Rivista Madonna dello Splendore n° 18 del 22 Aprile 1999

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Rivista Madonna dello Splendore n° 18 del 22 Aprile 1999
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Rivista Madonna dello Splendore n° 18 del 22 Aprile 1999
La presenza storica delle Figlie della Carità a Giulianova
di Roberta Straccialini
Come è probabilmente noto, la Congregazione delle Figlie della Carità venne fondata in Francia
nel secolo XVIII da S. Vincenzo de' Paoli, coadiuvato da S. Luisa de Marillac. Le origini
risalgono al 1617, anno in cui S. Vincenzo fondò a Châtillon-les-Dombes (Bresse) la prima
"Carità", o, più esattamente, al 1629, quando l'opera dalle parrocchie di campagna passò nei
grandi centri. Per tutta la sua vita S. Vincenzo ebbe come preoccupazione costante e punto
fermo che le sue suore non fossero considerate e non si considerassero religiose. «Le Figlie
della Carità - ricordava il fondatore - avranno per monastero la casa dei malati, per cella una
camera d'affitto, per cappella la chiesa della parrocchia, per chiostro le vie della città o le
corsie degli ospedali, per clausura l'obbedienza, per grata
il timor di Dio e per velo la santa modestia». Nel 1638
all'opera iniziale si aggiunse la scuola alle fanciulle e
l'assistenza ai trovatelli; nel 1640 l'assistenza ai forzati;
nel 1653 ai vecchi ed ai soldati feriti. Alla morte di S.
Vincenzo, nel 1660, la Congregazione contava 51 case,
passate a 300 nel 1700 e salite a 430 (con 4300 suore)
novanta anni dopo. Nel 1805, queste suore umilissime
che dalla mattina alla sera si dedicavano a servire - come
amava ripetere S. Vincenzo - i poveri, loro padroni,
vedevano ridotte le loro case a 254, dopo aver patito lo
scioglimento della Congregazione durante la Rivoluzione
francese ed aver riacquistato l'esistenza legale con
Napoleone nel 1800.
Come si legge nel Dizionario Ecclesiastico, tutte le forze
di assistenza realizzate dai tempi moderni hanno trovato
le Figlie della Carità in prima linea.
Si deve a questa precisa connotazione la venuta delle
Figlie della Carità a Giulianova.
Nel 1866 il delegato straordinario Antonio Finocchi
rammentava che la Scuola maschile era frequentata da
appena 25 ragazzi, mentre quella femminile, affidata nel
dicembre 1865 alla maestra Teresa Lucidi, era
frequentata da oltre 50 fanciulle. Mancava tuttavia, in una città di 4761 abitanti, un asilo, a
differenza della non distante Ancarano, dove pure ne era stato aperto uno nel 1865, e di
Teramo, qui in funzione dal 1863.
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Nel 1867 questa esigenza viene fatta propria dalla
Congregazione di Carità giuliese, come ci consente di
sapere un deliberato del 24 ottobre di quell'anno. Nel
rilevare l'utile grandissimo per la città che sarebbe
derivato da un Asilo d'infanzia «a beneficio specialmente
dei poveri», in aggiunta all'ospedale, la Congregazione
propone al Municipio la cessione dell'ex convento dei
Francescani Conventuali per destinarlo ad ospedale e,
appunto, ad Asilo d'infanzia, in cambio del complesso di S.
Rocco, quello che oggi è l'istituto "Castorani".
Abbandonata l'idea della permuta per ragioni di
convenienza, la Congregazione, dopo aver stabilito il 31
dicembre 1868 di accomodare le due camere del custode dell'ospedale per destinarle agli
infermi, dovendosi occupare l'altro fabbricato dalle Figlie della carità ormai prossime ad
installarsi, procede il successivo 8 gennaio 1869 all'appalto dei lavori necessari per
l'ampliamento del complesso immobiliare di S. Rocco, fino a quel momento ospitante
solamente l'ospedale, per destinarne una parte «ad uso Asilo e Scuole».
Il nuovo Asilo, affidato alle Figlie della Carità per espressa volontà del sindaco Pasquale De
Martiis e del Presidente della congregazione Tommaso Roscioli, entra in funzione nel corso
dell'anno 1869, in concomitanza, quindi, con le analoghe strutture istituite ad Atri e a
Colonnella.
In breve tempo - e nonostante gli inevitabili problemi
logistici derivanti dalla promiscuità di ambienti tra
l'ospedale e il nuovo asilo, più volte lamentati dalla
Congregazione - l'Asilo riesce a catalizzare l'attenzione
della cittadinanza, peraltro entrata in familiarità con le
Figlie della Carità, riconoscibili dall'abito grigio "alla
campagnola" e dal caratteristico copricapo adottato nel
1840, la cosiddetta "cornetta", con i due lembi laterali
alzati e induriti dall'amido.
Sul finire del secolo, l'Istituto-Convitto per Fanciulle
ospita un elevato numero di convittrici provenienti, oltre che dall'Abruzzo, da Napoli, dalla
Toscana, dalle Marche e persino dalla Puglia.
Le maestre, di origine prevalentemente toscana, impartivano l'insegnamento secondo i
programmi governativi all'epoca vigenti per le cinque classi elementari. La lingua francese
forma parte della istruzione generale e obbligatoria, mentre la musica ed il disegno sono
facoltativi.
Non mancano poi i «lavori donneschi», comprendenti la maglia, il cucito, il ricamo e anche
un'istruzione finalizzata alla economia domestica.
Un Direttore spirituale era preposto all'insegnamento della fede, della morale e della religione,
e a disposizione delle ospiti era la piccola ma elegante Cappella interna dell'Istituto sotto il
titolo dell'Immacolata e S. Rocco.
Abbastanza severe erano le norme per l'ammissione delle
educande. Secondo il regolamento del 1893 le fanciulle da
ammettere dovevano essere «di civile condizione, fornite
della fede del battesimo e cresima, se l'hanno fatta, non
che del certificato dell'eseguita vaccinazione, o del
sofferto vaiolo, e di buona salute». L'età non doveva
oltrepassare i 12 anni né essere minore di 5, benché
fosse rimesso al giudizio dei genitori prolungare
l'ospitalità in Istituto sino al compimento del ventesimo
anno d'età.
La retta era di 500 lire annue da pagarsi anticipatamente
ogni trimestre. Nella somma era compreso il vitto (caffelatte a colazione, tre pietanze calde,
frutta e vino a pranzo; un piatto caldo, insalata, vino e frutta la sera), il vestiario, le calzature,
i sussidi didattici (libri, materiale di cancelleria), l'assistenza medica sanitaria (a cui l'Istituto
provvedeva mediante un medico interno) ed un corso di bagni in apposita villeggiatura al
mare.
Particolarmente minuzioso è l'elenco relativo al corredo di ciascuna educanda. Esso
comprendeva un pagliericcio e materasso di lana lungo metri 1,83 e largo metri 0,90; posate
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d'argento o Cristofle con bicchiere dello stesso metallo; una coperta imbottita, altra coperta di
mezza stagione e altre due bianche di modello per coprire il letto; 6 lenzuola ed un egual
numero di federe; 6 asciugamani e 8 camicie; 6 salviette; 12 fazzoletti bianchi; 12 paia di
calze; 6 calzoni bianchi; 6 fazzoletti da notte e 6 sottanini.
Sono passati centotrentanove anni dalla venuta delle Figlie della Carità nella nostra città, e
sessantanove anni esatti dal decreto mediante il quale l'allora Governo fascista elevava
l'Orfanotrofio Femminile "Castorani" ad Ente Morale. Immutato è l'impegno delle suore
nell'assistenza e nell'educazione, come grande è l'affetto dei giuliesi nei confronti delle
infaticabili Figlie della Carità.
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