bradley_files/harold bradley - suono

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SUONO – febbraio 2006
HAROLD BRADLEY,
L’UOMO SENZA TEMPO
Il cantante di Chicago, star
all’Alexander Platz di Roma la notte
di Capodanno, ha portato a Roma la
tradizione di spiritual e gospel
americani. E’ lui il fondatore del
mitico Folkstudio
C’è un’unica costante nella vita di
Harold Bradley: non festeggiare il
compleanno. E’ stata la nonna,
Memieaster, a dargli questo consiglio
da bambino e da quel giorno il piccolo
Harold lo ha sempre seguito. Non
contare gli anni, non usare i calendari
e non dar valore agli anniversari è solo
una delle tante saggezze tramandate
dalla signora Bradley al nipote che fa
ancora tesoro dei suoi insegnamenti.
La vita di Bradley, conosciuto nel
mondo della musica come eccellente
cantante gospel, leader di cori e
fondatore del mitico locale romano,
Folkstudio, è stata segnata dalla figura
della nonna e da un’educazione basata
sui principi della Christian Science, il
movimento religioso che nega il
mondo materiale fondato nel 1879 in
Usa da Mary Baker Eddy. Per il
cantante di Chicago “entrare in
contatto con questa dottrina che nega
il peccato e la malattia e che educa
l’uomo ad arrivare alla guarigione con
la preghiera e la forza della mente gli
ha dato la possibilità di realizzare con
eccellenza ogni cambiamento e ogni
sogno”. Anche il repertorio musicale
che da oltre 40 anni Bradley interpreta
con passione rispecchia l’idea di gioia,
speranza e liberazione insita nella lezione
spirituale impartitagli dalla nonna. E’
riduttivo parlare di Harold come un
cantante di spiritual. Quest’omone
americano che sfugge al tempo ha vissuto
decine di esistenze, tutte contraddistinte
da riconoscimenti, premi e vittorie. Non
ha fatto altro che sperimentare,
accumulare
esperienze,
cambiare
direzione, creare armonia intorno a sé,
scegliere
con
determinazione
ed
esprimere creatività, genio e libertà. Fino
all’età di 25 anni ha primeggiato nello
sport tra le fila delle squadre di Football
Americano di Cliveland e Philadelphia,
poi si è laureato in Storia dell’arte nello
Stato di Iowa e, grazie a una borsa di
studio, si è trasferito a Perugia per
approfondire l’arte italiana. E’ qui che ha
cominciato a cantare improvvisando canti
religiosi americani nelle taverne con gli
amici dell’Università. E’ gennaio del
1959. Il canto è solo delle sue tante
passioni. All’epoca la priorità di Harold
era l’arte alla quale per un periodo si
affianca la recitazione. Il giovane artista
vive con il sorriso perennemente
stampato sulle labbra. Viaggia in
autostop, interpreta film (tra cui “I Sette
Gladiatori”, “La Capanna dello Zio
Tom”),
disegna
usando
tempera,
acquerelli, oli, fa collage, organizza
mostre e dissemina le sue opere ovunque.
La sua popolarità aumenta e decide di
trasferirsi a Roma per aprire uno studio di
pittura insieme allo scultore canadese
Bob Cowgill. Trova un locale a
Trastevere in via Garibaldi n. 58, un
indirizzo che entrerà presto nella storia
del movimento musicale romano.
“Cominciai a cantare a cappella le
canzoni degli schiavi d’America la notte,
insieme a vari amici, quando avevo
terminato i miei disegni - ricorda
Harold - Un giorno qualcuno mi
chiese: Ma fate folklore in questo
studio? E io risposi: Sì, siamo nel mio
Folkstudio”. Così nasce il nome dello
storico club che negli Anni ’60 e ’70
ha rappresentato a Roma il cuore
pulsante di un fermento musicale
innovativo che mise in contatto i
musicisti della città con artisti di
passaggio tra cui Bob Dylan, Pete
Seeger, Steve Lacy, la Trinidad Steel
Band e tanti altri. E’ qui che Harold fa
conoscere agli italiani ballate, blues,
spiritual, gospel e canti della lotta per i
diritti civili in America anche grazie al
gruppo “Folkstudio Singers”, fondato
insieme all’amico Archie Savage e
formato da Eddie e Jesse Hawkins e
Clebert Ford. Il palcoscenico resta
aperto a tutti: vi passano da Giovanna
Marini a Pippo Franco, da Tony
Santagata a Gabriella Ferri, da Ivo
Bruner a Otello Procaccio e Toto
Torquati. Per Harold è il momento
della musica. Trascorre le sue giornate
nel locale. Di giorno dipinge, di notte
canta. Il Folkstudio porta la sua
impronta. Lo dirige fino al ’68 anno in
cui, per motivi familiari, è costretto a
tornare negli Stati Uniti dove vi resta
diversi anni affascinato da nuove
esperienze lavorative. Fa il curatore di
mostre, l’insegnante di pittura e di
filologia all’Università di UrbanaChampaign,
il
conduttore
di
programmi televisivi, il docente d’arte
in una prigione. Nel frattempo il
Folkstudio viene gestito da Giancarlo
Cesaroni che, a causa di uno sfratto, è
costretto a spostarsi in via Gaetano
Sacchi. Quando Harold torna in Italia
la voglia di cantare è ancora tanta,
quella di gestire di nuovo il locale un
po’ meno. Le sue esigenze sono cambiate,
ma quello che rimane inalterato è
l’approccio a una esistenza vissuta senza
la presenza del tempo. “Harold non
vorrebbe mai dormire, dice che erano ore
sprecate” racconta la moglie Hannelore,
berlinese conosciuta a Perugia che da
allora segue il marito come un’acrobata.
Nel ’96 così Mr Bradley forma il
“Bronzeville American Gospel”, un coro
che porta il nome del mitologico quartiere
di Chicago, formato all’epoca da
Chriystal White, Jho Jhenkins, Mari
Hubert e Mario Donatore al piano. “Il
coro è ancora attivo – racconta il cantante
- anche se la formazione è cambiata: oggi
ci sono Claudia Marss e Lea Machado,
Etta Lomasto e Giovanni Malcuori al
piano. Proponiamo canzoni del vecchio
patrimonio collettivo afro-americano ma
rinnovate negli arrangiamenti. Il risultato
è
un
sound
assolutamente
contemporaneo. Canto per esempio dal
‘62 “God’s ganna cut you down” e
sembra ancora oggi un moderno rap”. Per
Bradley interpretare i vecchi spiritual è
come dare al mondo un messaggio di
speranza. “Gli schiavi erano trattati come
animali, umiliati, incatenati – sottolinea –
eppure hanno dimostrato che era possibile
liberarsi dalle catene anche fisicamente,
superare la schiavitù e guarire il loro male
con la forza della mente”. Così la vita di
questo eterno ragazzo, arrivato da
Chicago con una borsa sotto il braccio di
Lp di Josh White, Harry Belaforte, Paul
Robeson, Leadbelly, è un esempio molto
positivo per chi vive schiavo del tempo.
Senza volerlo, inoltre, le sue vicissitudini
hanno scritto numerose pagine di storia
musicale in Italia dando anche ad altri
l’occasione per inserire nuove date da
ricordare in calendario: prima fra tutte la
nascita del Folkstudio.