Testimonianza sull`essere insegnante di religione cattolica nella

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Testimonianza sull`essere insegnante di religione cattolica nella
Testimonianza sull’essere insegnante di religione cattolica
nella diocesi di Milano:
passato, presente e futuro
Brescia 28 agosto 2015
Annamaria Bertolasi
1. Passato: dal programma da svolgere al progetto educativo
Ho cominciato ha insegnare religione nel 1980, vigeva il Concordato del
’29, il dibattito sull’insegnamento della religione era concentrato sullo
stato giuridico dei docenti e sul “doppio binario”, anni fortemente
impregnati dell’identità forte ed ostentata degli anni ’70 che facevano si
che, quando entravi in contatto con qualcuno che non conoscevi, prima di
dire il tuo nome, dicevi da che parte stavi politicamente e a quale
movimento appartenevi nella chiesa col tuo abito, col giornale, quotidiano
o settimanale che avevi sempre sotto il braccio, o con l’uso di un
linguaggio che ti faceva immediatamente riconoscere. Il direttore
dell’Ufficio Cateschistico Diocesano, così si chiamava l’odierno Servizio
IRC, dandomi la nomina, oggi si direbbe il mandato, mi disse che il mio
compito era quello di favorire il dialogo, di far incontrare e non scontrare
le persone e per fare questo dovevo conservare e potenziare il senso di
appartenenza alla Chiesa di Milano evitando di “appartenere” a
movimenti o associazioni cattoliche che in quegli anni si facevano la
guerra ovunque e quindi anche nelle aule delle scuole superiori.
Mi chiese anche di partecipare ai “corsi di aggiornamento” che stavano
allora introducendo, accanto alle lezioni teoriche e cattedratiche, i primi
laboratori che non erano solo didattici ma cercavano di essere soprattutto
ambiti di cultura e di umanità, dove più che preparare “Unità Didattiche”
si cercava una strategia per trasformare la conoscenza in sapienza di vita.
L’insegnamento educativo non poteva essere finalizzato solo alla
trasmissione del puro sapere ma doveva favorire la comprensione della
condizione umana, degli eventi che accadono, doveva aiutare a vivere. E
Per fare questo bisognava sollecitare e sviluppare un pensiero aperto e
libero declinando l’insegnamento come ricerca della verità ed educazione
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alla verità che ovviamente implicava una riflessione sulle relazioni e
interconnessione tra verità, certezza e credo.
Questi “Corsi di Aggiornamento” come pure i corsi di preparazione
all’insegnamento che si tenevano all’ISSR di Milano avevano in comune la
richiesta di “CONTEMPORANEITA’”. Ci veniva consigliato di leggere il più
possibile, giornali, libri, riviste, anche quelle distanti dal nostro universo,
per essere consapevoli di quale direzione prendeva il sentire dell’uomo e
della società. Mi è stato insegnato a trovare un “filo rosso” che tenesse
insieme ciò che dovevo trasmettere coi bisogni e col vissuto degli studenti.
Ogni anno scolastico questo filo rosso mutava permettendo, non solo di
rendere vivo e interessante ciò che proponevo, ma soprattutto mi
metteva nelle condizioni di provare a dare una risposta alle domande di
senso che si ponevano con urgenza al loro cuore tenendo viva la tensione
verso la verità.
Sono gli anni in cui si comincia a guardare gli studenti per quello che sono
e che sanno fare e non per quello che non sono e non sanno fare. Si
comincia a parlare di sapere, saper fare, saper essere e il modo di porsi nei
confronti dell’universo scolastico diventa “volumetrico” nel senso che
introduce come elemento fondamentale la terza dimensione ossia la
profondità. Ciò che dici o fai non vale di per sé stesso ma per il suo
significato più intimo.
Nell’84 ci fu la revisione del Concordato seguita dell’Intesa e quindi il
piano pastorale del card. Martini “Dio educa il suo popolo” per il biennio
’87-89.
Martini ci diceva che educare è difficile, è possibile, è prendere coscienza
della complessità, è cosa del cuore, è bello.
Eccovi alcune parole di Martini commentate con la mia esperienza:
“I ragazzi hanno bisogno di amare e di essere amati. L’educazione è cosa
del cuore, occorrerà dilatare il cuore nostro e dei nostri ragazzi, perché si
stabilisca un vero flusso educativo.” (C.M. Martini, Dio educa il suo popolo,
p.73).
Amare i ragazzi è stato naturale, facile, anche i più problematici perché mi
hanno stimolato, mi hanno messo alla prova. Il difficile è stato accettare il
dolore della loro perdita perché dopo 5 anni insieme entravano nella vita
e bisognava ricominciare tutto daccapo, in un modo nuovo perché nel
frattempo era cambiato il mondo, il linguaggio, la mentalità e le mode.
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Sempre Martini scrive: “L’educazione, come ogni vera arte, non tollera
ricette, formule, clichè. Esige nell’educatore originalità e individualità:
chiede che si educhi con gioia” (C.M. Martini, Dio educa il suo popolo
p.74).
Ogni anno ti reinventi, declini in modo creativo ed attuale,
personalizzandolo per coloro che hai davanti, quanto devi trasmettere,
scopri una novità di senso e di linguaggio che ti preserva dalla noia della
routine, ti dona una sguardo aperto e ti riveste di una abito di gioia.
Educare con gioia anche quando hai un cuore sofferente perché la tua vita
personale sta vivendo momenti complessi e sofferti. Entri in aula con una
maschera e questa maschera non ti protegge più di tanto perché i ragazzi
non sono “deficienti” e capiscono che c’è qualcosa che non va. Ho
imparato a condividere con loro e per amore loro le mie fatiche, ho
trovato un linguaggio che mi consentisse di raccontare loro ciò che stavo
vivendo senza suscitare falsi pietismi ma facendogli capire che si può
affrontare qualsiasi sfida e andare avanti. Il dolore, la stanchezza, lo
smarrimento e la solitudine ridanno vigore alla tua vita, ti rafforzano e ti
danno sul medio/lungo periodo una marcia in più perché riducendoti o
togliendoti alcune paure ti pongono in uno stato di grazia: qualunque cosa
accada non sono solo e posso farcela.
“Il processo educativo è personale e comunitario, graduale e progressivo,
con momenti di rottura e salti di qualità, conflittuale, energico,
progettuale e liberante, inserito nella storia, realizzato con l’aiuto di
molteplici collaboratori, compiuto in maniera esemplare nella vita di Gesù,
iscritto nei cuori mediante l’azione dello Spirito Santo “nell’uomo
interiore”, espresso nel cammino di fede di Maria “Redemptoris Mater”.
(C.M. Martini, Dio educa il suo popolo, p.24).
Non sei solo quando educhi, non sei tu a trovare risposte o soluzioni, lo
Spirito Santo agisce dentro di te. Questo è profondamente vero. Lo
scoprirete quando vi sembrerà di non farcela davanti a studenti o classi
molto turbolente nel momento esatto in cui, non sapendo più che dire o
che fare, facendo silenzio e guardando smarriti e affranti “le pesti” che
avete davanti chiederete un aiuto dall’alto. Statene certi arriverà.
“La progettualità non significhi far entrare tutto in uno schema rigido, ma
avere il senso del fine e delle mete intermedie, e operare con elasticità ed
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equilibrio, per tenere o riportare in tensione verso il fine i diversi
momenti.” (C.M. Martini, Dio educa il suo popolo, p.39).
Non siamo chiamati a “svolgere un programma” ma a “rendere un servizio
alla scuola” e alle persone che vi ruotano dentro e attorno. Il punto di
arrivo è l’uomo educato, e l’itinerario da percorrere non può non tener
conto della storia, dello spazio e del tempo in cui questo uomo si trova
così come dei suoi ritmi e della sua vicenda personale. Tenere ben a
mente la meta e individuare i singoli passi che di volta in volta
costituiranno l’itinerario migliore è parte del mandato ricevuto.
Il cammino educativo necessita di realismo, “l’uomo non deve essere
educato per una società ideale, ma per la società reale in cui è destinato a
vivere e a collaborare per la promozione propria e altrui.” (C.M. Martini,
Dio educa il suo popolo, p.65).
“La realtà è un fattore educativo di grande importanza. Prendendone coscienza,
eviteremo di educare a forza di principi astratti e di ragionamenti puri. La nostra azione
educativa non si fonderà su una ideologia sia pure ben articolata e seducente. La realtà
fatta di persone vive, di cose concrete, di situazioni quotidiane, di motivazioni ed
esigenze realistiche, di rapporti inevitabili, di lavoro faticoso e dinamico, di comunità
pluralistica e in evoluzione e di spirito animatore sapiente e volitivo, è sempre stata la
migliore formatrice dell’uomo. Togliere le persone dalla realtà per introdurle in un
mondo irreale, in uno spazio di idee pure o di sentimentalismi patetici, è certamente
antieducativo. Non si tratta di educare angeli o bambini nati santi, ma uomini e donne
con le loro doti, con i loro limiti (aggressività, difficoltà, fatiche, fallimenti, frustrazioni,
errori…). (C.M. Martini, Dio educa il suo popolo, p.45).
Tutti coloro che insegnano devono avere il senso della realtà ma
l’insegnante di religione deve averlo in quantità maggiore perché è a lui
che si pongono le domande di senso, perché, non avendo la “sindrome del
programma da svolgere” o “dell’esame di stato” può dedicare tempo alla
persona, fermarsi e ascoltare ciò che sta nel profondo del cuore di questi
giovani che si stanno aprendo alla vita, che spesso sono spaventati e
disorientati, che passano dallo stato di onnipotenza a quello di
inadeguatezza davanti alla più piccola variazione delle abitudini
consolidate.
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2. Il presente: la centralità delle relazioni e il senso di appartenenza ad
una comunità
Alla scuola di Martini si sono formati nuove generazioni di insegnanti di
religione e nuove generazioni di sacerdoti che oggi operano nella scuola e
nel servizio IRC.
Di questa nuova generazione fa parte il penultimo direttore del servizio
IRC don Michele di Tolve che ha dato una svolta significativa al Servizio IRC
per adeguarlo alle sfide del nuovo millennio.
Don Michele iniziò il suo mandato decidendo di incontrare ciascun
insegnate della diocesi. (Parliamo di qualcosa come 5000 persone forse di
più contando anche le specialiste dell’infanzia). Mi sono raccontata e ho
raccontato la scuola, i ragazzi, i colleghi, la burocrazia opprimente, i
genitori disorientati, spaventati dalla realtà e iperprotettivi, più
concentrati nel dare cose ai loro figli che nel dare loro un’educazione che
permetta ai figli di diventare adulti.
Da quella straordinaria esperienza è nato un nuovo modo di essere
insegnate di religione in diocesi di Milano, è iniziata la stagione del Gruppi
Territoriali per rispondere al bisogno dei docenti di superare il senso di
solitudine, di incontrarsi, di parlarsi, di confrontarsi e progettare insieme.
I singoli Gt sono formati da docenti di uno stesso territorio che vengono
chiamati a lavorare insieme, a progettare, a confrontarsi seguendo un
percorso che viene preparato dalle equipe dei coordinatori. Il referente
del Gt viene preparato a svolgere il suo ruolo dai coordinatori e a loro
riporta il sentire, i bisogni dei docenti. Si creano una circolarità, per cui ciò
che viene proposto ai docenti è ciò di cui in realtà sentono il bisogno, e
una comunione perché, pur nello specifico dei singoli gruppi, camminiamo
tutti sullo stesso sentiero tendendo alla stessa meta.
Lo scopo dei GT è la RELAZIONE stimolata, sollecitata, coltivata, declinata
in tante forme quante sono i possibili interlocutori, che consente di avere
un corpus docenti capace di dialogare, di parlare, di stare insieme. La
qualità dell’esserci e dello stare con gli altri dice come si è in quanto
docenti. L’aggiornamento contenutistico non è l’obiettivo dei GT bensì il
misurarsi con la RELAZIONE. I percorsi sono FORMAZIONE IN SERVIZIO e
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non più aggiornamento, percorsi nei quali i docenti sono chiamati a
mettersi in gioco sperimentando innanzi tutto tra di loro ciò che comporta
lo stare con e per gli studenti.
E’ la complessità del mondo e la velocità dei cambiamenti che rende
necessario il lavoro insieme.
In profonda continuità con l’insegnamento di Martini, è l’insegnamento di
Scola che nell’incontro con il mondo della scuola del 22 gennaio 2014, in
Duomo, pur nella differenza di linguaggio, ripropone gli stessi punti
cardine.
Il card. Scola nell’incontro del 22 gennaio 2014, parlando in Duomo agli
insegnati della diocesi esordisce con un pensiero di Maritain il quale
afferma che “la cosa più importante nell’educazione non è l’educazione o
l’istruzione ma l’esperienza. Attraverso l’esperienza si compie la
formazione dell’uomo, frutto della sofferenza e della memoria.
Nell’educare e nell’insegnare siamo portati fuori da noi stessi e ci
incontriamo e ci scontriamo con l’altro che irrompe nella nostra vita. L’io,
cioè la tua persona, è ciò che entra in campo quando si parla di
educazione. E con la tua persona entra in campo la tua esperienza che non
puoi tradurre in tecniche. L’educazione è un’arte che usa molte tecniche. E’
un’arte che implica la creatività che nasce dalla tua esperienza di vita. L’io
di cui si parla è l’io in relazione, un io soggetto personale e comunitario.”
Più specificatamente parlando dell’IRC afferma:
“In primo luogo è importante che l’insegnante di religione cattolica sia un
io in relazione che si senta appartenente, attraverso la Chiesa che lo
manda a quel compito, al Signore stesso. Questa è la prima condizione. Se
si concepisce come un singolo isolato che, una volta ottenuta l’idoneità e
ricevuta la nomina, procede per conto proprio, evidentemente sarà
difficile. Per prima cosa, dunque, per lo specifico del suo compito,
l’insegnante di religione deve vivere un’appartenenza grata e consapevole
alla Chiesa – non alla Chiesa in genere, ai discorsi che fanno i Vescovi e
basta, ma alla Chiesa fatta di persone vive – praticandola concretamente.
Rimanere in relazione a partire dall’Eucaristia illuminata dalla Parola di
Dio, in un’educazione continua all’amore e al pensiero di Cristo, disponibile
– come abbiamo visto prima – a giocare tutto il proprio io. In questo sta la
testimonianza: non nel diventare degli agit-prop della Chiesa cattolica, ma
nell’inesorabile spontaneo comunicarsi della bellezza di vita di cui si fa
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esperienza anche nella sofferenza, nelle contraddizioni, nella difficoltà. In
secondo luogo, per la fisionomia dell’insegnamento della religione
cattolica è molto importante arrivare ad affrontare tutte le implicazioni dei
misteri cristiani. C’è modo e modo di spiegare i primi capitoli della Genesi,
o di presentare la Trinità e i Vangeli. Per rispettare tutti, bisogna mostrare
come i misteri della vita cristiana hanno sempre delle implicazioni preziose
– sul piano antropologico, relazionale, sociale, sul piano della cura del
creato inteso come dimora – per rispondere alla domanda “chi sono io?”.
E’ necessario che un insegnamento della religione ben concepito presenti,
sì, oggettivamente i misteri cristiani, gli elementi storici relativi al popolo
d’Israele e alla Chiesa, ma arrivi anche a rivelare le implicazioni
antropologiche, sociali e di relazione col creato che si danno nell’oggi.”
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3. Il futuro: una sfida aperta
La realtà in cui viviamo ci chiama:
a fornire una cultura che permetta di distinguere, contestualizzare,
globalizzare, affrontare i problemi multidimensionali, globali e
fondamentali;
a preparare le menti a rispondere alle sfide che pone alla
conoscenza umana la crescente complessità dei problemi;
a preparare le menti ad affrontare le incertezze, in continuo
aumento, non solo facendo conoscere la storia incerta e aleatoria
dell’universo, della vita, dell’umanità, ma anche favorendo
l’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore;
ad educare alla comprensione umana fra vicini e lontani;
ad essere parte della storia, della sua cultura;
Viviamo in una società virtuale ma non possiamo non cercare e far cercare
la verità. Ci dovremo misurare con un contesto dove:
complessità e confusione la fanno da padrone;
ciascuno rivendica il diritto ad aver ragione sul resto;
La verità è stata ridotta dalla modernità a una certezza logicointellettuale (conoscenze).
La verità è stata ridotta dalla tecnica a ciò che si riesce a fare e a
controllare grazie alle conoscenze (abilità).
la verità ridotta a conoscenza e/o abilità è stata separata
dall’affettività, dalla moralità, dalla religiosità, dal gusto, dal corpo
di ciascuno e ha accreditato l’idea che potesse essere vero solo ciò
che non dipende da altro che dalle regole sintattiche e semantiche
o quelle performative.
La certezza coincide con la verità scientifica
E allora mettiamoci all’opera.
Il futuro non è così lontano, lo costruirete voi entrando in aula,
incontrando i vostri studenti, ascoltandoli, guardandoli, trasmettendogli
una speranza, guidandoli nella costruzione del loro progetto di vita, non
facendogli troppi sconti, rifuggendo il facile buonismo.
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Il modo con cui vivrete le relazioni e le relazioni educative darà e vi darà
uno spessore umano che porterà frutto in voi e in coloro che incontrerete
nel vostro viaggio.
Vi auguro, di fiorire e dar frutti in qualunque terreno siate piantati
cercando di essere un balsamo per molte ferite.
State per ricevere il “Mandato”. Quando ho cominciato ad insegnare non
si usava fare una cerimonia quindi io questo “mandato” non l’ho mai
ricevuto.
Ma 3 anni fa ho vissuto una esperienza paragonabile a questa, durante il
tradizionale pellegrinaggio natalizio in Terra Santa, riservato agli
insegnanti della diocesi di Milano, a Nazareth, in Galilea, dove tutto ha
avuto inizio.
Nella Basilica della Natività, con tutti gli altri insegnati presenti sono stata
inviata dal responsabile del servizio IRC a nome del Vescovo, ad essere
testimone nella scuola, a servire nella scuola, a portare discernimento e
speranza, a continuare il cammino fatto di incontro, stupore, scoperta,
preghiera, fatica nella quotidianità, ad affrontare le sfide, a rialzarmi dalle
cadute, a non avere paura.
Giungi alla meta e quella meta è un nuovo inizio verso un altrove.
Peregrinare, insegnare, educare vocaboli e azioni diversi ma non dissimili.
Il vostro Vescovo e il vostro servizio IRC non vi lasceranno soli, vi
guideranno, vi consiglieranno, magari vi daranno qualche tirata
d’orecchio, nessuno di noi è perfetto, non vi faranno sentire soli ma
comunità in cammino.
Concludo con le parole con cui il del card. Scola ha chiuso l’incontro con gli
insegnati in Duomo “Vi invito di tutto cuore ad applicare un metodo
pedagogico fondamentale alla vostra persona: il tutto viene prima della
parte; l’io in relazione è un originario, così come l’apertura alla totalità del
reale. Se siete cristiani, per vivere bene il vostro compito dovete quindi
tener d’occhio tutta la vita della Chiesa: cosa ci sta dicendo il Papa, il
ricorrere della settimana dell’educazione, di quella della famiglia, di quella
della solidarietà… Pensate anche al tentativo della proposta pastorale di
quest’anno. Grazie.”
Grazie
Annamaria Bertolasi
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