Emilio Garroni: arte e verità

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Emilio Garroni: arte e verità
Emilio Garroni: arte e verità
Scritto da Laura Dotta Rosso
Sul tema arte e verità ho trovato un documento interessante di Emilio Garroni: una conferenza
tenuta agli studenti del liceo classico Socrate di Roma il 18 gennaio del 1999.
"L'arte è, per definizione, un oggetto indefinibile. Non esiste la categoria delle opere d'arte: non
possiamo metterle tutte in una classe perché l'esistenza di una classe si giustifica soltanto se
esiste un criterio di appartenenza ad essa; sarebbe possibile elaborare una definizione dell'arte
se, ad esempio, tutte le opere d'arte avessero in comune un tratto pertinente (...). Mi chiedo
allora: quale dovrebbe essere, ammesso e non concesso che esista, questo tratto pertinente?"
Biografia di Emilio Garroni
Inizia la sua attività in RAI, dove era entrato - per una felice intuizione dell'allora direttore
generale Filiberto Guala - insieme ad un gruppo di giovani professori universitari, tra cui Leone
Piccione, Antonio Santoni Rugiu e Luigi Silori, come intervistatore e autore di trasmissioni su
soggetti artistici. Affianca a questo lavoro l'opera intellettuale di critica e di riflessione sull'arte,
grazie anche alla sua frequentazione del mondo artistico dell'epoca anni cinquanta, redigendo
anche presentazioni e cataloghi d'arte.
Dal 1951 è assistente volontario di Filosofia teoretica presso la cattedra di Ugo Spirito,alla
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università La Sapienza di Roma. Pur essendosi tenuto fino a
quel momento ai margini della vita accademica, con la crisi semantica delle arti.
Consegue nel 1964 la libera docenza diventando poi professore incaricato di estetica dal 1964.
Viene nominato ordinario di questa disciplina presso la medesima Facoltà nel 1973. Qui inizia la
sua esperienza trentennale che porterà al rinnovamento dell'estetica italiana dopo croce,
culminante in una innovativa traduzione della "critica della facoltà del giudizio" di Kant tesa a
sottolinearne la coappartenza di tematiche estetiche ed epistemologiche.
Ha sempre affiancato al suo lavoro di filosofo quello di scrittore, in qualità di autore di racconti e
romanzi, e di pittore.
Nel 2006 è stato esposto al pubblico, presso la "Sala Santa Rita" di Roma il suo Autoritratto,
opera del 1983-84.
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Scritto da Laura Dotta Rosso
Conferenza tenuta al Liceo Classico Socrate di Roma il 18
gennaio 1999
"L'arte può allargare e approfondire la nostra comprensione della verità. Nella contemplazione
dell'opera d'arte siamo messi di fronte ad un intero mondo."
STUDENTESSA Qual è, secondo Lei, il tipo di verità che potrebbe essere esprimibile da qualsiasi forma d'arte?
Mi riferisco a una delle "grandi verità" indubitabili - addirittura definibili come ultime - o a una di
quelle verità che possono riguardare gli aspetti meno visibili e meno "scontati" della realtà che
ci circonda. Vorrei aggiungere che con "realtà" intendo tutto ciò che è costituito dagli esseri
umani e dal mondo.
GARRONI
Penso sia giusto porre tale quesito, perché con esso si va a toccare un punto dolente
dell'argomento di cui stiamo trattando: il significato polisenso della parola "verità". "Verità",
infatti, significa molte cose. Certamente, nel caso dell'arte, non possiamo parlare di "verità"
come se essa fosse una pura corrispondenza tra proposizioni e stati di cose: quest'ultimo,
infatti, è solo un certo tipo di verità, che può riguardare gli oggetti del pensiero scientifico e, in
generale, il pensiero osservativo e naturalistico. Ebbene, nell'arte - come in molti altri ambiti
conoscitivi - la verità potrebbe rivestirsi di una gamma di significati molto più vasta di quella
utilizzata solitamente. Lei mi chiedeva se, in questo caso, sia lecito parlare di "verità ultime".
Personalmente non credo possa mai entrare in gioco qualcosa di simile alla verità ultima, se
non come puro e semplice ideale regolativo generale della conoscenza. Così è stato per gli
artisti che, pure, hanno tentato di esprimere qualcosa di simile a delle verità ultime: la Cappella
Sistina, ad esempio, ci offre una qualche rappresentazione di che cosa sia una verità ultima.
Anche nell'attività degli artisti può essere presente tale ideale regolativo, sebbene essi non
attingano, o forse non vogliano attingere, a qualcosa di simile alla verità ultima.
STUDENTESSA
Secondo Lei qual è stato il momento, nella storia umana, in cui si è avuta la quasi totale
identificazione di una rappresentazione artistica con una verità considerabile come altamente
rilevante dal punto di vista culturale? Mi riferisco soprattutto all'arte cristiana e alle
rappresentazioni dell'Antico Testamento, le quali potrebbero essere considerate come un
momento di fusione dell'arte con la verità perché esprimono le verità rivelate della fede
cristiana.
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GARRONI
Ciò di cui Lei sta parlando non si è verificato soltanto nell'arte cristiana, ma probabilmente in
tutta l'arte antica. C'è sempre stata una stretta connessione tra credenze mitologico-religiose ed
un modo di vedere ed esprimere il mondo. Da questo punto di vista le manifestazioni artistiche,
per un verso possono essere considerate delle forme espressive che rappresentano questo tipo
di pensiero, per un altro verso, invece, come degli strumenti in grado di attivare lo stesso
pensiero mitologico, magico, religioso e così via. Questa è solo una delle tante accezioni della
nozione di verità. Ciò mette in luce come, anche in tal caso, l'arte possa riflettere tanto le
concezioni verbali della conoscenza, quanto i significati più "emotivi" della cultura di cui è una
espressione.
STUDENTESSA
Secondo Lei è possibile sostenere che nell'arte contemporanea - così come nell'arte degli ultimi
secoli - sia stata realizzata una sorta di scissione tra la vita concreta e la rappresentazione
artistica?
GARRONI
Non credo. Se ci soffermassimo ad analizzare il significato polisenso della parola "verità" e
riuscissimo a intravedere in esso come quest'ultima possa comprendere il mondo in cui ci
troviamo, dovremmo riconoscere che la stessa verità non potrà mai essere assente da qualsiasi
manifestazione artistica. Un'analisi del genere andrebbe messa in atto non tanto per
raggiungere una sorta di definizione del mondo situata all'interno di una qualche visione
metafisica di esso - per la quale il mondo è stato fatto così come ci appare: così è strutturato e
solo così lo possiamo conoscere - quanto per acquisire una reale comprensione del mondo
stesso. Ritengo che l'arte più recente si sia sganciata dalle grandi verità religiose rivelate per
manifestare altri tipi di verità, quali potrebbero essere, ad esempio, il carattere problematico del
nostro vivere o il fatto che esistano diversi modi di prendere posizione nei riguardi delle "verità
costituite". L'artista non può prescindere dalla ricerca di una verità intesa come continua
comprensione del mondo, all'interno della quale vengono a concretizzarsi le possibilità della
sua esperienza, le direzioni assunte di volta in volta da tale esperienza e alcuni aspetti politici,
economici e ideologici della cultura concreta in cui egli si trova a operare.
STUDENTE
Secondo Lei l'arte tende sempre a esprimere una verità oggettiva, oppure ritiene che essa
rappresenti ciò che gli uomini vorrebbero fosse la realtà? Si pensi, per esempio, alla
cinematografia.
GARRONI
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Credo sia molto giusto porre questo interrogativo. Personalmente preferirei sostituire il termine
"verità" con la parola "comprensione". Quest'ultima, infatti, è data dal tentativo di cogliere un
qualcosa che possa fungere da verità, allo scopo di comprendere effettivamente il mondo o, per
lo meno, alcune sue condizioni di possibilità atte a organizzare una qualsiasi esperienza. Da
questo punto di vista l'arte può essere considerata un'espressione velleitaria. Vorrei comunque
sottolineare che tutte le attività dell'uomo potrebbero essere ritenute velleitarie, perché esse
sono animate da una "volontà" di comprendere - per quanto possibile - la realtà che ci circonda.
In questa prospettiva l'arte è senz'altro espressione della verità, ma attenzione: essa potrebbe
rivelarsi anche una forma, assai sottile, di menzogna. La visione delle cose propria dell'arte che
vi ho appena esposto è, inevitabilmente, una forma di rappresentazione del mondo che non
corrisponde a un vero e proprio stato di cose, perché non è una proposizione scientifica.
Facciamo subito un esempio: si pensi all'enunciato: "in questa scatola c'è un bottone". Si tratta
di una proposizione vera? Aprendo la scatola e controllando la presenza del bottone possiamo
verificare o falsificare la frase di cui sopra. Ebbene, nelle teorie e nelle concezioni filosofiche,
ideologiche, religiose e così via non si danno mai esempi di proposizioni che possano essere
verificate attraverso l'osservazione del "reale stato delle cose", in modo da controllare se esso
corrisponda a "ciò che abbiamo detto". Inevitabilmente, quindi, la comprensione - sia filosofica,
sia artistica - è in qualche modo costituita da un qualcosa in più rispetto ai dati bruti
dell'esperienza osservativa. Essa è una sorta di costruzione e, in quanto tale, costituisce un
tentativo per comprendere il mondo e per presentarlo in un'altra forma. Proprio per tale motivo
l'arte può venire assimilata a una forma di "menzogna" - nel senso buono del termine - perché
si rivela come la creazione di una struttura intellettuale che non coincide immediatamente con i
semplici dati del mondo.
STUDENTE
Non ritiene possibile che un'arte ironica, incredibile, estrema e quanto mai distaccata dalla
realtà possa portarci - nonostante i numerosi scherni e le numerose calunnie di cui potrebbe
diventare oggetto - a una comprensione della realtà quanto mai vicina al vero?
GARRONI
In un certo senso sì. In genere le opere apologetiche - quelle che tendono semplicemente a
descrivere il mondo - sono le più insignificanti. Se in una opera d'arte viene posto in essere il
contrasto con la realtà, allora si esplorano delle possibilità di gran lunga più interessanti. Non
sempre il "parlare della realtà" coincide con l'essere aderenti al mondo: al contrario, spesso
accade che la realtà possa essere colta meglio attraverso un rapporto fortemente contrastato
con essa.
STUDENTE
Ritengo che la realtà non possa essere ritenuta come un'entità sempre uguale a se stessa.
Anche in ambito artistico si può incappare facilmente in un errore di tal genere, specialmente se
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l'arte viene intesa in maniera troppo rigida. Lei non pensa che l'arte dovrebbe perennemente
oscillare tra due poli opposti, uno positivo e uno negativo, e che andrebbe di continuo messa a
confronto con la realtà "vera", con quella che quotidianamente si evolve e che quotidianamente
viviamo?
GARRONI
Potrei risponderle che la realtà di tutti i giorni non è la realtà vera: in tal caso, infatti, si tratta
della quotidiana banalità e della normale routine. Un artista che sia realmente interessato alla
ricerca del reale non si riferirà mai a questo livello di conoscenza, a meno che non elegga la
"realtà del quotidiano" a suo prediletto oggetto di analisi. Anche in questo caso, però, l'autore
finirà per opporsi alla quotidianità colta nella sua immediatezza, e tenterà di trovarci una propria
peculiare prospettiva.
STUDENTE
Mi sono espresso male: non volevo riferirmi al microcosmo umano e al nostro mondo
soggettivo. Desideravo più che altro porre l'accento sulle modalità di interpretazione della realtà
oggettiva: un'interpretazione distorta, infatti, non potrà mai avvicinarci a una reale
comprensione del mondo.
GARRONI
Non c'è dubbio. Sicuramente questo genere di conoscenza non potrà mai aiutarci a
comprendere come stiano effettivamente le cose, ma sarà pur sempre un modo per
approssimarsi alla realtà quotidiana colta nella sua immediata sostanza fattuale, per
interpretarla e per presentarla in un'altra forma. In precedenza insistevo sul carattere
inevitabilmente "menzognero" o "arbitrario" della verità dell'arte perché sono convinto che la
nostra stessa vita e la nostra stessa cultura siano delle costruzioni arbitrarie, così come le idee
che circolano e i giornali che leggiamo. Ovviamente, con ciò non voglio intendere che gli oggetti
e i fenomeni da cui siamo circondati non siano significativi, anzi: il nostro mondo risulta
significativo proprio grazie alle suddette costruzioni arbitrarie. Non si potrà mai tornare indietro
fino a recuperare la semplicità, la spontaneità e l'immediatezza di un gattino, sebbene a volte
sembri che i gattini siano più felici di noi. Siamo destinati a vivere all'interno di questa realtà, la
quale è sia qualcosa di dato, sia qualcosa che può essere vissuto come dato se e soltanto se lo
interpretiamo in quanto tale.
STUDENTE
Platone fu forse il primo pensatore a parlare di arte come menzogna. Perché ne diede questa
definizione? Quale utilità potrebbe avere tale interpretazione al giorno d'oggi? Perché, col
passare dei secoli, l'arte è venuta ad assumere l'importanza che adesso le attribuiamo?
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GARRONI
A noi, odierni fruitori dell'arte, non serve necessariamente sapere cosa Platone pensasse al
riguardo. A questo proposito bisognerebbe riflettere sul fatto che la condanna della poesia - e
dell'arte in generale - messa in atto dal grande pensatore, nasceva da presupposti filosofici
molto precisi. In Platone, infatti, è presente una distinzione tra il mondo della doxa dell'opinione - e il mondo della verità e delle idee eterne, ovvero dell'aletheia. Si pensi
all'esempio platonico del falegname e del pittore: quando il falegname costruisce un letto, non
fa altro che imitare l'idea - ossia la forma - del letto "eterno"; se il pittore dipinge un letto, invece,
egli si ritrova a imitare un'imitazione e a creare una doppia imitazione. Ecco perché, secondo
Platone, il falegname è superiore al pittore.
STUDENTE
Ma, allora, dobbiamo o non dobbiamo considerare l'arte come una forma di verità?
GARRONI
L'arte è verità in quanto la stessa verità non esiste da sempre e non è più considerabile una
pura "idea intelligibile". Martin Heidegger, in suo scritto famosissimo, ci dona una formidabile
immagine al riguardo; egli scrive: "La verità non sta in uno scenario sempre illuminato. È tutta
invisibile e la dobbiamo scoprire di volta in volta. Ogni volta vediamo un qualche aspetto della
verità". Probabilmente, in questa frase Heidegger si riferisce allo stesso Platone, ed è proprio in
tal senso che l'arte viene a coincidere con la verità. In precedenza ho insistito sull'opportunità di
sostituire il termine "verità" con "comprensione". La comprensione, infatti, si rivela più
interessante perché è costituita dallo sforzo di fornire un'interpretazione del mondo con cui
avvicinarsi a una qualche forma di verità.
STUDENTESSA
La letteratura potrebbe fornirci un valido esempio di come uno stesso tema possa essere
interpretato in molti e diversi modi. Lei non crede che differenti interpretazioni della realtà e
della verità si rivelino come positive per la comprensione stessa del mondo? Oppure crede che
operazioni del genere siano fondamentalmente errate?
GARRONI
Se, posto di fronte ad una situazione problematica, un individuo si sente in diritto di affermare:
"Ognuno possiede la propria verità", egli sta sicuramente commettendo un grave errore. Il vero
male, infatti, è riposto nella posizione relativistica, ovvero in un esito interpretativo che tende a
non significare nulla. D'altra parte, però, esiste la possibilità di fornire interpretazioni diverse che
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mirino, nella loro totalità, a comprendere più approfonditamente il mondo. È possibile trovarvi
qualcosa in comune proprio perché esse tendono a un unico scopo. Tali interpretazioni non
saranno delle semplici opinioni disparate che si contrappongono l'una all'altra, ma degli
elementi che ci spingono ad approfondire la conoscenza dello stesso oggetto o dello stesso
fenomeno sotto diversi punti di vista. Bisogna tentare di comprendere in modo globale - se
possibile - questa eterogeneità interpretativa.
STUDENTESSA
Abbiamo parlato di musica, di pittura e delle varie tecniche artistiche - compresa quella del
falegname - ma abbiamo dimenticato il teatro, che, in un certo qual senso, può essere visto
come la forma artistica più illusoria ed imitativa; non a caso esso è stato chiamato la copia della
realtà. A mio parere, però, dietro la pregevole arte della finzione, tipica delle rappresentazioni
teatrali, può celarsi un qualcosa di più reale della realtà stessa.
GARRONI
Certamente il teatro non è una copia della realtà, perché nessuna attività strettamente
rappresentativa può essere definita una semplice copia della realtà. Ogni rappresentazione si
risolve sempre in un'interpretazione della realtà e, in quanto tale, non deve necessariamente
diventarne una copia. Perfino il teatro realistico, sviluppatosi tra Ottocento e Novecento, non si
basava sull'idea di ricreare una copia della realtà. Il teatro può essere più "vero" della realtà ? E
se lo fosse, lo sarebbe solo perché sul palcoscenico ci sono attori in carne ed ossa?
Francamente non so dirle se possa essere definito come più "vero", Le posso semplicemente
rispondere che esso rappresenta un'altra cosa: una forma artistica che si esprime con mezzi
diversi. Perché il romanzo dovrebbe essere meno fedele alla verità dell'opera teatrale? Si tratta
solo di differenti mezzi espressivi. Probabilmente il teatro permette di comunicare dei contenuti
che il romanzo non consente di esprimere, così come il cinema veicola degli elementi che il
teatro non riesce a mettere in scena. Ma è vero anche l'opposto: il teatro può trasmettere
contenuti che il cinema non è in grado di comunicare; un lungo soliloquio, ad esempio, risulta
possibile in teatro ma può diventare letale all'interno di un film. Non mancano, com'è ovvio, le
eccezioni: Jean Luc Godard e altri, ad esempio, introdussero nei loro film dei lunghi soliloqui
come violenta reazione nei confronti del cinema tradizionale. A questo possiamo aggiungere
che il cinema ha a che fare con una realtà che, per quanto ricostruita dinamicamente, è pur
sempre una realtà fotografata. Ecco perché, ad esempio, nel cinema sussiste una vera e
propria dissipazione del senso del racconto e degli oggetti circostanti: il discorso filmico può
acquistare diversi significati interiori attraverso la visione del contesto in cui l'attore sta
interpretando la propria parte. Nel teatro ciò avviene molto di meno perché la scena può aiutare
- in modo a volte inimitabile - a concentrare l'attenzione del pubblico sull'attore come tale.
L'autore e il regista concepiscono la scena teatrale in modo che l'attore non ne risulti dissipato:
egli vi deve trovare quel luogo definitivo in cui la sua parola possa acquisire un valore
ultimativo. Si tratta dell'esatto opposto di ciò che accade nel cinema. Possiamo allora chiederci
se il primo dei due generi artistici sia più reale dell'altro? A modo loro sono tutti e due sia reali
sia irreali, perché ambedue sono costruzioni e interpretazioni del mondo che, sebbene
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realizzate attraverso mezzi tecnici differenti, possono offrire delle possibilità espressive.
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