GIAN ENRICO MANZONI OPINIONE PUBBLICA NELL`ANTICA

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GIAN ENRICO MANZONI OPINIONE PUBBLICA NELL`ANTICA
GIAN ENRICO MANZONI
OPINIONE PUBBLICA NELL’ANTICA ROMA1
La cultura e l’opinione pubblica: anche nel mondo romano antico il rapporto è stato difficile, spesso
conflittuale. Le origini della retorica e della filosofia a Roma lo testimoniano, e non solo in un dato
momento storico; l’arco di tempo della difficoltà dei rapporti va almeno dall’inizio del secondo secolo
a.C., al principio del primo. E non solo: tensioni, incomprensioni e scontri non mancarono anche in
epoche successive. Basta pensare alle poche voci di dissenso da Nerone, che erano le voci dei filosofi
stoici, in contrasto anche con ciò che la mentalità comune pensava dell’imperatore: ma qui la nostra
analisi si limita alla fase iniziale di questo rapporto. La filosofia per prima aveva trovato resistenze nella
concretezza tradizionale dei Romani: l’astrazione filosofica di origine greca suscitava sospetti diffusi,
come se si trattasse di un imbroglio, un raggiro. Non mancarono le espulsioni dei filosofi a partire almeno
dal 190-180 a.C. Celebre la cacciata di Carneade, Critolao e Diogene nel 155 a.C., perché giudicati
pericolosi per la società romana: soprattutto tale appariva quel Carneade sul quale si interrogava don
Abbondio nella notte degli imbrogli. Ma insieme alla filosofia venne colpita la retorica, cioè la tecnica
del parlare bene, che pure era d’importazione greca. Svetonio ci racconta delle difficoltà iniziali per
questa disciplina e sappiamo che nel 161 a.C. un decreto del Senato bandiva dalla città insieme retori e
filosofi greci. Ma la novità culturale non si arrestava per decreto: e la tecnica retorica riprese fiato, poi un
po’ di vigore, progressivamente apprezzata anche dai Romani: purché fosse rigorosamente controllata
dall’aristocrazia. E così accadde che nel 93 a.C. venne aperta la prima scuola di retorica a Roma, per
iniziativa di un personaggio non molto famoso: Plozio Gallo. Era la scuola dei rhetores Latini, della
quale parla anche Cicerone, per testimoniarci dei successo che essa riscontrava presso i giovani di allora
e del suo rammarico per non potervi accedere: il giovane Arpinate era infatti trattenuto da altri maestri,
che lo indirizzavano allo studio della retorica solo in greco, come una volta si faceva. Ma per quali motivi
questo allontamento dalla scuola di Plozio Gallo? Oggi sappiamo dare una risposta alla domanda e
possiamo affermare che i consiglieri di Cicerone agivano in tal senso per motivi non solo o non tanto
didattici, quanto politici: la scuola dei retori latini rischiava agli occhi loro, e agli occhi di altri
benpensanti romani, di trasformarsi in un pericoloso centro di democratizzazione del sapere, e, quindi
delle vie di accesso al potere sociale e politico. Sappiamo infatti dell’amicizia del maestro, cioè di Plozio
Gallo, col popolare Mario, in anni di contrasti fortissimi in Roma, culminati nella guerra del 91 a.C. per il
diritto di cittadinanza degli Italici. È sempre Cicerone a informarci, nel trattato intitolato De oratore ,
dell’esistenza di questi maestri e del loro insegnamento, e lo fa per bocca di Lucio Licinio Crasso che,
allora censore, li aveva colpiti con un editto di chiusura della scuola. Era una scuola di impudenza e di
perdita di tempo, agli occhi di Crasso e dei suoi amici: essi andavano ripetendo che la mente dei ragazzi
diveniva ottusa e si rafforzava la loro pericolosa sfacciatagggine, mentre i nuovi retori si proponevano
esattamente il contrario: aprire la mente degli alunni, farli ragionare, spiegare il perché delle cose e dei
problemi. Il nuovo genere di insegnamento consisteva sostanzialmente in una sintesi di retorica e
filosofia, in vista della formazione di un uomo di cultura completa. Si doveva trattare quindi del
superamento di una preparazione esclusivamente tecnica e precettistica, a vantaggio di una formazione
globale dell’oratore: questi diveniva così il depositario di una cultura in grado di fargli reggere con
competenza il timone della repubblica romana. È in questo contesto culturale e sociale pieno di fermenti
e di stimoli nuovi che si formò il giovane Cicerone.
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Giornale di Brescia, 1.6.2005.