PROSPEZIONI ARCHEOLOGICHE SUL TERRITORIO DELLA

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PROSPEZIONI ARCHEOLOGICHE SUL TERRITORIO DELLA
muni di Scarlino (CUCINI 1985) e Campiglia Marittima (CASINI c.s.). Compareremo i risultati che emergono dalle diverse aree costiere indagate con quanto evidenziato da alcuni campioni territoriali più interni della diocesi, indagati
da chi scrive sullo scorcio degli anni ’90 nell’ambito del
progetto “Colline Metallifere” (Tav. 1).
PROSPEZIONI ARCHEOLOGICHE
SUL TERRITORIO DELLA DIOCESI
DI MASSA E POPULONIA
L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA INSEDIATIVO
FRA LA TARDA ANTICHITÀ
ED IL MEDIOEVO:
ALCUNE PROPOSTE INTERPRETATIVE
LA COSTRUZIONE DEL QUADRO INSEDIATIVO
DELLA TARDA ANTICHITÀ
di
LUISA DALLAI
IL QUADRO STORICO E GEOGRAFICO
DELLA RICERCA
Dalla metà degli anni ’80 i limiti amministrativi della
diocesi di Massa e Populonia hanno costituito l’ambito geografico e storico di ricerca per numerosi progetti di archeologia del paesaggio coordinati dall’Insegnamento di
Archeologia Medievale dell’Università di Siena. Il territorio diocesano, in buona misura coincidente con l’area di
influenza esercitata fino ad epoca ellenistica dalla città di
Populonia, si estendeva dal litorale alla parte più meridionale delle Colline Metallifere, e comprendeva l’isola d’Elba e le altre isole dell’arcipelago toscano ad eccezione del
Giglio e di Giannutri (GARZELLA 2001, p. 310). Dal IX secolo tuttavia la sede episcopale fu spostata dalla costa verso l’interno, e dal 1062 la stessa è documentata a Massa
Marittima.
Il territorio diocesano è stato investigato attraverso reiterate battiture a campione; sono state indagate in specifico
ampie porzioni dei territori comunali di Campiglia Marittima, Suvereto, Follonica, Scarlino, Massa Marittima, Monterotondo Marittimo e Gavorrano. Più recentemente il promontorio di Piombino e l’area ove sorse la città etrusca di
Populonia sono divenuti oggetto di studio per un articolato
nucleo di ricerche centrate da un lato a meglio definire l’assetto topografico dell’antica città e le sue trasformazioni in
età imperiale (CAMBI, MANACORDA 2002), dall’altro a precisare le caratteristiche dell’insediamento sul promontorio in
relazione ai più tardi assetti istituzionali di periodo medievale, allo sfruttamento delle risorse economiche ed ai modi
della produzione del metallo successivi alla scomparsa della città.
A partire dall’analisi dei dati emersi nel corso delle indagini topografiche, questo contributo si prefigge di tracciare, seppur in modo sintetico, un primo quadro delle linee
di evoluzione del popolamento riconosciute sul territorio
della diocesi fra la Tarda Antichità (IV-V secolo d.C.) e l’alto
Medioevo (VII-VIII secolo). Questo è infatti l’arco cronologico entro il quale è ben riconoscibile il passaggio dall’ultimo orizzonte insediativo ancora in buona misura articolato sull’uso delle strutture del mondo romano (il riuso
delle ville e delle mansiones lungo la grande viabilità consolare) alla strutturazione di un modello insediativo del tutto nuovo (VALENTI 1994, pp. 188-189). Quest’ultimo si concretizza in una netta cesura di utilizzo dei siti più antichi,
cronologicamente riferibile alla fine del VI-prima metà del
VII secolo d.C., accompagnata da una diffusa e duratura
occupazione delle alture, perfettamente documentata nell’area costiera dallo scavo di Scarlino (FRANCOVICH 1985) e
rilevata con caratteri simili anche nell’intero della regione,
dagli scavi di Montarrenti (CANTINI c.s.) e Poggibonsi (VALENTI 1996).
Per fornire un primo quadro territoriale sintetico faremo riferimento in specifico alle indagini condotte sul territorio piombinese da chi scrive nel triennio 1999-2002, ed
integreremo i dati con quelli in larga parte editi o in via di
edizione che sono il risultato di ricerche pregresse (FEDELI 1983), e di battiture sistematiche condotte nei vicini co-
Tutto il territorio analizzato mostra assai precocemente
la presenza di un numero significativo di insediamenti accentrati e funzionalmente articolati; tali insediamenti, dalle
dimensioni assai consistenti (dai 1100 mq di Marsiliana,
ai 3900 di Casa Franciana, ai 4 ettari di Macchialta) (FEDELI 1983, p. 419) sono diffusi e ben riconoscibili fin dal
III secolo a.C, cioè fin dalla fase di passaggio dell’area sotto il controllo romano. Le stesse fonti letterarie, fra cui la
celebre descrizione straboniana di Populonia e del suo primo entroterra, adombrano l’esistenza sin dall’epoca del principato di ragguardevoli nuclei di popolamento: «Populonia
si erge su un alto promontorio che cade a strapiombo sul
mare, formando una penisola (…). La cittadina è completamente abbandonata, fatta eccezione per i templi e rari
abitati» (Strab., Geogr. V, 2-6); il termine greco utilizzato
dal geografo nel descrivere il colpo d’occhio sul golfo di
Baratti,
, traducibile secondo una lezione accreditata in “rari abitati” (SHEPHERD 1999, p. 120), potrebbe riferirsi proprio ad alcuni di quei grossi insediamenti sviluppatisi, in una certa misura, a scapito o in alternativa alla
città stessa. D’altra parte la tendenza alla precoce frammentazione insediativa dell’antico centro urbano di Populonia,
la sua crisi e la sua sostituzione col sistema composito degli
insediamenti gravitanti sullo scalo di Baratti, è un dato archeologicamente ben documentato sin dalla media età imperiale (DALLAI 2002, pp. 30-31).
I “rari abitati” vengono spesso indicai in letteratura con
il termine generico di ville rustiche, ma si tratta in realtà di
insediamenti dalla tipologia diversificata.
In alcuni casi, quando siano stati rinvenuti elementi architettonici e decorativi di pregio (come ad esempio le tegole dipinte, che sono documentate fra i materiali di Casa
Franciana), oppure oggetti di qualità alta, (come il vetro
cammeo rinvenuto in località Palmentello) (DE TOMMASO 1990, pp. 419-422), oppure ancora quando sia documentata la presenza di produzioni specializzate (come a Macchialta, dove sono state localizzate numerose scorie e frammenti di ematite, a prova di una vocazione siderurgica dell’insediamento esteso su un’area di più di 4 ettari) (FEDELI
1983, pp. 415-417), è possibile pensare a delle vere e proprie ville, dotate di una pars urbana e di ambienti e strutture adibite alla produzione, agricola o manifatturiera. Le dimensioni di queste ville sono comprese fra i 4000 mq di
Casa Franciana ed i 4 ettari di Macchialta; le ville localizzate poco più a sud, nelle valli di Pecora ed Alma, variano
fra i 3000 ed i 25000 mq della Villa della Pieve (CUCINI 1985,
p. 214), ma sono attestate misure medie (ad esempio per le
ville di Valmora e del Pino, comprese fra i 6000 e gli
8000 mq) (CUCINI 1985, p. 294), che permettono un raffronto
diretto con quanto rinvenuto nel territorio populoniese.
In altri casi, come in località Cafaggio (FEDELI 1983,
p. 413), a Poggio Grattalocchio (MINTO 1943, p. 339), al
Podere Acquaviva (FEDELI 1983, p. 417) e, più nell’interno,
sul colle della Marsiliana presso Massa Marittima (MM 3201/7), i rinvenimenti sembrano riflettere l’esistenza di strutture insediative complesse e più articolate della semplice
fattoria pur grande. Di questo secondo tipo di insediamento
sono esemplificativi almeno tre siti localizzati nell’alta val
di Bruna, (Casa Serratone, UT MM504-1/6; Casa Sant’Agata, UT 514-1/7; Fattoria Vaticano, UT 532-1/5), che presentano fisionomie polinucleate ed estensioni comprese fra
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200 e 600 mq, per le quali tuttavia i materiali non evidenziano alcuna specifica articolazione funzionale né sono presenti elementi di pregio certamente riconducibili all’esistenza di una pars urbana (Tav. 2).
È complesso definire tali insediamenti come grandi fattorie, ville rustiche generatesi in conseguenza delle trasformazioni fondiarie e della crisi economica seguita alle distruzioni sillane o piuttosto villaggi; l’impressione che sembra di poter cogliere da una visione complessiva del paesaggio, suffragata anche da paralleli offerti da territori limitrofi (a sud l’area scarlinese e cosana, a nord la valle del
Cecina, e nell’interno il territorio volterrano) (CARANDINI,
CAMBI 2002; REGOLI, TERRENATO 2000; MOTTA 1997), è che
si affermino almeno due modelli di organizzazione dell’insediamento, comunque di tipo accentrato; il primo, più diffuso nella fascia costiera e nell’immediato entroterra, specialmente lungo la grande viabilità, alterna alle mansiones
ed alle ville tradizionali un insediamento sparso fatto di piccole fattorie (le “case 1”, della griglia interpretativa utilizzata per la definizione dei modelli insediativi nell’ager
cosanus). Il secondo interessa le colline dell’interno ed è
sostanzialmente basato su nuclei di popolamento accentrati, privi di particolari connotazioni funzionali e dal difficile
inquadramento amministrativo.
È possibile ipotizzare una dipendenza di questi ultimi
o di una parte degli stessi dalle numerose ville litoranee,
legate ai villaggi ed alle fattorie dell’interno da rapporti
economici o funzionali; proprio attraverso questi nuclei
rurali esse avrebbero potuto spingere il proprio controllo
fino alle Colline Metallifere, per accedere fra l’altro allo
sfruttamento dei giacimenti minerari. Una situazione analoga, con un controllo assai esteso esercitato dalle ville di
pianura sulle aree collinari interne è già ipotizzato, ad
esempio, per l’agro Rosellano e la zona interna di Roccastrada (GUIDERI 2001, pp. 13-20), e non pare casuale che
due degli insediamenti accentrati di maggiori dimensioni,
quello di Marsiliana in Val di Pecora (MM 320) e Casa
Serratone in Val di Bruna (MM 504), siano localizzati in
prossimità di mineralizzazioni importanti, le stesse che
conosceranno un intenso sfruttamento in epoca medievale e concorreranno a determinare il posizionamento strategico dei due castelli minerari di Marsiliana e Pietra (DALLAI, FARINELLI 1998, pp. 53-68).
I lavori di ricognizione archeologica condotti nella bassa
Valle del Pecora e nel Pian d’Alma hanno messo in evidenza con chiarezza la disposizione preferenziale di ville e grandi fattorie lungo il tracciato della via Aurelia, cioè nelle pianure costiere. Un quadro analogo emerge anche per il territorio Cosano, dove le ville si dispongono tuttavia preferenzialmente sui pendii prossimi agli assi viarii (REGOLI 2002,
pp. 145-154). In tutti i territori esaminati, ed anche nel populoniese, si può chiaramente osservare una particolare concentrazione di questo tipo di insediamento nelle aree di intersezione fra la viabilità costiera, i porti ed i diverticoli
viari interni. In relazione a quest’ultimo aspetto della questione l’alta val di Bruna e la val di Carzia costituiscono un
buon esempio di studio. In queste aree, fin da epoca repubblicana, numerose piccole fattorie si concentrarono in particolar modo lungo le valli fluviali che furono le sedi naturali dei percorsi di collegamento fra l’area delle Colline
Metallifere e la costa. L’ipotesi che la pianura del Carzia
potesse rivestire un interesse di tipo commerciale oltre che
agricolo, che si trattasse cioè di una via consolidata di comunicazione tra la costa e le aree collinari, costituisce una
delle possibili interpretazioni della concentrazione insediativa qui rilevata; il popolamento ubicato in aree pianeggianti
e legato alla presenza di assi viari si propone d’altra parte
con caratteristiche analoghe anche nella pianura a sud dell’altura ove sorge il nucleo attuale di Massa Marittima, nella zona che ospita ancora oggi la viabilità di raccordo fra la
S.S. (che qui ricalca il percorso dell’antica consolare) e la
Val di Pecora.
IL RIUSO DELLE VILLE E LA FORMAZIONE
DEI VILLAGGI NEI SECOLI DELLA TRANSIZIONE
La maggior parte dei grandi siti costieri sorti in epoca
repubblicana e sviluppatisi durante il principato e l’età giulio-claudia (Casa Franciana, Macchialta, Cafaggio, Poggio
al Lupo, Podere Acquaviva, Marsiliana) non restituisce
materiali che datino oltre lo scorcio del II secolo d.C.; solo
alcuni degli insediamenti più grandi superano con successo
la crisi insediativa del III secolo d.C., che fu probabilmente
anche crisi demografica, e restituiscono materiali che ne
attestano la vitalità fino al V secolo d.C. È questo il caso
del sito di Fattoria Alba, del villaggio di Poggio all’Agnello, e dei grandi insediamenti di Casal Volpi e Podere San
Giuseppe (CASINI c.s.).
Tale drastica selezione rende evidente il peso ancora
rivestito in questa fase storica dal sistema di infrastrutture
viarie imperniato sulla viabilità consolare; la selezione degli insediamenti ancor più accentuata che si produce fra IV
e VI secolo privilegia alcune località che potremmo definire “di passo”, come Vignale, Poggio all’Agnello, Massa
Vecchia, le quali manterranno anche in questa fase il ruolo
di centri di consumo e di scambio testimoniato dalla presenza di una vasta gamma di ceramiche di importazione
africana (forme Atlante CVI nn. 10, 11; XVI nn. 8,9, XLVIII
n. 16; CV n. 8; CIV n. 6; Hayes 61B, 67, 104, fino ai vasi a
listello 91B e C).
La progressiva diminuzione dell’insediamento sparso,
documentata su tutta la diocesi già a partire dal II secolo d.C.,
registra una evidente accentuazione nel III secolo; nell’area
più prossima alla città di Populonia dei 40 siti datati al periodo repubblicano ed alto imperiale solo 4 attestazioni sono
databili oltre il III secolo. Una selezione anche maggiore
caratterizza il periodo successivo, per il quale l’unico sito
documentato è il villaggio di Poggio all’Agnello che evidentemente, forse proprio grazie al suo posizionamento strategico rispetto alle infrastrutture viarie, attrae totalmente
l’insediamento composito che aveva caratterizzato quest’area nei periodi più antichi. Le UT di Poggio all’Agnello
(UT 246, 273, 271), estese su una superficie di poco inferiore ad un ettaro, hanno restituito materiali che datano senza
soluzione di continuità dalla fine del I secolo a.C. (forma
Atlante II, CXVIII, n. 1; CXVII, nn. 2-9) al IV-V secolo d.C.
(forme Atlante XLVIII, n. 16; CV, n. 8; CIV, n. 6). L’utilizzo del sito nel VII secolo è indiziato dal rinvenimento di
forme tarde della ceramica africana, quali i vasi a listello
(forma Hayes 91C) (Tav. 3).
Il modello insediativo accentrato, già attestato per i periodi più antichi nelle valli dell’interno, conosce in questa
fase storica una diffusione capillare, documentata in tutti i
campioni territoriali indagati. L’area più interna risulta in
questo caso la più conservativa. Là dove minore presa aveva avuto la diffusione della villa classica e dove sempre si
era mantenuto vivo il tessuto insediativo delle case sparse,
è attestata fino alla Tarda Antichità la coesistenza di forme
accentrate e non, ma queste ultime sono ormai numericamente ben poca cosa rispetto a quanto registrato nella media età imperiale.
Anche sulle colline dell’interno i siti di maggiori dimensioni, localizzati sul colle di Monte Pozzalino (UT
MM36-1b; 36-2; 36-3b; 36-4b), a Casa Sant’Agata (UT 5143, 514-4, 514-7), a Massa Vecchia (UT 228-1/4) sono ben
inquadrabili nella tipologia del villaggio; l’indagine topografica ha rilevato un’articolazione topografica in alcuni
casi ancora sufficientemente leggibile. Il primo di questi,
sviluppato in almeno 4 distinte aree di concentrazione di
fittili di circa 20×60 m disposte lungo un pendio poco accentuato, si imposta su un sito già insediato fra I e III secolo
(UT MM 36-4b, 38-1b), ma mostra di ampliarsi notevolmente fra il IV ed il VI secolo d.C., ed attrae completamente il popolamento della vallata dei Noni. Fra i rinvenimenti
ceramici va segnalata la presenza di numerosi resti di con-
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Tav. 1 – Diocesi di Massa/Populonia. Le aree indagate dalle indagini topografiche.
Tav. 2 – Ville, grandi fattorie e viabilità consolare fra III secolo a.C: e III secolo.
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Tav. 3 – VI-VII secolo d.C. Gli insediamenti superstiti e la viabilità consolare.
Tav. 4 – Localizzazione dei rinvenimenti di ceramica con anima grigia. In basso: esempi di anse a nastro con incollatura (UT 316). A destra: olle
steccate con decorazione a bande rosse dal riempimento di una delle cisterne dell’edificio delle Logge (Populonia-PL I-II, US 1248).
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tenitori da trasporto (Africana II, Keay B59); da Monte
Pozzalino proviene inoltre una moneta dell’imperatore Costanzo Gallo Cesare.
Nell’alta val di Bruna alla scomparsa dell’insediamento sparso segue lo sviluppo del villaggio ubicato in località
S. Agata (UT 514-3, 514-4, 514-7), dal quale proviene un
contesto di materiali ceramici assai significativi perché scarsamente documentati nell’interno, fra cui imitazioni di forme della ceramica africana (Hayes 61b, 67, 91b) che ne attestano la continuità o ripresa d’uso in un periodo compreso fra la metà del IV ed il VI secolo d.C.
Il territorio della Tarda Antichità è dunque in quest’area,
come nel resto della Tuscia, un territorio fatto prevalentemente di villaggi (CAMBI et al. 1994, pp. 183-217) e, naturalmente, di ville che, quando non scompaiono, si trasformano esse stesse in nuclei di attrazione del popolamento.
La riconversione ed il riassetto funzionale sono ben
percepibili dall’analisi planimetrica delle ville meglio indagate; nell’area della presente ricerca quelle di Poggio San
Leonardo e Poggio del Mulino ne sono un esempio. Sorte
come ville marittime, esse continuarono a vivere, pur mutando in buona parte fisionomia, a cavallo fra Tarda Antichità ed alto Medioevo (VI-VII secolo).
A Poggio del Mulino le evidenze di IV-V secolo d.C.
indicano la presenza di attività metallurgiche ed un uso delle strutture, forse già in parte crollate, che con la metà del V
secolo assume aspetti spiccatamente marginali; l’assenza
di materiali specifici, quali ad esempio le lucerne, induce a
ritenere tale occupazione del tutto residuale ed episodica.
Si datano a questa fase alcune sepolture allestite negli strati
di crollo delle strutture della villa, che testimoniano l’esistenza di un piccolo nucleo di occupanti i quali ne avevano
riutilizzato i ruderi a scopo abitativo (SHEPHERD 1986-87,
pp. 283-286). Dell’impianto più antico pare rimanere in vita
solo una parte degli ambienti, che sono riadattati per un
assetto economico e sociale di riferimento del tutto mutato.
In relazione a quest’ultimo il sito dovette assumere una connotazione spiccatamente produttiva; oltre alla presenza delle
sepolture risulta infatti di particolare interesse il rinvenimento di impianti di lavorazione metallurgica collocati sul
crollo delle strutture termali della villa stessa (DE TOMMASO 1998, p. 131).
Nel territorio piombinese la presenza di attività metallurgiche riscontrata in alcune delle ville e delle mansiones che
sopravvissero fino alla Tarda Antichità, ad esempio quella
del Vignale, è forse da leggere come un indizio ulteriore della trasformazione di questi siti in una diversa tipologia di
insediamento. Quello metallurgico sembra infatti un ambito
produttivo che non trova spazio nelle tradizionali vocazioni
manifatturiere accolte dalle ville. Eccezioni alla regola sono
naturalmente possibili; manifatture metallurgiche sono attestate nelle ville del territorio di Heba (REGOLI 2002, p. 152),
oltre che nell’area costiera del golfo di Follonica e Baratti.
Quest’ultima presenta tuttavia alcuni siti dalla tipologia decisamente peculiare, connotati fin dall’origine da una chiara
valenza manifatturiera-metallurgica ed insieme residenziale;
i siti, sviluppatisi all’interno di un contesto territoriale fortemente legato al commercio con l’isola d’Elba e conseguentemente orientato alla produzione siderurgica, propongono
una sorta di ibridazione del modello originario della villa con
quello di grandi centri produttivi. Nelle località di Prato Ranieri-Colonie Lombarde, S.S. 1 Aurelia km 232.148, Podere
Poggio all’Olivo, Follonica-Pineta di Ponente, Puntone Vecchio-Poggetti Butelli, Podere Radina, Poggio Carbonaia-Le
Chiarine (CUCINI TIZZONI, TIZZONI 1992, p. 52), complessi insediativi dai caratteri fortemente strutturati coesistono con
imponenti resti della lavorazione del ferro. In alcuni casi, come
ad esempio al Puntone Vecchio, i centri attestano fasi d’uso
che si spingono fino al V secolo d.C.
La stessa villa di Poggio San Leonardo dovette essere
impiantata su un sito già vocato alla produzione metallurgi-
ca; questo è testimoniato dalla presenza di numerose scorie e
dei fondi di fornace, in associazione a pezzami di porfido
appartenenti alle strutture fusorie, rinvenuti all’interno delle
murature delle strutture di servizio del complesso. Un utilizzo riferibile alla Tarda Antichità ed ai primi secoli del Medioevo è qui indiziato dal rinvenimento di alcuni frammenti
ceramici fra cui vanno segnalati in particolare una imitazione in acroma grezza di Hayes 104, anse a nastro lievemente
insellate con anima grigia, e numerosi frammenti pertinenti
ad un grosso contenitore (probabilmente un’anfora), analoghi per impasto a quanto documentato sull’acropoli di Populonia fra i materiali del riempimento di una delle cisterne del
complesso monumentale delle Logge (PL saggi I-II, us 1248;
forma Crypta Balbi 2) (SAGUÌ 1998, p. 320, n° 2).
LA CESURA DEL VII SECOLO
E L’OCCUPAZIONE DELLE ALTURE
Con la fine del VI secolo sui primi rilievi dell’interno si
mostrano in tutta evidenzia tendenze di ulteriore selezione e
forte nucleazione insediativa, accompagnate ad un progressivo innalzamento della quota degli abitati che si collocano
in una fascia di mezza collina disertando la pianura; l’inquadramento cronologico di questi siti è basato sul ritrovamento
capillare delle tipiche anse a nastro realizzate in argilla depurata di colore rosa chiaro con profilo lievemente insellato ed
anima grigia, pertinenti a brocche con orlo arrotondato
(MM 13-1c; 13-2b; 13-5b; 36-2; 36-4b; 228-1/4; 313-3; 3151; 320-2c; 320-3c; 320-6b; 320-7b; 321-6; 325-2; 514-3, 5144, 514-7). Queste produzioni sono attestate lungo la costa
(CAMBI, FENTRESS 1989, pp. 74-81) e ben documentate anche
nell’entroterra della regione, ad esempio nelle sequenze di
VIII-IX secolo del villaggio di Montarrenti (CANTINI 2000,
pp. 415-417). In assenza di altri materiali datanti la ceramica
depurata con anima grigia, assieme alla ceramica a bande
rosse rinvenuta lungo la costa (un’olla steccata con decorazione a banda rossa proviene dal riempimento di una delle
cisterne dell’acropoli di Populonia), sembra essere uno dei
pochi indicatori ceramici validi per documentare in quest’area
i primi secoli del Medioevo.
Rinvenimenti di ceramica con anima grigia provengono per il territorio in esame anche dalle UT 316, 336, 375,
376 più prossime alla città di Populonia, rispettivamente
dalla località Casaccia (UT 316), dal poggio di San Leonardo (UT 336), dall’area di San Cerbone (UT 375) e dalla
località Piscina degli Olmi (UT 376) (Tav. 4).
Il campione di 22 località che presentano questo tipo di
materiali fornisce un primo quadro su cui formulare alcune
valutazioni generali. Il primo elemento di riflessione è costituito dalla relazione fra questi siti ed il tessuto insediativo più antico; solo nel 38% dei casi qui esaminati l’insediamento si dispone in luoghi di precedente occupazione, di
cui è ipotizzabile un parziale riutilizzo delle strutture ancora in elevato, come nel caso del già citato Poggio San Leonardo, e di località quali Massa Vecchia e Vignale. Per il
restante 68% del campione le UT che hanno restituito ceramica con anima grigia introducono elementi di novità nella
selezione delle aree insediate.
La maggior parte di quei siti che evidenziano un prolungamento d’uso fino alla metà del VII secolo d.C. (come
Poggio all’Agnello, Vignale e Massa Vecchia) è collocata
su direttrici viarie consolidate o in punti di raccordo fra la
viabilità consolare e le vie minori; l’analisi dei dati mostra
in assoluta evidenza che il nuovo paesaggio in via di formazione individua nei siti strategicamente collegati alle infrastrutture ancora in uso un criterio di selezione che accomuna la costa e le aree interne della diocesi. Questa scelta
strategica risulta ancora più evidente per quei siti per i quali, sulla base della presenza di aree cimiteriali, è ipotizzabile l’esistenza di un edificio religioso, come ad esempio Vignale e Massa Vecchia.
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Ogni traccia di utilizzo dei più antichi insediamenti di
pianura, delle ville, delle mansiones poste lungo la viabilità
consolare scompare tuttavia con la fine del VII secolo d.C.;
questa assenza generalizzata di dati archeologici provenienti
dalla superficie è in parte spiegabile con l’oggettiva difficoltà di reperire fossili guida certi che riconducano ad orizzonti cronologici compresi fra la fine del VII e l’VIIIIX secolo d.C., ad eccezione delle già citate produzioni in
acroma depurata ed anima grigia, che però risultano in questo caso totalmente assenti.
La scomparsa di qualsiasi indicatore ceramico anche in
siti di particolare rilievo e consistenza, come ad esempio la
mansio del Vignale, induce tuttavia ad una riflessione più
ampia sul mutare della configurazione complessiva dell’insediamento lungo la costa ed, almeno in parte, anche sulle
colline del primo entroterra.
A Vignale i materiali più tardi provengono da una probabile area cimiteriale; si tratta di tre fibbie da cintura dalla
differente tipologia (BAIOCCO et al. 1990, fig. 30). Il primo
esemplare è costituito da una fibbia a placca mobile, ed è
incompleto. Per analogia con quanto documentato dai rinvenimenti costieri in quest’area l’elemento in questione sembra riferibile al tipo di guarnizioni per cintura quintuple,
attestate in Toscana nella variante Trezzo t. 3 e Grancia t. 63;
tali produzioni sono inquadrabili fra la metà e la fine del
VII secolo d.C. (CITTER 1997, pp. 192-193). Gli altri due
esemplari sono fibbie a placca fissa con ardiglione e scudetto, anch’esse inquadrabili nell’ambito del VII secolo
(RICCI 1997, pp. 243-245); questo secondo tipo di fibbia,
largamente diffuso in tutta la Toscana, è attestato anche in
altri siti costieri fra cui Castiglion della Pescaia e Vada (CITTER 1997, p. 194). È invece pertinente al corredo di una sepoltura femminile un esemplare di fibula a disco indicato
in bibliografia come proveniente dalla località del Vignale
(CIAMPOLTRINI 1993, p. 601).
Sullo scorcio dell’VIII secolo i documenti localizzano
nell’area del Vignale il centro curtense di San Vito, al quale
era affidata fra l’altro la funzione di coordinamento dei beni
vescovili lucchesi sparsi in Val di Cornia (CECCARELLI
LEMUT 1985, pp. 27-28). L’assenza di evidenze archeologiche cronologicamente successive a quanto fin qui descritto
rende tuttavia evidente che il centro dell’azienda curtense
menzionato dai documenti non è coincidente con il sito di
pianura posto lungo la via Aurelia/Emilia; esso è più probabilmente da collocare sulle colline immediatamente a
nord-est dello stesso, nell’area di Vignale Vecchio, sulle pendici meridionali dell’altura dove sono state riconosciute le
basi dei muri perimetrali ed i primi filari dell’alzato della
pieve del XII secolo (CUCINI 1985, p. 256). Quest’ultima è
da vedersi collegata alla edificazione del primo castello di
Vignale, le cui più antiche menzioni rimandano all’ultimo
decennio del X secolo (FARINELLI 2000, p. 147).
A Vignale, come a Scarlino, la risalita dell’insediamento e la scelta delle alture in alternativa alla pianura lungamente insediata marca con nettezza un cambiamento di strategia nell’utilizzo del territorio che appare il tratto caratteristico di un diverso approccio al paesaggio costiero. Anche nell’interno la risalita ed il consolidamento insediativo
riscontrabile in siti quali Casa Sant’Agata, Massa Vecchia,
Monte Pozzalino ed il completo abbandono della rete insediativa ereditata dalla Tarda Antichità, appaiono sostanziare un modello più generale di occupazione delle sommità
dei rilievi che sfocerà in molti casi nello sviluppo dei castelli. È significativo notare che, rispetto al campione di
22 siti analizzati in questa sede, il 47% degli stessi conoscerà un intenso sviluppo nei secoli centrali del Medioevo.
L’analisi dei dati fin qui raccolti rende evidente che
anche l’area piombinese-massetana mostra caratteristiche
affini a quanto proposto per la vicina Val di Pecora e per il
Pian d’Alma (FRANCOVICH, CUCINI, PARENTI 1990, pp. 4756), ed in buona misura anche per la valle dell’Albegna
(WICKHAM , F ENTRESS 2002, pp. 259-275) e consente di
estendere quel modello anche alle colline del primo entroterra. I parametri di riferimento che rendono omogenea
tutta l’area maremmana sono costituiti da una spiccata nucleazione, riscontrata fin dal IV-V secolo d.C. su tutti i
campioni territoriali analizzati in questa ricerca, e da una
netta accentuazione della stessa tendenza nel passaggio
fra VII ed VIII secolo. L’elemento innovativo e di rottura
rispetto al paesaggio della Tarda Antichità è chiaramente
individuabile in significativo incremento delle quote dell’insediamento che determina in più casi la selezione di
nuove aree e l’abbandono delle tradizionali sedi di pianura, strettamente legate al sistema viario consolidatosi fin
dalla metà del III secolo a.C. Dal VII secolo nel primo
entroterra tali quote si attestano attorno ai 200 m s.l.m.
(nessuno dei siti che presentano ceramica con anima grigia è posizionato al di sotto dei 90 m), mentre sulla costa
quote sensibilmente inferiori si abbinano talvolta a specifiche morfologie sommitali (come ad esempio a San Leonardo e Casaccia). L’incremento di quota e l’insistenza
dei più tardi nuclei castrensi nelle medesime aree di insediamento dei villaggi accentrati (ad esempio a Marsiliana,
Monte Pozzali, Vignale, e nel ben documentato caso di
Scarlino) ne costituiscono la cifra distintiva, ed inseriscono il territorio piombinese-massetano in un modello di transizione che le ricerche archeologiche hanno ampiamente
documentato in tutta la Toscana meridionale (FRANCOVICH 2002, pp. 144-167).
APPENDICE
Le indagini territoriali coordinate dall’Insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università di Siena, sono state condotte dai
seguenti responsabili: A. CASINI, Ricerche di archeologia mineraria e archeometallurgia nel territorio populoniese: i monti del Campigliese, (Tesi di laurea inedita, Università di Siena, A.A. 1991/
92); L. DALLAI, Popolamento e risorse nel territorio di Massa Marittima. Tecnologie estrattive e metallurgiche, (Tesi di laurea inedita, Università di Siena, A.A. 1992/93); G. PESTELLI, Ricerche archeologiche nell’area mineraria di Poggio Trifonti, comuni di Massa
Marittima e Monterotondo Marittimo-Prov. di Grosseto, (tesi di
laurea inedita, Università di Siena, A.A. 1992-93).
Il presente contributo rappresenta una sintesi preliminare dei
dati raccolti nell’ambito della tesi di dottorato discussa da chi
scrive nell’anno 2003 (Università degli Studi di Siena, Dottorato
in Archeologia Medievale, XV ciclo) dal titolo: Dalla città frammentata alla città diffusa. Assetti urbanistici, dinamica del popolamento e fondazioni monastiche nel territorio populoniese fra
VI ed XI secolo. Tutor: prof. Riccardo Francovich.
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