Lo Spirito del Tempo

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Lo Spirito del Tempo
Lo Spirito del Tempo
Intervista allo Chef Matteo Baronetto
Quale pensi che sia il ruolo della cucina contemporanea rispetto al
valore delle tradizioni culinarie del passato? Sono due modi diversi
di intendere la cucina oppure l’una è figlia dell’altra?
Penso che non ci sia presente senza passato. Il concetto stesso
d’innovazione parte da qualche cosa che è esistito, che esiste e che
si evolve nel tempo, come la maniera di “fare cucina”. Possedere
una solida conoscenza delle ricette della tradizione, patrimonio
di cultura popolare inestimabile, aiuta ad affinare la visione
contemporanea della cucina. Il progetto “Del Cambio” ne è un
perfetto esempio: qui si respira la storia, dal 1757, accanto ad una
contemporaneità raffinata e rispettosa. Abbiamo ridato splendore
alla Sala Risorgimento, dove pranzava Cavour, mantenendo i
decori ottocenteschi ma affiancandole spazi moderni e di respiro
internazionale, con la Sala Pistoletto e le sue lastre specchianti, e
il Bar Cavour, con la sua atmosfera di stile. La mia cucina viaggia
in parallelo; accanto a piatti tradizionali come la finanziera, che è nata proprio al Cambio o i ravioli del plin,
propongo percorsi che guardano al futuro: Zuppa di capperi caviale uova di quaglia, Carpaccio di coniglio e
salmone, Branzino al vapore e coda di bue brasata oppure i Ravioli di mascarpone, barbabietola, ricci di mare e
calamaretti.
Quali sono i temi della cucina tradizionale (tecnica, materie prime, ricette, gusto) che quella contemporanea
deve reinterpretare o saper modificare oggi per poter parlare di evoluzione?
Partirei dal gusto, che è secondo me l’elemento più difficile da modificare. Sappiamo quanto sia arduo educare il
palato a sensazioni che non fanno parte del proprio circuito mnemonico, accettare gusti provenienti da paesi
stranieri, comprendere l’amaro, elemento “adulto” con il quale io amo giocare. Al secondo posto metterei le
materie prime, anche in un’ottica di internazionalità. Lavorare su quelle della nostra terra in primis, ma saper
anche proporre nuovi spunti, mescolare le provenienze, attualizzare ingredienti dimenticati. A pari merito tecnica
e ricette. La prima può aiutare ad innovare a livello di preparazioni, erogazione, ma per me oggi costituisce un
tool non primario, soprattutto nell’alta ristorazione; le seconde, mi portano più verso concetti di affinamento e
rivisitazione.
Nel tuo territorio la tua cucina è un esempio di modernità e qualità: è facile parlare a un grande pubblico con
un’offerta culinaria moderna? Quali difficoltà hai dovuto affrontare?
E’ facile e difficile al contempo. Facile perché ci sono molta apertura e molta attenzione sul tema dell’innovazione
in cucina. Difficile quando si tratta di scardinare paradigmi radicati: “Del Cambio” aveva un percepito legato
unicamente alla cucina tradizionale, se fossi “entrato a gamba tesa”, proponendo innovazione spinta, avrei
commesso un grave errore. A poco a poco, accanto ai piatti storici del Cambio, ho affiancato nuove proposte che
i nostri clienti dimostrano di apprezzare sempre di più.
Si parla troppo spesso di abbinamenti cibo/vino come di un binomio blindato su canoni prestabiliti, invece
spesso piatti molto complessi e moderni richiedono matrimoni inusuali, come quello di sposare ad articolate
architetture del gusto cocktail a base di spirits creati con la medesima mentalità di uno chef. Cosa ne pensi?
Credo il tempo della rigidità sia passato e che applicare con troppo rigore il metodo Mercadini possa non essere
sempre utile. E’ vero, vanno rispettati principi di vicinanza o contrasto di sapori fra un cibo e un vino ma piacere
e soggettività non devono passare in secondo piano. Trovo interessante il foodpairing studiato a tavolino dallo
chef con cocktail a base di spirits: è un gioco di equilibri complesso e da affinare con attenzione affinché la
gradazione non alteri la ricetta.