Testo Nel corso degli ultimi decenni la storiografia francese sulla

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Testo Nel corso degli ultimi decenni la storiografia francese sulla
UNA PROTEZIONE DELLA NATURA “ALLA FRANCESE”?
NOTE E RIFLESSIONI SU UN RECENTE CONVEGNO
di Luigi Piccioni
Testo
Nel corso degli ultimi decenni la storiografia francese sulla protezione della natura
ha fatto un poco la figura della cenerentola rispetto a storiografie come quelle statunitense, tedesca o britannica. Non che siano mancate una produzione scientifica interessante e una riflessione teorica significativa, ma un osservatore attento alle dimensioni
internazionali della ricerca non poteva non osservare una certa fatica da parte degli studiosi francesi – e degli studiosi stranieri che si occupavano di Francia – a connettere i
loro lavori con quelli di altri paesi e a renderli maggiormente visibili. Ciò poteva essere considerato tanto come la conseguenza di uno specifico ritardo disciplinare nazionale quanto come un riflesso di quello che è stato talvolta tematizzato come un più generale ritardo francese nel campo della protezione della natura. Una delle analisi più note
e compiute di questo preteso ritardo è peraltro contenuta in uno dei migliori studi storici sull’argomento, il libro dell’americano Michael Bess pubblicato nel 2003 con il significativo titolo The green light society1.
Non è un caso quindi che al ricco convegno parigino organizzato nei giorni 23-25
settembre 2010 e coordinato da Jean-François Mouhot dell’Università di Birmingham
e da Charles-François Mathis della Sorbona2 sia stato dato il titolo «Une protection de
la nature et de l’environnement à la française?», domanda che esprimeva in generale la
preoccupazione di comprendere se si potesse parlare di una specificità francese in cam-
1. Bess (2003). In realtà l’ampio ed elegante resoconto dello studioso americano, ricostruzione tanto della storia dell’ambientalismo francese quanto dell’atteggiamento della popolazione e delle istituzioni nazionali nei confronti della natura, non conferma la popolare
percezione di una Francia “relatively ungreen” ma sottolinea piuttosto il carattere tipicamente “moderato” dell’approccio francese all’ambiente, sforzandosi di individuarne le radici storiche e culturali.
2. Il convegno è stato organizzato in corrispondenza del cinquantesimo anniversario
della legge quadro francese sui parchi nazionali dalla neonata Association pour l’histoire de
la protection de la nature et de l’environnement-AHPNE ed è stato pensato come l’occasione per il suo battesimo pubblico. Hanno dato il loro contributo finanziario e la loro collaborazione i ministeri dell’ecologia e della cultura, la scuola dottorale dell’università Paris
Sorbonne e l’università Paris-Sud “Jean Monnet”.
Società e storia n. 132, 2011
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po protezionistico ma in subordine anche se tale specificità potesse eventualmente configurarsi come un “ritardo” rispetto ad altri paesi industrializzati.
Durante l’incontro la ricerca di un’eventuale specificità francese in termini di ritardo imputabile a specifiche radici culturali non è andata in effetti oltre qualche reiterato
– e piuttosto fragile – richiamo al peso del cattolicesimo nella cultura nazionale3 mentre al contrario il ventaglio delle oltre quaranta comunicazioni ha contribuito a delineare un ampio affresco della storia del protezionismo francese a partire dal quale si può
tentare di individuare in modo più preciso i punti di convergenza e di differenziazione
rispetto alle grandi linee internazionali dell’evoluzione della protezione della natura
nel corso degli ultimi centocinquanta anni.
Tale affresco sembra anzitutto suggerire che effettivamente la sensibilità nei confronti natura e della sua protezione sia stata storicamente meno profonda e condivisa
nell’opinione pubblica francese rispetto a quella di importanti strati della popolazione
statunitense, britannica o tedesca4. Una riprova significativa di tutto questo è venuta
soprattutto da chi, come ad esempio Valerie Chansigaud, si è occupato di un periodo
cruciale e a torto poco considerato come i decenni a cavallo tra otto e novecento. La
notevole comunicazione di Chansigaud5 su un tema apparentemente minore ha permesso di cogliere un effettivo ritardo francese in questo campo, protrattosi ben dentro
il novecento, che appare però più imputabile alla specifica tempistica dell’industrializzazione, dei processi di urbanizzazione e della nascita di una società di massa che
non a vaghi accenni a questa o a quella egemonia religiosa. D’altro canto già dalla seconda metà dell’ottocento i processi di diffusione di sensibilità protezionistiche sono
globali e nessun paese avanzato ne rimane immune, anche se ciascuna area li decanta
con modalità proprie, che appaiono variare sulla base del grado di sviluppo economico-sociale, di sedimentati approcci locali alla natura e del livello di strutturazione e di
cultura delle élite borghesi. Se sin dalla seconda metà dell’ottocento la Francia mostra
quindi alcune specificità che possono essere interpretate come “ritardo”, essa lo fa in
ogni caso collocandosi nella fascia intermedia di un continuum6 nel quale, ad esempio, paesi occidentali come la Spagna e l’Italia si trovano in posizioni ben più “ritardatarie”.
3. È stato in particolare della comunicazione di Mark Stoll della Texas Tech University,
intitolata Religious Roots of France Light-Green Society.
4. La questione, come è noto, è piuttosto controversa e vede contrapporsi coloro che
mostrano una forte attenzione verso la storia culturale e coloro che tendono a mettere in secondo piano il peso dell’immaginario nella spiegazione dello sviluppo della tutela ambientale rispetto alla dimensione istituzionale. Un buon esempio in quest’ultimo senso è il saggio di Radkau (2005), ma non è forse inutile ricordare come alcuni dei più innovativi e stimolanti lavori nel campo della storia ambientale hanno proprio riguardato l’evoluzione storica – in determinate aree e periodi – di categorie culturali come l’immaginario, la sensibilità, il “sentimento della natura” e le “idee ecologiche”, da Nash (1982) a Thomas (1983),
da Hays (1987) a Worster (1994), da Olwig (2002) a Walter (2004).
5. La protection des oiseaux en France (1844-1912). Nella parte finale dell’intervento
l’autrice ha ricostruito le diverse tempistiche della creazione e della crescita di popolarità
delle società per la protezione degli uccelli in Gran Bretagna, Germania e Francia tra otto e
novecento, un confronto nel quale la Francia risulta nettamente in svantaggio su tutti i fronti. Chansigaud ha al suo attivo due notevoli opere recenti, una sulla storia dell’ornitologia e
una sulla storia dell’illustrazione naturalistica. Chansigaud (2007; 2009).
6. Su questo continuum insiste a più riprese Michael Bess proprio discutendo del caso
francese. Bess (2003), pp. 14-15, 52-53, 84-88, 237-241.
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L’affresco disegnato dalle varie comunicazioni sottolinea conseguentemente tanto
le specificità quanto i punti di contatto con i protezionismi europei e nordamericani ma
conferma e dettaglia in ogni caso la piena appartenenza della Francia a tale continuum.
Un’appartenenza dimostrata dalla nascita di associazioni interessate alla tutela ambientale già nella seconda metà dell’ottocento come la Société d’acclimatation studiata da
Remi Luglia7; la precocità della legislazione nazionale di tutela (risalente almeno al
1906)8; i fitti rapporti tra ambienti protezionistici – e poi ecologisti – francesi e di altri
paesi europei9; la piena adesione alla “rinascita” del protezionismo internazionale del
secondo dopoguerra in una posizione anzi di centralità grazie al ruolo svolto dai francesi fino ai primi anni sessanta nell’Union internationale pour la conservation de la
nature10; il coerente e ampio sforzo di recupero del tempo perduto nel campo della
conservazione della natura da parte delle autorità centrali mediante i provvedimenti dei
primi anni sessanta riguardanti le aree protette11; la nascita, negli anni cinquanta, di un
dibattito teorico12 che ha poco da invidiare a quello in corso in altri paesi e che darà un
grande contributo alla comparsa di una forte corrente di ecologia politica, oggi più che
mai alla ribalta con i suoi nove parlamentari nazionali e ben quattordici europarlamentari.
Nonostante tutto questo, come si è accennato in apertura, la storiografia sulla tutela
ambientale negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Germania è apparsa spesso assai più
vivace e articolata, per ragioni peraltro non difficili da comprendere. Se da un lato, infatti, una sensibilità popolare più precoce e diffusa nei confronti della natura ha favorito in questi paesi un’espansione precoce degli environmental studies, da un altro lato
7. La sua comunicazione, che fa riferimento a un’ampia ricerca ancora in corso, era intitolata La Société d’acclimatation et le dépeuplement des cours d’eaux français (milieu
XIXe-milieu XXe siècles).
8. Nessuna comunicazione è stata sorprendentemente dedicata alla legge Beauquier del
1906 sulla protezione dei «siti naturali di interesse artistico», una delle primissime leggi nazionali promulgate in Europa in campo ambientale, ma bisogna aggiungere che questa lacuna riflette una più generale assenza di studi approfonditi sull’argomento. In modo alquanto
paradossale gli unici intervenuti a trattare l’argomento sono stati chi scrive, nell’ambito di
una comunicazione intitolata L’influence de la France dans la protection de la nature en
Italie au début du XXe siècle, e due studiosi di legislazione ambientale italiana come
François Lafarge e Cinzia Profeti (Le critère esthétique dans les prèmieres lois de protection de la nature en France et en Italie). Gli atti del colloquio verranno pubblicati entro il
2011.
9. Di grande interesse in tal senso la comunicazione di Anna-Katharina Wöbse dell’università di Bielefeld sui rapporti tra le comunità di protezionisti francese e tedesca tra l’inizio e la metà del novecento.
10. A questo tema è stata dedicata l’articolata comunicazione di Yannick Maharane,
Cristophe Bonneuil, Frédéric Thomas e Adel Selmi dal titolo Out of Yellowstone: le préservationnisme à la française, ses origines coloniales, son influence et son déclin dans les premières années de l’UICN e l’ampio commento che ne ha fatto Gérard Sournia.
11. Alle problematiche riguardanti le aree protette sono state dedicate una decina comunicazioni distribuite su varie sessioni, a testimonianza di un interesse all’argomento che non
fa che crescere.
12. I cui protagonisti ( in particolare alcune figure pur molto diverse tra loro quali Bertrand de Jouvenel, Robert Hainard e Bernard Charbonneau) sono stati lumeggiati in due relazioni di Jean Jacob e Olivier Dard. Una rapida sintesi sul periodo e sui personaggi citati
nella sintesi di Cans (2006, pp. 61-82), il quale è peraltro il segretario dell’AHPNE.
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come non ricordare che in ciascuno di questi paesi la tutela ambientale ha conosciuto
alcune vicende di un impatto simbolico che non ha riscontri altrove? Come non ricordare ad esempio l’importanza dell’“invenzione” dei parchi nazionali13 e della popolarità del concetto di wilderness negli Stati Uniti14? O la precoce e assai specifica sensibilità protezionista inglese, ben lumeggiata da Keith Thomas15 e sancita dalla nascita
di un primo, precocissimo reticolo di associazioni protezionistiche già a partire dagli
anni sessanta dell’ottocento16? O le tappe della vicenda tedesca, scandita via via dal
movimento Heimatschutz17, dall’assai ben studiata sollecitudine nazista per la tutela
ambientale18 e infine per l’anticipatoria esplosione dei Grünen negli anni settanta19? Se
tutto questo è certamente vero, il convegno parigino ha avuto però il merito di mostrare come non ci sia motivo di continuare a considerare la Francia in una posizione marginale rispetto a questi paesi, sia per la rilevanza delle vicende storiche in sè sia per la
presenza di una storiografia sull’argomento ormai ben articolata e sofisticata.
Di tali caratteristiche già il programma dell’incontro è stata espressione molto chiara, con le sue sei sessioni, le sedici sotto-sessioni, i quattro momenti di riunione plenaria costituiti dalla seduta di apertura, da una tavola rotonda, da una conferenza e dalle
conclusioni di Jean-Paul Deléage, i circa sessanta relatori e le oltre centoquaranta persone costantemente presenti nei tre giorni dell’iniziativa. La prima sessione ha cercato di
mettere a tema la questione molto generale della possibile specificità francese («Un regard français sur l’environnement?») analizzando le modalità attraverso le quali i protezionisti e le autorità francesi hanno via via cercato di concettualizzare la natura, le ragioni della sua protezione e le possibili modalità di tale protezione. Tra le comunicazioni di questa sessione sono da segnalare in particolare quella comparativa di Florian
Charvolin su Le donné, le protocole et le styles nationaux de quantification de la nature, il bilancio problematico di Charles Lionel e Bernard Kalaora (Protection de la nature et environnement en France: une dynamique inaboutie), la presentazione da parte di
John Thompson e Marie Bonnin del ruolo svolto dal concetto di “solidarietà ecologica”
nella recente legge di riforma delle aree protette e la ricostruzione dell’evoluzione dei
programmi scolastici di educazione ambientale da parte di Marco Barroca-Paccard.
Parallelamente, una seconda sessione si interrogava sulle dimensioni sovranazionali della protezione della natura francese (France, Europe et colonies) sia ricostruendo i
rapporti, già vivi a fine ottocento, tra protezionismo francese e protezionismi di altri
paesi europei, sia soprattutto analizzando l’importanza delle esperienze di tutela attuate nelle colonie, laboratori cruciali per la successiva importazione di competenze e mo13. Nash (1970).
14. Nash (19823); Callicot e Nelson (1998).
15. Thomas (1983) e Mathis (2010).
16. Ranlett (1982).
17. Sul movimento Heimatschutz, di eccezionale rilievo nell’Europa del primo novecento per la complessità delle sue basi teoriche, per il largo seguito di massa e per la sua
ricca articolazione internazionale, la letteratura è ormai molto ampia e in continuo divenire,
sostenuta oltretutto da un notevole interesse anche fuori dai confini dei paesi di lingua tedesca. Per questo motivo è possibile disporre di eccellenti studi sull’argomento anche in inglese, tra questi vanno segnalati almeno Rollins (1997) e Lekan (2004), mentre un’opera di
riferimento in tedesco è Knaut (1993).
18. Anche su questo argomento la bibliografia è molto ricca. Tra le opere più recenti ed
accessibili si segnalano Brüggemeier, Cioc e Zeller, a cura di, (2005) e Uekoetter (2006).
19. Una recente sintesi storica al riguardo, dal taglio soprattutto socio-politologico è costituita da Markham (2008).
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delli gestionali nell’area metropolitana. Il tema del ruolo delle colonie nello sviluppo
delle politiche forestali e ambientali dei paesi occidentali ha assunto di recente un
grande rilievo storiografico20, e la Francia naturalmente non fa eccezione. Due affollate sotto-sessioni sono state infatti dedicate al tema «Les colonies françaises dans la
protection de la nature», una nel tentativo di individuare un modello nazionale specifico e un’altra tendente ad esplorare l’influenza delle forme di tutela adottate nelle colonie su quelle adottate nell’area metropolitana. Di particolare interesse è risultata in
questo caso l’analisi di Adel Selmi21 su come il protezionismo francese dei primi decenni del novecento abbia potuto ottenere dei concreti risultati di tutela e abbia potuto
passare da un interesse prioritariamente paesaggistico a uno naturalistico soprattutto
grazie alle “sperimentazioni” effettuate nelle colonie. Selmi ha oltretutto sottolineato
come proprio nelle colonie si formò gran parte del personale tecnico che dopo la fine
dell’esperienza coloniale avrebbe gestito l’istituzione e l’avvio delle aree protette in
area metropolitana.
La terza sessione si è concentrata sugli aspetti simbolici e della comunicazione
(«Images et écrits de l’environnement»), analizzando sia il modo in cui la natura e la
sua protezione sono state rappresentate nei mezzi di comunicazione di massa e in ambito artistico-letterario, sia nel discorso politico-amministrativo. Una sotto-sessione è
stata così interamente dedicata alla rappresentazione della natura e della protezione
della natura in televisione, una seconda alla rappresentazione letteraria e una terza alla
costruzione dei paradigmi politici del protezionismo sia in ambito elettorale che in
quello del governo dell’ambiente.
Molto ricca, non casualmente, la quarta sessione dedicata a un tema che sta conoscendo da qualche anno una grande fortuna: quello delle aree protette («Les parcs et
les réserves, instruments de la protection de la nature et de l’environnement»). La ricerca francese sui parchi presenta infatti un dinamismo notevole, del quale sono protagonisti sia degli storici sia molti scienziati sociali fortemente interessati alla dimensione storica22. Collettivi di giovani geografi, ad esempio, hanno dato vita a opere di qualità23 e a interessanti confronti pluridisciplinari internazionali24 e diversi dei protagonisti di questi confronti (Lionel Laslaz, Karine Basset, Nacima Barron-Yelles, Farid
Benhammou) hanno portato i risultati delle loro ricerche anche nel colloquio parigino.
Si è qui verificata, di conseguenza, una felice coincidenza tra la scelta di dedicare l’incontro al cinquantesimo anniversario della legge quadro francese sui parchi nazionali e
un fermento di studi sull’argomento che ha pochi paragoni in Europa. Tra le comunicazioni vanno segnalate in particolare quella di Lionel Laslaz che ha ricostruito la parabola dei parchi nazionali francesi vista attraverso l’evoluzione della legislazione25,
quella di Guillaume Blanc che ha mostrato la logica nazional-patrimoniale ancora sot20. Si veda ad esempio la messa a punto di Barton (2001).
21. Noto soprattutto per una pregevole ricerca sull’istituzione del primo parco nazionale francese: Selmi (2006).
22. Un’interessante ricostruzione del fenomeno è in Héritier, Laslaz (a cura di) (2008),
pp. 11-13.
23. Si veda il manuale di Samuel Depraz (2008) e l’opera collettiva, già citata, di Héritier, Laslaz (a cura di) (2008).
24. Come ad esempio l’incontro di Chambery del settembre 2009 sul tema «Espace
protégés, acceptation sociale et conflits environnementaux». Si veda Laslaz, Gauchon, Duval-Massaloux, Héritier (a cura di) (2010).
25. La legge quadro del 1960, di impronta centralistica, è stata modificata nel 2006 con
un impianto più flessibile e democratico, sia per adeguarsi ai più recenti paradigmi interna-
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tesa, a fine novecento, all’istituzione dei parchi nazionali, quella di Nacima BarronYelles su un ambizioso progetto – già avviato da tempo – di data base storiografico riguardante la costruzione della rete dei parchi regionali. La terza sottosessione ha riguardato solo tangenzialmente le aree protette in quanto era dedicata agli attori associativi: se Farid Benhammou e Jean-Pierre Raffin hanno effettivamente affrontato un
tema strettamente connesso ai parchi come il rapporto tra associazioni e tutela/reintroduzione dell’orso, le relazioni di Rémi Luglia e Valerie Chansigaud sono state incentrate sulle origini della protezione della natura in Francia, a cavallo tra Otto e Novecento, grazie all’importante Société d’acclimatation e ai gruppi di difesa dell’avifauna,
poi riunitisi in associazione nel 1912 con la costituzione della Ligue pour la protection
des oiseaux.
La quinta sessione si è incentrata invece sulle politiche istituzionali riguardanti le
risorse ambientali («Gérer l’environnement») e in particolare su quelle che hanno riguardato i fenomeni di inquinamento, l’amministrazione delle acque e la gestione dei
rifiuti in ambiente soprattutto urbano.
L’ultima sessione, infine, animata da un dibattito vivace ed estremamente stimolante, ha riguardato il rapporto con la politica («Protection de la nature et de l’environnement et politique») e si è soffermata in particolare su quella che in Francia viene tradizionalmente definita l’“ecologia politica”, i suoi principali ispiratori, i suoi caratteri
associativi ed istituzionali e i suoi rapporti con l’evoluzione della società civile e dell’economia. Nella prima sottosessione, con le comunicazioni di Jean Jacob e di Olivier
Dard, sono state in particolare ricostruite le radici dell’ecologia politica francese, mettendo in evidenza il contributo di figure seminali nel dibattito pubblico degli anni cinquanta e sessanta come Robert Hainard, Serge Moscovici, Bertrand de Jouvenel e Bernard Charbonneau. Alexis Vignon ha spinto un po’ oltre l’analisi, evidenziando la parziale scollatura, verificatasi nella seconda metà degli anni settanta, tra un associazionismo protezionista pragmatico e soprattutto interessato alla protezione della natura in
quanto tale e un ecologismo politico più radicale e interessato a una gamma di temi più
ampia. La seconda sottosessione, sempre sul medesimo tema, ha ulteriormente approfondito le vicende dell’ecologia politica in particolare con una comunicazione di
Florence Faucher-King che ha messo a confronto le esperienze dei partiti verdi inglese
e francese, con un interessante resoconto da parte di Philippe Buton sulla ricezione – o
per meglio dire la mancata ricezione – delle tematiche ambientali nella stampa dell’estrema sinistra dei primi anni settanta. È stato in generale in queste due sottosessioni,
ma in particolare in seguito a quest’ultimo intervento, che il dibattito si è maggiormente animato e ricostruzione storica, memorie individuali e analisi politica hanno avuto
modo di intrecciarsi inestricabilmente e spesso polemicamente. A tirare le conclusioni
del colloquio è stato proprio uno dei più lucidi e vivaci protagonisti di questa discussione finale, cioè Jean-Paul Deléage, decano al contempo della storiografia ambientale
e dell’ecologismo politico francese26.
È possibile, più in generale, misurare l’importanza e il grado di successo dell’incontro parigino sottolineando quattro elementi.
zionali sulla gestione delle aree protette, sia per superare una serie di aporie causate dalla
formula anomala – e non a caso mai imitata all’estero – della netta distinzione tra zona centrale a tutela forte e zona periferica quasi priva di strumenti di tutela.
26. Deléage è direttore della rivista «Ecologie et politique» ed è noto a livello internazionale per due importanti opere pubblicate a cavallo degli anni ottanta e novanta sulla storia dell’energia e della scienza ecologica: Deléage-Debeir-Hemery (1986); Deléage (1991).
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Il convegno, per quanto incentrato su una tematica squisitamente francese, è stato
anzitutto marcato da una notevole apertura internazionale. Esso è stato inaugurato da
una lezione magistrale di John McNeill, lo studioso americano autore del fortunato
Qualcosa di nuovo sotto il sole27; ha visto la partecipazione di relatori statunitensi, canadesi, sudafricani, italiani e tedeschi e si è chiuso con il richiamo di Deléage alla sua
precoce collaborazione con Joachim Radkau all’epoca della fondazione dell’European
Society for Environmental History. Un elemento che non può non colpire l’osservatore
esterno, è stato in secondo luogo il forte coinvolgimento istituzionale. Sostenuto finanziariamente da due ministeri, il convegno è stato aperto da un saluto assai informato e
partecipe del direttore generale alla pianificazione territoriale e alle risorse naturali del
ministero dell’ecologia, Jean-Marc Michel. Il tutto, giova sottolineare ulteriormente, a
testimonianza di un interesse da parte di una compagine ministeriale che non è neppure tra le più sensibili degli ultimi anni alle tematiche ambientali. Terzo elemento rimarchevole è la grande varietà di profili disciplinari, istituzionali e sociali degli intervenuti. Le comunicazioni – quasi tutte in ogni caso di taglio squisitamente storiografico –
sono state svolte non soltanto da storici ma anche da un gran numero di geografi e di
sociologi, e poi da filosofi, antropologi, giuristi, biologi e naturalisti, mentre diversi tra
i principali promotori e animatori dell’incontro non erano neanch’essi storici, come nel
caso dei sociologi Bernard Kalaora28 e Florian Charvolin29, del giurista Jerôme Fromageau30, del giornalista Roger Cans31 e dello stesso Jean-Paul Deléage, fisico di formazione. La partecipazione, infine, non si è limitata solo a figure accademiche, in quanto
sono intervenuti come promotori del convegno, come testimoni e spesso come relatori
anche un buon numero di funzionari statali, di esponenti politici e di membri di associazioni protezionistiche, nazionali e locali.
La storia della protezione della natura in Francia mostra così di potersi giovare del
sostegno, dell’interesse e dell’attività di ricerca e di organizzazione di soggetti molto
diversi, la cui varietà tuttavia, lungi dallo sfociare in una prevedibile frammentazione
di linguaggi o di iniziative, ha trovato un momento di sintesi proprio grazie alla fondazione dell’AHPNE32. Un’impressione molto diffusa tra i convenuti e ribadita esplicitamente da Deléage nelle sue conclusioni è che il convegno abbia costituito un’importante tappa per lo sviluppo della storiografia francese sulla protezione della natura, trattandosi oltretutto del primo incontro di questa ampiezza se si eccettua un convegno,
27. McNeill (2002).
28. Di cui si può vedere, tra l’altro, l’importante contributo sulla storia della silvicoltura, La Foret Pacifiée. Kalaora-Savoye (1986).
29. Charvolin (2003).
30. Del giurista francese, uno dei maggiori animatori del dibattito e degli studi francesi
nel campo diritto del patrimonio culturale e ambientale, va ricordata almeno la cura di
un’ampia opera in due volumi sulla nascita e l’evoluzione del diritto ambientale: Fromageau-Cornu (a cura di) (2001).
31. Cans (2006).
32. È utile qui segnalare anche come l’AHPNE si sia già dotata di un portale ben articolato (http://ahpne.espaces-naturels.fr/), come abbia lanciato una iniziativa collettiva per la
realizzazione di un dizionario biografico on line della protezione della natura in Francia e
una campagna per la salvaguardia degli archivi della protezione della natura e come stia organizzando infine un convegno sul tema «Une autre histoire des Trente Glorieuses. Alertes
et mobilisations environnementales et contestations du progrès dans la France d’aprèsguerre (1945-1968)» che si terrà a Parigi nel prossimo mese di settembre.
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dal taglio però molto più teorico e dai risultati storiografici meno maturi, tenutosi nel
lontano 198933.
Per chi veniva da un paese come l’Italia – in cui un appuntamento del genere è al
momento ben lungi dal poter essere imitato – l’occasione parigina ha costituito quantomeno una preziosa fonte di riflessione e di stimoli.
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