LA BELLA, LA BESTIA E L`UMANO
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LA BELLA, LA BESTIA E L`UMANO
saggio_RIVERA 18-10-2010 20:28 Pagina 28 IDEE IDEE ANNAMARIA RIVERA, docente di etnologia e antropologia sociale all’università di Bari, femminista e antirazzista, è l’autrice di «La Bella, la Bestia e l’Umano» [Ediesse, 193 pagine, 12 euro], di cui pubblichiamo in queste pagine gli stralci di quattro diversi paragrafi. Corpi senza emozioni RAZZISMO, SESSISMO E SPECISMO HANNO MOLTE ANALOGIE E INTRECCI. I TRE SISTEMI DI DOMINIO, AD ESEMPIO, CONSIDERANO I VIVIVENTI UNA MERCE. UN SAGGIO DI UNA NUOVA COLLANA ANALIZZA I NESSI DI QUESTE TRE ANTICHISSIME FORME DI POTERE I 2 8 • C A R TA N . 3 6 DI ANNAMARIA RIVERA L PRESUPPOSTO DAL QUALE PARTO […] è che sessismo e razzismo, pur non essendo identificabili o sovrapponibili, siano interconnessi storicamente e congiunti da numerosi legami, anche, ma non solo, da un rapporto di analogia: il «sesso» come la «razza» o viceversa. I due processi di categorizzazione e differenziazione presentano numerose parentele morfologiche e procedono da una logica, se non comune, almeno simile, che fa perno sui dispositivi dell’essenzializzazione, della naturalizzazione, della reificazione. Come ho già detto, nel caso della «razza» [e dei suoi sostituti funzionali: «etnia», «cultura», ecc.], i tratti istituiti come razziali o comunque come tipici di un certo gruppo umano, ben lungi dall’essere considerati peculiarità individuali fra le tante, sono adoperati come dei marchi. E questi contrassegni a loro volta sono intesi come manifestazioni esteriori dell’essenza o della sostanza di una categoria globalizzante – la «razza», l’«etnia» o anche la cultura –, alla quale gli individui a tal punto apparterrebbero da esserne determinati nei caratteri morali e comportamentali, anzi da essere non più individui o persone, ma tipi, rappresentanti di quella categoria. Qualcosa di analogo accade per i generi: una sola peculiarità biologica – l’apparato genitale e la potenzialità procreativa – è prescelta come segno distintivo e significante generale. Al punto che io non ho più questo o quel sesso, che costituisce una delle tante mie peculiarità, ma sono questo o quel sesso, poiché è esso che determinerebbe interamente la mia identità […]. saggio_RIVERA 18-10-2010 20:28 Pagina 29 IDEE LA BELLA LA BESTIA E L’UMANO [qui a lato, la copertina] inaugura la nuova collana Sessismo e razzismo di Ediesse realizzata in collaborazione con l’associazione Crs e curata da Lea Melandri, Isabella Peretti, Ambra Pirri e Stefania Vulterini. www.ediesseonline..it In molte società, fra cui la nostra, la differenziazione dei sessi dà luogo alla costruzione dell’asimmetria e della gerarchia fra i generi: il genere femminile – la cui differenza è concepita come naturale non solo in senso morfologico e biologico, ma anche psicologico e comportamentale – viene istituito come parzialità e particolarità. Il genere maschile, al contrario, per lo più si identifica ed è identificato con l’umanità, la generalità, l’universalità. Non è ineluttabile che una società debba essere sessualmente connotata in senso gerarchico. Tanto è vero che ciò non accade in tutte le società […]. Ho più volte fatto allusione ai processi di reificazione, senza specificare che cosa si intenda con questo concetto. Essendo, a mio parere, del tutto centrale per comprendere i processi e i dispositivi della meccanica sessista e di quella razzista, ne propongo una definizione, per quanto sintetica e parziale: la reificazione è una postura, una disposizione e una pratica sociale routinaria che conduce a trattare soggetti diversi dal noi non già in modo conforme alle loro qualità di esseri sensibili, ma come oggetti inerti o addirittura come cose o merci. […] A parere di György Lukàcs [1991], man mano che il capitalismo si produce e si riproduce economicamente a un livello sempre più elevato, la reificazione s’insedia sempre più profondamente, fatalmente e costitutivamente nella coscienza umana, così da divenire una «seconda natura». A tal punto che gli umani tendono a percepire come cose perfino se stessi e a percepire il mondo secondo lo schema dell’oggetto cosale. Insomma, il feticismo delle merci di definizione marxiana si rivela essere non solo personificazione delle cose, ma anche reificazione delle persone e perfino auto-reificazione. È innegabile che il sistema capitalistico abbia portato la reificazione alle conseguenze estreme della mercificazione dei viventi. E ciò appare con evidenza se si considera il trattamento riservato ai corpi femminili e ancor più ai corpi animali, questi ultimi ormai trattati, percepiti, pensati «come una materia la cui forma vivente è transitoria» [Burgat 1999, p. 48]. Gli uni e gli altri sono simbolicamente – nel caso degli animali, anche praticamente – frazionati in singole aree corporee, che divengono altrettante cose, prodotti di consumo separati dal soggetto cui appartengono, dalla sua coscienza, dal resto del suo corpo: se di un bovino si dice «è un bel lacerto», di una bella donna si dice «è una bella fica»; e a volte l’analogia è talmente esplicita che di una A mia sorella Paola H O SCRITTO questo piccolo saggio [«La Bella, la Bestia e l’Umano», Ediesse] pensando a mia sorella Paola, ed è a lei, animalista e femminista critica della prima ora, che lo ho dedicato. Avevo scommesso con me stessa e col destino che sarebbe riuscita a vederlo, ma ho perso la scommessa: Paola è morta alcuni giorni prima che il libro fosse stampato, distrutta da una malattia che fino all’ultimo respiro ha fronteggiato con forza, coraggio, dignità. E perfino con quel senso dell’ironia che faceva da contrappunto alla caparbietà e alla franchezza a volte ingenue e assolute, all’altruismo e alla generosità spinti fino alla dissipazione. Se c’era una persona che incarnava l’ideale femminista dell’autodeterminazione era lei. Ha costruito la sua vita all’insegna del nonconformismo più radicale, della ricerca della bellezza e dell’armonia, della solidarietà, della com-passione, dell’amore verso umani e nonumani. Era critica, inquieta, eterodossa qualunque fosse il campo che la vedeva impegnata: dal Sessantotto alla nuova sinistra, dal femminismo all’insegnamento, che ha praticato lungamente con passione, competenza, spirito d’innovazione. Allo stesso modo ha cercato di esercitare signoria sulla malattia e sulla morte: sapeva che avrebbe perso, ma ha deciso di lottare fino in fondo e ha dettato lei le condizioni della resa e del dopo. Ha amato molti e molte cose, ma soprattutto l’uguaglianza, la seduzione, la raffinatezza sobria, gli abiti di color viola, le maschere e i travestimenti, il canto, la musica, il ballo, la natura, il mare, il chinotto, i bambini, i gatti, i cani, gli uccelli e Francesca, sua figlia. [Annamaria Rivera] 22 - 28 OTTOB R E 2010 • 29 saggio_RIVERA 18-10-2010 20:28 Pagina 30 IDEE CLANDESTINO «Le parole non sono neutre: hanno una storia e fanno la storia, perché riflettono e insieme incidono sui rapporti sociali scrive Annamaria Rivera su «Regole e roghi» [edizioni Dedalo, 2009] - Clandestino, ad esempio, è indizio di un mutamento decisivo nel rapporto tra l’Europa e i migranti... La categoria clandestino è parte del processo di deumanizzazione dei migranti». donna concupita si dice «è una bella manza» o perfino «è È vero, come scrive , un bel pezzo di carne». «che la distruzione del sistema Tutto ciò va ben oltre le prarazzista non presuppone solo tiche concettuali e linguistila delle sue vittime, che. Si pensi alla crescente ma la trasformazione mercificazione del corpo femdei razzisti e della minile, talvolta sezionato in istituita dal razzismo ». frammenti anatomici, che si produce tramite la pubblicità, il mezzo televisivo e altri media, in poche parole tramite lo spettacolo [...]. Riprendendo l’analogia con i processi di mercificazione che investono gli animali, in particolare quelli da reddito, si deve aggiungere che nel loro caso la mercificazione è totale, al punto che le industrie di sfruttamento dei non umani, «non parlano più soltanto di riproduzione bensì di produzione dell’animale: come se gli animali fossero solo materiale corporeo che è compito del lavoro umano formare, strumentalizzare e riprodurre» [Bujok 2008]. A tal proposito si può osservare che v’è una certa specularità concettuale e procedurale fra la de-animalizzazione degli animali, nel contesto della produzione industriale serializzata, massificata, automatizzata, e la deumanizzazione degli umani, compiuta in modo altrettanto seriale, massificato, automatizzato, in particolare dalla macchina dello sterminio nazista: se abshlachten [«macellare»] era il verbo usato dagli esecutori nazisti per nominare il massacro dei prigionieri nei lager, programmato e attuato secondo rigorosa logica industriale, oggi allevare e macellare animali si dice «produrre della carne» [Rivera 2000, p. 60]. L’animale è, in definitiva, il simbolo condensato dell’essere mercificabile e della vittima del potere: vittima inerme, oltre tutto, poiché da lui il potere non ha da temere alcuna resistenza, alcuna ribellione che «non possa essere piegata con ulteriori tecniche di potere» [Bujok 2008]. La tendenza a reificare i viventi, concepiti e trattati come puro corpo, privo di sensibilità, emozioni, sentimenti, o addirittura come corpo frazionato o ridotto a una singola parte, è all’opera, se pure in forme più subdole e mascherate, nello sfruttamento della forza-lavoro di certe categorie di migranti clandestinizzati/e, costretti/e a lavorare in condizioni servili o schiavili: braccia da lavoro in senso letterale, delle quali non si percepisce più l’appartenenza al corpo, al soggetto, alla sua coscienza, per non dire alla sua persona, in quanto tale titolare di diritti. Se non nel momento in cui interviene il razzismo a riconoscere quelle braccia come appendici di corpi alieni e perciò difformi o mostruosi. La «scoperta» che esse appartengono a corpi interi – ingombranti, eccedenti, proliferanti, se non minacciosi – scatena la violenza, il pogrom, la caccia al «nero». Può accadere, come è accaduto a Rosarno a gennaio del 2010, che a quel punto le braccia da lavoro divenute corpi-bersagli si rivoltino, affermando così tutta intera la propria coscienza e soggettività. Nelle condizioni presenti, tuttavia, neppure questo è sufficiente per essere riconosciuti come pienamente umani, così che per piegare la ribellione delle braccia da lavo- Balibar rivolta comunità 3 0 • C A R TA N . 3 6 ro che si pretendono persone bastano «ulteriori tecniche di potere»: per esempio, come a Rosarno, la deportazione compassionevole, concettualmente assimilabile al trasporto e allo «stordimento» – detti compassionevoli o umanitari – degli animali da macello prima del loro abbattimento. È vero, infatti, come scrive Balibar, che la distruzione del sistema razzista «non presuppone solo la rivolta delle sue vittime, ma la trasformazione dei razzisti stessi e di conseguenza la decomposizione interna della comunità istituita dal razzismo». Anche in tal senso v’è una forte analogia con il sessismo: «il suo superamento prevede contemporaneamente la rivolta delle donne e la decomposizione della comunità dei ‘maschi’» [Balibar 1991a, p. 30]. Il caso di Rosarno, come tanti altri simili, sta a dimostrare che il dominio della merce-spettacolo più astratta può accompagnarsi con l’irruzione più brutale della concretezza corporea, insieme con il suo sfruttamento o annichilimento. Anzi, se c’è un tratto che caratterizza la fase attuale del capitalismo neoliberista, è proprio la compresenza dei processi più «avanzati» con dimensioni economiche, sociali e culturali le più «arretrate». Così il dominio delle immagini e la virtualizzazione più spinta possono convivere con rapporti di lavoro servili o schiavili; la dissoluzione del sensibile in favore dell’astratto può coesistere con la presenza sempre più estesa e crescente di realissimi corpi supersfruttati, asserviti, rifiutati, segregati, imprigionati, seviziati, torturati, uccisi. È come se il capitalismo vomitasse l’arcaico che mai è riuscito a digerire, cioè a trascendere, nono- saggio_RIVERA 18-10-2010 20:28 Pagina 31 IDEE L’IMBROGLIO ETNICO Scritto dallo storico René Gallisot, l’antropologo Mondher Kilani e Annamaria Rivera, «L’imbroglio etnico» [Dedalo, 2001] è il libro che messo in discussione idee e parole della società multiculturale, come etnia [usata «come un eufemismo per dire razza, senza pronunciare questa parola»] oppure multiculturalismo [«che rimanda all’idea che le culture siano delle totalità chiuse..., sistemi naturali»]. stante la favola delle magnifiche sorti e progressive; e, dopo averlo vomitato, lo inghiottisse di nuovo per placare la propria fame insaziabile. Queste considerazioni dovrebbero indurci a diffidare dei facili ottimismi progressisti: la discriminazione in base al sesso, alla «razza», alla classe, all’orientamento sessuale non è un residuo arcaico del passato, un segno di arretratezza o di modernità incompiuta, destinato a dissolversi presto, bensì un tratto che appartiene intrinsecamente alla modernità. [...] È vero che il ribaltamento – o il parziale mescolamento – di ruoli, costumi e immagini del femminile e del maschile, che la società dello spettacolo ha prodotto negli anni più recenti, ha mutato le forme della riduzione della donna a oggetto o a merce, per meglio dire, a mercespettacolo: «Lo spettacolo, per citare Debord, è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale» [2002: esordio tesi 42]. Alcuni spot pubblicitari dei giorni nostri, per esempio, sono costruiti mediante dispositivi semiotici e simbolici che trascendono l’analogia, il traslato o la metafora donna-oggetto di consumo, per sfiorare la de-umanizzazione o forse l’evaporazione dell’umano, in favore della merce raffigurata, essa, come ciò che è vivo. […]. Ancora a proposito dei processi di mercificazione, si consideri la pratica aberrante dell’utilizzo, tanto frequente nel Belpaese da essere ormai routinario, dei corpi femminili come tangenti, merci di scambio di un sistema di corruzione ampio e profondo. Una tale pratica, che sembra es- La discriminazione in base al sesso, alla «razza», alla classe, all’orientamento sessuale non è un residuo arcaico del passato, ma un tratto che appartiene intrinsicamente alla modernità sere il marchio dell’Italia dei nostri giorni, è il paradigma perfetto della mercificazione, per meglio dire della mercificazione al tempo della società dello spettacolo. Così la donna – consumata ed esibita, tutt’intera o frazionata in pezzi di carne – è divenuta, come scrive incisivamente Ida Dominijanni [2010], «un regalo come un altro, una tangente come un’altra, una merce come un’altra, per utilizzatori finali e iniziali, sporadici o costanti». Questo «sistema di scambio fra potere, sesso e danaro» [ibidem] sancisce il trionfo dell’etica dell’equivalenza. Come «un’oncia d’oro, una tonnellata di ferro, un quarter di grano e venti braccia di seta», per citare Karl Marx, così ora corpi e immagini femminili, denaro, automobili, appartamenti e suite di lusso sono considerati, trattati, adoperati come equivalenti «e in tal modo rappresentano la medesima unità malgrado la loro variopinta apparenza» [Marx 1999/1859]. Per meglio dire, infine, a sussumerli tutti è lo spettacolo, essendo divenuto esso l’equivalente generale astratto di tutte le merci, come aveva presagito Debord […]. A riguardo delle donne-tangenti, Maria Laura Di Tommaso [2009] obietta che non è rilevante il genere ma la disparità economica e di potere: non possiamo escludere, aggiunge, che in un contesto analogo «un potere politico femminile utilizzerebbe gli stessi strumenti». A questa osservazione, che viene suffragata da un dato di costume –l’aumento del consumo femminile di sesso a pagamento – si potrebbe replicare che un contesto analogo non contempla un potere politico femminile e viceversa: un potere politico femminile non potrebbe mai produrre un contesto analogo, che ha fra i suoi pilastri il sistema patriarcale e il sessismo. È però innegabile che oggi in Italia vi sia una ragguardevole complicità della società, dell’opinione pubblica, anche di una parte della popolazione femminile rispetto a un tale utilizzo dei corpi femminili. Forse c’è qualcosa di più della complicità oggettiva: a volte sembrano prevalere l’invidia o l’immedesimazione e la sintonia sentimentale con le imprese e lo squallore dei potenti ai quali il denaro, il potere, il controllo e la manipolazione dei media, in definitiva la capacità di tradurre tutto in spettacolo-merce, permettono ciò che è negato alla gente comune. Si potrebbe altresì ribattere che la pratica che abbiamo appena descritto non sia specifica della mercificazione al tempo della società dello spettacolo. Per esempio, se si assume la tesi, avanzata in particolare dall’antropologa Paola Tabet [1998 e 2004], che «lo scambio sessuo-economico» sia costitutivo delle relazioni sessuali nelle società più disparate, si può sostenere, di conseguenza, che l’attuale utilizzo di corpi femminili come tangenti non ne sia altro che una variante fra le tante. Secondo Tabet, infatti, lo scambio sessuo-economico non è un esito fra i molti possibili, bensì lo 22 - 28 OTTOB R E 2010 • 31 saggio_RIVERA 18-10-2010 20:28 Pagina 32 Pay per Carta La campagna abbonamenti, come spieghiamo a pagina 3, è sospesa. Resta la possibilità di sostenere Carta clandestina con una sottoscrizione. Scrive Ascanio Celestini: «Sarebbe straordinario che invece di chiudere Carta la si potesse riciclare. Carta che diventa letteratura e cinema, musica e teatro, movimento e sindacato, trattoria e parco giochi, fontanella, orto...». Utilizza il codice IBAN [causale Sos-tengo carta] IT 29 R 07601 14800 000098806631 saggio_RIVERA 18-10-2010 20:28 Pagina 33 IDEE LIBERAZIONE «La sfida che impongono tanto il femminismo quanto la realtà del pluralismo culturale - si legge nell’ultimo paragrafo del nuovo libro di Annamaria Rivera - è come trovare terreni comuni di traduzione e di mediazione che consentano di praticare un comune impegno antissessista e antirazzista al di là delle proprie peculiarità... così da rendere pensabile un progetto transculturale di liberazione tout court». strumento per eccellenza del processo generale di subordinazione delle donne e della loro sessualità. Se nella nostra società, sostiene l’antropologa, è per lo più dissimulato, salvo nel caso della prostituzione, in molte altre società, le più diverse nel tempo e nello spazio [dalle Isole Trobriand dell’epoca di Malinowski al Madagascar di oggi], è praticato abitualmente, reso esplicito, considerato normale, lecito o perfino prescritto, fuori o dentro il rapporto matrimoniale. Esso perciò non sarebbe l’eccezione nel rapporto fra i generi, ma la regola costante: se si squarcia il velo delle apparenze, argomenta Tabet, ci si accorgerà che non fa differenza che il compenso sia diretto e in denaro [come nella prostituzione] o dissimulato sotto forma di dono, di sostentamento, di offerta di beni e vantaggi [come nel matrimonio]. [...] Guardando al nostro paese, più che gloriarci del lascito del femminismo dovremmo allarmarci per la condizione penosa delle donne e per l’opera costante, svolta dalle più varie agenzie del potere [dall’economico al politico, fino al mediatico], di umiliazione od offesa della dignità femminile. Se da noi è tanto evidente e diffuso il fenomeno della donna-tangente, è anche a causa della scandalosa mortificazione del ruolo, del corpo e dell’immagine della donna, cosa della quale nondimeno assai poco si parla […]. Come provano in modo lampante statistiche, rapporti e studi italiani e internazionali, in Italia la condizione femminile è a livelli pressoché infimi rispetto ad altri paesi, occidentali e non. Basta citare una delle tante fonti, il più recente rapporto Se da noi è tanto diffuso il fenomeno della donna tangente è anche a causa della scandalosa mortificazione del ruolo, del corpo e dell’immagine della donna, cosa di cui non si parla. [2009] del World Economic Forum sul Global Gender Gap, che misura il gap fra uomini e donne secondo quattordici indicatori, relativi agli ambiti dell’economia e del lavoro, dell’istruzione, della politica, della salute e dell’aspettativa di vita. Secondo questo rapporto, l’Italia occupa il 72° posto su 135 paesi dei quattro continenti, con una perdita di cinque posizioni rispetto al 2008. Viene così superata, e di gran lunga, non solo da tutti gli altri paesi europei, escluse la Repubblica Ceca e la Grecia, ma anche dal Vietnam, dalla Romania, dal Paraguay, per non parlare del Sudafrica [al sesto posto], delle Filippine [al nono], del Lesotho [al decimo]. Se poi si isola l’ambito della partecipazione e della parità nel campo del lavoro, il nostro paese scende al 96° posto, a causa delle disparità di genere nei salari [addirittura al gradino 116] e nell’accesso al mondo del lavoro: solo il 52 per cento delle donne è parte della popolazione attiva contro il 75 per cento degli uomini; il reddito medio delle donne è la metà rispetto a quello degli uomini: 19.168 dollari l’anno contro 38.878. In Italia, a offendere la dignità femminile vi è altresì la diffusa e abituale rappresentazione della donna come oggetto sessuale, resa possibile soprattutto dal sistema televisivo – dal privato dapprima, poi anche dal pubblico, che ha finito per confor- marsi al primo quasi perfettamente. La televisione italiana – volgare, sessista, per lo più razzista – è stata ed è un elemento cruciale dell’offensiva contro le donne e le loro pretese di uguaglianza e di liberazione. Oggi, pressoché tutti i programmi televisivi italiani, d’intrattenimento come d’informazione, sono improntati a un unico modello: quello della ragazza nuda o seminuda, ammiccante e ancheggiante, che, sorvegliata dal conduttore, si esibisce per gli ospiti e per il pubblico, lei discinta e privata di parola, loro loquaci e vestiti di tutto punto [vedi: Campani 2009 e Rangeri 2007]. Per cogliere l’importanza della cosa, si deve considerare che la Tv, col modello pornografico che propone, costituisce un ganglio importante, se non decisivo, dell’apparato di consenso e di potere quale si è definito in Italia; e perciò finisce per condizionare non solo il linguaggio dei politici, sempre più apertamente sessista, ma la stessa struttura del potere politico e delle istituzioni: alla ridicola presenza delle donne nelle istituzioni fanno da contrappunto le pin-up e le «veline» televisive cooptate in Parlamento e nel governo. Questo fenomeno non è altro se non una delle varianti del sistema di scambio fra potere, sesso e danaro. A sua volta, il porno televisivo mitridatizza giorno dopo giorno il senso comune, l’immaginario collettivo, l’opinione pubblica, i quali, avvelenati da dosi quotidiane di sessismo e razzismo mediatici, sono pronti per essere invocati dai politici mainstream a sostegno e giustificazione dei loro discorsi, imprese e misure sessiste e razziste. La profezia di Debord si è realizzata: la merce-spettacolo è giunta all’occupazione totale della vita sociale. 22 - 28 OTTOB R E 2010 • 33