, forse troppe. Ma Rafa
è sempre stato in grado di tornare più vincente di
prima. Ci riuscirà anche questa volta, dopo
l'ennesimo stop dovuto ai problemi fisici?
In questo 2014 Nadal ha saltato quasi tutta la
seconda parte della stagione. Prima un infortunio al
polso destro lo ha costretto a saltare i due Masters
1000 estivi sul cemento americano, Canada e
Cincinnati, e l'ultimo Slam della stagione, l'Open
degli Stati Uniti. Una volta rientrato in campo a fine
settembre, nell'Atp 500 di Pechino, è stato colpito da
un'appendicite che ne ha condizionato i risultati,
prima di costringerlo a disertare anche il Masters
1000 di Parigi-Bercy e le Atp World Tour Finals.
In pratica dopo il torneo di Wimbledon, Rafa ha
potuto giocare appena sette partite fino alla fine della
stagione.
Ora il più grande giocatore di tennis su terra rossa
della storia è chiamato a rientrare a gennaio del 2015,
con un ritardo molto importante in classifica nei
confronti di Djokovic e Federer, e tanti punti da
difendere.
Nel 2014 aveva infatti vinto l'Atp 250 di Doha e
raggiunto la finale all'Australian Open, risultati molto
difficili da replicare se si considerano le pochissime
partite giocate negli ultimi mesi.
Ma cosa è successo in passato?
Non sembrava difficile anche
in altre occasioni?
A Doha la difesa del titolo sarà poi resa ancora più difficile dalla
presenza del numero 1 del mondo Novak Djokovic. Sembra quindi
davvero molto difficile che Nadal possa tornare in vetta alla
classifica nella prossima stagione.
Ma cosa è successo in passato?
Non sembrava difficile anche in altre occasioni?
Era il 2009 quando Rafa Nadal, dopo aver dominato la stagione
precedente e i primi mesi dell'anno in questione, era colpito dal
suo ormai storico problema alle ginocchia, e per la prima (e per il
momento unica) volta perdeva un incontro al Roland Garros.
Saltato il torneo di Wimbledon, il maiorchino veniva scavalcato in
classifica da Roger Federer, che tornava al primo posto.
Rientrato in campo nel Masters 1000 del Canada, Rafa non
riusciva a recuperare completamente la condizione migliore, nel
finale di stagione non si aggiudicava nemmeno un titolo in
singolare, e perdeva tutte e tre le partite del round robin alle Atp
World Tour Finals.
All'inizio del 2010 il miglior Nadal sembrava solo un ricordo,
eppure dopo un inizio incerto, quell'annata diventò una delle più
vincenti del fenomeno di Manacor, con tre Slam vinti
consecutivamente (Roland Garros, Wimbledon e US Open), che lo
fecero diventare il primo giocatore della storia a vincere nello
stesso anno su tre superfici differenti a livello Major.
Ovviamente quella serie di successi riportarono lo spagnolo in
vetta al ranking Atp a fine 2010.
In questo 2015, sarà davvero impossibile per lui
tornare al primo posto della classifica?
Il secondo ritorno al vertice, forse quello più
clamoroso, fu quello del 2013. Nella stagione
precedente Nadal era stato fermo dal post
Wimbledon fino alla fine dell'anno, e anche all'inizio
del 2013 aveva dovuto disertare l'Australian Open.
Dopo sette mesi di stop Rafa rientrò in campo a
febbraio raggiungendo immediatamente la finale
all'Atp 250 di Vina del Mar.
Da quel momento in avanti iniziò una serie
impressionante di successi per lo spagnolo, con dieci
titoli, quattro finali perse, e due semifinali, con un
unico risultato negativo, il primo turno a Wimbledon.
Nonostante un torneo dello Slam non giocato, e un
primo turno in un altro Major, i cinque successi nei
Masters 1000 e le due affermazioni al Roland Garros
e agli US Open lo riportarono al primo posto della
classifica Atp di fine anno.
Nadal diventò così il primo tennista a tornare per due
volte al numero 1 a fine anno dopo aver perso
altrettante volte lo scettro. E in entrambe le occasioni
dopo infurtuni molto importanti.
E allora in questo 2015, sarà davvero impossibile per
lui tornare al primo posto della classifica?
Lo stesso Rafa ritiene che sia molto difficile, perché
ora ha due anni in più rispetto al 2013.
Ma guardando quanto successo in passato, tutto
appare possibile...
Come si è preparato Agassi
per gli Australian Open
di David Cox
Andre Agassi è stato un maestro della preparazione durante la
off-season, con quattro titoli agli Australian Open.
Durante una carriera che ha coperto un arco di tre
decenni ai vertici del gioco, Andre Agassi è diventato
un maestro del perfezionamento della preparazione
durante la off-season, che ha avuto come risultato
quattro titoli agli Australian Open. Ma come ce l’ha
fatta? L’amico di lunga data e preparatore atletico Gil
Reys ci svela tutto...
Andre Agassi è passato alla storia degli Australian
Open come uno dei più grandi campioni di sempre ad
onorare i campi di Melbourne Park. Nonostante
abbia boicottato il torneo all’inizio della sua carriera,
Agassi si è velocemente innamorato dell’evento,
vincendolo alla sua prima partecipazione nel 1995 e
dominando la prima parte del 2000, vincendo tre
titoli tra il 2000 e 2003.
Agli occhi di Agassi e Reyes, un successo così
duraturo non è stato casuale. A differenza di molti
giocatori che si stavano ancora togliendo la ruggine
di dosso nelle prime settimane di gennaio, Agassi
raramente non era al suo meglio.
Da quando aveva 24 anni, ha iniziato a capire che la
off-season era un momento critico per le sue
possibilità di alzare i trofei più importanti del
e da allora la coppia ha adottato un approccio
scientifico per assicurarsi di essere all’apice della
condizione all’inizio dell’anno.
“Andre in verità si rifiutava di chiamarla off season,”
ricorda Reyes. “La chiamava pre-season. Nel
momento in cui finiva la sua ultima partita dell’anno,
stava già parlando con me di cosa avremmo fatto
nelle successive sei settimane, questo era il suo modo
per dirmi che era pronto per lavorare.”
Si preparavano per la brutalità delle ondate di caldo
dell’estate australiana dividendo la off-season in
diverse fasi, la prima e più importante si trattava di
dettagliate conversazioni con Agassi su qualsiasi
cosa, dalla sua dieta al suo livello di fiducia, alla sua
condizione mentale.
“Non ci si può arrivare direttamente dicendo, ‘Ok,
sarà il training camp più duro di sempre’”, spiega
Reyes. Prima di tutto, bisogna in qualche modo fare
sempre il punto della situazione di tutto quello che è
successo nel corso dell’anno appena passato. Per la
maggior parte delle settimane, è sicuro che si lasci
per strada una sconfitta e in questo modo si fa il
punto della situazione per la maggior parte dell’anno.
Un’altra domanda che sorge è, hanno bisogno di solo
qualche giorno di riposo? A volte la risposta è si, ma
a volte è no. Può sembrare sorprendente ma a volte
con Andre sarebbe stato un errore perché troppo
riposo non andava bene per il suo assetto mentale.
Bisogna stare in linea con il proprio atleta.”
Ora che arriva novembre, ogni giocatore è
fisicamente sfinito dopo mesi di competizione, ma
spesso è lo stress mentale che infligge il tennis che
richiede più riposo.
Tranne qualche eccezione, la maggior parte dei
giocatori perde qualche settimana e la usa per
riposarsi e staccare completamente la "spina". Ma
può essere pericoloso allontanarsi dallo sport per
troppo tempo.
Il campione degli US Open, Maric Cilic, dice che non
si può completamente staccare dal tennis, neanche
per dieci giorni, perché il corpo è abituato a fare
qualcosa ogni giorno e se ci si prende due settimane
di vacanza, si inizia già a perdere memoria
muscolare. Reyes è d’accordo.
“Ora il gioco è estremamente fisico e sono piuttosto
sicuro che l’atletismo è in continua ascesa, e ad un
livello probabilmente mai visto prima d’ora. La
velocità, la potenza del gioco, il ritmo che si impone
al proprio corpo, e il tempo che serve per recuperare
stanno tutti crescendo. Quindi non si può
semplicemente premere il tasto on e il tasto off.
Per Agassi, un atleta che non fa mistero delle proprie
sensazioni, era la mente che più aveva bisogno di
riposo e quindi piuttosto che prendersi una vacanza,
preferiva mettere via la racchetta e ritirarsi nella
solitudine della palestra. Proprio come i ciclisti
professionisti, aveva l’ossessione di mantenere le
gambe in forma, rimarcando che “Più forte colpisco
la palla, più forte mi tornerà indietro quindi ho
bisogno delle mie gambe e non posso permettermi
che perdano la loro tonicità.”
“Andre ha sempre pensato che fosse un errore
perdere la forma fisica in ogni sua estensione,” dice
Reyes. “Era solito paragonare la fatica a fine stagione
con un freddo insistente. Il freddo insiste così tanto
perché non si riesce a mangiare nulla e quindi
quando il virus ha attraversato il sistema, ci si sente
malissimo perché non si è mangiato per quattro
giorni. Se non si tiene il passo con il lavoro in
palestra quando si è stanchi, una volta che si è di
nuovo freschi si farà fatica. Quindi ci prendevamo
delle pause mentali in cui gli allenamenti erano un
po’ più sopportabili. Persino il giorno di Natale e per
Capodanno era in palestra e a correre su Magic
Mountain (una collina di 320 yard vicino alla loro
base a Las Vegas):”
“Avevamo un grido di battaglia in palestra, “Spingi te
stesso oltre la stanchezza. Le cose migliori sono
dall’altro lato della stanchezza.” E lui mi diceva,
“Portami da quella parte. Fammi entrare in contatto
con chi sono oltre il mio punto di stanchezza. Chi
sono quando supero il mio punto di sfinimento? Su
cosa posso contare quando sono sotto pressione
fisicamente e mentalmente in una partita?”
Ma quando si tratta di entrare di nuovo in campo,
Agassi doveva anche trovare un equilibrio tra il
tartassare continuamente il suo corpo per trovare la
condizione di cui aveva bisogno per i mesi a venire, e
l’essere capace di dare tutto quello che aveva quando
lavorava sul gioco.
“Arrivavamo in Australia e a volte guardavamo un
altro giocatore e dicevamo, guarda quel ragazzo,
sembra un po’ stanco. Per favore stai attento con me.
Dobbiamo gestire le cose in modo che io sembri
fresco.” Se il corpo è così stanco da non riuscire a
dare tutto in allenamento, danneggia lo stato
mentale. Questo è importante soprattutto quando ci
si avvicina all’inizio della stagione perché bisogna
essere in grado di valutare il proprio livello.
Quindi si fa intenso lavoro in palestra all’inizio della
off-season e man mano che ci si avvicina al periodo
dei tornei, si fa più lavoro di cardio durante le
sessioni di allenamento in campo.”
Agassi era notoriamente cauto con le distrazioni fuori
dal campo, in particolar modo alla fine della sua
carriera mentre cercava di mantenere la forza ai
livelli più alti del gioco durante i suoi 30. Ma il tennis
del 2014 è un mondo di grandi distrazioni, anche per
i top ten più dediti. Ci sono fondazioni da
promuovere, sponsor da soddisfare e opportunità di
esibizioni lucrative. L’IPTL ha esordito questo mese,
frutto dell’ingegno della ex star di doppio Mahesh
Bhupathi che vuole fare per il tennis quello che la IPL
ha fatto per il cricket. E con contratti milionari che
vengono offerti solo per farsi vedere, Roger Federer,
Andy Murray, Novak Djokovic, Serena Williams e
Maria Sharapova hanno tutti abboccato, nonostante
gli impegni che si estendono attraverso diversi
continenti.
Pete Sampras in precedenza quest’anno aveva
scherzato, “Se c’è qualcuno abbastanza stupido da
darti un milione di dollari, tu devi essere stupido
abbastanza da non accettarli” ma Reyes avverte che
questi lunghi viaggi durante questa parte cruciale
dell’anno fa correre il rischio di infortuni.
“A volte un’esibizione può semplicemente essere una
sessione di allenamento che porta soldi e non c’è
niente di male,” dice. “Ma se avete passato 3-4 giorni
tra viaggio, media e tutto quello che ne consegue,
bisogna seriamente pensare se è una decisione
intelligente in termini di preparazione.
Più avanti Andre andava con la sua carriera, meno
erano le cose di questo tipo che faceva. E quando
arrivava gennaio prendeva il volo della Qantas, mi
guardava e mi diceva, sono pronto.
E tornava un mese dopo con un trofeo in borsa,
dicendo “Grazie. Ce l’abbiamo fatta.”
Navratilova: nuovo coach
della A. Radwanska
di Laura Saggio
Martina Navratilova scende ancora in campo, questa
volta da allenatrice.
Martina Navratilova scende ancora in campo, questa
volta da allenatrice. Sarà l'ennesima sfida da vincere,
per chi, da giocatrice, ha vinto tutto.
“Sono molto carica, anche se tornare in modalità
partita con tutto lo stress delle competizioni non sarà
facile. Il pensiero mi toglie il sonno!”.
Queste le parole del nuovo coach di Agnieszka
Radwanska: Martina Navratilova, la leggenda del
tennis femminile di tutti i tempi con i suoi 18 Slam
vinti in carriera. Così Martina conferma e prosegue la
moda dei 'Top coach', che sembra imperversare nel
tennis di oggi. Edberg alla guida del Maestro Federer,
Becker a supporto del numero 1 Djokovic, Chang con
il suo Nishikori, Ivanisevic con la promessa Cilic... E
ora arriva la Navratilova.
E sicuramente sarà all'altezza della competizione. Il
compito non sarà facile, anche perché la numero sei
del ranking WTA, dopo un'annata non proprio
eccellente, è chiamata nella prossima stagione a
confermare le aspettative puntate su di lei, con
l'obiettivo di raggiungere le primissime posizioni
della classifica.
L'entusiasmo da parte di entrambe c'è, ed è un buon
punto di partenza: “Non vedo l’ora di iniziare questa
nuova fase della mia vita” ha dichiarato Martina, che
a 58 anni sembra ancora una ragazzina in 'erba'
difronte alla sua prima sfida importante.
La Navratilova sarà affiancata nel suo lavoro
dall'attuale coach di Aga, Tomasz Wiktorowski. Si
partirà con la preparazione appena dopo Natale.
La Radwanska, finalista a Wimbledon nel 2012, ha
puntato sulla Navratilova per riuscire a raggiungere
un successo Slam, come lei stessa ha dichiarato: “I
suoi trionfi parlano da soli. Spero di poter imparare
qualcosa dalla sua immensa esperienza, sono certa
che Martina sarà decisiva per la mia carriera”.
Agnieszka non poteva fare scelta più giusta, se le due
'ragazze' dell'Est riusciranno a trovare una buona
sintonia e continuità nel lavoro, i risultati certamente
non tarderanno ad arrivare.
Una piccola provocazione
di Giorgio Giannaccini
..e se Camila Giorgi fosse – potenzialmente – il nostro più
grande talento femminile mai avuto?
Che il nostro tennis femminile non abbia mai avuto
grandi talenti c'è da ammetterlo! Certo, non avere
grandi talenti non significa non avere grandi
giocatori, e questo è il nostro caso, visto che negli
ultimi anni abbiamo avuto grandissime giocatrici che
hanno raggiunto exploit impensabili, ma queste, più
per tenacia, tenuta atletica e intelligenza tattica,
hanno raggiunto tali risultati. Così è stato per la
nostra più grande giocatrice di sempre: Francesca
Schiavone, in grado di vincere il Roland Garros nel
2010 e in grado l'anno dopo di bissare la finale, senza
contare che è stata quarta in classifica mondiale, ed
ha vinto quattro volte la Fed Cup, precisamente nel
2006, nel 2009, nel 2010 e infine nel 2013.
Questa giocatrice, nonostante avesse un buon
rovescio ad una mano – una delle poche tenniste,
negli ultimi anni, ad entrare in top 10 con questo
colpo – non era certo un talento immenso, il suo
tennis si basava su una forte rotazione in topspin dei
suoi colpi che, soprattutto sulla terra, la rendeva
un'avversaria ostica anche alle migliori giocatrici al
mondo, unendo armi come gli attacchi contro tempo
– buono e puntuale era il suo tocco a rete – insieme
anche a variazioni col back di rovescio ed un'ottima
fase difensiva, ottenuta grazie ad una grande mobilità
fisica che le dava la sua minuta stazza.
La battuta andava a giornate, e la sua non incredibile
statura non l'aiutava – appena 1.66 per 64 kg –,
come succedeva proprio con il suo rovescio in
topspin, talvolta un colpo molto efficace, altre un
volte, un colpo così pregno di rotazioni ed
estremizzato – praticamente un'impugnatura
western di rovescio, o giù di lì –, che il colpo faceva
fatica ad avere la stessa fluidità nei giorni più felici, a
causa di una rotazione difficile da spingere per chi
non è molto imponente fisicamente. Ma quello che
lei fece, fu - sostanzialmente - incredibile, dettato – e
precisiamolo a ripeterlo, per elogiare la forza di
questa ragazza – non tanto dal talento cristallino che
non aveva, ma dalla forte determinazione di una
ragazza qualunque, che la fece rimanere in top 10 per
circa un anno.
Il caso di Sara Errani, è un po' meno eclatante ma
comunque da elogiare lo stesso, seppur minore.
Questa giocatrice che è più regolarista rispetto alla
Schiavone, e possiede dei fondamentali con cui
concede meno – accelera spesso di dritto ma poco col
rovescio, mantenendolo comunque di più in campo,
mentre la Schiavone oltre a non accelerare troppo di
rovescio concedeva più gratuiti.
Non possedendo grande potenza nei colpi, ha basato
e basa la sua carriera su fondamentali pregni di forti
topspin che alzano la traiettoria della palla, così da
non venire attaccata e sfoggiare le sue doti di grande
atleta quale è che le consentono una resistenza fisica
e una rapidità a fondo campo molto rara nelle donne.
Purtroppo, il suo servizio, sempre a causa di una
stazza minuta -1.64 per 58 kg -, è praticamente un
appoggio in campo con un po' di kick per infastidire
l'avversario, ma se dalla prima non ottiene molti
punti ma perlomeno non viene attaccata, la seconda
è facilmente attaccabile.
Però, anche in lei, ha agito molto una rara e non
comune visione del gioco – grazie alla frequentazione
del circuito di doppio, che l'ha portata ad essere
numero 1 in questa specialità assieme all'amica
Roberta Vinci – che le permette di attuare coraggiose
ma anche sapienti discese a rete, e che in altri casi,
non necessariamente nell'andare a rete, le permette
di capire quando è il momento di attaccare, che sia
una risposta al servizio, un colpo accorciato
dell'avversario, o una qualsiasi altra situazione di
gioco adottando il chip and charge o la smorzata –
colpo tipico del tennis su terra rossa e da lei ben
eseguita.
Tutto questo le ha permesso di conquistare la finale
Slam a Parigi nel 2012, e sebbene abbia perso pur
nettamente con la Sharapova 6-3 6-2, ha ben figurato
contro la campionessa russa, inoltre, dal 2012 al
2014 ha continuamente navigato, più o meno, dentro
alla top 10.
Altra storia, più umile, è quella di Flavia Pennetta,
una tennista storica dell'Italia, perché è stata la
colonna portante di quella squadra - assieme alla
Schiavone - che ha vinto quattro Fed Cup, ed anche
lei, come la Errani, è stata la numero 1 in doppio. In
singolare è stata numero 10 del mondo nel 2009, e
dopo un ritiro che sembrava imminente, è tornato a
ridosso della top 10 nel 2014. Conquistando, in
questa sua seconda carriera, una semifinale agli Us
Open nel 2013 e vincendo un prestigiosissimo torneo
come Indian Wells nel 2014.
Da un punto di vista tecnico, la si potrebbe definire
come una picchiatrice da fondo campo: davvero
eccelso il suo rovescio bimane per precisione e
potenza, potente ma un po' meno preciso il dritto, e
buona ma non incredibile la battuta – comunque la
migliore delle italiane in questo fondamentale,
essendo anche la più alta delle “big”, con i suoi 172
cm di altezza.
Nel tempo – sempre grazie al doppio – ha imparato
ad attaccare di più a rete, anche se non ho una un
grandissimo tocco e lo si desume soprattutto nei
back di rovescio che, come nel caso della Errani, non
è un colpo che appartiene al proprio repertorio
tennistico.
Quindi, sebbene abbiamo avuto storicamente dei
buonissimo risultati, soprattutto negli ultimi anni,
non abbiamo mai formato e cresciuto in Italia un
talento assoluto - nel settore femminile - che avesse
naturalezza in gran parte dei colpi, che avesse un
timing innato, che fosse una potenziale giocatrice
eclettica – tecnicamente parlando. Abbiamo avuto
“solo” grandi giocatrici che sono diventate
campionesse grazie all'intelligenza tattica e alla forte
abnegazione, e non certo a immense ed uniche doti
biologiche connaturate dalla nascita e poi sviluppate.
Ma questa tendenza alla “mediocre eccelsa” - ovvero
a quella tipologia di giocatrice che non sarebbe stata
nessuno se non avesse sviluppato doti fisiche e
tattiche fuori dal comune - potrebbe essere infranta
dal nuovo astro nascente del tennis femminile
italiano: Camila Giorgi.
Questa giocatrice, per la verità italo-argentina, nata a
Macerata il 30 dicembre 1991, sembra all'occhio dei
più un cavallo pazzo in cerca dell'egregio fantino che
possa ammaestrarne il grande potenziale. La Giorgi,
che non è un gigante, e raggiunge un onestissimo
1.68 di altezza, presenta un fisico molto tonico, che le
consente una potenza, in entrambi i colpi di
rimbalzo, davvero devastante per una della sua
stazza, e che le consente di reggere ad armi pari –
anzi a potenza pari – il confronto con le migliori
picchiatrici del circuito, e ne è una prova la vittoria
ottenuta contro la Sharapova quest'anno ad Indian
Wells, in una partita davvero tirata e ad altissimo
livello, che solo pochissime giocatrice al mondo
potevano portare a casa. In più - sempre questo suo
fisico - le permette una buona mobilità in campo, che
può ancora
migliorare e che sicuramente migliorerà strada
facendo.
Inoltre, quel suo servizio, tecnicamente ben eseguito,
ma che gli anni scorsi le provocava qualche doppio
fallo di troppo, si sta regolarizzando: la prima non è
debole, è potente e precisa, ed anche la seconda sta
diventando man mano solida, grazie ad una fluida
rotazione in kick.
Possiamo capire che avere due colpi da fondo campo
tirati con la stessa potenza di una top 3 non è poco, e
avere anche il servizio, è un vantaggio quasi dopante
rispetto ad un'altra qualsiasi giocatrice.
Ma la Giorgi ci ha mostrato di avere anche una buona
mano a rete, e se la sua convinzione nell'andarci –
nelle situazioni opportune – aumentasse, assieme
Un pensierino, però, potremmo effettivamente
farcelo...
alla posizione – che non è perfetta proprio per questo
motivo -, potremmo assistere ad una giocatrice che,
se matura come sperato, avrebbe una varietà di colpi
incredibile per il tennis femminile.
nche perché il suo anticipo nei colpi di rimbalzo è
una caratteristica molto rara nel circuito Wta, che
non sarà ovviamente quello della Bartoli, ma è
sicuramente tra i migliori. Insomma, come tipologia
di gioco, potremmo anche parlare, con un pizzico di
fantasia, di un Fognini donna stilisticamente
parlando – perché eclettica come gioco, forte sia a
difendere che ad attaccare, con una grande varietà di
colpi –, non certo caratterialmente, visto che se
Fognini ci appare con così tanta personalità se non
troppa, Camila, a dire il vero, sembra sempre così
timida e schiva davanti alle telecamere.
Visti questi aspetti tecnici appena analizzati, sarebbe
lecito chiedersi se ci troviamo di fronte – e davvero a quel grande talento tennistico che in Italia perlomeno nel settore femminile - ci è sempre
mancato.
Un pensierino, però, potremmo effettivamente
farcelo...
Perchè quando si vince
pensate subito al doping?
di Adriano S
L'uomo ha un masochistico bisogno di non darsi pace, è
evidente.
L'uomo ha un masochistico bisogno di non darsi
pace, è evidente. Ovviamente anche nello sport, e
nello specifico nel tennis, questo bisogno atavico
viene puntualmente fuori. Quasi nessuno fra i
vincenti è riuscito a non destare sospetti di doping.
Udite udite: ultimamente è stato accusato persino
Roger Federer. E' difficile, impossibile per i più
infervorati, capire come un 33enne riesca ancora a
competere a certi livelli.
Allora è stato ripescato materiale del 2010 che
associava l'utilizzo di EPO alla contrazione della
mononucleosi, che debilitò lo svizzero quasi 5 anni
fa.
Le reazioni sono state imbarazzantemente
incoerenti.
Da una parte gli ultras dello svizzero, inorriditi dalla
bestemmia e pronti a rilanciare grazie al nuovo
StemCell treatment di Nadal; dall'altra gli ultras del
maiorchino, rinfrancati a tal punto da dire:
'Finalmente qualcuno accusa Federer e lascia in pace
Rafa'.
l re dei sospetti è infatti storicamente Rafa Nadal. Da
quando è sceso sul pianeta terra è stato visto come
un Visitor dalle cattive intenzioni. Colpa della sua
massa muscolare, delle sue energie inesauribili, della
politica spagnola 'filodopeggiante' dell'era Fuentes.
Si è tanto dibattuto sull'argomento ed è stato umano
discuterne, ma non è mai stato trovato uno straccio
di prova.
A un certo punto, quando un processo finisce,
bisognerebbe accertare il verdetto, invece quando
Rafa torna a vincere riparte l'ondata di accuse. I suoi
fan, giustamente, lo difendono a spada tratta,
innescando discussioni barbariche sui social con gli
'aggressori'. Allora si presume che, per proprietà
transitiva, non debbano loro accusare altri.
Quando Novak Djokovic ha iniziato a vincere con
continuità, è stata invece la volta dei tifosi di Nadal.
'Inaccettabile!', 'Una dieta non fa primavera!'.
L'uovo magico, una forma di 'pulizia' del sangue
considerata dopante in paesi come l'Italia, aveva
catalizzato le attenzioni del mondo intero dopo un
servizio statunitense sull'argomento.
Solo che quell'uovo ipobarico Nole lo utilizzò l'anno
prima della sua esplosione. Ormai si era però trovato
l'appiglio dal quale potersi sporgere per urlare 'al
doping! al doping!'. Da che pulpito.
Neanche la Madonna di Medjugorje credeva in cuor
suo, nonostante qualsiasi genere di Ave Maria si
potesse sfornare, che Marin Cilic avrebbe potuto
vincere uno Slam. Figuriamoci se sono riusciti ad
accettarlo i 'dopinghunters' del web.
C'era persino il precedente della squalifica per doping
(sarebbe meglio chiamarla negligenza, ma passi), ad
alimentare il sospetto. Figuriamoci se Cilic può dare
lezioni di tennis a Federer; troppo complicato
pensare che abbia vinto gli Us Open solo con le sue
forze. Bisogna immedesimarsi nelle persone per
provare a capirle meglio.
Ecco, io credo che si entri in una sorta di trance, nella
quale si vede solo ciò che si vuol vedere o sentire.
Così non ha senso il progresso graduale e inesorabile
di Cilic da inizio anno con culmine a New York, non
ha senso una 15giorni da Dio e ha senso solo
l'escamotage del pensiero.
Rassegnamoci.
Se provi a vincere, sei fregato.
A meno che tu non desti particolare pena, come
Murray, non abbia la faccia da buono, come Del
Potro, o la pancetta come Stan Wawrinka.
Il mese più lungo
di Alex Bisi
Dicembre, l’ultimo mese dell’anno è anche il più ricco dei
12 che compongono l’anno solare.
Dicembre, l’ultimo mese dell’anno è anche il più ricco
dei 12 che compongono l’anno solare. E’ il momento
giusto per meditare su quello che è successo durante
gli altri 11 mesi e fare bilanci su come siano andati, ed
è anche un buon momento per stilare nuovi propositi
per l’anno che verrà, ma è soprattutto il mese del
Natale. In questi 31 giorni si è più indaffarati che mai,
la preparazione degli addobbi natalizi, alberi ,
presepi, calze, lunghe code nei negozi per i regali, le
grandi abbuffate che durano fino alla befana
lasciandoci qualche chilo di troppo come ricordo alla
loro conclusione.
Ma è ricco anche di sentimenti positivi, non solo di
impegni. Per tradizione si è tutti più buoni, è
un’occasione per ritrovarsi assieme alla famiglia e
magari lasciare fuori al freddo i problemi della vita
quotidiana, almeno per un pò.
Ma si sa, come spesso succede, in tutte le cose c’è un
rovescio della medaglia, e per un appassionato di
tennis Dicembre è il mese più difficile, quello in cui
non ci sono competizioni da seguire.
Un calvario per chi solitamente segue almeno un
torneo ogni settimana,una via crucis che dura fino a
quando non iniziano i tornei preparatori
all’Australian Open a Gennaio. Dopo mesi e mesi di
abbuffate sportive, l’appassionato della racchetta si
ritrova sperduto, prosciugato di ogni sua passione,
non gli resta che vivere di ricordi, ripercorrendo la
stagione appena conclusa.
I più previdenti , con gran gioia delle mogli
(sarcasmo), hanno partite registrate da poter
guardare nei momenti in cui l’astinenza raggiunge i
livelli massimi, e divorano match già visti come fosse
la prima volta, anche se in verità conoscono a
memoria ogni scambio.
Li riconosci subito, pigiama, ciotola di pop-corn
davanti alla tv, con la moglie che lo guarda con
compassione, mentre ripensa alle parole del parroco
di qualche anno fa, quando si sposarono.
I meno previdenti invece si rifugiano in riviste ,
internet e ritrovi con amici che condividono lo stesso
problema e passano ore a parlare di aneddotti e
previsioni sulla stagione futura con le rispettive mogli
che li osservano a distanza, capendo lo stato d’animo
di un drogato in astinenza.
Se non siete appassionati di tennis, queste righe forse
faranno luce sui vostri dubbi sul perché,
al pranzo di Santo Stefano il vostro amico tennista,
sembrava avesse la sindrome di Stendhal mentre gli
parlavate della vostra vacanza in montagna.
Sembrava non volesse esser lì perché in realtà in quel
momento lui stava rivivendo la finale di Davis, non
siate indifferenti con persone affette da questo
problema, cercate di stargli vicino chiedendoli come
sta la schiena di Federer e vedrete che i loro occhi
torneranno a splendere di luce.
Siate empatici con i malati di tennis, perché questi 31
giorni per loro sono veramente difficili, e se a Natale
siamo tutti più buoni non si può esimersi da questa
opera caritatevole.
Vorrei potervi dare qualche altro consiglio, ma devo
andare, inizia la finale di Wimbledon…
Buone Feste a tutti!!!!
Goal Setting
di Laura Saggio
Il termine Goal setting significa: programmazione degli
obiettivi.
L’atleta, insieme al suo staff, prima dell’inizio di ogni
stagione pianifica gli obiettivi da raggiungere durante
il corso dei vari tornei. Può accadere che, in alcuni
casi, causa infortuni, fattori esterni o emotivi, il
giocatore si trovi come smarrito e non riesca a
recuperare le energie necessarie per riprendere le
giuste coordinate. Questa perdita di rotta può
causare un notevole calo di performance,
compromettendo l’esito di una stagione, se non a
volte addirittura di una carriera.
Per queste motivazioni è necessaria un’efficace
strategia di programmazione che sia modulabile
durante l’arco delle competizioni.
Dividere gli obiettivi in tre periodi (breve, medio,
lungo termine) di solito risulta la tecnica migliore
affinché l’atleta riesca ad ottenere un miglioramento
(o un recupero) graduale di prestazione.
C’è infatti un nesso tra i livelli di motivazione,
determinazione, impegno, costanza del giocatore
professionista, e la tipologia di obiettivi prefissati. Gli
obiettivi servono da 'focalizzatori' d’attenzione,
stimolano una più alta concentrazione e soprattutto
alimentano la motivazione.
Attraverso la tecnica del goal setting è possibile
pianificare non solo gli obiettivi generici, bensì quelli
più specifici e determinanti, capaci di direzionare
l’atleta fino a una convinta azione concreta.
Due sono i diversi tipi di obiettivi:
OGGETTIVI: cioè misurabili, come ad esempio
raggiungere una determinata posizione in classifica.
Motivazione, convinzione e auto-stimolazione
sono fattori determinanti per ogni atleta
professionista.
SOGGETTIVI: non misurabili (divertirsi, compiere
il gesto tecnico il più preciso possibile).
Lo step successivo interessa il loro indirizzo verso:
-Il risultato
-Una migliore performance
-Se stessi (ricerca di una maggiore resistenza,
velocità)
Nell’organizzazione di questa tabella programmatica
è necessario indicare inoltre:
-La specificità (cosa deve essere fatto);
-Il realismo (deve essere alla portata delle proprie
capacità);
-La valutabilità (gli obiettivi devono essere
quantificabili);
-Il timely (la scadenza per il raggiungimento degli
obiettivi a breve-medio-lungo termine);
-La strategia (riguardo gli aspetti tecnico-tattici).
Lavorare bene sui propri obiettivi significa prepararsi
bene mentalmente prima di iniziare le competizioni.
Motivazione, convinzione e auto-stimolazione sono
fattori determinanti per ogni atleta professionista.
Il collegamento
tattico/tecnico
di Wayne Elderton
Può darsi che non lo abbiate notato, ma la tecnica è l’argomento
preferito della maggior parte delle persone impegnate nel tennis.
Può darsi che non lo abbiate notato, ma la tecnica è
l’argomento preferito della maggior parte delle
persone impegnate nel tennis. I giocatori ne parlano
(basta ascoltare qualsiasi conversazione dopo un
match), gli allenatori ne parlano, e così i genitori, i
commentatori della TV e la lista potrebbe continuare.
La maggioranza delle lezioni che le persone prendono
si concentrano sulla tecnica. Basta guardare i video
sul tennis, le riviste e i siti web, e vedere di cosa si
parla di più. La tecnica sembra essere la grande
fissazione.
Il motivo è che il tennis è uno sport motorio
complesso. La coordinazione, l’agilità e l’equilibrio
richiesti sono impegnativi, anche per il miglior
atleta.
Potete prendere in considerazione un fenomeno
dell’atletica che ha una resistenza mentale
eccezionale (come ad esempio Michael Jordan) e,
senza allenamento nel tennis, verrebbe demolito in
campo dalla maggior parte dei giocatori amatoriali
4.0 +. La loro superiorità tecnica avrebbe la meglio.
Imparare la tecnica è un aspetto cruciale del tennis.
Qualsiasi modo per migliorare e affrettare il processo
dell’apprendimento della tecnica sarebbe
inestimabile per ogni giocatore e ogni allenatore.
Quel processo è ora qui.
Un Nuovo Ordine del Mondo
E’ ovvio che il gioco è cambiato negli ultimi 30 anni.
L’allenamento ha tenuto il passo e continuato ad
evolversi? Benché il “materiale” che viene insegnato
si sia in massima parte modernizzato (guardate tutta
l’enfasi sulla tecnica del gioco moderno negli anni
recenti), il processo usato per allenare è rimasto
sostanzialmente lo stesso.
Una delle principali iniziative che hanno permesso a
questo argomento di emergere negli ultimi anni è il
Games Based Approach (GBA) [l’approccio basato
sul gioco]. Ha guadagnato popolarità nei ambienti
degli allenatori, e il termine è usato frequentemente
senza che gli allenatori ne capiscano realmente la
potente premessa.
La premessa per il GBA è semplice. Il tennis è un
gioco. Ogni gioco deve essere giocato, e giocare è uno
sforzo tattico.
Il successo in ogni gioco richiede chiare intenzioni,
prendere delle decisioni e risolvere i problemi.
Quanto alla tecnica, il tennis non è un pattinaggio
figurato. Non ci sono giudici vicino che dicano “La
tua esecuzione era molto migliore di quella del tuo
avversario, 15 – 0 per te!”
La tecnica è il secondo punto (dopo la tattica), ma
non è secondaria. Non mi fraintendete! Non sto
dicendo che la tecnica non è importante. E’ cruciale
per il successo nel tennis. Pertanto, se veramente
volete preparare la scena per lo sviluppo di un colpo
tecnico significativo, la chiave è la tattica (no, questo
non è un errore di stampa).
Questa priorità tattica può rappresentare un ostacolo
per gli allenatori. Specialmente perché la
maggioranza del loro repertorio di allenamento
consiste di materiale tecnico. Prima che un allenatore
possa incorporare la tattica e spostarsi da un
semplice allenamento tecnico a un allenamento
tattico-tecnico, ci sono delle domande fondamentali
che si deve porre.
Qual è il rapporto fra tattica e tecnica durante
l’allenamento?
Come può l’allenamento passare da tattico a tecnico?
Come può l’allenatore usare tattica e tecnica in modo
sistematico?
La maggior parte dei giocatori e degli allenatori non è
al corrente del dibattito intorno al GBA che si verifica
negli ambienti degli allenatori. I denigratori a torto
pensano che la tecnica sia trattata male o ignorata in
un GBA.
Questo è vero solo se il GBA è applicato in modo
inesatto.
Se capiamo quello che ci dice la ricerca attuale sul
processo di apprendimento motorio e la funzione del
cervello, il GBA è il modo migliore e il più efficace per
imparare la tecnica.
Uno dei modi più efficaci per utilizzare un GBA è
usare quello che io chiamo “Situation training” (ST)
[allenamento nella situazione].
Lo scopo nello ST è identificare le situazioni che i
giocatori incontrano quando sono in partita, e
migliorare il loro rendimento in quelle situazioni.
Sembra una cosa abbastanza semplice, eppure il
tipico allenamento tecnico usato dagli allenatori non
fornisce loro gli strumenti necessari.
Tecnica e tattica diventano una cosa sola.
Per la maggioranza degli allenatori, la tecnica e la
tattica sono due categorie distinte e separate. Niente
può essere più lontano dalla verità. Nel mondo
odierno dell’analisi biomeccanica e dell’alta velocità
nell’immagine digitale, il legame tattico/tecnico
troppo spesso si perde. Questa falsa separazione fa sì
che i giocatori spendano migliaia di dollari in lezioni
tecniche che migliorano l’aspetto dei loro colpi, ma
non migliorano affatto il loro gioco. Domandate a
qualsiasi gruppo di giocatori di amatoriali: “Quanti di
voi perdono con avversari tecnicamente peggiori di
voi?” e quasi tutti alzeranno la mano. Tutti vi
possono parlare delle più recenti tecniche, ma pochi
sanno come giocare bene. E questo non dovrebbe
accadere.
Il rapporto tattico/tecnico è semplice. La tecnica è
solo un mezzo per implementare una tattica. La
capacità tecnica da sola è inutile in una partita se non
viene usata nel modo giusto, al momento giusto e nel
luogo giusto. Il fatto è che, senza tattica, dei buoni
colpi tecnici sono semplicemente un esercizio per
mostrare di avere classe. Immaginate un giocatore di
pallone che dà un calcio alla palla con impeccabile
abilità. Il suo colpo in rete confonde facilmente il
portiere. Benché lui abbia dato il calcio con grande
tecnica, la sua squadra era furibonda. Perché? Sotto
la pressione, aveva messo la palla nella sua stessa
rete. Buona tecnica, tattica sbagliata. Questo può
essere un esempio estremo, eppure nel tennis i
giocatori di continuo mettono in pratica idee
veramente brutte con bei colpi.
Imparare un colpo senza un’intenzione tattica è una
cosa incompleta. Quanti giocatori hanno avuto un
allenatore che li ha riempiti di cesti di palle per
“incidere” un colpo che poi non hanno potuto usare
in partita? Se l’allenatore non dedica tanto tempo a
integrare la capacità nel gioco tattico, è molto poco
probabile che il giocatore sappia usarlo nel corso di
una vera partita.
Il motivo? Il colpo era stato appreso isolato dalla
realtà. Nel giocare una vera partita, ogni colpo
richiede che si prenda una decisione. La tattica è
proprio prendere una decisione. E’ la scelta che un
giocatore fa di quale tecnica usare, quando, dove e
contro chi. Nessuno può giocare bene senza tattica, e
nessuna tattica può essere messa in pratica senza
prendere una qualche decisione.
Attenzione: se un allenatore riesce a cogliere il punto
cruciale, cioè che c’è una semplice connessione fra
tattiche e tecniche, il suo modo di allenare migliora
sensibilmente.
Esploriamo la tattica che sta dietro le tecniche. Nella
foto 1, la giocatrice accompagna in basso, verso il
fianco sinistro. Questo sarebbe considerato errato da
molti allenatori. E pertanto è un’ottima tecnica
quando la tattica è una palla di attacco ricevuta in
alto (specialmente se l’intenzione è di accompagnarla
verso la rete). Questo accompagnamento è la
conseguenza naturale del livello di accelerazione
della racchetta attraverso la palla, causato da un
impatto dall’altezza del petto, unito a una completa
rotazione del corpo. Qualunque altro modo di
accompagnare non avrebbe permesso al corpo e alla
racchetta di fare ciò che era necessario per eseguire la
tattica.
Nella foto 2 l’accompagnamento è eseguito nel
modo “più classico” che termina sopra la spalla.
La Tattica Determina Qual Tecnica è
“Giusta”!
Per esempio, osserviamo nelle tre fotografie il modo
in cui una giocatrice top accompagna il colpo.
Ricordate, sono tutti colpi di diritto, e tutti durante
Questo è stato il risultato dell’aver colpito con un tiro
con effetto penetrante in profondità, per
neutralizzare l’avversario durante uno scambio.
Nella terza foto, l’accompagnamento si limita a
girare intorno alla parte posteriore della testa.
Questo sistema è stato chiamato”finale
invertito”,”bender” o “flip”. Io lo descriverò a volte
come un finale “al laccio”. Comunque sia chiamato,
questo strano finale è diventato popolare con tutti i
professionisti.
La tattica è che l’avversario ha eseguito il tiro con una
velocità che ha spinto la giocatrice verso il lato.
Per rispondere, lei ricambia con un alto effetto ad
arco per guadagnare tempo.
L’intensa preparazione necessaria per ricevere il
colpo più potente, l’impatto sul fianco (un impatto
frontale non avrebbe consentito la necessaria
traiettoria verticale), la rapida azione dal basso verso
l’alto sono stati il risultato di questo modo di
accompagnare.
Questi non sono casi unici. Basti guardare un
qualsiasi torneo di professionisti, e potrete vedere
costantemente questi modi di accompagnare. Sono
forse sbagliate le foto 1 e 3? Se sì, quei professionisti
dovrebbero restituire i loro milioni di dollari!
Ovviamente, sono tutti modi di accompagnare
“giusti” (perfettamente adatti alla situazione
incontrata).
Tecnicamente, non è solo l’accompagnamento a
variare quando cambia la tattica, ma variano anche
la misura della preparazione, la velocità e il ritmo del
swing, il percorso della racchetta, la rotazione del
corpo, il punto d’impatto e il lavoro di gambe. Queste
cose non sono espressione degli stili dei giocatori, ma
l’applicazione di una specifica tecnica di situazione.
Ogni giocatore professionista sa (coscientemente o
incoscientemente) che c’è un legame diretto fra
tattica e tecnica. Sono solo gli allenatori che non lo
capiscono. Questo legame può sembrare complicato
all’inizio ma, nella mia esperienza di allenatore di
centinaia e centinaia di allenatori, è uno dei concetti
più importanti da conoscere per un allenamento di
livello superiore (non è questione di allenare
giocatori di alto livello, ma allenare ad alto livello).
Il legame passa da tattico a tecnico (o da tecnico a
tattico) attraverso i seguenti passi:
Tattica
Prima bisogna definire la tattica di cui il giocatore ha
bisogno per esibirsi (ad esempio un colpo di scambio
diritto attraverso il campo per neutralizzare
l’avversario). La tattica comprende le intenzioni, le
decisioni e la soluzione del problema su cui il
giocatore si deve impegnare per vincere più punti (o
per perderne di meno).
Controllo della Palla
Successivamente, determinare le caratteristiche
chiave del controllo della palla necessario perché la
tattica abbia effetto. Questo include il ricevere i
diversi controlli della palla e anche l’inviarli.
Il controllo della palla è un ponte cruciale fra tattica e
tecnica.
I 5 Controlli della Palla sono:
* Altezza
* Direzione
* Distanza
* Velocità
* Effetto
Nel nostro esempio di diritto, la palla deve essere più
alta, con una traiettoria ad arco e effetto, verso
l’angolo opposto del campo. Il modo in cui la palla è
controllata è determinato direttamente da ciò che la
racchetta fa alla palla al momento dell’impatto.
Questi sono chiamati i Princìpi P.A.S. (Traiettoria,
Angolo e Velocità della racchetta). Nel nostro caso, la
traiettoria della racchetta sarebbe dal basso verso
l’alto (circa 40 gradi), l’angolo sarebbe verticale
con le corde che guardano verso l’angolo opposto del
campo, e la velocità sarebbe media, ma accelerando
verso l’impatto per dare l’effetto. Ricordate, la
meccanica del corpo non determina direttamente
quello che fa la palla, sono i Princìpi PAS che lo
determinano!
Tecnica
Alla fine, bisogna applicare la meccanica necessaria
ad eseguire i tiri con coerenza, a velocità più alta
senza sprecare energia (economia) e minimizzando
gli infortuni (efficienza); (ad esempio un appropriato
legame dei segmenti del corpo dal suolo in su). Nella
nostra metodologia canadese, noi effettivamente
includiamo il Controllo della Palla nella categoria
tecnica. E’ chiamato “la doppia definizione della
tecnica” (quello che fa la palla e quello che fa il corpo
del giocatore).
Il punto chiave è che la tecnica è “giusta” solo
se porta a termine il compito che le era stato
assegnato.
Quando ero un giovane allenatore senza esperienza,
ho sprecato troppe ore a controllare “forma” e
”aspetto” dei colpi dei giocatori (sfortunatamente,
senza migliorare molto la loro prestazione nel
match).
Un allenatore spesso noterà (e lo commenterà con il
giocatore) un certo numero di problemi tecnici;
comunque dovrebbe concentrarsi solamente su
quello che aiuta la prestazione del giocatore.
L’istruzione tecnica dovrebbe essere di controllare la
palla per eseguire una tattica (non solamente perché
un allenatore vuole che il giocatore abbia un
determinato aspetto).
Imparare la tecnica giusta.
Allora quale tecnica insegnate? Esiste qualcosa come
una tecnica “basilare” che tutti dovrebbero imparare?
Pensate a tutte le ore che gli allenatori trascorrono
alimentando migliaia di colpi “diritti” dal cesto. Le
domande che dovrebbero formulare sono, “Quale
diritto si sta imparando?”, “E’ quello più utile?” e “E
gli altri, necessari per il successo del gioco?”
In un GBA, l’imparare il gioco inizia con i colpi di
scambio (dato che lo scopo principale dei giocatori
che iniziano è uno scambio costante). Lo stesso
principio vale per il servizio e le volées (questi colpi,
che permettono a un giocatore di restare neutrale,
sono il miglior modo di cominciare).
Pertanto, avendo detto quanto sopra, anche per chi è
agli inizi, appena cambia la situazione deve cambiare
anche la tecnica. Ogni colpo nel tennis è come un
movimento negli scacchi.
Il giocatore vede quello che sta facendo l’avversario,
la sua posizione e la palla ricevuta, decide quale
tattica usare e adatta la tecnica specifica alla
situazione. Se la tecnica non si adatta alla situazione,
ne risulterà un brutto tiro. Il cercare di usare il colpo
diritto del tipo “misura unica” per cui hanno pagato
centinaia di dollari non funziona. Senza adattamento
non c’è efficacia.
Dopo i colpi neutri, sarebbe bene aggiungere azioni
difensive (per mantenere la costanza quando si è
maggiormente sfidati). Allora potrebbero essere
aggiunte azioni di attacco per aumentare la pressione
sugli avversari, e finalmente azioni contrastanti per
imparare a gestire un gioco a più alta velocità e
capovolgere la situazione contro gli avversari.
Qualunque sia la tecnica imparata, è importante che
gli allenatori mantengano il legame fra la loro
Tattica, il Controllo della Palla e la Tecnica. Maggiore
il distacco, maggiore sarà il disservizio reso al
giocatore che impara le tecniche.
Conclusione
Per esempio, vedete chiaramente che il vostro
avversario è dal lato del suo diritto, e lui vi manda
una mediocre palla di scambio attraverso il campo
verso il vostro diritto. Quale tecnica di diritto
applicate? L’effetto ad angolo acuto attraverso il
campo? L’effetto profondo con un arco chiuso verso
il centro? O cambiate la direzione della palla con un
colpo lungo la linea?
Ogni colpo nel tennis offre delle scelte, e ogni scelta
richiede una tecnica molto diversa. La vostra scelta è
altrettanto importante quanto la vostra forma.
Imparare i colpi in ripetizione isolata (separata dal
gioco) non mette i giocatori completamente in grado
di giocare con successo. Il tennis non è stato creato
perché i giocatori possano concludere il colpo! La
tecnica è solo un mezzo per giocare (non fine a se
stessa). Per imparare veramente la tecnica
pertinente, pratica e utile, ricordate il punto chiave:
la tattica.
Reprinted with permission of TennisPro, the official
publication of Professional Tennis Registry.