VI DOMENICA di PASQUA (C)

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VI DOMENICA di PASQUA (C)
VI DOMENICA di PASQUA (C)
In quel tempo Gesù disse: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi
verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la
parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il
Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace.
Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete
udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre,
perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà,
voi crediate.
Chi può parlare dello Spirito?
La pericope evangelica odierna propone la seconda delle cinque promesse dello Spirito, rivolte da
Gesù ai suoi discepoli all’interno dei discorsi di addio, che prolungano il racconto giovanneo
dell’ultima Cena. In tutte queste occasioni lo Spirito è oggetto di una promessa da parte dello stesso
Gesù e ogni volta viene illustrata la sua futura presenza e la sua opera, rivolte a ravvivare la memoria e a testimoniare la missione di Gesù, la sua gloriosa fecondità, nonostante l’opposizione del
mondo.
È interessante poi rilevare l’identità dei personaggi che parlano dello Spirito, all’interno del quarto
vangelo. Per parlare dello Spirito occorre una ‘competenza’, cioè una penetrazione del mistero di
Dio; di conseguenza il personaggio che solitamente parla dello Spirito è Gesù; anche il Battista è
personaggio competente a parlare dello Spirito, essendo il testimone, l’amico dello Sposo. Pure
l’evangelista, in quanto narratore, deve gestire alcuni passaggi cruciali, in cui deve mostrare il nesso
esistente tra Gesù e lo Spirito.
Già da queste veloci osservazioni, si può vedere la forte concentrazione cristologica del concetto di
pneûma (Spirito) nel vangelo giovanneo. Si intuisce così la ragione per cui i discepoli, in questo
vangelo, non parlano dello Spirito. Essi, prima della Pasqua non sono sufficientemente qualificati a
farlo; tanto meno potranno parlarne gli avversari di Gesù. Infatti per essere autorizzati a parlare dello Spirito bisogna averne fatto esperienza diretta, originaria, cioè quella che i discepoli riceveranno
come dono da parte del Risorto. Ovviamente un discorso a parte andrà fatto per il discepolo amato,
nella sua qualità di testimone dell’evento del dono di sé che Gesù fa sulla croce e, in particolare, in
quello sgorgare di sangue ed acqua dal suo costato.
Il contesto della seconda promessa dello Spirito
La seconda promessa dello Spirito fa parte della risposta alla domanda posta a Gesù da ‘Giuda
non l’Iscariota’: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?» (Gv
14,22).
L’interrogativo del discepolo è assai significativo, perché segnala un’attesa che è tacitamente presente nel cuore dei discepoli, e cioè quella di una manifestazione spettacolare da parte di Gesù. Egli
non comprende perché il Maestro si debba manifestare soltanto ai discepoli e non al mondo, se vuole invece che tutti lo ammirino e lo seguano. In sostanza Giuda, non l’Iscariota, vorrebbe una manifestazione di Gesù che s’imponesse, che fosse irrefutabile e che quindi, in definitiva, fosse sottratta
al pericolo del rifiuto, dello scacco. A ben guardare, si ripresenta ancora una volta il tema dello
scandalo della croce, che si è più volte manifestato nel corso della Cena, cominciando innanzitutto
con le resistenze di Pietro alla lavanda dei piedi. Ebbene, Gesù risponde al discepolo, mettendolo in
guardia di fronte all’aspettativa di una manifestazione spettacolare, ma non prendendo di petto
l’argomento, bensì attraverso l’esortazione ad entrare nella logica dell’impegno, dell’amore.
Gesù mantiene dunque la promessa di manifestarsi ai discepoli, ma costoro dovranno smettere di
essere ‘mondo’, cioè vittime di una visione trionfalistica, in cui conta l’apparire, più che l’amare.
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Nella loro sequela non saranno soli, non dovranno contare soltanto su se stessi, ma sull’aiuto, sul
dono che Gesù otterrà per loro dal Padre.
Ecco allora la seconda delle cinque promesse dello Spirito che Gesù fa ai suoi discepoli durante
la Cena.
La docenza del Paraclito
«Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa
e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).
Lo Spirito viene qualificato come ‘Paraclito’ e come ‘Santo’. Santo perché partecipa della sfera
della vita divina e perché proviene dal Padre. Paraclito è l’altro qualificativo, la cui comprensione
non è immediata e richiede perciò una spiegazione. Alla lettera, Parákletos significa ‘colui che è
chiamato in aiuto di qualcuno’ nell’aula di un tribunale; come sostantivo, indica l’assistente legale,
l’avvocato. Il senso passivo però passa facilmente a quello attivo: si tratta allora di qualcuno chiamato ‘accanto’ per dimostrarsi vicino ed essere veramente tale. È dunque un termine giuridico, forense, che prende tanto più rilievo nel clima giudiziale del quarto vangelo e, ancora di più, in prossimità del processo che gli avversari stanno per intentare a Gesù.
Già i sinottici presentano una promessa dello Spirito nel contesto della missione dei discepoli e in
quello della prova escatologica, quando i credenti verranno trascinati davanti ai tribunali a causa
della loro fede in Cristo. Lo Spirito ha qui la funzione di assistente, che incoraggia e suggerisce le
parole da dire perché la testimonianza cristiana sia franca e convincente. Ancor più che difendersi,
il discepolo deve preoccuparsi di testimoniare!
Un pensiero simile appare dunque nell’espressione giovannea che designa lo Spirito come Paraclito, e ciò diventerà ancora più chiaro nella terza e nella quarta promessa, in cui il contesto giudiziario dell’assistenza dello Spirito sarà pienamente esplicitato.
Del Paraclito questa seconda promessa evidenzia la funzione didattica. Lo Spirito subentra con il
suo insegnamento al tempo della parola direttamente udibile dalla bocca di Gesù. Egli deve fare
memoria di Gesù presso i discepoli e abilitarli ad accedere a tutto il patrimonio precedente! Lo Spirito aiuta il processo della memoria non come recupero della dimenticanza, bensì come un reinventare, un ritrovare la vitalità di qualcosa che si stava smarrendo nell’inavvertenza. È un processo di
memoria che coincide con un’interiorizzazione del mistero di Cristo. Attraverso il Paraclito, la parola di Gesù non cadrà nell’oblio, ma risulterà davvero una fonte di acqua viva, quella che Gesù aveva promesso alla Samaritana o, se si vuole, usando il linguaggio della prima lettera di Giovanni,
sarà quell’unzione spirituale che rimane per sempre nei credenti (1Gv 2,20ss).
Il compito di docenza dello Spirito si realizza dunque sia nella sua funzione simbolica, cioè quella di integrare la parte nel tutto, sia nella funzione attualizzante, che è quella di rendere contemporaneo di Cristo ogni suo discepolo.
Il dono della pace
È interessante notare che il tema della funzione didattica dello Spirito è seguito dalla promessa
del dono della pace, quale dono messianico, quale anticipo del momento della risurrezione. Il dono
della pace è dato prioritariamente e anticipatamente ai discepoli.
La pace è una nota distintiva dell’esistenza del discepolo (vedi anche Gv 16,33 e il triplice saluto
del Risorto - Gv 20,19.21.26). Essa è partecipazione al trionfo di Cristo, alla sua vittoria sulla morte
e non passività inerte.
Questa pace profonda che caratterizza la vita del discepolo coesiste anche con la tribolazione.
Come per gli altri testi biblici essa è simbolo di tutti i beni messianici, ma in Giovanni ha la sfumatura particolare che le viene dal contrappunto con il turbamento. La pace promessa da Gesù ai suoi
discepoli è pressoché sinonimo della gioia e si esprime come padronanza di sé nelle tribolazioni e
partecipazione alla vita del Risorto, come risulta dai testi delle apparizioni pasquali. La pace di Gesù non viene dal mondo, bensì dal dono che egli fa di sé. Per questo, il mondo non la potrà turbare
né togliere!
Mons. Patrizio Rota Scalabrini
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