Riassunto sul parto eutocico

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Riassunto sul parto eutocico
GINECOLOGIA 02/04/03
Prof. Mangioni
Sbob. Marra – Lacava
H 13.30-15.30
Riassunto sul parto eutocico
Vediamo nell’immagine un parto eutocico (pag.962 del Pescetto), espulsione a termine della gravidanza del
feto e dei suoi annessi, con le sole forze naturali, e acquisizione, da parte dell’utero, di quello stato, chiamato
globo di sicurezza, che impedisce alla puerperali di morire per emorragia.
Vi ho detto i tempi principali che sono: l’impegno, cioè il passaggio dell’estremo cefalico in atteggiamento
di massima flessione, atteggiamento favorevole a creare un ovoide nel canale del parto. Ogni piano di
quest’ovoide si deve confrontare con ogni piano del canale da parto che poi sono piani a distanza dello
stretto superiore, stretto medio, stretto inferiore o piani millimetrici, quindi il discorso non cambia (??)
Perché l’ovoide può adattarsi al canale da parto che ha una curva ben precisa? Perché è bloccato nella
possibilità di fare movimenti di lateralità e di flessione sulla colonna vertebrale, oltretutto il sistema osseo del
feto è ancora in fase d’ossificazione iniziale e quindi gode di una mobilità estrema: l’estremo cefalico sulla
colonna vertebrale, la colonna vertebrale vertebra su vertebra , questo consente a questo ovoide di non essere
libero, ma di adattarsi-plasmarsi ed evolvere nel canale da parto.
Dentro questo meccanismo d’armonico confronto e passaggio, l’ovoide riesce ad adattarsi bene, altrimenti si
avrebbe un grave trauma da parto.
I meccanismi d’adattamento sono: l’impegno, cioè il superamento del punto più ristretto dello stretto
superiore, che è il diametro antero-superiore (le famose tre coniugate); il confronto con lo stretto medio, il
cui diametro più ridotto è il bispinoischiatico; poi c’è un movimento interessante dovuta alla tazza muscolare
degli elevatori, che permette a quel diametro che aveva trovato sul traverso e sull’obliquo il momento
migliore di confronto e d’impegno di ruotare sotto l’arcata pubica- movimento di rotazione interna- .
Arrivato sotto l’arcata pubica, fulcro il passaggio occipite- prima vertebra cervicale, si disimpegna con un
movimento di depressione il diametro sub occipito bregmatico mentoniero.
Poi l’altro diametro che segue, il disacromiale, non fa altro che seguire la stessa strada: si porta la spalla
anteriore sotto l’arcata pubica, ma io vedo dall’esterno che questo succede con il movimento di restituzione
alla stazione esterna, cioè vedo che il mio estremo cefalico disimpegnato ruota e torna dalla parte da cui era
partito, perché la spalla anteriore che era sull’obliquo-trasverso dell’altro lato si pone sotto l’arcata pubica,
mi disimpegna, mi libera la spalla posteriore dalla commessura posteriore.
(serie di diapositive in cui fa rivedere tutto ciò che è stato detto fin’ora)
Per esempio qui si presenta restituito a destra della madre vuol dire che è partito da un occipito- iliaca destra
traversa- obliqua.
L’estremo cefalico ha sei punti di repere che si dicono indici di presentazione, nell’estremo cefalico in una
situazione ottimale- atteggiamento di massima flessione- il punto di repere è la fontanella lambdoidea.
Il contorno del canale da parto ha dei punti di riferimento precisi, con cui si confronta il rapporto con gli
indici di presentazione, per cui abbiamo che il nostro sincipite può essere sotto il pube, sull’estremo anteriore
del diametro obliquo (che va dall’articolazione sacroiliaca da un lato all’eminenza ileopettinea dall’altro),
sull’estremo del diametro traverso.
Ricordate poi, che il perineo ostetrico non è il perineo anatomico, che tutti voi conoscete.
Del perineo ostetrico c’è una parte molto delicata che è il tratto ano-vulvare , parte interessantissima, perché
lì c’è il bulbo fibroso del perineo dove convergono tutti i muscoli esterni del perineo: traverso superficiale,
orbicolare dell’ano, orbicolare della vagina…
E’ importante che l’ostetrica difenda questo spazio dalla lacerazione in seguito a distrazione, perché la
lacerazione può proseguire ed interessare l’orbicolare e la mucosa anale.
Importante è che chi opera in sala parto deve conoscere bene gli indici di presentazione,deve fare bene
diagnosi durante il travaglio e poi, quando nasce il bimbo, cercare di capire se la sua diagnosi era giusta e
uno dei primi segni è la rotazione esterna: ti dice subito se la tua diagnosi di destra e sinistra fatta con le
manovre di Leopold (dosso a destra o a sinistra), era corretta:è chiaro che se il mio dosso è a destra il mio
sincipio non può che essere a destra!
Un’altra prova inconfutabile è che l’estremo cefalico a seconda della sua posizione e del suo atteggiamento,
durante il passaggio riceve degli insulti
che fanno accumulare del liquido nell’interstizio tra cuoio capelluto e teca cranica dando così il tumore da
parto.
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In base al tumore da parto si può risalire al tipo d’atteggiamento eutocico o distocico che quell’estremo
cefalico aveva e per essere estremamente semplici vi riporto 4 tumori da parto (immagine presa dal Pescetto,
pag.964):
- il sincipite: atteggiamento di massima flessione
-un bregma
-una fronte
-una faccia
Il tumore da parto varia a seconda di come la parte presentata era atteggiata durante il travaglio e il periodo
escursivo.
SECONDAMENTO
Ripensate alla placentazione che avviene nello strato spongioso della decidua; alla placenta che costituisce al
termine della gravidanza un disco di circa 20 cm ancorata attraverso i villi d’ancoraggio e i setti
intercorioidali; al trofoblasto che fisiologicamente si sviluppa con i villi e i cotiledoni, aggregati nell’unità
funzionale placentare nei laghi venosi dello spazio spongioso della decidua, senza mai interessare la basale.
Ed è per questo che al termine della gravidanza si ha sempre una restitutio ad integrum, cioè una ricrescita
armonica della mucosa in tutta la cavità uterina,che tra l’altro sarà sempre la stessa dopo la prima gravidanza
o dopo la ventesima, tranne in quei casi in cui si hanno delle lesioni iatrogene: cicatrici da taglio cesareo,
cicatrice da miomectomia, asportazione di un lembo basale per un accertamento diagnostico. In questi casi lo
strato basale non c’è più, c’è una cicatrice, una discontinuità e solo in questi casi la placentazione può
aggredire il miometrio e si possono ancorare degli ancoraggi anomali.
Perché si ha il secondamento? Perché escono gli annessi?
Perché la placenta, che ha seguito la diastole uterina occupando tutti gli spazi possibili, ora non è in grado di
seguire la sistole uterina perché non è elastica e quindi non ha capacità d’adattamento.
Dunque si rompe e si forma una raccolta di sangue nei laghi venosi e l’ematoma che si forma dietro la
placenta, aiuta il distacco della placenta stessa.
Quindi:contrazioni uterine _ sistole uterina _ riduzione progressiva dell’inserzione della placenta _ rottura
villi d’ancoraggio e dei setti _
ematoma dietro la placenta _ distacco e caduta nel segmento inferiore _ fuoriuscita.
Il massimo della fisiologia si ha quando il distacco avviene al centro, sempre fisiologico ma un po’ più
disturbato si ha quando il distacco avviene alla periferia, perché in questo caso il sangue esce subito
all’esterno e non aiuta il distacco della placenta.
Il secondamento è uno dei momenti più delicati, che non deve essere accelerato con manovre improprie di
trazione da parte dell’operatore, che invece deve solo aiutare tale processo e può cominciare a compiere una
leggera trazione sul funicolo solo quando la placenta si trova in vagina.
La placenta poi va studiata molto bene prima sul lato fetale e poi su quello materno per capire se gli annessi e
il secondamento sono completi o se è rimasto qualcosa in cavità uterina: membrane, cotiledone…
Ricordatevi che le membrane sono 2: amnios e corion.
L’amnios è sottile e lucida, il corion è opaco.
Di solito il secondamento non è mai completo, soprattutto nelle gravidanze dopo la 40^ settimana.
E’ importante in questa fase avere la vescica vuota, perché quanto più la vescica è piena, tanto più la matrice
è spinta verso l’alto e non riesce a realizzare la fisiologica sistole.
Serie d’immagini relative a placente non proprio fisiologiche:
v Placenta membranacea: presenta tanti spazi tra i cotiledoni coperti da membrane
v Placenta bilobata: 2 lobi principali con delle membrane al centro _ la zona delle membrane può essere
disturbata al momento del secondamento
v Placenta succenturiata: una placenta con dei cotiledoni staccati (1 o più). Questa situazione può essere
diagnosticata guardando la placenta dal lato materno in cui si possono vedere dei vasi che si interrompono
improvvisamente, proprio perché manca il cotiledone che potrebbe essere rimasto in cavità uterina.
v Placenta bipartita: si presenta come se fossero 2 placente
v Inserzione marginale:placenta circondata da una corona accentuata di membrane e il funicolo parte da un
polo. E’ chiamata anche placenta a racchetta
v Placenta velamentosa: a racchetta ma con i vasi del funicolo che si dividono prima di raggiungere il centro
della placenta e quindi c’è una vasta area velamentoso-vascolare che nel secondamento può andare molto
facilmente incontro ad una rottura di membrane o di vasi
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v Placenta marginata: quando c’è un margine molto accentuato della placenta, in genere in queste placente è
facile trovare alla periferia una più evidente involuzione dei cotiledoni. Ricordatevi che la placenta è un
organo, con una sua vita precisa (di 40 settimane), e come ogni altro organo va incontro ad invecchiamento e
i segni macroscopici dell’invecchiamento si vedono molto bene quando si pulisce la superficie materna della
placenta. La placenta è una spugna ematica e quindi il danno vascolare, cosa pensate che produca? Produce
delle aree trombizzate e queste aree trombizzate possono avere avuto per prima una chiusura dell’arteria e
allora sono in genere aree biancastre, oppure possono avere avuto una chiusura della vena e allora le aree
sono cianotiche. In genere queste alterazioni di senescenza placentare si producono alla periferia della
placenta possono a volte dare questa immagine di placenta marginata con un bordo quasi rilevato di
membrane, con queste aree trombizzate.
v Placenta circumvallata (rara)
Di fronte a queste situazioni di placente con una morfologia anomala l’operatore deve sapere che ci può
essere un secondamento non completo.
A volte, inoltre, ci si può trovare di fronte ad una patologia neoplastica come la placenta con corangioma,
anche se però ora la diagnosi si fa durante la gravidanza.
Il primo grado di patologia del secondamento è quando la placenta si distacca ma rimane alloggiata nel
segmento inferiore. Non è un grosso problema: se l’utero si contrae, voi potete utilizzare l’utero contratto
come una “testa di ariete”(?) e spingere fuori la vostra placenta. Questo non è un grosso problema dal punto
di vista del secondamento.
Invece, qualche problema in più lo avete se la placenta è staccata ed è ritenuta nel segmento inferiore perché
si è ricostituito rapidamente il sistema di chiusura. Allora si prova prima con dei farmaci che hanno la
funzione di rilasciare la muscolatura uterina e quindi rilasciano il segmento inferiore la bocca uterina,
altrimenti, con calma, digitalmente, se non c’è molta resistenza, si può ampliare delicatamente l’orifizio
uterino esterno e fare uscire la placenta. Altre volte occorre un’anestesia generale e già durante l’induzione,
senza bisogno di manovre manuali all’interno dell’utero la placenta fuoriesce perché il sistema di chiusura si
rilascia, poiché era chiuso solo da uno spasmo.
L’altro grado più pericoloso di patologia è quando la placenta non si stacca o non si è staccata
completamente e quindi vi rimando a tutte le figure di patologia della placenta viste prima. Allora, in questo
caso, bisogna produrre un gesto chirurgico endovaginale e endouterino che permetta di staccare
completamente la placenta. Deve essere un gesto delicato, in genere la mano deve essere sempre ricoperta da
membrane, deve avere un atteggiamento ostetrico, vale a dire di minimo spazio occupato, per entrare nel
canale vaginale e per poi superare gli orifizi uterini esterno ed interno e, in cavità uterina, deve lavorare con
assoluta discrezione perché non sappiamo mai, prima di cominciare, quale sia stata la causa di un distacco
parziale:
o potrebbe essere una patologia placentare banale
o potrebbe essere che il trofoblasto in alcune aree ha superato lo strato basale
o la gestante ha un’anamnesi positiva per miomectomia, taglio cesareo pregresso
o potrebbe essere una placenta che per vari motivi ha aggredito la parete uterina (detta placenta a creta(?)) e
che potrebbe essere arrivata fino al perimetrio.
Domanda: << In caso di questo tipo di lesione si interviene in modo conservativo?>>
Risposta: Sì, tranne in caso di placenta a creta, che vedremo prossimamente. Siamo costretti ad asportare
l’utero, per esempio, in una donna che ha già avuto molti figli e quindi non ha senso conservare un utero che
può richiedere un altro intervento perché continua a sanguinare,oppure se la tipologia del trauma è tale da
non poterlo più ricostruire.
INTERVENTISTICA VAGINALE
Esiste ancora oggi uno spazio all’interventistica vaginale, cioè parto operativo vaginale che un tempo era
ovviamente molto diffuso perché il taglio cesareo aveva una morbosità, prima dell’ultima guerra, molto
elevata.
Oggi con il tipo di assistenza e con l’evoluzione delle anestesie, il tipo di preparazione all’atto chirurgico, la
modalità di esecuzione dell’atto stesso, la strumentazione, il post-operatorio, la mortalità del taglio cesareo è
minima ed avviene solo all’interno di certe patologie materne, così pure la morbilità si è ridotta, con un
decorso febbrile nel 3-4% dei casi e avere qualche complicanza di ferita laparotomia nell’ordine dell’1%.
Ciò nonostante esiste ancora oggi qualche necessità di aiuto all’espulsione del feto:
- quando la parete presentata è già arrivata al piano perineale
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- quando i diametri nobili dell’estremo cefalico hanno già superato lo stretto superiore e il diametro
bispinoischiatico e hanno raggiunto quindi la parte bassa dello scavo
- a volte per un difetto di forze
- a volte per il volume del distretto cefalico
- a volte per poca disponibilità della donna ad utilizzare pienamente le forze ausiliare del parto.
Ci sono due strumenti: il forcipe (antico) e la ventosa ostetrica (più moderna).
La differenza tra gli strumenti è essenziale: il forcipe era una tenaglia che deve prendere ed estrarre, se pur
nel modo più delicato e più corretto, rispettando l’anatomia dell’estremo cefalico (sempre in relazione ad una
diagnosi corretta di posizione): ciò nonostante le due branche della tenaglia devono comprimere il contenuto.
Tenendo presente che il contenuto è un contenuto nobile, anche piccole riduzioni di diametro possono
provocare danni.
Per questo oggi non si ricorre più all’uso del forcipe e si utilizza la ventosa, che comunque non è esente da
rischi perché per velocizzare e forzare la fuoriuscita del feto voi rischiate sia sull’estremo cefalico di
produrre delle lesioni, sia sulla tazza dei muscoli elevatori e dei muscoli superficiali del perineo (traverso
superficiale, orbicolare dell’ano, bulbo cavernoso) per la violenta distrazione che essi subiscono.
Quindi è facile immaginare delle lacerazioni più o meno mediane che possono anche ad andare a interessare
l’integrità del contorno dell’orifizio anale e del terzo inferiore dell’ampolla rettale.
Ovviamente si può ridurre questa patologia delle parti molli con una perineotomia paramediana, perché se la
fate mediana il rischio che si prosegua, scissurando il retto e l’ano è decisamente evidente! Se invece la fate
paramediana, è più facile che la zona centrale del tratto ano-vulvare sia preservata.
Naturalmente questa perineotomia, come tutte le perineotomie, deve essere fatta al momento giusto:se la fate
troppo precoce, quando cioè non c’è la massima distensione rischiate di fare una perineotomia generosa
quando ne basta una piccola, mentre se la fate tardiva potreste fare una perineotomia quando c’è già la
lacerazione e quindi dovete ricostruire le parti molli, suturando sia lacerazione sia la perineotomia.
Oggi non si usa più il forcipe ma la ventosa, in materiale plastico, che viene adattata all’estremo cefalico: al
sincipite fetale, se in atteggiamento di massima flessione; se è un bregma rischiate di applicarla al centro
della teca cranica; se è un feto piccolo rischiate di applicarla in fronte…e una volta applicata crea un vuoto al
suo interno e questo vuoto crea una presa molto tenace sul cuoio capelluto, che ernia nella ventosa e permette
alla ventosa, con manovre opportune, di favorire la fuoriuscita del feto.
Non ci vuole molto intuito a capire che i danni di questo strumento sono nettamente inferiori rispetto al
forcipe, però ci possono comunque essere:
per esempio la ventosa potrebbe essere applicata anche sul bordo della bocca uterina non completamente
dilatata; altre volte sul tumore da parto che ben si presta ad essere preso dalla ventosa; si possono creare
focolai di emorragia e quindi uno stravaso di sangue; un ematoma da caput succedaneum sull’estremo
cefalico; disepitelizzazione del cuoio capelluto.
Quindi non è esente da rischi, anche se però questi sono minimi.
Inoltre fate conto che oggigiorno è poco utilizzata:2-3% dei parti.
E’ ovvio che la ventosa non solo permette una trazione, ma anche di orientare la trazione: sulla ventosa c’è
un piccolo ripiego che viene posto in corrispondenza dell’indice di presentazione, per cui se io ho fatto
diagnosi corretta di una occipito-iliaca sinistra o occipito-iliaca traversa e ho un arresto del parto a livello del
piano perineale, perché è mancata la rotazione interna, posso con una corretta applicazione della ventosa non
solo fare una trazione, ma anche dirigere- orientare la rotazione interna, movimento essenziale che permette
di portare il sincipite sotto l’arcata pubica e poi disimpegnarsi.
Una volta che il sincipite è arrivato sotto l’arcata pubica posso, durante la trazione, dare un diverso
orientamento alla mia ventosa e completare l’uscita.
Ricordiamo che alla fine del parto, il canale da parto è una spugna ematica e questo vi spiega il perché il più
grosso problema del parto è la massiva emorragia e ancora oggi, anche nei paesi industrializzati,
un’emorragia non diagnosticata e non rimediata tempestivamente può essere causa di morte materna: per
massiva emorragia si intende una perdita ematica sopra i 1500 che corrisponde al 25% del volume ematico;
in una sala parto ben organizzata si ha in 1/500 casi, però sono “life treaten” cioè “pericolose per la vita”
perché facilmente da 1500 passiamo a 3000 di perdita.
E’ un problema che si capisce bene andando a valutare la qualità delle parti molli e il pericolo di estese
lacerazioni di queste parti: normalmente la massiva emorragia si ha quando è coinvolto l’utero o la cervice o
il segmento inferiore.
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Una massiva emorragia può creare una grave ipovolemia dando problemi anche seri nella ricostruzione delle
parti molli, con esiti a distanza.
Tuttavia queste estese lacerazioni erano più frequenti con l’uso del forcipe,ora sono molto più rare: si
possono trovare soprattutto nelle pluripare che, sotto enormi spinte, possono far esplodere la vagina.
Anche in questi casi chi sutura deve conoscere molto bene l’anatomia, perché non è come negli interventi
programmati, qui i rapporti anatomici devono a volte essere indovinati dato che è tutto lacerato.
Quali sono gli esiti tardivi?
Possiamo avere, oggi raramente, dei tramiti uretro-vaginali ( ??: registrazione disturbata), vescico-vaginali,
vescico-cervicali , danni cioè da parto operativo.
Invece, la storia di una patologia del periodo espulsivo può essere la causa di descensus dell’apparato
genitale,accanto a un esito sfavorevole di ricostruzione delle parti molli: descensus semplice del retto
(rettocele), descensus della vescica (cistocele), dell’utero…
Sicuramente nell’anamnesi di un prolasso si troverà sempre qualche cosa di distocico nell’evento “parto” o
negli eventi “parti”; queste donne vi parleranno quasi sempre della durata periodo escursivo, della fatica
durante la nascita, del fatto che le hanno incise ed hanno impiegato molto tempo per suturarle (quindi oltre
alla perineotomia c’era anche una lacerazione).
Ricordatevi che l’età media di una donna è di 85 anni e quindi il tempo a disposizione per lo sviluppo di
questa patologia è molto ampio, creando anche problemi nella qualità di vita non indifferenti: incontinenza
urinaria da sforzo, incontinenza alle feci liquide…quindi problemi che richiedono quasi sempre una
riparazione chirurgica.
Bisogna altresì dire che i parti nel nostro paese sono 1 o 2 (?), quindi il problema delle lesioni alle parti molli
quasi non esiste; in secondo luogo, secondo nuovi studi, l’incidenza dei prolassi dei prolassi dopo parto
vaginale eutocico e dopo taglio cesareo è la stessa: quindi il fattore biologico della consistenza delle strutture
aponeurotiche e vascolari della pelvi è preponderante rispetto ai fattori traumatici.
L’integrità della struttura è importante, ma è importante anche la microintegrità della struttura e voi potete
avere un prolasso anche con un tratto ano-vulvare conservativo, perché i microtraumi –che si realizzano ad
ogni periodo espulsivo di ogni parto- della tazza muscolare degli elevatori, che fa da chiusura e contenzione
ai visceri pelvici, non sono costituiti da tessuto mobile muscolare ma da tessuto cicatriziale. Per cui può
essere che, con reiterati episodi di microtraumi, la tazza musc degli elevatori contenga meno e quindi il
diaframma urogenitale sia forzato, ma il diaframma urogenitale probabilmente presenta gli stessi esiti di
microtraumi degli elevatori, come pure i muscoli superficiali del perineo, quindi si instaura un circolo
vizioso per cui le pulsioni addominali, molte volte legate anche ad aumento ponderale/obesità, favoriscono
–insieme al danno funzionale della tazza degli elevatori e delle strutture aponeurotiche di chiusura della
pelvi- il prolasso. Ovviamente esistono diversi gradi di prolasso, ad esempio si può avere un prolasso che
non è incontinente né all’urina né alle feci, ma dopo un po’ che la donna è in piedi l’utero esce dalla vagina,
per cui la pz è obbligata a farsi operare.
Il parto non è sempre eutocico ed armonico, non sempre rispetta i vari tempi ed evolve secondo una
fisiologia che ha caratterizzato la maggior parte delle nostre nascite. Per cui ci sono situazioni in cui bisogna
intervenire diversamente, la nascita non avviene più per via vaginale. Oggi una delle situazioni in cui
succede questo, cioè si prefigura il PARTO ADDOMINALE invece di quello vaginale, è la
PRESENTAZIONE DI PODICE. Una volta, il parto podalico era considerato eutocico, per via vaginale;
vediamo perché qs parto è diventato distocico e, tranne in situazioni particolarmente favorevoli, viene
effettuato per via addominale, con apertura dell’utero ed estrazione del feto. L’estrazione, però, non è detto
che sia meno difficile per via addominale, per le stesse caratteristiche della via vaginale; quindi anche
nascere per via addominale in presentazione podalica espone ad alcuni rischi di danno fetale.
Si può fare una diagnosi accurata? Sì, oggi è difficile arrivare al travaglio di parto avendo scambiato una
posizione cefalica per una podalica, si può casomai confondere una presentazione di faccia con una podalica,
quindi si può fare un duplice errore: 1) non riconoscere una grave patologia dell’atteggiamento dell’estremo
cefalico, faccia, che ha una sua caratteristica semeiotica che permette di arrivare a definire –con le manovre
di Leopold- che ql feto in posizione longitudinale e unico ha una deflessione dell’estremo cefalico
2) confondere le parti molli di una faccia con le parti molli di un podice.. naso e bocca hanno qlc di diverso
rispetto ai genitali esterni, ciononostante qlc volta, in situazioni di dilatazione iniziale, può capitare di
confondersi.
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Le manovre di Leopold, in particolare la terza e la quarta, permettono all’operatore esterno di capire che ha a
che fare con un estremo podalico, se non altro perché la palpazione bimanuale aiuta a correggere l’errore: se
si ha un dubbio con la mano inferiore su ciò che si presenta all’ingresso pelvico, il dubbio può essere corretto
dalla mano che palpa il polo superiore dell’ovoide che conferma che è l’estremo cefalico. E’ ovvio che i due
estremi hanno caratteristiche diverse, di consistenza, di forma, di mobilità; ed è altrettanto ovvio che è facile
fare diagnosi in soggetti con anatomia favorevole, mentre è facile sbagliare in soggetti obesi.
Una volta, uno dei concetti fondamentali era l’auscultazione del cuore fetale, s’imparava a riconoscere i
focolai di massima facilità di ascolto, che nel podalico erano sempre nell’emiaddome superiore, mentre nel
cefalico erano intorno all’arcata pubica, al centro- a dx o a sx.
Oggi con i rilevatori automatici tutto è reso più semplice, ma penalizza la vostra semeiologia, la vostra
capacità di usare adeguatamente i polpastrelli delle dita.
In genere fino a 30 settimane, il feto tende a stare in presentazione podalica, usando lo spazio più ampio del
fondo dell’utero per l’estremo più grosso che è ql encefalico. Intorno alla 32°/34° settimana, si ha il
fisiologico capitombolo, ma se ciò non avviene si tende a favorire il capitombolo, la versione, con manovre
esterne alla 36°/38°/39° settimana (molti dicono in qls momento del termine della gravidanza), portando il
podice verso l’alto e la faccia verso il basso. La riuscita di qs manovre si ha nel 70-80% dei casi,
dipendentemente anche dall’esperienza dell’operatore, e diminuisce il ricorso al parto cesareo ad un 20-30%
dei casi, permettendo l’eutocia del parto.
Esiste poi la SITUAZIONE OBLIQUA O TRASVERSA del feto, che porta quasi sempre ad una
presentazione di spalla. La spalla però ha un diametro sfavorevole e l’unico parto possibile per la spalla è il
feto morto macerato in duplicato corpore, cioè il feto, compresso per la morte e la macerazione, viene
partorito in doppio, e ovviamente tanto più è piccolo e prematuro tanto più è facile il parto trasversale. Un
feto a termine, unico, vivo o morto, non può essere partorito per la spalla; quindi o si fa una versione e si
porta in cefalica o si deve ricorrere al cesareo, altrimenti il diametro cefalo-podalico rompe il segmento
inferiore durante il travaglio.
Perché oggi il podalico è preso come riferimento di parto pericoloso?
Nella pluripara il parto il parto vaginale podalico è più semplice che nella primipara. I 3 segmenti del parto
sono: cefalico, bitrocanterico, bisacromiale. Nel parto cefalico, l’estremo più delicato viene partorito per
primo e in ogni momento del travaglio ci si confronta con l’estremo più delicato e si può cambiare rotta se ci
si accorge che il rischio, per qs estremo in ql caso per ql gestante, è troppo elevato, cioè se si rischia una
sofferenza da compressione. Se la rivoluzione dell’estremo non permette l’impegno (un tempo si faceva il
forcipe ?nella parte alta, ora non più perché la mortalità era troppo alta) oppure s’impegna attraverso la parte
alta del ?, non riesce a superare lo stretto medio, si ha comunque a disposizione l’estremo cefalico e si
possono fare tutte le valutazioni di spazi, di volumi, di velocità di transito nel canale da parto e, al massimo,
ci si accorge che arriva al piano perineale e lo si può aiutare con una ventosa, con una perineotomia. Nel
parto podalico, invece, l’estremo più delicato è partorito per ultimo, mentre escono per primi gli estremi che
creano meno problemi dal punto di vista del danno fetale. Infatti prima esce il diametro bitrocanterico,
facilmente comprimibile, poi il bisacromiale, che già crea qlc problema in più essendo più delicato, ed infine
il cefalico che è delicatissimo; è chiaro che, se solo la testa non riesce ad uscire, cambiar strada quando tutto
il mobile fetale è già fuori è un dramma: i tempi rapidi di un taglio cesareo sono di una mezzora, ma nel
frattempo il feto muore di anossia! Quindi la complicazione del parto podalico sta nel fatto che il diametro
più delicato è partorito per ultimo, non permette la verifica delle difficoltà che ha qs diametro. Inoltre ogni
evoluzione anomala dei primi due diametri (bitrocanterico e bisacromiale) e ogni intervento “dell’arte
ostetrica” per il disimpegno di qs due diametri disturba l’atteggiamento dell’ultimo diametro, cioè
dell’estremo cefalico, per cui anche un estremo cefalico normo-atteggiato in massima flessione rischia di
passare in varie fasi di estensione e di complicare il parto.
Si può avere:
• un PODICE COMPLETO, cioè data una massima flessione delle gambe sulle cosce e di queste
sull’addome, il podice completo è costituito da piedi, genitali e natiche.
• un PODICE INCOMPLETO, dove mancano uno o più degli elementi suddetti. Qualche volta gli arti
sono sollevati: podice franco(o natico?), dove mancano i piedi; in qs caso i piedi sollevati rendono
l’ovoide fetale meno flessibile, perché l’arto non ha la flessibilità della colonna vertebrale, e il parto dei
diametri bisacromiale e cefalico è più difficile. Altre volte un arto può essere partorito per primo e
l’operatore aiuta l’espulsione del secondo arto, ma già qs manovre possono disturbare l’atteggiamento
del mobile fetale se fatte quando l’utero non è adeguatamente contratto o se fatte da un operatore non
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sufficientemente esperto, tant’è vero che anche quando il podalico era considerato parto eutocico e fatto
per via vaginale si sapeva che non si doveva toccare, non si doveva intervenire su ogni diametro per
favorire la sua liberazione, ma soltanto assistere. Cosa può accadere al diametro successivo, cioè a ql
bisacromiale? Può succedere che l’arto superiore da una posizione eutocica di massima flessione si
innalzi, complicando il parto del secondo diametro, perciò bisogna cercare di riportare l’intero arto in
flessione, che è una manovra complicata, perché si deve far attenzione a non disturbare il 3°diametro,
cioè a non provocare una deflessione dell’estremo cefalico. Quindi è un parto che da eutocico potrebbe
complicarsi sempre di più quanto più l’operatore è chiamato ad intervenire e meno opportunamente
interviene. Questo ha reso il parto podalico patologico, distocico, per cui oggi si preferisce fare sempre il
cesareo.
L’estremo cefalico è sempre stato favorito, anche nell’ostetricia classica, cioè l’operatore deve garantire a qs
estremo il mantenimento o la ricomposizione della massima flessione. Infatti l’unica manovra consentita
nell’ostetricia classica durante un parto podalico eutocico era quella in cui si comprimeva ai lati del naso
sulla mascella superiore in modo da tenere la bocca chiusa e flesso l’estremo cefalico sul torace oppure
anche entrare con due dita nella bocca del feto. Comunque il concetto fondamentale è ql di mantenere
l’atteggiamento di massima flessione che consente all’estremo cefalico di far ruotare i diametri più
convenienti bitemporale e sottocipite bregmatico 9e1/2 e 10 nelle misure convenienti dello stretto superiore
(coniugate 10,5 cm), stretto medio (bispinoischiatico 10,5 cm) e stretto inferiore (bituberoischiatico 10,5
cm).
Se si mantiene la massima flessione dell’estremo cefalico, si ripropongono su qs diametro delicato partorito
per ultimo le stesse evoluzioni di quando è partorito per primo, cioè il sincipite ancorato sotto l’arcata pubica
e, al contrario del movimento di deflessione del parto cefalico che liberava gli altri diametri con l’incunearsi
del sincipite sotto l’arcata pubica, qui gli altri diametri sono partoriti per detenzione?. Massima flessioneÆ si
defletteÆ partorisce il sottocipito-mentoniero, il sottocipito-nasale, il sottocipito-frontale, il sottocipitobregmatico, esattamente nell’ordine inverso rispetto ad un parto cefalico.
Al massimo si può fare un’adeguata perineotomia laterale o paramediana, poiché l’ostacolo principale è la
tazza muscolo-aponeurotica e cutanea delle parti molli.
La situazione diventa molto più ardua se abbiamo una ROTAZIONE SACRALE DELL’OCCIPITE. Anche
nel parto cefalico qs ultima è una condizione difficile, che prolunga il periodo espulsivo: invece che ruotare
di 180° e portare il sicipite sotto l’arcata pubica, avviene una rotazione più veloce di 45° e il feto porta il
sincipite in concavità sacrale, ma qs sincipite per essere espulso provoca un’abnorme distensione delle parti
molli e quindi prolunga il periodo espulsivo. Nelle presentazioni podaliche si ha qs situazione quando la testa
ruota in occipitosacrale.
In più, se per caso si ha una deflessione dell’estremo, come ad esempio se un arto inferiore s’incunea
sull’arcata pubica, diventa impossibile far uscire il feto se non con manovre molto dannose per l’estremo
stesso, perché bisogna ruotarlo, fletterlo, sottoporlo a compressioni e trazioni e, soprattutto, il funicolo, che è
già fuori, è compresso dall’estremo che deve passare, quindi si avrà un feto anossico sul quale si devono fare
delle manovre che purtroppo peggioreranno l’anossia.
Nel caso di FETI MORTI, per evitare il taglio cesareo (che ha più senso, ha una sua finalità con un feto
vivo), esistono manovre ostetriche per favorire il parto vaginale, sempre con l’obiettivo di portare l’ovoide
fetale da una posizione obliqua e trasversa ad una longitudinale, ed in particolare in presentazione podalica.
Si preferisce la presentazione di podice, in qs caso, perché è più facile da ottenere e perché permette di fare
trazioni adeguate sulle estremità inferiori del feto per consentirne l’uscita, senza problemi di sofferenza e
danno all’estremo cefalico nobile. Se c’è esperienza dell’operatore, si ripercorrono le fasi del parto podalico
come nel feto vivo e si attua un parto vaginale; se invece non c’è esperienza, si ricorre al cesareo anche con
feto morto.
Perché, nel caso di feto vivo ovviamente, si devono avere così tante ATTENZIONI PER L’ESTREMO
CEFALICO? Un feto, che può essere già anossico per un travaglio o un periodo di espulsione lunghi,
propone delle aree delicatissime di danno da compressione o da distrazione, per esempio una delle
distrazioni classiche traumatiche è la lacerazione del seno vaginale, del tentorio, oppure si possono avere
emorragie ventricolari di vario grado. E’ chiaro che in qs situazioni si può avere morte del feto o nascita di
un feto gravemente asfittico con esiti neurologici importanti.
Si è già parlato di minimal brain deficit della nascita: le cellule cerebrali danneggiate alla nascita sono
irrimediabilmente perse. Per qs, in situazioni di presentazione non longitudinale o non cefalica del feto, è
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meglio astenersi da manovre ostetriche vaginali. Ciò nonostante, si ritiene che oggi un indice ragionevole di
tagli cesarei non dovrebbe superare il 15-18%, mentre esistono realtà in cui qs indice supera il 50%.
Domanda: in condizioni di emergenza, cioè lontano dall’ambito protetto, fino a quando si può rimandare il
parto?
Risposta: oggi ci sono donne che scelgono il parto domiciliare; in qs casi sono assistite da ostetriche molto
esperte e sono donne selezionate, cioè donne che si crede vadano incontro ad un parto eutocico; comunque si
predispongono trasporti rapidi in caso di emergenza durante il travaglio, ad esempio in caso di sofferenza
fetale acuta o emorragia da secondamento. La sofferenza fetale acuta può derivare o da compressione del
funicolo durante la nascita e quindi si può favorire il parto in molti modi anche a domicilio oppure se si
cominciano ad avvertire segni di sofferenza durante il travaglio bisogna trasferire la donna in ospedale.
Un’altra emergenza temuta è la DISTOCIA distale, cioè l’estremo nobile cefalico viene partorito per primo,
bene o con fatica, ma poi ci si accorge della macrosomia fetale: feto superiore a 4 Kg o anche inferiore a 4
Kg ma troppo grosso per ql canale da parto, quindi si ha un arresto a livello del bisacromiale. Qs è
un’emergenza anche in ambito ospedaliero, si può perdere il feto per una distocia distale, perché il funicolo è
compresso, il feto è in anossia, bisogna risolvere rapidamente (pochi minuti) il parto e purtroppo l’operatore
come primo atteggiamento tende a restituire in modo sbagliato, dalla parte opposta… qs complica
ulteriormente la situazione. L’altra cosa che l’operatore tende a fare è farsi aiutare nelle sue trazioni dalla
donna collaborante che spinge e da qualcuno che spinge sul fondo dell’utero, con la cosiddetta ? che è una
manovra particolarmente usata in Italia e meno in altri Paesi europei; il problema nasce quando l’aiuto
esterno viene dato senza che la donna collabori con le forze ausiliarie e senza contrazioni uterine: il diametro
bisacromiale può rompere il segmento inferiore.
L’unico modo per liberare il bisacromiale è respingere il corpo in alto, risalire, deflettere gli arti inferiori (?)
e partorire l’arto superiore posto posteriormente utilizzando la concavità sacrale; c’è il rischio di frattura di
femore o di caviglia, ma l’unica via per liberare il bisacromiale.
Domanda: riportare un bambino in posizione eutocica comporta danni?
Risposta: sì. Quando una VERSIONE è più RISCHIOSA? 1) quando gli arti sono estesi, perché l’ovoide
fetale manca di quella facilità di curvatura che invece ha quando ciò che deve curvare è solo la colonna
vertebrale 2) quando c’è una patologia anatomica dell’utero, come i miomi 3) quando c’è riduzione del
liquido amniotico: è importante poter vertere in presenza di un’adeguata quantità di liquido, che una volta
veniva valutata con le manovre di Leopold, mentre oggi tramite l’ecografo.
A volte poi, nonostante la versione sia riuscita, si ha una deflessione anomala del capo e quindi non è
comunque possibile il parto vaginale: siamo in quel 30% dei casi in cui bisogna ricorrere al cesareo.
COMPLICANZE possibili della versione: 1) distacco di placenta, raro 2) patologia del funicolo: se è già
presente un giro, magari può essere stretto ulteriormente o può crearsi un altro giro, sulla spalla, intorno alla
testa, dando sofferenza fetale; in qs caso bisogna sorvegliare per alcune ore il feto dopo la versione in modo
da poter intervenire ed ovviare alla complicanza insorta.
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