Un altro mondo è la sola speranza... - Cristiana
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Un altro mondo è la sola speranza... - Cristiana
UN ALTRO MONDO E’ LA SOLA SPERANZA… di Cristiana Bullita Simplicio, filosofo neoplatonico del VI sec., scrive di Anassimandro, VI sec. a.C., filosofo della scuola ionica di Mileto: “dice che il principio non è l’acqua, né un altro dei cosiddetti elementi, ma un’altra natura infinita, dalla quale tutti i cieli provengono e i mondi che in essi esistono…”. DK 12 A 9 In “Sulla natura”, il Milese cerca di dare una spiegazione all’origine dell’universo. Il principio a cui Simplicio fa riferimento, che genera tutte le cose e in cui tutte si dissolvono, è infinito e indefinito. È àpeiron (a-, «non», e peirar, «limite»), una materia indistinta da cui nascono i quattro elementi e l’intero cosmo, il quale scaturisce da un’eterna opposizione dei contrari. Ciò che fuoriesce dall’àpeiron abbandona l’eternità ed entra nel tempo, sviluppandosi e avviandosi a un inesorabile declino. Si tratta di cieli e di mondi… infiniti cieli e infiniti mondi. Simplicio su Democrito (V-IV sec. a.C.): “I mondi sono infiniti e sono differenti per grandezza: in taluni non vi è né sole né luna, in altri invece sono più grandi che nel nostro mondo, in altri ancora ci sono più soli e più lune. Le distanze tra i mondi sono diseguali, sicché in una parte ci sono più mondi, in un’altra meno, alcuni sono in via di accrescimento, altri al culmine del loro sviluppo, altri ancora in via di disfacimento, e in una parte nascono mondi, in un’altra ne scompaiono. La distruzione di un mondo avviene per opera di un altro che si abbatte su di esso. Alcuni mondi sono privi di esseri viventi e di piante e di ogni umidità…” DK 68 A 40 Infiniti mondi a differenti gradi di sviluppo. Alcuni sono aridi e morti, ma altri… Metrodoro di Chio, un discepolo di Democrito, ribadisce la convinzione del maestro affermando che "una sola spiga di grano su un'immensa pianura sarebbe altrettanto straordinaria, come un solo mondo nell'infinità dello spazio". Questi filosofi immaginano un universo illimitato anche perché, forse, per loro – come per noi – sarebbe stato ancora più difficile immaginarlo finito. Infatti, da cosa potrebbero essere costituiti i suoi limiti? Epicuro, filosofo ellenistico (IV-III sec. a.C.), influenzato dalla fisica di Democrito, così si rivolge a un amico: “Ma, in verità, anche i mondi sono infiniti, tanto quelli simili a questo quanto quelli dissimili. E, infatti, gli atomi, essendo infiniti, come è stato appena dimostrato, vanno anche lontanissimo.[…] Perciò non c’è nulla che possa costituire impedimento alla infinità dei mondi”. Epistola a Erodoto Infiniti atomi si muovono in un vuoto infinito con moto rettilineo e urtano, rimbalzano, cambiano direzione. E così collidono e si aggregano, generando corpi estesi. Un mondo unico non potrebbe contenere l’infinità degli atomi, pertanto è necessario immaginare un numero infinito di mondi, alcuni dei quali molto simili al nostro. Lucrezio Caro, poeta latino del I sec. a.C, sostenitore della concezione epicurea del mondo e della realtà, così scrive: “..accadde così che agitati nel tempo [gli atomi], provando ogni specie d’incontro e di moto, pervennero infine a quel nesso improvviso, a questa che fu la materia dei mondi” De Rerum Natura Anche Lucrezio è convinto dell’infinità dello spazio e dei costituenti primi della materia. Egli immagina che un arciere si posizioni ai supposti confini dell’universo e da lì scocchi una freccia. Sia che essa voli lontano, sia che trovi un ostacolo, è comunque evidente che il tiratore non è situato al limite estremo dello spazio. Lucrezio immagina che, nel ribollire cosmico di atomi, si producano aggregazioni che danno vita a mondi molto simili al nostro, con il cielo e con il mare, e popolati di piante, animali, uomini… Si rinvengono spesso reminiscenze lucreziane negli scritti di Giordano Bruno (1548-1600) sull’infinito: « Or ecco, vi porgo la mia contemplazione circa l'infinito, universo e mondi innumerabili. » De l'infinito, universo et mondi Proprio la convinzione che l’universo fosse infinito e contenesse una pluralità di mondi portò Bruno sul rogo a Campo de’ Fiori. Tale certezza, pur essendo la naturale conseguenza della teoria copernicana abbracciata da Bruno, non era in essa compresa. Copernico aveva posto il Sole al centro di un universo finito e sferico. Ma Bruno comprese che la centralità del Sole era un dato in contrasto con le caratteristiche dello spazio copernicano, di per sé privo di centro: ogni suo luogo era uguale a tutti gli altri, ogni punto dell’universo poteva costituirne idealmente il fulcro. Questo significava necessariamente che l’universo fosse infinito e che il Sole e la Terra ne occupassero una porzione insignificante. Pertanto, era del tutto ragionevole credere che esistessero altri mondi, alcuni simili al nostro pianeta, altri dissimili. E che esistessero altri abitanti dell’universo. Bruno corrobora la propria tesi con un argomento molto suggestivo: se davvero riteniamo che l’esistenza del nostro mondo sia un bene, perché dovremmo privarne il resto dello spazio lasciandolo vuoto? Argomentazione che può anche essere ribaltata: visto il male connaturato a questo pianeta, ineliminabile in quanto radicato nella sua stessa essenza, perché non immaginare un altrove immanente dove esso sia bandito? Dove l’immenso e l’eterno inglobano il loro stesso pensiero, dove ci coglie la vertigine dell’inconcepibile, proprio lì, oltre ogni limite immaginabile proiettiamo la nostra piccola, sfrontata speranza: quella che su un granello di polvere cosmica, in una lontanissima galassia, si realizzi finalmente un bene intero e perfetto. Il migliore dei mondi possibili non somiglia a questo nemmeno un po’.