Prologo Ci sono macchie d`olio nero da tutte le parti
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Prologo Ci sono macchie d`olio nero da tutte le parti
Prologo Ci sono macchie d’olio nero da tutte le parti e c’è nell’aria odore di motore caldo. Sembra di essere nel parcheggio di un autogrill sotto il sole d’estate, per l’odore. Invece è buio e non fa caldo. Non fa neanche freddo però, non fa proprio niente, non c’è nemmeno un po’ di vento. Con la pila illumina il terreno pieno di sassi, foglie e terra scura. Sui sassi vede bene le chiazze nere di lubrificante. Sale piano il fianco della montagna e ogni tanto si ferma per ascoltare. Sente qualche fischio, qualche scricchiolio, qualche foglia secca che crepita. Allora sale ancora, illuminando poco avanti ai suoi piedi. Ci sono alberelli di castagno molto giovani che si flettono se ci si appoggia. Ci sono felci grandi e piccole che finiscono con un ricciolino. Ci sono ciuffi d’erba altissimi. C’è stato un incendio che ha cancellato la vegetazione, ma ora sta rinascendo. Afferra un filo d’erba alto come lui e lo tira piano aumentando leggermente la forza. Il filo resiste poi cede e si sfila vibrando. Si mette l’estremità inferiore in bocca. È grossa un po’ più di uno stuzzicadenti ed è liscissima. Ci fa scivolare la lingua apprezzandone la scorrevolezza. Longitudinali allo stelo ci sono delle impercettibili nervature che solo la lingua può avvertire. Ancora macchie d’olio. Le segue salendo. Si ferma, ascolta, ma non c’è niente. Morde il gambo del filo d’erba che si spacca come una minuscola canna di bambù. Ha un gusto dolciastro che dopo un po’ diventa più amaro. Man mano che riduce in poltiglia la parte che morsica, ne sputa pezzetti. Guarda il cielo buio ma dev’essere 7 Mario Lagostina nuvoloso e non vede niente. Fa ballare il cerchio giallo della pila per il bosco. Niente di particolare. Non ha paura di notte da solo nel bosco. Non sente nemmeno un po’ di paura. L’oscurità oltre l’orlo della fascia luminosa non lo spaventa. Non è strano, è perché sa cosa sta cercando. È lui che cerca, che dà la caccia. Non è la preda, e non ha paura. Prosegue. Raggiunge la cima di una collina e lì procede un po’ in pianura. Avanza frusciando. Le macchie nere continuano, nell’aria il vago puzzo di motore. Poi sente un lontano scoppiettare. È un borbottare basso, come una motosega. Spegne la pila. Sputa il filo d’erba. Ascolta meglio e avanza lentamente verso quel rumore. È proprio il rumore di una motosega che gira piano. Ha il minimo regolato male e ogni tanto perde qualche colpo e singhiozza ma non si spegne. Avanza ancora. Di tanto in tanto sale di giri per un attimo e sembra spostarsi. Infatti si sposta ma lui la segue e s’avvicina. Il rumore aumenta, diventa più stridulo e la motosega se ne va un po’ più in là. Oramai è lì vicino. La puzza di miscela è forte e gli riempie i polmoni. È buio ma è come se vedesse il fumo biancastro. Si ferma. È pronto. Accende la pila e la punta. All’istante il motore sale di giri e dalla piccola parte illuminata vede scappare una figura bassa. Incomincia a correre cercando con la torcia di agganciare la preda. È lì davanti ma è molto veloce. S’infila giù per un canale e lui le va dietro senza neanche pensare. Scivola e cade sul culo, striscia alcuni metri sulla terra, si rialza ed è di nuovo all’inseguimento. Il motore urla, fuori giri. La vede apparire e sparire nella luce della pila. Vede saltare questa cosa come un camoscio su quelle zampette magre piene di asticelle e bulloni. Il motore accelera a ogni salto, e sembra sempre che si stia per staccare qualche pezzo traballante. Lui le sta dietro, correndo a perdifiato. La cosa è più abile negli scarti laterali, ma lui è forte e inseguire è più facile. La montagna sale di nuovo, lui 8 La cosa meccanica s’avvicina, di poco, ma s’avvicina sempre. La cosa gli spara terra sulla faccia nella sua corsa ma lui s’avvicina. È lì, l’ha praticamente presa... Si sveglia. Non, come si dice di solito di “soprassalto”, e nemmeno “con un grido, madido di sudore, il cuore che sembra voler uscire dal petto”. Si sveglia e basta, forse un po’ all’improvviso. È ancora notte però, perché dalla parte del corridoio, dove c’è il bagno, non vede ancora nessuna luce. Ancora quel sogno, pensa. Quante volte l’ho già fatto? Sempre lo stesso più o meno, alla fine deve sempre prendere quella cosa e non ce la fa mai. Non lo fa tutte le notti, però lo fa spesso. È l’unico sogno veramente ricorrente che abbia mai fatto per quel che si ricorda. Vabbe’, poco male, cosa gliene può mai fregare a lui? Si gira nel letto, si sistema il cuscino e si riaddormenta. 9 I Stefano dormiva sempre sul bordo del letto perché sua moglie si spostava sempre dalla sua parte e lo spingeva nel sonno senza accorgersene. Tutte le mattine si svegliavano così, appiccicati dalla parte destra del lettone. Potrebbe sembrare tenera e romantica una cosa del genere, ma a lui era sempre sembrata una rottura di palle. È bello stare vicini e abbracciati e scambiarsi tante coccole, è la massima manifestazione dell’amore, è amore allo stato puro, ne era certo, però, quando si dormiva, che cazzo, non aveva neanche lo spazio per girarsi, e poi gli veniva un caldo... Erano sposati da nove mesi, da febbraio, e non era mai riuscito una volta a dormire senza crepare dal caldo. Adesso però non aveva caldo, stava bene. Si girò ancora mezzo addormentato e allungò la gamba. Come mai la Lorenza non era lì a un millimetro da lui? Di solito la gamba non la poteva nemmeno muovere. Allargò anche il braccio, sospirando con gli occhi chiusi. Il letto era fresco e vuoto. Prese il cuscino e si sistemò con degli scossoni al centro del letto. Lorenza era andata in Francia con una sua amica, per dieci giorni, a trovare un’amica di questa sua amica. Era partita già da tre giorni ma lui non si era ancora abituato, era sempre convinto che fosse lì di fianco, come al solito. La sveglia non suonava. Era stanco morto ma non riusciva a riaddormentarsi perché sapeva che tra pochissimo sarebbe suonata. Non guardava l’ora perché tanto tra un attimo sarebbe suonata. Intanto poteva godersi il letto bello grande, no? 10 La cosa meccanica Questa amica di Lorenza, Elena per la cronaca, insegnava inglese alle scuole medie e quando studiava aveva passato un’estate in Francia, in casa di gente che aveva una figlia all’incirca della sua età, perché il francese lo aveva scelto come seconda lingua. Erano rimaste in contatto e ogni tanto si andavano a trovare a vicenda. Questa volta s’era portata dietro anche Lorenza. All’inizio, quando Lorenza glielo aveva detto, lui era stato molto contento. Aveva visto questa breve vacanza come una possibilità insperata di tornare per un breve periodo alla vita da scapolo che faceva prima. Una figata pazzesca che ormai era convinto di non poter mai più provare. Aveva incoraggiato Lorenza, che non era sicura, vai vai, cosa te ne frega, sono solo dieci giorni, non stai mai con la tua amica, poi magari s’offende, vedrai che ti diverti, io sto qui, faccio le mie cose. Lorenza s’era convinta ed era andata e lui aveva dieci giorni per tornare quello di una volta. Non vedeva l’ora, prima della partenza era tutto elettrizzato, chissà cosa s’immaginava. Le aveva accompagnate alla stazione per prendere il TGV e sembrava che dovesse partire lui. Ma non era tornato quello di una volta. La figata pazzesca in quei primi tre giorni era diventata uno squallore pazzesco. Non aveva fatto niente. Aveva lavorato e basta. Alla sera tornava a casa e non c’era nessuno, mangiava schifezze davanti alla tele, c’era un silenzio in quella casa che aveva vergogna a schiarirsi la voce, gli sembrava che qualcuno lo sentisse e capisse quant’era solo. Oggi era venerdì. Domani e dopodomani non avrebbe avuto nemmeno il lavoro per poter far passare il tempo. Lavorava all’ufficio tecnico del comune, era un architetto, e il weekend iniziava già il venerdì pomeriggio. Che palle. Si girò nel letto. Certo che tutto quello spazio era comodo, gli sembrava di nuotare in piscina, che tristezza però. 11 Mario Lagostina Ultimamente lui e Lorenza litigavano spesso, anzi, non solo ultimamente, avevano sempre litigato spesso. Bastava niente e s’impuntavano tutt’e due e per un paio d’ore erano ai ferri corti. Non passava mai più di uno o due giorni senza che litigassero di brutto. Principalmente era colpa di Lorenza, pensava lui, e principalmente era colpa di lui, pensava Lorenza. In realtà era colpa di tutti e due. Tutta questione di carattere. Lui era come una pelle di foca, quelle che si usano per fare sci alpinismo. Sono delle strisce di pelle sintetica, una volta probabilmente saranno state veramente di foca, composte da peli corti sottili e durissimi che in un senso sono lisci come velluto e nell’altro sono duri e ispidi come una spazzola di ferro per sverniciare le ringhiere, che vengono applicate sotto gli sci e ti permettono di andare in salita senza scivolare indietro. Lei invece era come una spugnetta per lavare i piatti, che di solito sono gialle e verdi, di quelle che da un lato sono abrasive come la cartavetra e dall’altra soffici come cotone. Con due caratteri simili c’era una possibilità su quattro d’andare d’accordo, cioè quella per cui la parte della spugnetta morbida come cotone accarezzasse la pelle di foca nel senso giusto. Negli altri tre casi, per uno dei due, o per tutti e due nel caso che la parte abrasiva andasse nel verso sbagliato della pelle di foca, erano dolori. Ci avevano fatto l’abitudine, e si dicevano che col passare del tempo il problema sarebbe sempre diminuito. Ma quella cazzo di sveglia non suonava mai? Si girò ancora in modo nervoso, sbuffando e sbattendo il cuscino. Perché Lorenza era partita proprio in quel momento? In realtà era il momento peggiore per partire, con tutti quei litigi. Gli sembrava che adesso sarebbero lievitati come il pane, con tutto quel tempo per riposare, e al suo ritorno sarebbero stati enormi bolle di pasta bianca e appiccicosa. Aveva voglia di sentirla. Poteva chiamarla, 12 La cosa meccanica anche se era un po’ presto, ma non lo fece. Le volte che l’aveva sentita nei tre giorni passati erano state sempre telefonate molli e inutili. Tutto bene? Siete arrivate? Fa freddo? Qui non tanto, e... insomma... cosa fate? Dai ci sentiamo dopo? Ciao... ciao... tutto bene Stefano? Sì sì, a dopo, ciao. Certo che era proprio un rammollito, non riusciva neanche a stare dieci giorni da solo? Si decise a guardare l’ora. Tra due minuti la sveglia avrebbe suonato. La spense e si alzò. Andò in bagno a pisciare. Pisciava da seduto perché era più comodo e non schizzava in giro. Aveva addosso solo una maglietta bianca. Dormivano sempre così, con una maglietta e basta. Si lavò la faccia e andò in cucina per preparare la colazione. Ma che gusto c’era a girare per casa col pisello di fuori che tanto era da solo? Quella cosa che giravano per casa nudi gli era sempre piaciuta un sacco. Era eccitante e intimo, ti faceva sentire l’uno dell’altra e dava un senso di sporcelloneria pulita, di “noi possiamo fare tutto senza essere volgari tanto ci amiamo”. Ma ora era solo, tanto valeva vestirsi. Si vestì e tornò in cucina. Di solito la colazione la preparava Lorenza, latte e biscotti. C’è da dire che non è che litigassero e basta. Passavano momenti in cui andavano molto d’accordo, momenti splendidi, dove non c’era nient’altro che il momento stesso. Ora, per esempio, gli venivano in mente solo momenti di quel tipo. Momenti in cui lei sonnecchiava sul divano e lui faceva le parole crociate, e ogni tanto la guardava, gli occhi bellissimi anche da chiusi. A volte mentre riposava aveva espressioni strane, se magari era in posizioni particolari con un braccio che le schiacciava una guancia o una spalla che le tirava la pelle, e gli sembrava un po’ brutta e gli faceva una tenerezza infinita. In quei casi sorrideva e la accarezzava piano, per non svegliarla. Giocava sempre 13 Mario Lagostina con i suoi piedi, che teneva scalzi anche d’inverno, e lei riusciva a dormire anche mentre glieli strizzava e tirava e gliene faceva di tutti i colori, soprattutto al penultimo dito, quello che nella mano è l’anulare, perché era un ditino piccolo e molle che le ballava come se fosse quasi staccato. Si divertiva tanto con quel ditino. Una volta se l’era messo anche nel naso. Infilava un Taralluccio nel latte e aspettava che andasse a fondo prima di ripescarlo col cucchiaio. Qualcuno s’inzuppava subito, qualcun altro ci metteva di più. Erano quasi finiti, doveva comperarli, doveva fare proprio la spesa in realtà. Oggi pomeriggio avrebbe fatto la spesa. Poi c’era l’amore, nel senso proprio del fare l’amore. Si alzò e portò la tazza al lavandino, era ancora mezza piena ma non aveva fame. Fare l’amore con lei era una cosa che prima, prima d’averlo mai fatto, non poteva neanche credere. Era travolgente, lei, come un’onda del mare grosso. Era acqua ed era carne. Era godimento e amore. Era il desiderio dell’uomo, di tutti gli uomini, concentrato in un corpo. Era come girare un film porno con la donna della sua vita. Era qualcosa di sconcertante, qualcosa che lo faceva pensare “sta succedendo davvero”. A tutti piace il porno. Magari qualcuno per una specie di morale o di pudore, per vergogna, per principio, fa finta di non esserne attirato. Ma in fondo attratti lo sono un po’ tutti. Sarà il proibito, sarà la mercificazione, sarà la donna oggetto, però prima o poi, anche solo una volta, attira tutti. Lui queste situazioni un po’ sporche e un po’ sbagliate le poteva provare con la donna che amava, insieme alla bellezza e alla dolcezza, e le trasformava in abbracci e lacrime. Si spostò da davanti al lavandino. Adesso però Lorenza non c’era, e tutte queste cose lo facevano soffrire. 14 La cosa meccanica Era ancora presto. In ufficio iniziava alle nove. Andò in sala. Sul mobile di fianco alla tele c’era anche lo stereo. Guardò i cd accatastati in diverse pile. Ne prese uno dei Metallica e lo fece partire. Mise le cuffie, come faceva quando era a casa dei suoi per non disturbare. Era tanto che non ascoltava la musica in quel modo. Una volta lo faceva spesso. Si isolava con le cuffie, lui e la musica, perché era sicuro che fosse l’unico modo per ascoltarla veramente. Ne era ancora sicuro, però non lo faceva quasi più. Era un sacco che non ascoltava quel cd. Rimase in piedi di fronte allo stereo, col filo che penzolava. Ascoltò alcuni inizi di canzoni e saltò fino a Orion. Si emozionò. Si emozionò tanto. Sentiva un rimescolamento nell’intestino. La melodia gli portava il pensiero a ricordi bellissimi e lontani, e una nostalgia fortissima rischiò di prendere il sopravvento. Spense tutto e corse in bagno. Faceva la cacca sempre di mattina, prima d’andare al lavoro. Era molto regolare, però quella musica aveva accelerato tutto il procedimento. Che risveglio aveva avuto quella mattina, quante cose. Peccato che non ci fosse Lorenza a condividerle. Ma se ci fosse stata non le avrebbe provate quelle emozioni e non avrebbe fatto quei pensieri. Da soli si pensava meglio, quello sì. Era ora di andare in ufficio. Che tristezza però. Che cos’è un uomo senza la sua donna? Che cos’è? È un cane abbandonato che cerca di tornare a casa. Controllò che tutto fosse a posto e uscì. Era un po’ preoccupato per il weekend. Ormai l’idea della figata pazzesca era completamente svanita. Non era una figata, era un vuoto terribile che lo spaventava. Che cazzo avrebbe fatto quei due giorni e mezzo? L’unica, ci aveva già pensato prima, anche quando intendeva sballarsi per dieci giorni di fila, era andare a trovare suo fratello. Erano mesi che non si vedevano. Anni fa stavano sempre insieme, ora invece si vedevano per le feste, e neanche tutte. Aveva un fratel- 15 Mario Lagostina lo, dopo tutto. Non era solo. Per qualche giorno sarebbe tornato veramente tutto come prima. Il fratello viveva da solo, sarebbe stato contento. Ok. Sarebbe andato dal fratello. Che figata! Quella sì che era una figata pazzesca, altro che. Rinfrancato andò in ufficio. 16