NEUROIMAGING IN PSICHIATRIA Paola Rocca, Filippo Bogetto

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NEUROIMAGING IN PSICHIATRIA Paola Rocca, Filippo Bogetto
NEUROIMAGING IN PSICHIATRIA
Paola Rocca, Filippo Bogetto
Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino
Il progresso nelle tecniche di visualizzazione cerebrale (neuroimaging) ha creato nuove opportunità e sfide nello
studio dei disturbi psichiatrici. Il desiderio di aprire una «finestra sulla mente» ha spinto i ricercatori a utilizzare
diversi metodi per esaminare la struttura e la funzione del cervello nei disturbi psichiatrici. Gli studi di
neuroimaging iniziano in psichiatria negli anni settanta con l’introduzione della tomografia computerizzata (TC) che
ha fornito informazioni sulla struttura del cervello. La possibilità di visualizzare la struttura e il funzionamento del
cervello in vivo è migliorata con la risonanza magnetica (RM), che permette di esaminare la neuroanatomia con la
RM strutturale, la connettività con l’imaging del tensore di diffusione (Diffusion Tensor Imaging, DTI), la
neurochimica con la spettroscopia con RM (MRS), il funzionamento cerebrale con la RM funzionale (functional
Magentic Resonance Imaging, fMRI). Altre metodiche di neuroimmagine funzionale sono la tomografia ad
emissione di positroni (PET) e la tomografia ad emissione di singoli fotoni (SPECT), che permettono di
visualizzare il metabolismo del glucosio, il flusso ematico e la funzionalità dei recettori. Un campo emergente
nell’imaging dei disturbi psichiatrici è il multimodal imaging, che cerca di integrare una o più tecnologie per
ottenere una migliore comprensione della funzione del cervello. Tecniche come l’elettroencefalografia (EEG) e la
magnetoencefalografia, che registrano i campi elettrici e magnetici dallo scalpo e forniscono informazioni sugli
eventi elettrici nel cervello, hanno un’alta risoluzione temporale nel range dei millisecondi ma una bassa
risoluzione spaziale. Con il multimodal imaging si integra l’informazione temporale dei dati EEG con l’informazione
spaziale di fMRI.
Ad oggi, la maggior parte degli studi di neuroimaging è stata condotta nella schizofrenia, disturbo invalidante,
associato a una significativa morbilità e mortalità, caratterizzato da sintomi produttivi (deliri, allucinazioni), negativi
(alogia, apatia, ritiro sociale) e cognitivi (funzioni esecutive, memoria, attenzione) e da un importante
deterioramento del funzionamento sociale. Sono state individuate le aree cerebrali principalmente coinvolte,
l’ippocampo e la corteccia prefrontale; è stata dimostrata un’associazione tra attività della corteccia prefrontale
con sintomi negativi e deficit delle funzioni cognitive, in particolare della memoria di lavoro; una correlazione tra
aumentato rilascio di dopamina e sintomi positivi; un’associazione tra ippocampo, vulnerabilità alla malattia e
alterazioni neuropsicologiche. Sulla base degli studi di neuroimaging, che hanno dimostrato la presenza di
alterazioni nella struttura e nella funzione del cervello già all’esordio del disturbo, è stata formulata l’ipotesi che la
schizofrenia sia una malattia associata a un alterato sviluppo del sistema nervoso centrale. Nell’ultima decade una
nuova serie di studi RM controllati hanno evidenziato progressivi cambiamenti del cervello, a favore di una
componente neurodegenerativa. Modificazioni strutturali del cervello sono riscontrabili sia nella sostanza grigia sia
nella sostanza bianca prima dell’esordio della malattia e prima del trattamento con antipsicotici; una progressione
attiva può verificarsi prima dell’esordio dei sintomi; l’allargamento dei ventricoli avviene più tardi ed è una
conseguenza delle modificazioni della corteccia e la progressione è generalmente molto estesa. È stato proposto
che i cambiamenti nel tempo siano parte del processo del disturbo controllato geneticamente, ma altre spiegazioni
sono possibili, quali varie esposizioni ambientali.
Per quanto concerne i Disturbi dell’Umore e i Disturbi d’Ansia, di rilevante importanza sono stati gli studi di
neuroimaging che hanno definito le strutture cerebrali coinvolte nella percezione delle emozioni. L’identificazione
del significato emozionale di uno stimolo, la produzione dello stato affettivo in risposta a quello stimolo e la
regolazione automatica della risposta emozionale sembrano dipendere dall’attività di un sistema neurale ventrale,
che include l’amigdala, l’insula, lo striato ventrale e le regioni ventrali della corteccia cingolata anteriore e della
corteccia prefrontale, mentre la regolazione dello stato affettivo e del comportamento emozionale, che implica
l’inibizione o la modulazione dei primi due processi, in modo da rendere lo stato affettivo e il comportamento
appropriati al contesto, sembra dipendere da un sistema neurale dorsale, che include l’ippocampo e le regioni
dorsali del giro cingolato anteriore e della corteccia prefrontale. Gli studi di neuroimaging hanno dimostrato nei
pazienti depressi un’aumentata attività a livello del sistema ventrale, quindi nelle regioni coinvolte nel
riconoscimento di stimoli emozionali spiacevoli, associata a una ridotta attività a livello del sistema dorsale, che
controlla i comportamenti emozionali. Questo pattern di attività comporta una tendenza a identificare gli stimoli
come emozionalmente negativi, determinando sintomi quali la deflessione del tono dell’umore e l’anedonia. Gli
studi di imaging hanno dimostrato che la modulazione sincronizzata di questi circuiti risulta importante per la
remissione della depressione e che diversi tipi di trattamento hanno un effetto specifico a livello di strutture target.
Il brain imaging è oggi uno dei più promettenti strumenti per lo studio dei disturbi psichiatrici. Parallelamente
questo strumento si pone anche al servizio di un’ambizione che la psichiatria insegue fin dalla sua costituzione
ippocratica e, con maggior convinzione e disponibilità di mezzi a partire, fin dall’affermazione della grande clinica
psichiatrica, in particolare tedesca e francese – con qualche bella punta italiana – del secolo diciannovesimo:
l’ambizione di raggiungere un compiuto statuto scientifico. Che questo per la psichiatria sia un compito arduo lo
evidenzia già l’impiego nel DSM IV-TR (American Psychiatric Association 2000), sia dal punto di vista clinico sia
da quello della ricerca scientifica, del prudente termine «disturbo» invece del più impegnativo termine di
«malattia». È insita in questa impostazione la difficoltà di riconoscere la malattia mentale come evento naturale e
l’ammissione della sua natura di costrutto teorico fondato sull’associazione sindromica di sintomi e segni.
Il neuroimaging sta permettendo notevoli progressi nella risposta ad alcuni temi cruciali:
1. Quanto e in che modo il funzionamento cerebrale differisce fra sano e malato?
2. Le alterazioni del malato sono specifiche per un determinato tipo di malattia o attraversano
transnosograficamente vari disturbi?
3. Si presentano solo in concomitanza delle manifestazioni acute (alterazioni di «stato») o sono presenti anche al
di fuori di esse (alterazioni di tratto)?
4. Vi è una familiarità di queste alterazioni, evidenziata dalla loro presenza anche nei parenti dei soggetti malati?
5. Regrediscono in relazione all’efficacia delle terapie, farmacologiche e psicologiche?
La coerenza dei dati per ciascun disturbo è aumentata, tuttavia sono ancora pochi gli studi che evidenziano la
specificità diagnostica dei risultati ottenuti. Diversi punti devono essere tenuti in considerazione nelle future
ricerche per ottenere l’eventuale utilità clinica della neuroimaging. Primo, i gruppi di ricerca devono standardizzare
i loro approcci per l’acquisizione, l’elaborazione e l’analisi dei dati. Questo permetterebbe di costruire atlanti dello
sviluppo normale e anomalo del cervello. Gli studi dovrebbero altresì includere paradigmi psico-comportamentali
necessari per chiarire le relazioni tra cervello, funzionamento psichico e comportamento più pertinenti il disturbo in
esame. Secondo, sarebbe utile includere stimolazioni farmacologiche negli studi fMRI perché potrebbero fornire
informazioni valide legate ai substrati molecolari e con dirette implicazioni terapeutiche. Terzo, gli studi di coorte,
in particolare a carattere longitudinale, dovrebbero iniziare all’esordio del disturbo per valutare quanto le anomalie
riscontrate possano essere utili per definire il disturbo in uno stadio precoce, ai fini di un intervento tempestivo e,
quando possibile, preventivo. Infine, sono necessari dati più precisi per esaminare quanto le singole alterazioni di
neuroimaging siano specifiche di una diagnosi o abbiano un valore transnosografico chiarendo se le osservate
alterazioni corrispondono al fenotipo (caratteristiche cliniche della sintomatologia, decorso, risposta al trattamento
o al genotipo (specifici polimorfismi genetici). La disponibilità di questi dati potrà permettere di valutare l’utilità del
neuroimaging nella distinzione tra i vari disturbi e affrontare la questione cruciale di come l’attività neurale cambi
in associazione a diversi livelli e diversi tipi di malattie mentali.
Ma forse l’aspetto più importante degli studi del cervello con le tecniche attuali, in costante evoluzione, è
rappresentato, accanto all’acquisizione di dati scientifici di eccezionale interesse, dalla possibilità di promuovere
un cambiamento di atteggiamento nei confronti delle malattie mentali. La possibilità di curare la sofferenza dei
nostri pazienti troppo spesso è stata limitata da una difesa concettualmente fuorviante della sacralità della mente
e da un vero e proprio tabù nei confronti degli approcci al cervello, come se questo potesse significare uno
svilimento dei prodotti mentali, con lo spettro sempre in agguato dell’ansia di riduttivismo biologico. E’ sempre
presente un tentativo, solo apparentemente virtuoso, di edulcorare la drammatica realtà del disturbo psichiatrico,
occultandone persino il nome: da malattia a disturbo, a disagio, a modalità diversa di esprimere se stessi. Si è
giunti talora a identificare l’uomo libero o geniale come un malato mentale, utilizzando il fatto che un’idea diversa è
stata in certi ambiti e periodi storici etichettata come patologica e in questo modo emarginata o enfatizzando il
dato che alcuni uomini di genio, non certo tutti, abbiano sofferto di disturbi psichici. In tutte queste, talora
esteticamente brillanti, posizioni si dimenticano cose molto semplici, che il clinico psichiatra vive tutti i giorni
accanto ai suoi pazienti. Si dimentica che i nostri pazienti sono portatori di una grande, talora enorme sofferenza,
schiacciati e distrutti nella loro vita affettiva, intellettiva e relazionale dalla malattia. È a queste persone che noi
speriamo che il progredire delle conoscenze possa dare un aiuto reale, aiuto che non possono ricevere da
intellettualismi narcisistici o da interventi puramente affettivi e assistenziali.
I LIMITI STRUTTURALI DELLA PLASTICITÀ DEL SISTEMA NERVOSO
Luca Bonfanti
Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (NICO)
Università di Torino
La scoperta di nuovi approcci farmacologici che possano curare una vasta gamma di disregolazioni e/o
malattie neurologiche è uno degli obiettivi principali delle moderne neuroscienze. Nelle ultime due
decadi, progressive e sostanziali evidenze dell‟esistenza di neurogenesi adulta nel sistema nervoso dei
mammiferi ha suscitato nuove speranze di raggiungere il sogno di una medicina rigenerativa applicata
al campo neurobiologico. Tuttavia, numerosi limiti di tipo anatomico, cellulare, molecolare ed
evoluzionistico tipici del sistema nervoso dei metazoi complessi relega ancora questo obiettivo nel
dominio della fantascienza. D‟altro canto, le conoscenze accumulate nella definizione di tali limiti può
aiutare a identificare quegli aspetti della plasticità cerebrale che possono essere affrontati per ottenere
una modulazione del potenziale neurogenico endogeno al fine di prospettare alcune strategie
terapeutiche „realistiche‟.
STRUCTURAL LIMITS OF NERVOUS SYSTEM PLASTICITY
Luca Bonfanti
Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (NICO)
University of Turin
The discovery of new pharmacological approaches that might heal a wide range of brain disregulations
and/or neurodegenerative diseases is a major goal of modern neurosciences. During the last two
decades, a progressively increasing, substantial evidence for the occurrence of adult neurogenesis in the
mammalian brain has prompted new hopes for attaining the dream of regenerative medicine even in the
field of neurobiology. Yet, several anatomical, cellular, molecular and evolutionary constraints peculiar
to the nervous system of highly complex metazoans still place such a goal within the domain of science
fiction. On the other hand, the knowledge accumulated in defining such constraints could help to
identify which aspects of brain plasticity can be tackled in order to obtain a modulation of the
endogenous neurogenic potential and ultimately figure out some realistic pharmacological strategies.
Uso di modelli animali per lo sviluppo di procedure di imaging molecolare
Silvio Aime
Dip, Chimica e Centro di Imaging Molecolare
Università di Torino
La possibilità di acquisire immagini da organismi viventi che rappresentano specifiche molecole o
eventi molecolari che avvengono a livello cellulare (Imaging Molecolare) avrà negli anni a venire un
enorme impatto sulla diagnostica clinica. Infatti questo approccio permetterà diagnosi precoci perché
l‟alterazione di processi biochimici avvengono ben prima delle modifiche anatomiche che sono alla
base delle attuali procedure. Inoltre questa metodologia sarà estremamente utile per monitorare
l‟efficacia di un trattamento terapeutico fin dagli stadi iniziali della sua applicazione. L‟Imaging
Molecolare è parte integrante dell‟avvento della medicina molecolare e sarà uno strumento essenziale
per l‟affermarsi della medicina personalizzata.
Le ricerche per identificare le molecole di maggior interesse nella caratterizzazione di una patologia
(“biomarkers”) sono condotte a livello di sistemi cellulari e modelli animali che rappresentino in
maniera adeguata l‟insorgenza e la progressione della malattia di interesse.
Per esempio, nel caso delle malattie oncologiche sono disponibili numerosi modelli murini sia preparati
attraverso l‟inoculo di cellule tumorali sia modelli transgenici geneticamente programmati a sviluppare
un tumore.
Negli ultimi decenni i grandi progressi nella biologia molecolare e cellulare e nella genetica hanno
permesso di fare enormi passi in avanti nella comprensione dei meccanismi molecolari che sono alla
base della trasformazione di una cellula sana in una malata. La sfida dell‟Imaging Molecolare sta nel
cercare di visualizzare (possibilmente in modo quantitativo) i meccanismi principali che vengono ad
alterarsi con l‟insorgenza della patologia. Per raggiungere questo scopo si fa uso di tutte le modalità di
acquisizione di immagine, dalle tecniche di medicina nucleare (PET/SPECT) alla Risonanza
magnetica, dagli Ultrasuoni all‟Imaging Ottico. La visualizzazione di una specifica molecola richiede
la progettazione di una opportuna sonda che, riconoscendo la molecola in questione, ne amplifica il suo
segnale nella corrispondente immagine. La ricerca di una sempre maggiore sensibilità delle sonde e
delle tecniche di acquisizione e processamento delle immagini è quindi l‟obiettivo centrale degli studi
che vengono condotti in questo settore. L‟Imaging Molecolare è una nuova scienza fortemente
interdisciplinare che, per raggiungere i suoi obiettivi, deve riunire le migliori competenze in settori che
vanno dalla chimica alla fisica, dalla biologia all‟ingegneria e naturalmente alla medicina.
Tavola rotonda: Evoluzione delle tecnologie mediche e diagnostiche in neuroscienze
William Liboni
Certamente uno degli aspetti che più caratterizza i nostri anni, nella riflessione e ricerca, è quello della
bioetica, del rispetto e del sostegno della vita umana in tutti i suoi aspetti. Infatti, la visione olistica
dell'uomo, che deve sempre guardarsi come persona prima e al di là di ogni problematica, visione che è
sempre stata affermata dal pensiero cristiano ma anche da tutti coloro che fanno riferimento ad un
umanesimo integrale, sta sempre più occupando la mente di coloro che operano nel campo medico, e in
generale nella scienze che toccano direttamente l'uomo.
In quest'ottica anche l'argomento che trattiamo oggi, come avviene per l'eutanasia e, sull'altro versante ,
sull'accanimento terapeutico, dev'essere inquadrato in un punto di vista antropologico, filosofico e
quindi anche religioso.
Sotto questo aspetto, la prima cosa su cui stare in guardia è una visione della vita che deve comunque
durare il più lungo possibile, verso il sogno irrealizzabile di una eternità terrena. E questo sovente vuol
dire essere disposti ad usare qualsiasi mezzo per il prolungamento dell'esistenza, anche forzando (e non
solo aiutando, come è invece giusto) il normale corso della natura.
La vita media si sta velocemente alzando, e questo è una cosa positiva. Proprio perché la vita, anche
per coloro che credendo nell'eternità la pensano solo come un primo atto, è preziosa e sempre carica di
doni per l'interessato ma anche per la società in cui vive, ogni attimo in più è da considerarsi un
occasione preziosa, da non sprecare ma anzi da valorizzare al massimo.
Ma questo presuppone che si porti avanti un discorso non meramente quantitativo, ma soprattutto
qualitativo (come deve anche avvenire - e lo abbiamo affermato nei precedenti convegni - nulle cure
terminali e anche nell'handicap).
L'anziano può e deve vivere in modo prolungato, ma nell'ottica che questa vita sia autentica, piena,
ancora soddisfacente e realizzante. Anche qui però bisogna essere molto equilibrati: è ovvio che
comunque l'efficienza, a tutti i livelli, di una persona anziana (o ammalata) non è da valutare con gli
stessi metri di una persona giovane e sana. Certi limiti, anche pesanti, sia a livello fisico che psichico,
non tolgono comunque la dignità della persona, che deve essere accettata e sostenuta nel suo stato
concreto.
Le conseguenze generali che si possono trarre è che il compito particolare della medicina è rendere
l'anziano, senza appunto abolire tutti i limiti come è impossibile, in grado di convivere con questi limiti
stessi e vivere con serenità e possibilmente con gioia e soddisfazione i suoi giorni. Qui c'è certamente
tutto l'aspetto fisico, fisiatrico, di assistenza materiale. Ma ritengo sia ancor più importante attuare tutti
i mezzi a livello neurologico, affinché la persona mantenga il massimo grado possibile di intendere e
volere, senza naturalmente, di nuovo, creare situazioni artificiali tali da assomigliare a stati illusori,
simili a quelli della droga...
Ma, tornando ad un accenno fatto prima, è assolutamente importante operare anche in campo familiare
e sociale, perché l'anziano sia contornato da rispetto, amore e valutato come un bene prezioso. Beate
quelle antiche civiltà in cui l'anziano, pure ridotto dall'età ad una inabilità più o meno grande e quindi
esonerato dai lavori e dagli incarichi della sua società, veniva considerato il saggio, da consultare per i
suoi preziosi consigli, frutto della sua esperienza di vita.
Traduzione Giordano TRAPIANTO DI TESSUTI E GENI, IMPIANTI DI CONGEGNI MECCANICI.
L‟UOMO BIONICO?
Le neuroscienze e la tecnologia in ambito neurologico hanno effettuato ricerche volte ad attuare una
mutua realizzazione tra strumenti e principi teorici e tra teoria e tecnologia che hanno promosso ed
incrementato capacità di interagire, accedere e manipolare la struttura e la funzione del Sistema
Nervoso e del cervello. Questo ha promosso una progressiva integrazione dei dispositivi meccanici
con la biologia, cosa che Clynes e Kline riferiscono come un processo di cibernizzazione. Questo
concetto può essere il punto da discutere e riguarda soprattutto l‟uso di trapianti di tessuti neuronali, di
materiale genetico, oltre a congegni impiantati nel cervello che interagiscono con la cellula nervosa.
Queste tecniche, attuate sia singolarmente che in combinazione, offrono importanti aspettative nel
trattamento (ed in alcuni casi nella prevenzione) di più patologie neurologiche o psichiatriche.
Indubbiamente queste patologie sono spesso causa di gravi alterazioni della qualità di vita così come
“dell‟essere” della persona che ne viene colpita. È questa interazione tra l‟operare e l‟essere, la
soggettività del vissuto delle condizioni neuropsichiche che sollevano i dubbi nel distinguere
l‟intervento terapeutico, la capacità di promuovere e di potenziare delle funzioni e la possibilità di uso
corretto od improprio delle tecnologie per trapianti ed impianti per influenzare, alterare o controllare le
capacità cognitive, le emozioni, il comportamento e modificare il “sé” nella sua definizione,
costruzione, esperienza ed espressione.
Questa conferenza delinea lo stato attuale di queste tecnologie, indicando le prospettive ed i limiti della
neuro genetica, dei trapianti di tessuto nervoso, degli impianti cerebrali, di utilizzo di nanotecnologie e
della cibernetica per incrementare o ridefinire i confini della capacità funzionali dell‟uomo ed in più
per approfondire la nozione di miraggi chimerici del transumano, post-umano, trans-specie, macchine
cibernetiche. Mentre tutto può essere visto come uno sviluppo verso l‟obbiettivo finale di alleviare il
disagio, il sintomo e la malattia, promuovendo le capacità umane, il doppio significato di questo
sviluppo, come il dio Giano,evoca entrambe le possibilità, positive o negative che sollevano
considerazioni non solo di un beneficio, ma di un carico di rischi e pericoli in cui si può incorrere. Lo
scopo è non di rallentare il progresso, ma piuttosto di promuovere una posizione di valutazione
pragmatica per essere preparati alle realtà procurate da questi sviluppi ed usare ciò per porre analisi
etiche ed approcci che possono essere usati come linee guida e metodologie che prudentemente
regolino e rispondano agli indirizzi degli sviluppi scientifici e tecnologici. In questa visione il discorso
sarà posto sulle problematiche etiche, filosofiche, sociali e legali, comprendendo la necessità di una
neuroetica più universale che sia libera di sviluppare nuove regole etiche basate sul progresso
scientifico sulle modalità che comportano cambiamenti della condizione umana e dell‟essere.
Cellule staminali nella PSP
Margherita Canesi, Centro Parkinson e Disordini del Movimento, ICP Milano
Il primo pionieristico lavoro svolto su modelli animali che dimostra la capacità del
tessuto cerebrale mesencefalico di sopravvivere quando impiantato in sedi
ectopiche risale al 1907 (Del Conte, 1907).
La prima sperimentazione sull’uomo risale al 1983 quando due pazienti affetti da
malattia di Parkinson vengono sottoposti a trapianto della midollare del surrene
nel putamen (Lindvall, 1983).
Altri due pazienti affetti da malattia di Parkinson vengono sottoposti ad
autotrapianto della midollare del surrene a livello del nucleo caudato destro
(Madrazo, 1987). Le prime osservazioni ottenute erano incoraggianti.
L’entusiasmo iniziale negli anni seguenti viene smorzato dai risultati di uno studio
multicentrico
nordamericano
che
segnala
una
mortalità
del
18%
legata
all’intervento ed un miglioramento (inteso come riduzione delle fasi off) in meno
del 19% (Goetz, 1991).
Dal 1992 compaiono i risultati dei trapianti di tessuto mesencefalico fetale in
pazienti con malattia di Parkinson e con parkinsonismo indotto da MPTP.
Compaiono inoltre le prime osservazioni anatomo-patologiche di pazienti deceduti
che avevano ricevuto il trapianto che dimostrano la sopravvivenza del trapianto
stesso e la reinnervazione striatale (Kordower, 1992; Freed 2001).
Nel lavoro di Freed del 2001 emergeva che il 15% dei pazienti presentava
discinesie e distonie nonostante la riduzione e/o sospensione della terapia
dopaminergica. Inoltre nei pazienti con età > di 60 anni l’intervento risultava
inefficace.
Più recentemente l’ipotesi di una possibile propagazione della malattia da una
cellula ad un’altra sembra supportata dal riscontro di corpi di Lewy alfa-synucleina
positivi nelle cellule fetali mesenchimali dopo 11-16 anni dal trapianto (Li, 2008).
Un’alternativa all’uso di cellule mesenchimali fetali è rappresentata dalle cellule
staminali
del
midollo
osseo
che
sembrano
poter
migrare
nell’encefalo
differenziandosi in cellule che esprimono antigeni neurono-specifici (Mezey 2000 e
2003). In uno studio successivo viene dimostrata la capacità delle cellule del
midollo osseo di differenziarsi in cellule nervose (neuroni, astrociti, microglia).
La terapia con le cellule staminali mesenchimali autologhe è stata utilizzata
in
uno studio controllato in aperto in pazienti affetti da atrofia multisitemica (Lee,
2008). I pazienti trattati presentavano un miglioramento ai punteggi della
UMSARS ed alla PET con FDG un aumento della captazione a livello del cervelletto
e della sostanza bianca.
Le cellule mesenchimali staminali sono in grado di passare la barriera ematoencefalica come dimostrato da una serie di evidenze in vitro (Matzushita et al,
Neuroscience 2011;De Becjer et al, Haematologica 2007; Schmidt et al Eur. J.
Cell Biol. 2006; Steingen J. Mol.. Cell. Cardiol. 2008) ed in vivo (Wang et al.,
Neuroscience 2010) attraverso gap intercellulari che si formano transitoriamente
tra le cellule endoteliali.
Progetto: trattamento con cellule staminali mesenchimali autologhe nella Paralisi
Sopranucleare Progressiva: studio controllato, randomizzato, cross-over in doppio
cieco.
Lo studio è di fase I: l’obiettivo primario: valutazione della sicurezza. Vi sono poi
valutazioni di efficacia: scale + gait analysis. Il Doppio cieco è ottenuto tramite
simulazione della procedura (sham).
Traduzione Lorenzl DEMENZA NEL PARKINSONISMO
Demenza è un termine che raggruppa un insieme di sintomi che possono essere causati da diverse
patologie che colpiscono il cervello. Le persone con demenza hanno problemi con le funzioni
intellettive che regolano le attività della vita quotidiana e le relazioni interpersonali. Perdono anche la
loro abilità nel risolvere i problemi e nel mantenere il controllo emotivo, possono presentare
cambiamenti di personalità e problemi comportamentali come agitazione, fissazioni, allucinazioni.
Mentre la perdita di memoria è un comune sintomo di demenza, la perdita di memoria in se stessa non
implica che la persona affetta sia demente. I medici fanno diagnosi di demenza solo quando due o più
funzioni cerebrali, quali memoria, proprietà di linguaggio, percezione, od abilità cognitive,
comprendenti anche razionalità e giudizio, sono significativamente compromesse senza perdita di
coscienza.specialmente nelle persone anziane, la demenza può essere associata a farmaci, disturbi
metabolici ed endocrini, deficit nutritivi, infezioni, emorragia cerebrale o stroke.
La Demenza nel Parkinsonismo ha classificazioni diverse, in quanto sono diversi i tipi di demenza nella
malattia di Parkinson (PD) e nei disturbi Parkinsoniani, come la Malattia dei di Lewy (LBD), la paralisi
sopranucleare progressiva (PSP) e la sindrome corticobasale (CBS).
Nel PD la demenza presenta un lungo percorso ed i sintomi cognitivi possono sorgere ad ogni momento
della malattia.
Nelle persone che hanno un‟insorgenza del PD in età giovanile, i sintomi cognitivi si sviluppano più
tardivamente rispetto a quanto capita alle persone colpite dal PD in età più avanzata.
Soltanto recentemente è stato dimostrato che il 40% dei pz con PD presentano segni di demenza e
nell‟evolvere della malattia se ne trova circa l‟80% con la demenza.
Quantunque i sintomi motori e le disfunzioni del SN autonomo nel PD siano angoscianti, lo sviluppo
del declino cognitivo è molto più preoccupante per i pazienti ed i familiari. I disturbi comportamentali
includono vagabondaggi, psicosi, depressione, agitazione e disturbi del sonno. I vagabondaggi e e gli
smarrimenti, sono le situazioni più preoccupanti per i familiari, così come le interpretazioni paranoiche
sono angoscianti per coloro che li assistono.
Quando si manifesta un atteggiamento distruttivo od agitazione, è importante escludere un‟infezione,
un blocco vescicale, undolore, un‟area di pressione, una stitichezza non manifesta o la percezione di
una costrizione. L‟olanzepina ed il risperidono sono i farmaci usati per contenere i sintomi.
Le psicosi, le allucinazioni ed I vagabondaggi sono comuni al Parkinson ed ai disturbi correlate e
possono essre I segni premonitory di un decline cognitivo. Qualche volta sono associati alla terapia
dopaminergica. Se le allucinazioni sono causa di disagio, la prima cosa da fare è sospendere i farmaci
anticolinergici, poi l‟amantadina e, se necessario gli inibitori e gli antagonisti della dopamina. Bloccare
l‟assunzione di levodopa non è di solito un‟opzione, ma si può pensare alla riduzione della dose. Basse
dosi di neurolettici atipici possono portare un vantaggio, senza peggiorare significativamente i sintomi
motori.
La disfunzione cognitiva è molto comune nel PD e diversa dalle forme di malattia di Alzheimer.
I disturbi cognitivi nel PD possono essere classificati come di media intensità, demenza nella malattia
di Parkinson. I disturbi cognitivi hanno un impatto significativo sulla qualità di vita del pz. E dei
familiari.
Spesso si manifestano come un disturbo di tipo esecutivo e un deterioramento visuo-spaziale, mentre il
deterioramento della memoria verbale è meno pronunciato. Gli inibitori della colinesterasi sono usati
con moderato vantaggio. I loro potenziali vantaggi devono essere confrontati con il fatto che possono
peggiorare il tremore e dare la nausea. C‟è una qualche documentazione che la memantina sia efficace
nel PD, ma con essa le allucinazioni possono peggiorare. È stato dimostrato che la rivastigmina è
efficace nel 15% dei pz. con demenza. Inoltre il piribedil può migliorare la capacità di apprendere e la
consapevolezza ed è attualmente studiato in Germania.
Il termine “Parkinsonismo” o “Disturbo parkinsoniano atipico” comprende un gruppo di condizioni
che hanno dei sintomi simili a quelli del PD, ma che non rispondono, o solo parzialmente, ai farmaci
antiparkinsoniani. Queste sindromi presentano frequentemente dei sintomi caratteristici che sono
raramente visti nel PD. Sono spesso catalogate come Parkinson-plus
ed hanno delle caratteristiche
neuropatologiche specifiche. Le più comuni malattie di questo gruppo sono, la paralisi sopranucleare
progressiva (PSP), la degenerazione cortico basale (CBD) la demenza con i corpi di Lewy (DLB)
l‟atrofia multi sistemica (MSA).
In contrasto con la relativa lunghezza dell‟aspettativa di vita dei pz. PD, la sopravvivenza media è di 6
anni nel PSP, 9.5 nella MSA, 7 nella CBD e ) nella DLB. Quantunque queste condizioni facciano parte
di quadri simili, la presentazione e le sfide terapeutiche sono molto diverse.
MSA - ATROFIA MULTISISTEMICA. È è caratterizzata da disturbi del SNautonomo (ipotensione
ortostatica, incontinenza urinaria, disfunzione erettile), disturbi cerebellari (andatura atassica, disartria,
nistagmo allo sguardo fisso) e parkinsonismo. Elemento differenziale con il DP è l‟assenza di tremore,
l‟inizio simmetrico e la povertà di risposta ai farmaci antiparkinsoniani. Tipico quadro istopatologico:
inclusioni citoplasmatiche oligodendrogliale contenenti alfa-sinnucleina.
Cambiamenti di tipo cognitivo sono meno evidenti che nel PD. Noi abbiamo seguito negli ultimi 5 anni
un certo numero di pz. con MSA che presentavano nella maggior parte dei casi solo minimi segni di
deficit cognitivo.
PSP – PARALISI SOPRANUCLEARE PROGRESSIVA. È una malattia rapidamente ingravescente
caratterizzata da precoci cadute (tendenza a cadere all‟indietro), una paresi nello sguardo di verticalità,
una forma di rigidità acinetica, disturbi di tipo bulbare ed una demenza sottocorticale. L‟inizio della
rigidità e della bradicinesia è tipicamente simmetrico e la comparsa del tremore è rara. La perdita del
cammino indipendente e della capacità nella stazione eretta non assistita sopravviene entro 3 anni
dall‟inizio della sintomatologia. Con una media di 5,3 persone su 100000 in Europa, che si attesta sulle
6,4 persone su 100000 in età più avanzata, la PSP è comune come la malattia del motoneurone o la
MSA. Tuttavia, la PSP è quasi certamente sottostimata in quanto molti pz. sono confusi con il PD o la
CBD.
CBD – DEGENERAZIONE CORTICO BASALE. Si può presentare come un parkinsonismo
asimmetrico, ma si distingue per la comparsa del fenomeno dell‟arto alieno, afasia, aprassia e deficit
delle funzioni sensitive corticali. Può essere presente una distonia ed un mioclono asimmetrici. La non
risposta alla levodopa e l‟assenza di tremore aiutano nel differenziarla dal PD.
I pz. con PSP e CBD sviluppano gradualmente una demenza sottocorticale, caratterizzata da
rallentamento mentale, deficit della parola, disturbi della memoria, apatia ed irritabilità. Si pensava che
i deficit colinergici provocassero i danni cognitivi del PSP, ma studi con la somministrazione di
farmaci agonisti colinergici ed inibitori della colinesterasi, non hanno portato nessun miglioramento. Il
comportamento impulsivo può essere trattato con i farmaci antiserotoninergici ed anche l‟amitriptylina
può risultare efficace se gli effetti anticolinergici sono accettabili.
In alcuni di questi pz. è conservata la capacità di prendere decisioni durante tutta la loto vita.. abbiamo
visto molti pz. che soffrono di una significativa bradifrenia, che sono in grado di decidere circa le
operazioni e le terapia per un prolungamento della vita.
DLB - DEMENZA CON CORPI DI LEWY è caratterizzata da parkinsonismo, allucinazioni
visive,cognitività altalenante,sensibilità all‟azione farmacologica dei neurolettici, disfunzioni del SN
autonomo, frequenti cadute, sincopi, percezioni illusorie e disturbi del sonno.
Le capacità cognitive inizialmente colte in DLB sono quelle esecutive, l‟attenzione e la funzione visuospaziale in contrapposizione alla prevalenza di alterazioni della memoria presenti nella malattia
d‟Alzheimer (AD). DLB è il secondo tipo di demenza più comune nella neuro degenerazione ed il
trattamento farmacologico è particolarmente problematico. La sensibilità ai neurolettici è molto
specifica nel DLB e comporta compromissioni dello stato di coscienza e sintomi parkinsoniani a
sviluppo acuto e severo in rapporto alla dose somministrata. I farmaci anticolinergici e gli
antidepressivi triciclici non dovrebbero essere utilizzati in presenza di ipotensione ortostatica, le
benzodiazepine comportano frequentemente stati di agitazione paradossa. I pz. che sono dementi nel
DLB presentano quindi alta sensibilità all‟azione terapeutica degli agenti antipsicotici.
L‟evidenza di un aumentato rischio per ictus in associazione con farmaci antipsicotici atipici è dibattuta
e non ha avuto ancora confermi da studi su di un‟ampia popolazione.
Sebbene i cambiamenti di personalità e di umore siano comuni in ciascuno di questi disturbi, essi sono
una caratteristica clinica del DLB.
Il trattamento palliativo dei pz. con demenza, è un importante sbocco e dovrebbe essere organizzato e
discusso precocemente con il pz. e la famiglia. Al momento che la demenza si aggrava disturbi della
nutrizione ed il rifiuto del cibo potrebbero insorgere a causa dell‟aprassia, della non accettazione dei
pasti, dalla mancata percezione di fame o da difficoltà nella deglutizione. È opinione comune che
ausili per l‟alimentazione siano di scarso beneficio negli stadi tardivi della demenza e di fatto non
favoriscano la guarigione dei decubiti né migliorino le funzioni od incrementino la sopravvivenza.
D‟altro canto possono aumentare il rischio di infezioni polmonari, sinusiti, otiti medie. L‟uso di mezzi
contenitivi per prevenire la rimozione dei dispositivi, il gradimento del mangiare ed il contatto con il
caregivers durante la somministrazione dei pasti, sono ulteriore argomento contro l‟uso di strumenti per
l‟alimentazione.
Nella demenza della fase terminale del PD e nella demenza dei parkinsonismi sono disturbi del respiro,
dolore, febbre, micosi orale e stitichezza. Tutti questi sintomi possono essere trattati con efficacia in
una struttura residenziale.
Nell‟ambito dell‟arresto cardiocircolatorio è difficile ottenere dei risultati in quadri avanzati di
demenza. L‟intervento in presenza di arresto cardiocircolatorio è traumatico e causa importante
preoccupazioni nelle famiglie e nei caregivers, quindi tentativi di recupero nell‟ambito dell‟arresto
cardiocircolatorio potrebbero non essere indicati se la demenza è in stadi
Molto avanzati. Qualsiasi azione medica dovrebbe essere attuata dopo consulto con i pz. lo staff
sanitario ed i caregivers. Ogni decisione dovrebbe essere ben documentata e rispettata.
Riassumendo la demenza è un evento significativo nei parkinsonismi con impatto sulla qualità di vita
ed incremento di costi nell‟assistenza. La demenza si svilippa nella progressione del parkinsonismo ed
ha differenti manifestazioni nel PD in confronto al PSP, BBD ed MSA.
In LBD cambi di personalità ed allucinazioni si presentano più precocemente all‟insorgere della
malattia.
La finalità dell‟assistenza dovrebbe essere definita precocemente con il pz, i caregivers e ridiscussa
durante la progressione della malattia. I rischi ed i benefici di interventi mirati quale il ricovero in
ospedale per acuti, l‟intervento in presenza di arresto cardiocircolatorio, la messa in sede di ausili per
l‟alimentazione e la terapia antibiotica in presenza di stadi avanzati di demenza dovrebbero essere
valutati in rapporto alle condizioni e necessità di ciascun individuo.
DANILO DE GASPARI
NEUROPSICOLOGO PSICOTERAPEUTA
Cell. 3472210482
ICP-CTO- Centro Parkinson - Milano – [email protected]
DEMENZA E PARKINSONISMI: DIAGNOSTICA E RIABILITAZIONE IN PSICOLOGIA
Premessa e Obiettivi
Nell‟ambito delle malattie neurologiche cronico degenerative è ormai riconosciuta l‟importanza di un intervento
psicologico rivolto al paziente, a scopo diagnostico e di sostegno nelle diverse fasi di malattia.
Altrettanto riconosciuta è l‟efficacia che tale supporto dimostra quando viene indirizzato ai caregivers, sia come
beneficio diretto ad essi, che indirettamente, al paziente.
Più precisamente la psicologia ha un doppio ruolo: quello di aiutare i neurologi nella fase diagnostica e del
decorso della malattia e, al tempo stesso, quello di accompagnare i pazienti e le loro famiglie nel percorso di
conoscenza e comprensione della condizione che stanno vivendo, affinchè possiedano una sempre crescente
padronanza delle strategie possibili per affrontare le continue complicanze che si presentano.
Il fine ultimo è quello di favorire un‟alleanza terapeutica medico-paziente-caregivers che porti a scelte
terapeutiche condivise e che mai ignorino le volontà primarie di ogni persona coinvolta.
Metodologia
Si possono distinguere dunque due fasi di intervento:1) la fase diagnostica; 2) la fase terapeutica.
1) La forma più nota di patologia cognitiva è la Demenza di Alzheimer.
Il quadro più frequente fra le «demenze corticali» caratterizzate da sintomi neuropsicologici riferibili a danni alle
aree corticali che sottendono le capacità di apprendimento, della memoria, visuospaziali, gnosiche, prassiche, del
linguaggio ai quali solo in fase avanzata della malattia si associano segni piramidali o extrapiramidali.
Vi sono invece disturbi cognitivi tipicamente associati a segni extrapiramidali, in malattie come il Parkinson
(PD), la demenza a corpi di Lewy (LBD) o i cosiddetti Parkinsonismi, ovvero, l‟atrofia multisistemica (MSA), la
paralisi sopranucleare progressiva (PSP) e la degenerazione corticobasale (CBD).
In questi casi, invece, il quadro cognitivo risponde alla definizione di «demenza sottocorticale» riferibile a danni
delle funzioni di controllo quali l‟attenzione, l‟astrazione e la bradifrenia.
Ognuna di queste patologie però presenta assetti cognitivi propri, caratterizzati da specifici deficit e tempi di
insorgenza, esattamente ciò che accade anche per i disturbi del movimento tipicamente neurologici.
Effettuare un‟accurata valutazione neuropsicologica del paziente significa dunque disporre di strumenti che
permettano una dettagliata indagine differenziale e dunque una valida informazione per il neurologo che lo
faciliti nel delicato percorso di definizione della diagnosi.
Per fare tutto ciò ci si avvale di una batteria di prove pratiche, dette test neuropsicologici, che valutano il corretto
funzionamento cognitivo delle aree del nostro sistema nervoso centrale.
E‟ infine necessario monitorare costantemente il quadro cognitivo emerso alla prima valutazione, con successivi
controlli, al fine di segnalare modificazioni e permettere a tutti gli specialisti coinvolti, i relativi interventi di
aggiustamento ai piani terapeutici in atto.
2) Una volta perfezionata e impostata la prima fase, occorre senz‟altro rispondere alla domanda: «e adesso? ».
Nel lungo percorso che riguarda invece la gestione della malattia, successivamente alla formulazione della
diagnosi, la psicologia può intervenire attraverso diverse modalità.
Può, infatti, offrire una riabilitazione cognitiva, attraverso vere e proprie sessioni di allenamento mentale del
paziente, ma anche avvalersi del sostegno psicologico o della psicoterapia, sia individuali che di gruppo, rivolti
tanto al paziente quanto ai loro familiari.
Diagnostica e riabilitazione
Valutazione delle alterazioni della visione nella paralisi sopranucleare progressiva
Ortottista M. Piccoli Divisione di oculistica Ospedale Gradenigo
Abstract
Il segno cardine, che da il nome alla malattia, è la paralisi sopranucleare dello sguardo, ossia
l‟incapacità di spostare lo sguardo in alto o in basso in maniera coniugata. Inizialmente, però, i sintomi
precoci sono instabilità posturale e frequenti cadute soprattutto all‟indietro.
Lo sguardo si sposta grazie ai movimenti oculari fini che sono fondamentali perchè partecipano a
quella funzione complessa che è la visione.
Le alterazioni visive che riscontriamo nella PSP, non sono dovute a deficit dell‟acuità visiva, cioè di
quanto vede l‟occhio e della struttura oculare, ma da una alterazione della qualità della visione con
deficit della coordinazione oculomotoria a partenza centrale e di alcuni funzioni più complesse di
elaborazione visiva.
Queste alterazioni determinano un grosso affaticamento e perciò è importante favorire condizioni che
limitino l‟affaticamento visivo del paziente.
Un „altra alterazione importante è il deficit dei movimenti di vergenza, in particolare la perdita della
convergenza cioè la capacità di fissare un oggetto posto a distanza ravvicinata.
Tale incapacità determina diplopia e il paziente, soprattutto durante la lettura, percepisce le righe
sdoppiarsi o le lettere in movimento.
Inizialmente si possono consigliare gli esercizi ortottici e compensi in relazione alla postura.
Vi sono, inoltre, deficit che influenzano la funzionalità visiva come i deficit della motilità palpebrale
che si presentano con espressività diverse.
Questi sono alcuni sintomi e segni visivi che possono indirizzare alla diagnosi di PSP e una loro
valutazione può aiutare il paziente e la famiglia a gestire sintomi che possono risultare invalidanti e
molto disturbanti.
Dato il quadro multifattoriale, una valutazione in equipè multidisciplinare è di fondamentale
importanza per una presa in carico del paziente nel suo complesso.
La dimensione nascosta della disabilità: i bisogni delle persone disabili e delle famiglie
Assistente Sociale
Dott.ssa Chiara Gattoni
La disabilità è ancora una questione invisibile agli occhi della comunità. Il riscontro di come
dietro al concetto di disabilità non vi è consapevolezza di “esistenza difficile” non emerge solo
dagli atteggiamenti diffusi d’indifferenza ,ma anche dagli investimenti economici e dalle scelte
assistenziali che il Paese sta facendo. L’Italia spende molto più della media europea per le
pensioni(16,1% contro 11,7%) mentre per la Non autosufficienza un quarto in meno. Dal 2008 al
203 il Fondo per le Politiche Sociali precipita da 929,3 milioni di € a 44,3 milioni di € e quello per
la non autosufficienza da 300 milioni di € a zero. Secondo l’ISTAT abbiamo 2,8 milioni di
persone disabili in Italia assistite per il 38,1% dalle famiglie, il 15,8% da Personale Pubblico,
8,10% da amici e parenti, 8,40% da Volontari.
Nonostante la lettura della realtà non sia di conforto alla persona disabile e alla sua famiglia non
è concesso rimanere spettatori. Chi è coinvolto direttamente nel problema sa che convivere con
la disabilità significa anche convivere con un sistema , significa farsi spazio in questo “sistema”;
significa riflettere, contenendo le emozioni, a fronte di una razionalità che ci aiuta a pensare ai
propri bisogni e cercare le loro risposte.
Affrontare la disabilità non è una necessità circoscritta solo alla persona portatrice di handicap,
ma è atteggiamento comune anche alla sua famiglia. La famiglia ha bisogno di assistenza e di
tutela. Per questo i percorsi d’informazione e di supporto riguarderanno i servizi socioassistenziali e previdenziale.
In questa occasione approfondirò l’ambito previdenziale che richiede molta informazione a
fronte di una burocrazia complessa e di lunga tempistica.
La tutela della disabilità passa principalmente dal suo riconoscimento giuridico di persona
riconosciuta Invalida civile. Il riconoscimento in tale senso si apre con la presentazione
dell’Istanza in via telematica attraverso il Patrocinio del Patronato e la documentazione sanitaria
del Medico di medicina generale. Il periodo previsto per il riconoscimento è di circa sette mesi;
periodo nel quale non potremmo ancora beneficiare di alcuna agevolazione sanitaria o
economica, pur con disabilità già presente. L’aspetto temporale di questa Istanza come di altri
percorso burocratici è motivo fondamentale per cui ogni persona a cui venga diagnostica una
malattia ingravescente deve considerare e quindi affrontarla da subito.
In seguito o in concomitanza alla Domanda d’ invalidità civile e di quella di Minorazione
civile(per le persone inferiore ai 65 anni) si possono avviare quelle riguardanti il riconoscimento
dell’Handicap (L.104/92) e del Collocamento obbligatorio tramite Liste Speciali (L.68/99).
La legge 104/92 tutela sia chi è nella condizione di Handicap sia i familiari che lo assistono. La
legge riconosce la possibilità al familiare della persona con handicap di prestare assistenza
concedendo tre giorni di permesso al mese retribuito oppure, nel caso di Grave
disabilità(art3.comma 3) il Congedo straordinario di due anni di assenza lavorativa anch’essi con
retribuzione e contributi figurativi.
In considerazione di quanto riportato occorre però considerare anche il quadro legislativopolitico da cui queste Leggi hanno origine e dal quale vengono modificate.
Con il Decreto Legge sulle Semplificazioni" (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e
di sviluppo 27 gennaio 2012) molte delle procedure previdenziali hanno avuto modiche,
precisazioni e restrizioni. In concomitanza, l’approvazione, dalla Camera dei Deputati, della
Manovra correttiva sulle Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria( Decreto Legge 6
luglio 2011, n. 98 ) prevede una diminuzione di moltissime agevolazioni fiscali per la maggioranza
dei contribuenti. Per l’esattezza la diminuzione sarà pari al 5% dal 2013 e al 20% nel 2014. Il
Piano straordinario per i Controlli sugli invalidi 2011 prevede di effettuare nel corso del 2011
250 mila verifiche straordinarie sulla permanenza dei requisiti sanitari degli invalidi civili che
percepiscono provvidenze economiche.
In conclusione ricordo che è importante per chi vive una condizione di disabilità e malattia, un
atteggiamento di interesse anche per ciò che non è solo cura e farmacoterapia , ma che
contribuisce a preservare una qualità di vita nonostante la disabilità e la malattia.
L'informazione è quindi un’opportunità, un modo per permettere alle persone di risolvere i loro
problemi quotidiani, di migliorare la qualità della loro vita, di essere più consapevoli, più
partecipi del mondo che li circonda.
Ai confini dell‟uomo nella ricerca del suo benessere
Diagnostica e riabilitazione:Il paziente con P.S.P. dal punto di
vista foniatrico-logopedico
Per comunicare sono necessarie tre funzioni:
 La funzione ordinatrice
 La funzione realizzatrice
 La spinta volitiva
Nel paziente con PSP sono tutte e tre compromesse.
L‟eloquio è compromesso da:
 Apatia (assenza della spinta volitiva)
 Disfonia: compromissione della coordinazione pneumofonoarticolatoria
 Disartria/disprassia verbale: compromissione della programmazione e della coordinazione motoria
 Ecolalia
 Ipoacusia fino a sordità profonda
 Disturbo visivo (compromette lettura labiale)
La letto-scrittura è compromessa da:
 Apatia
 Disturbo visivo
 Deficit di elaborazione del movimento
 Rigidità muscolari
L‟alimentazione è compromessa dalla disfagia.
Il disturbo deglutitorio è presente per varie consistenze di cibo.
L‟incoordinazione pneumofonodeglutitoria e masticatoria compromettono la fase orale della
deglutizione e la fase faringea. I riflessi deglutitori e il riflesso tossigeno essendo iporiflessivi la fase
faringea della deglutizione viene ulteriormente compromessa. Le vie aeree non sono sempre protette e
il rischio di polmonite ab ingestis e di soffocamento sono rischi quotidiani, non solo per la disfagia per
i cibi ma anche per quella per i liquidi (compresa la saliva). Il paziente può desidratarsi in quanto la
disfagia per i liquidi non li permette più un apporto idrico sufficiente
La prevenzione è fondamentale. Si consiglia di mandare il paziente dal foniatra e dal logopedista
appena effettuata la diagnosi così da eseguire una valutazione dettagliata. Non sempre le disprassie e le
disfagie iniziali sono visibili agli occhi degli altri medici specialistici. Solo una valutazione foniatricologopedica dettagliata permette di individuarli e quindi di fornire esercizi e consigli al paziente e ai
famigliari per cercare di ritardare il più a lungo possibile l‟insorgere di tali sintomi. Tale visita permette
anche di guidare il paziente nel corso dell‟evoluzione della malattia e quindi di instaurare tecniche
compensative quando diventano necessarie.