Appendice Esempio di risoluzione di un caso Collocandosi

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Appendice Esempio di risoluzione di un caso Collocandosi
Appendice
Esempio di risoluzione di un caso
Collocandosi idealmente nel ruolo dell’Avvocato Generale, elaborare le conclusioni da sottoporre
alla Corte di giustizia per il seguente caso:
Tizio è un fornaio che svolge la sua attività prevalentemente in Provincia di Bolzano. Decisosi ad
ampliare il proprio giro di affari anche nella vicina Austria, richiede presso la autorità
amministrative competenti di Innsbruck una licenza commerciale per la vendita ambulante. La
risposta delle autorità austriache tuttavia non è positiva in quanto il codice di commercio e
dell’industria austriaco stabilisce che “i fornai, i macellai e gli alimentaristi possono vendere come
ambulanti in una determinata circoscrizione solo se esercitano la loro attività anche in un
esercizio stabile ivi situato nel quale sono poste in vendita le medesime merci oggetto di vendita
ambulante”.
Non convinto della legittimità del diniego, Tizio segnala la questione alla Commissione europea
che, dopo uno scambio di lettere con il governo austriaco, apre un procedimento di infrazione (art.
226 TCE) sostenendo che la misura in questione costituisce una misura equivalente a restrizioni
quantitative in contrasto con l’art. 28 TCE.
Nel corso di questo procedimento, il governo austriaco sostiene le seguenti argomentazioni:
a) la misura in oggetto non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 28 poiché ha ad oggetto la
disciplina di modalità di vendita;
b) laddove si ritenesse applicabile l’art. 28, la misura dovrebbe considerarsi comunque giustificata
in quanto diretta ad assicurare l’approvvigionamento alle piccole imprese locali svantaggiate dal
contesto orografico austriaco;
c) infine, un ulteriore titolo di giustificazione della misura può essere individuato nella tutela della
salute e del consumatore in quanto l’esistenza di un esercizio in loco è garanzia di freschezza e
igiene per prodotti di largo uso quali il pane, la carne e, più in generale, tutti i generi alimentari.
Non convinta da simili risposte, la Commissione propone ricorso alla Corte di Giustizia.
[Cfr. Causa 254/98, Schutzverband gegen unlauteren Wettbewerb c. TK-Heimdienst Sass GmbH [2000]
Racc. I-151]
Ai fini della soluzione del quesito posto nell’ambito del procedimento d’infrazione aperto dalla
Commissione europea, si tratta innanzitutto di stabilire la natura della misura in questione, onde
valutare se quest’ultima possa o meno ritenersi rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 28 TCE,
quale misura avente effetto equivalente a una restrizione quantitativa.
Precisamente la disposizione austriaca che subordina la vendita ambulante di generi alimentari
all’apertura di un esercizio stabile in loco, nel quale siano poste in vendita le medesime merci,
risulta essere una disposizione che limita una modalità di vendita. Tale misura limita infatti la
possibilità d’ottenere una licenza commerciale per la vendita ambulante di prodotti alimentari,
condizionandola all’onere aggiuntivo dell’apertura di un esercizio stabile in loco.
Ora bisogna ricordare che la Corte di giustizia, tramite le argomentazioni svolte nella sentenza
Keck ( sentenza in cui la Corte modifica le posizioni precedentemente assunte), esclude dal
campo d’applicazione dell’art. 28 l’assoggettamento di prodotti provenienti da altri stati membri a
disposizioni nazionali che limitino o vietino talune modalità di vendita, purchè tali disposizioni
valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati (nazionali o stranieri) che svolgano la propria
attività sul territorio nazionale e semprechè incidano in egual misura sullo smercio dei prodotti sia
nazionali sia provenienti da altri stati membri.
E’ fuor di dubbio che tale disciplina austriaca si applichi uniformemente su tutto il territorio
nazionale, sia ai prodotti d’importazione, sia ai prodotti locali. Per cui si può ritenere che il primo
requisito previsto dalla sentenza Keck sia soddisfatto.
Ciò che invece fa sorgere maggiori problemi è l’aspetto riguardante l’equivalente impatto della
normativa in questione sui prodotti nazionali e su quelli importati. Tale secondo requisito, che
porterebbe (secondo il test Keck) all’esclusione dell’applicazione dell’art. 28, non pare
riscontrabile.
Nel caso di specie infatti si può evidenziare come la limitazione prevista per la vendita ambulante
di generi alimentari vada di fatto a colpire in misura maggiore i produttori/venditori stranieri
rispetto a quelli austriaci. Infatti l’apertura di un esercizio stabile in loco rappresenterebbe per il
venditore straniero un onere molto più gravoso di quanto non lo sia per il venditore locale. Questo
perché il fornaio italiano, che già possiede un esercizio stabile nel proprio paese d’origine,
dovrebbe sopportare i costi aggiuntivi dell’apertura di un ulteriore forno o negozio nel paese
straniero al fine di poter qui legittimamente vendere i propri prodotti tramite vendita ambulante. E’
dunque chiaro come un onere di tal genere costituisca un forte disincentivo all’esportazione da
parte di chi già esercita un’attività commerciale di tal genere e voglia ampliare il volume dei suoi
affari esportando i suoi prodotti in un altro stato membro.
In considerazione di ciò possiamo concludere affermando che la disposizione in questione,
nonostante sia inquadrabile come misura che limita una modalità di vendita, non presenta un
equivalente impatto sui prodotti nazionali e su quelli importati. Mancando quindi tale requisito
dell’equivalenza d’impatto, si rientra nell’ambito applicativo dell’art. 28, in quanto i costi che
l’importatore dovrebbe sopportare costituiscono un disincentivo tale da creare un ostacolo alla
libera circolazione dei suoi prodotti.
Appurata dunque l’applicabilità dell’art. 28 alla misura in esame, che costituisce quindi un
ostacolo, si tratta ora di verificare se essa sia giustificabile invocando quale causa giustificativa la
tutela della salute pubblica, cosi come sostenuto dal governo austriaco.
Va però qui ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte, affinché preoccupazioni di
sanità pubblica possano giustificare un ostacolo come quello in esame, occorre che la misura
considerata sia inoltre proporzionata all’obiettivo da raggiungere e non costituisca un mezzo di
discriminazione arbitraria né una restrizione dissimulata al commercio tra stati membri.
La disposizione in questione appare invece eccessiva rispetto al risultato di tutela della salute
pubblica che si vuol perseguire. Infatti la freschezza e la salubrità dei prodotti alimentari può
essere garantita egualmente e allo stesso livello anche attraverso il rigido controllo delle
condizioni in cui avviene il trasporto delle merci, senza dover per forza imporre l’apertura di un
negozio in loco.
Pertanto tale giustificazione non può essere accolta e quindi la disposizione austriaca costituisce
un ostacolo non giustificato e quindi vietato dall’art. 28 TCE.
[a cura di Silvia Antonelli, Lab. Appl. “principi di armonizzazione del mercato interno”, a.a. 2005-06]