LA TURBIE - IL TROFEO DI AUGUSTO
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LA TURBIE - IL TROFEO DI AUGUSTO
Latinitas or Europa: from present to past, from past to present LA TURBIE - IL TROFEO DI AUGUSTO 1. ENNI STORICI 2.IL MONUMENTO 1. CENNI STORICI Nel primo trentennio del suo dominio, Augusto compì l’ultimo grande passo verso l’unicazione dell’Italia: la conquista di tutto il territorio alpino che era una sicura difesa per la penisola, centro politico e spirituale del mondo antico. Sino a quel momento, le Alpi, dal Mar Ligure al Mar Adriatico, erano rimaste quasi completamente estranee se non ostili alla civiltà romana. Infatti, in un periodo in pieno sviluppo di pacica civiltà ai lati delle alpi, la presenza di nuclei autonomi e bellicosi metteva a rischio una zona in cui il passaggio diveniva sempre più frequente. Accadde in questo modo che il piano di conquista delle zone alpine si mutò in un’impresa volta all’unicazione e che doveva sia garantire la sicurezza dell’Italia sia a spianare la via per l’espansione della romanità al di là delle Alpi. In un primo periodo, a partire dal 16 a.C., Augusto iniziò le spedizioni cominciando dai monti ad occidente di Trento. L’anno seguente arrivò no al Danubio, sottomettendo i Raeti ed i Vindelici. La spedizione fu afdata al comando dei gliastri dell’imperatore, Druso e Tiberio. Druso varcò per la prima volta il Brennero una volta vinte le popolazioni del versante meridionale. L’altro esercito, agli ordini di Tiberio, seguì il corso del Reno raggiungendo il lago di Costanza, dove vinse una battaglia navale grazie ad una otta improvvisata, per poi arrivare sino alla Svizzera orientale. A nord del Brennero i due eserciti si fusero, e proseguirono a nord contro i Vindelici. In questo modo tutto il territorio a mezzogiorno del Danubio cadde sotto il dominio di Roma, e alle sorgenti di questo ume si combatté il 1° Agosto la battaglia decisiva. Dall’anno 14 a.C. in poi, sebbene le notizie sulle spedizioni sono molto più incerte, di preciso sappiamo che furono domati i Liguri delle Alpi Marittime, mentre per quanto riguarda le Alpi Pennine ignoriamo quando e da chi siano state vinte le popolazioni ricordate sul Trofeo. Augusto, per di più, dovette nuovamente sottomettere alcuni popoli già caduti sotto il dominio di Cesare, situati tra Aosta ed il lago di Ginevra. Nelle Alpi occidentali, invece, grazie all’inuenza di Cozio, re di Susa, alleato e amico del popolo romano, contro dodici popolazioni non fu necessario venire alle armi, infatti queste non vengono citate nel monumento. Gli ultimi popoli citati nell’iscrizione, sono quelli più vicini al trofeo. Al vasto territorio che aveva così acquistato al dominio romano Augusto diede un ordinamento particolare, consono allo scopo per cui le campagne alpine erano state intraprese: non assegnò amministrativamente né all’Italia né alla Gallia o alla Germania uno o l’altro versante ma volle che tutta la zona conquistata costituisse una serie di giurisdizioni a sé, afdate a prefetti d’ordine equestre. Queste avrebbero dovuto dominare le vie di comunicazione e costituire la più efcace tutela della sicurezza dell’Italia. Avvenne così che, mentre il limite geograco e politico d’Italia continuò da essere tracciato dalle Alpi, il conne amministrativo si ssò all’inizio di ogni valle alpina. Le nuove provincie saranno: le Alpes maritimmae, le Alpes Cottiae, le Alpes Poeninae, e, inne, le Alpes Atrectianae. La vasta zona retica venne poi divisa in due distinte provincie: Raetia prima a sud, Raetia secunda verso il Danubio. In seguito queste giurisdizioni speciali divennero delle vere e proprie provincie. Augusto, tra le altre cose, rinnovò la vecchia via ligure che attraverso la Riviera di ponente che portava alla Gallia Narbonense, la munì di pietre miliari recanti il suo nome e la denominava ufcialmente via JULIA AUGUSTA (13 a.C.). In tal modo egli ufcializzava la priorità e l’estrema importanza di questa arteria vitale per le comunicazioni transalpine, facendone uno strumento essenziale per la nuova espansione politica ed economica in Occidente. Durante queste innovazioni sorse l’idea, certo dapprima manifestatasi tra gli amici al seguito dell’imperatore, di eternare la gloria di Augusto pacicatore delle Alpi in un monumento che superasse tutti gli altri in magnicenza ed in grandezza. L’idea fu di erigerlo sul colle della Turbia, sul limitare della nuova provincia, sulla via costruita da Augusto per attestare ai popoli dell’Occidente che la vittoria delle Alpi romane signicava la pace, il benessere, la civiltà, e che le Alpi non costituivano più una barriera ed una divisione, ma un tramite con la madre Italia. La data di costruzione -tra il 1° Luglio del 7 ed il 30 Giugno del 6 a.C.- ci è giunta dalla solenne iscrizione, tramandataci da Plinio, che il senato volle apposta in onore del Princeps: IMPERATORI-CAESARI-DIVI-FILIO-AVGVSTO PONT-MAX-IMP-XIIII-TRIB-POT-XVII SENATVS-POPVLVSQVE-ROMANVS QVOD-ERIVS-DVCTV-AVSPICIISQVE-GENTES-ALPINAE-OMNES-QVAE-A-MARI-SVPERO-AD-INFERUMPERTINEBANT-SUB-IMPERIUM-P-R-SVNT-REDACTAE// GENTES-ALPINAE-DEVICTAE-TRUMPILINI-CAMUNI-VENNONETES-VENOSTES-ISARCI-BREUNI-GENAVNES FOCUNANTES// V I N D E L I C O R U M - G E N T E S - Q VATT R V O R- C O S VA N E T E S - R V C I N A N T E S - L I C AT E S - C AT E N AT E S AMBISONTES-RUGUSCI-SVANETES-CALVCONES// BRICSENTES-LEPONTI VIBERI-NANTVATES-SEDVNI-VERGARI-SALASSI-ACITANONES-MEDULLI-VCENICATVRIGES-BRIGIANI// SOGIONTII-BRODIONTII-NEMALONI-EDENATES-VESVBIANI-VEAMINI-GALLITAE-TRIVLLATI-ECTINI// VERGVNNI-EGVITVRI-NEMETVRI-ORATELLI-NERVSI-VELAVNI-SVETRI “A Cesare Augusto glio del Divo Cesare, Pontece Massimo, nell’anno XIV del suo impero e XVII della potestà tribunizia, il Senato ed il Popolo Romano, perché sotto la sua guida ed i suoi auspici tutte le genti alpine che si estendevano dal mare Adriatico al Tirreno sono state assoggettate al dominio del Popolo Romano”. Figura n. -L’iscrizione sulla facciata del monumento(iscrizione3.jpg) In queste semplici parole è scultoreamente espresso il signicato storico del trofeo ed il profondo valore universale dell’Impero Romano. Segue la lunga lista delle popolazioni vinte, i cui nomi sono enumerati un ordine geograco da oriente ad occidente, documento storico di capitale importanza per lo studio dell’etnograa alpina. Durante tutta l’età imperiale il Trofeo rimase del tutto incolume e venerato dalle molte generazioni che si succedettero nel regime di pace; a poco a poco la località in cui sorgeva prese il suo nome, Tropaea dal quale deriva l’odierno nome della Turbia. Probabilmente subì le prime devastazioni dai barbari e dai cristiani nel V° secolo. Certo è che col tramonto dell’impero esso cadde in pieno abbandono e fu a poco a poco spogliato di tutte le sue parti ornamentali. Tuttavia il massiccio corpo centrale sopravvisse quasi sino alla sommità e servì ottimamente di nucleo alla costruzione di un fortilizio eretto nei secoli XII o XIII. Dal momento in cui Nizza e il castello passarono sotto il governo dei Savoia, il trofeo venne più volte danneggiato nelle numerose guerre e vicissitudini subite ed ebbe nuovi restauri. Ci rimangono degli importanti documenti del secolo XVII che rispecchiano la forma assunta dal castello nell’ultima fase della sua vitalità militare. Questa prolungata riutilizzazione fu probabilmente quella che salvò il monumento da una totale distruzione, ma non evitò che le parti cadute fossero saccheggiate reimpiegate in luoghi anche lontani; nel 1705 fu minato più volte durante una guerra di successione di Spagna. Per un secolo e mezzo i resti del Trofeo, rimessi a nudo da questa parziale distruzione, rimasero in piedi, abbandonati e quasi dimenticati sorretti solamente dall’esile tronco rimasto. Non ci furono opere di consolidamento per la pericolante torre no al 1857,anno in cui i gli di Vittorio Emanuele II, Umberto e Amedeo di Savoia, in un viaggio, si resero conto delle infelici condizioni del monumento e ne sollecitarono l’urgente esecuzione dei primi restauri, che ebbero luogo negli anni 1858-1859. Questi consistettero nella costruzione di un contrafforte alla base della torre e di un muro di cinta attorno al monumento. Il governo del Re di Sardegna aveva allo studio un progetto di completo restauro, quando nel 1860 la Turbie fu annessa alla Francia. Anima dell’attuazione dei successivi restauri fu Filippo Casimir, un uomo del posto che della resurrezione del Trofeo fece scopo e passione di tutta la sua vita. Dal 1905 al 1909 compì una serie di importanti scavi attorno ai ruderi, che fruttarono numerosi frammenti architettonici ed epigraci e rimisero in luce il basamento del Trofeo intatto. Questi risultati furono scienticamente studiati, traendone una restituzione abbastanza sicura, in base a questa si cominciò col rimettere al loro posto due colonne, ricostruite con materiali del tutto originari. La guerra interruppe i lavori ma nell’immediato dopoguerra furono nanziati, dapprima un piccolo museo a anco al monumento e, successivamente, dal 1929 al 1933, il completo e denitivo restauro. Il Bimillenario di Augusto nel 1938 ha potuto vedere risorto il primo monumento eretto all’unità italiana. 2. IL MONUMENTO Giungendo a La Turbie da Monaco o da Roccabruna, o da Nizza, lungo l’”Alta Cornice”, il Trofeo, nel punto più alto del colle, appare subito dominante, con la sua altezza sull’intera massa del piccolo abitato e della piccola chiesa, che sorge per così dire alla sua ombra. Questa impressione doveva essere di maggior effetto nell’antichità, quando il Trofeo era ancora isolato, circondato solo dalle poche case, e la sua mole intatta e severa incuteva rispetto dal costruirvi troppo vicino. Per giungere al Trofeo occorre attraversare un meandro di stretti vicoli medievali, dal tipico aspetto ligure, ancheggiati da case pur esse in gran parte medievali, che rappresentano i resti del nucleo abitato sorto nel scolo XIII afanco del Trofeo trasformato in fortilizio. Si passa ancora attraverso una delle porte gotiche della vecchia cinta forticata. Figura n. -La porta gotica (porta gotica.jpg) Tutte queste costruzioni sono formate in gran parte con materiali asportati dal Trofeo, e molti se ne recuperarono nei recenti lavori di demolizioni di quelle che vi erano più vicine. Il recinto in mezzo al quale sorge il Trofeo è stato accuratamente sistemato in base ai pochi indizi che rimangono nella sua antica conformazione. In base a questi è stata ricostruita la regolare forma del recinto, in seguito all’abbattimento delle casupole che vi si erano addossate posteriormente. Tutta l’area ottenuta con lo spianamento articiale della roccia era in origine certo lastricata. Il monolito è un rocchio di colonna di riuto raccolto nelle cave vicine alla Turbia, da dove si estrasse la pietra per la costruzione del monumento. Prima degli scavi del 1905 la parte inferiore del Trofeo era nascosta sotto un cumolo di terra che a poco a poco era andato a ricoprire i massi ed i frammenti decorativi caduti nelle progressive distruzioni. Gli scavi rimisero in luce l’intero basamento, felicemente intatto nei suoi ordini inferiori, col rivestimento in grandi blocchi squadrati con molta cura e collegati da grappe di ferro piombato. Queste grappe hanno ciascuna impresse a rilievo, entro due distinti cartigli incavati, le lettere AV in nesso e AVGVS: entrambe si interpretano Augusti, e provano la speciale fabbricazione fatta per conto dell’erario imperiale. Il lato ovest, conservato per una maggior altezza degli altri tre, fornì le indicazioni e le misure essenziali. Si eleva dapprima dal suolo un ampio marciapiede di larghissimi blocchi ben connessi insieme, e protetti da piccoli cippi a sezione rettangolare disposti a regolare distanza. Al disopra di questa piattaforma, due ordini di conci sorreggono uno zoccolo elegantemente sagomato a cornice, che determina la posizione di un altro piano verticale, lievemente rientrante. I blocchi che formano i due gradoni ora descritti sono immersi dalla parte posteriore nella enorme compatta massa di calcestruzzo che forma il nucleo dell’intera costruzione; ma il calcestruzzo, a breva distanza dalla parete esterna, appare interrotto da un’alta cortina di blocchi che corre parallelamente lungo tutti i lati dell’edicio. Essendo questa seconda la immersa nel calcestruzzo da entrambi i lati fu facile stabilire che essa serviva da sostegno ad un altro piano quadrato ancora rientrante ad una certa altezza sul primo. E venne così in evidenza tutto il principio costruttivo dell’edicio: le grandi strutture fondamentali, corrispondenti alle grandi linee statiche ed architettoniche nel monumento, erano sostenute sin dalle fondamenta da murature in grandi blocchi, che ne costituiva quasi una colossale armatura; gli spazi intermedi erano colmati da calcestruzzo formato da una durissima malta di calce e piccoli sassi informi disposta a strati di 40-50 centimetri di spessore, che risultano interrotti da letti di sabbia, evidentemente distesavi per esercitare la compressione. Il calcestruzzo appare gettato a sezioni anche in senso verticale, acquistando una maggior indipendenza statica ed una maggior solidità tra le varie parti. Figura n. -Particolare della composizione del muro del monumento (muro.jpg) In base a questo principio fu anche facile stabilire che le pile di grandi blocchi di antica data visibili, formanti un cerchio nell’interno della seconda ossatura quadrata sorreggevano un porticato di 24 colonne attorno al corpo turrito superiore, le cui fondazioni giungono pure sino al suolo con una parete continua di grandi blocchi saldamente collegati a quelli degli stessi pilastri. Figura n. -Il peristilio sulla facciata del monumento (t05.jpg) Per la prima volta fu così possibile denire in modo sicuro che il monumento constava di tre piani fondamentali: i due inferiori quadrati, il terzo circolare. Il progetto di restauro (1910) tenne conto di queste constatazioni essenziali, integrandole sia con altre osservazioni, sia coi dati offerti dalla grande quantità di frammenti che si recuperarono alla base del monumento. Fu facile ricollocare in posto e completare con pieno rispetto delle norme classiche i numerosi frammenti di cornici a varie modanature, rinvenuti negli scavi. Pure ipotetica, sebbene non improbabile, è la disposizione di quattro aquile agli angoli del secondo piano. L’iscrizione, che nei precedenti processi di restaurazione era stata collocata sulla facciata del secondo, doveva invece, per le sue grandi dimensioni aver posto sul primo: come del resto è necessario per essere letta ad occhio nudo. Inoltre alcuni ritengono che fosse assai probabile che essa fosse ripetuta due volte sui lati est e ovest, verso l’Italia e verso la Gallia, poiché i frammenti si ritrovarono negli scavi su entrambi i lati. Figura n. -Il Trofeo prima degli scavi effettuati dal 1905 al 1909 (prima 1905.jpg) Dell’iscrizione, prima degli scavi del 1905-1909, non si conoscevano in tutto che undici frammenti. Ma quando gli scavi portarono alla luce quasi un centinaio di nuovi frammenti, si dovette abbandonare la precedente ipotesi, errata, e attribuire ai frammenti la traduzione che oggi noi conosciamo (vedi sopra). In breve l’intera iscrizione, grazie ai molteplici scavi e ritrovamenti, risultò delineata nelle sue esatte proporzioni geometriche, e la ricostruzione graca potè essere tradotta sulla pietra. Un frammento originario ha permesso anche la fedele riproduzione della elegante cornice che inquadrava l’iscrizione. È stato così ripristinato nella sua integrità uno dei più insigni documenti epigraci del tempo di Augusto. A anco dell’iscrizione sono stati collocati i due rilievi con rappresentazioni di trofei. Il tipo, lo schema e le proporzioni fondamentali erano dati dal grande frammento centrale rappresentante una tunica espansa ai due lati e stretta da un cinturone al quale è attaccata una spada. Un altro frammento molto ordinato e scalpellato si collega al precedente dalla parte superiore, che lascia intravedere le spalle della stessa tunica, al di sopra c’è la traccia di un elmo, e a destra di uno scudo. I frammenti di sculture trovati si ripetevano identici a quelli di due frammenti principali e si concluse che i rilevi erano due e di aspetto simile, si potè quindi ricomporre per intero due pannelli, mettendo al loro posto presunto tutti i minori frammenti superstiti. Particolarmente notevoli sono quelli delle quattro gure dei barbari vinti incatenati ai piedi del trofeo. Solo una delle quattro teste è sussidiata da un frammento antico, che si riferisce ad un uomo dalla acconciatura barbarica spiovente sulla fronte; ma il tipo e la posa delle quattro gure sono identicate con notevole approssimazione, grazie ai frammenti relativamente numerosi: a sinistra il seno della donna, il braccio sinistro legato, la coscia destra legata ed un altro frammento del mento, nell’uomo oltre al frammento del capo, un frammento della coscia e del torso nudo, del manto piegato sulla coscia sinistra e l’estremità del piede sinistro. A destra, nell’uomo varie parti della spalla e nel vestito di foggia barbarica nelle varie parti del corpo, nella donna una spalla incatenata, un braccio legato, il calcagno e varie parti del manto. Sono stati incrostati sul tronco d’albero che sosteneva il trofeo i vari frammenti di armatura indigena scoperti: due corte spade a decorazione geometrica a sinistra, un casco rovesciato e parti di altre armi a destra. Nella parte superiore, oltre alla parziale ricomposizione degli scudi, è stato completato solo il rilievo di destra, con due fasci di frecce inframmezzati da insegne e da una scure, ma con minor numero di parti antiche. In quello di sinistra tutti il settore superiore è rimasto opportunamente indeterminato, quale è nella realtà per entrambi. I due rilievi così ricomposti sono oggi uno dei più notevoli esempi di scultura decorativa in Occidente. In questi due rilievi appare notevole il grado di cultura artistica che la zona marittima della Liguria, più aperta alla comunicazioni, aveva raggiunto nell’età augustea. I lati nord e sud recavano al centro due porte simmetriche, che davano accesso alle gradinate interne immettenti ai piani superiori. Quella dal lato sud fu distrutta in epoca relativamente recente, poiché in documenti del XV secolo la i descrive ancora come esistente e ne si danno le esatte misure. Se ne rilevò traccia della soglia, levigata dall’uso, a si scoprirono numerosi frammenti del frontone. Fu così possibile ricomporla per intero, sebbene in forma ipotetica nei particolari e nei due battenti bronzei. Figura n. -Il muro e la porta al lato sud (particolare porta.jpg) Anche il frontone di quella opposta fu ritrovato, e fu ricomposto lasciandolo nella posizione della primitiva porta sul lato nord. Dei vani entro i quali le gradinate erano disposte si riconobbero ancora larghi avanzi originari ai quattro angoli del basamento. Essi sono rivestiti con un paramento, a lari di piccoli blocchi di forma e dimensioni poco regolari, che è uno dei pochi esempi sicuramente datati di questo tipo murario. Figura n. -Il muro del lato nord (raddrizzata1.jpg) Un particolare notevole è che questi muri di rivestimento sono costruiti in diversi settori afancati, non uniti da calce; ad una certa altezza il rivestimento presenta una larga ed intenzionale interruzione, di cui sinora non si è potuta penetrare la ragione. La pianta dei quattro vani così rilevati permette di stabilire che dalle porte situate al centro delle due fronti nord e sud si dipartivano due rampe in senso opposto, le quali rasentavano all’interno il muro di fondazione del secondo piano rientrante, rimanevano iscritte ad angolo retto nello spazio compreso tra esso e la fondazione del terzo piano circolare, e si allargavano in una più ampia camera rettangolare. Da questa doveva poi partire una breve scala a chiocciola che sboccava all’aperto al livello del secondo piano; infatti il vano circolare di essa è segnato del 1656, sebbene ormai non fosse più in uso, e della semicolonna intorno a cui a cui giravano i gradini della chiocciola stessa si ritrovarono vari frammenti ed il capitello, ora rimessi in posto nel settore ricostruito. E’ stata pure costruita una scala ex novo, esternamente tra le fondazioni del secondo e quelle del primo piano, per dar modo di accedere ancora comodamente ai piani superiori. Il basamento è stato così restaurato sul lato ovest pressoché interamente, e per circa una metà sul lato sud. Sugli altri due lati è stato rispettato lo stato di rudere e di rovina, che lascia vedere ancora assai bene l’interessante struttura interna dell’edicio. Un cunicolo praticato in epoca posteriore nella muratura compatta sul lato est, per riconoscere la struttura stessa alla base, è rimasto aperto e permette tuttora di rendersene conto; sopra l’apertura di esso è stata murata una grande iscrizione commemorativa del restauro. Il terzo piano circolare ha la sua ossatura di fondazione nella parete circolare in grandi blocchi, la cui disposizione tutto attorno al nucleo centrale del calcestruzzo è ancora ben visibile sui lati nord ed est. Si incastrano saldamente in esso ventiquattro pilastri in aggetto, destinati a sorreggere le colonne; i pilastri sono collegati superiormente da un ordine di blocchi orizzontali, che segnano il livello di base dell’alto plinto di ciascuna colonna e fanno parte del pavimento della piattaforma del secondo piano. Grazie a delle osservazioni fatte durante i lavori sulle parti antiche rimaste in posto, si è potuta stabilire con esattezza la posizione delle colonne e la loro distanza dalla parete interna. La ricomposizione delle colonne e del relativo architrave, con tutti i pezzi orginari ritrovati e secondo e secondo le regole classiche dell’ordine dorico, ha potuto così compiersi con sicuro criterio di precisione. Le parti decorative dell’architrave sono tutte in pietra della Turbia, salvo i capitelli, che sono invece in marmo bianco di Carrara: essi sono del tipo comune nel dorico romano, con la particolarità del cuscinetto molto alto a confronto dell’abaco, che, essendo sottilissimo, è rimasto più o meno spezzato agli angoli in tutti quelli superstiti. Il fregio dell’architrave, a trigli e metope, è uno dei pochi esempi di arte decorativa dell’età augustea nell’Italia settentrionale. Le metope sono ornate a rilievo di soggetti vari, trattati da artisti locali con una tecnica sommaria e stilizzata, che trova anche la sua ragione nella qualità del materiale; nel settore ricostruito gurano, da sinistra a destra, una corazza, un porcellino, un bucrane a nastri, due corna incrociate, una prora di neve, un altro bucrane a nastri più piccolo del primo. È stata collocata al di sopra del fregio la più spessa delle cornici da andamento circolare i cui frammenti si rinvennero negli scavi. La parete di fondo dietro le colonne, che oggi mostra traccia di numerosi rifacimenti, era rivestita di un paramento in blocchi ora del tutto scomparso, come si desume dal segno rimastone alla base. Essa, recava in corrispondenza di ogni intercolunnio, delle nicchie contenenti statue marmoree. La posizione di queste nicchie è tuttora determinabile in base ai resti di due archi di scarico ben visibili nella muratura originaria della torre. Nel settore ricostruito è stato anzitutto collocato in basso un incerto tratto di zoccolatura di spessore corrispondente; più in alto si è cercato di rimettere in una posizione approssimativamente vicine all’originaria gli scarsi frammenti di sculture ritrovati tra cui una bella testa di Druso il cui originale è oggi al museo di Copenhagen. Questo ritratto del vincitore della guerra retica, che è uno dei migliori conosciuti ed ha servito alla sua identicazione, fa intuire che i soggetti predominanti della decorazione statuaria delle nicchie dovevano riettere le guerre alpine e la gloria della famiglia di Augusto. Che il busto faccia parte di una statua già posta nelle nicchie risulta anche dal fatto che la parte posteriore è scabra e adattata ad un vano lievemente ricurvo. Al di sopra del peristilio e del nucleo romano della torre sta la sopraelevazione medievale, facilmente distinguibile all’esterno per il paramento di tipo romano gotico coi caratteristici architetti, all’interno per la diversa composizione del calcestruzzo, di pasta più bruna, in materiale più minuto e con più abbondante malta. Appare poco probabile che l’originaria costruzione romana si elevasse ancora con un secondo ordine di colonne e sia stata per tempo distrutta; infatti questo secondo ordine, se fosse esistito, avrebbe dovuto normalmente essere ionico, mentre invece nessuna traccia di tipo ionico è stata rinvenuta negli scavi: è inoltre difcile ammettere che tutta la massa superiore della torre sia crollata prima del XIII secolo, quando il monumento nella parte inferiore era ancora in ottime condizioni statiche. Di un solo ordine dorico parlano i documenti rinvenuti del secolo XV che tracciano una descrizione del monumento assai vicina alla ricostruzione oggi ottenuta scienticamente. Elementi utili per una ricostruzione assai verosimile della parte più alta del monumento furono restituiti alla luce dagli scavi. Si rinvennero infatti i tre elementi fondamentali di una gradinata a taglio circolare, che recavano ancora chiaramente il segno di distinzione della parte rimasta esposta alle intemperie da quella nascosta dal gradino sovrastante: indizio importantissimo che fornì anche l’esatta inclinazione della gradinata (45 gradi). Con questi dati fu possibile ricostruire al di sopra delle colonne un piccolo settore di essa e fu in parte demolito il paramento medievale ad archetti, incastrando a suo luogo, nella posizione quasi esattamente calcolata quattro gradini originari, retti da un basamento cilindrico a tre ordini di conci. Non è facile determinare con certezza la vera forme terminale della gradinata e dell’intero monumento; com’è naturale, questa parte dovette per prima soccombere nei secoli di abbandono. Tuttavia tornarono in luce durante i lavori tre frammenti che sembrano appartenere alla sommità del cono: due fanno parte di una grande base circolare, che a due terzi della sua altezza ha una rientranza sul cui piano si riscontrano piccoli fori a distanza regolare destinati all’inssione di un rivestimento bronzeo; il terzo più piccolo ha al centro della supercie superiore una lieve incavatura circolare e due fori quadrati. Si suppone che essi appartengano rispettivamente al ripiano inferiore e superiore di un alto piedistallo sostenente, alla sommità della gradinata, la statua bronzea di Augusto con le gure di due barbari prigionieri ai suoi piedi, ma è solo una ricostruzione ipotetica. Infatti è probabile che il luogo della statua di Augusto ci fosse un vero e proprio trofeo d’armi in bronzo o marmo (forse ancheggiato da prigionieri barbari), secondo l’uso ordinario di questo genere di monumenti. Di questo trofeo è stato trovato solo un minuto frammento bronzeo che sarebbe più opportuno riferire ad una statua più che ad un’altra rinitura. Le dimensioni del monumento sono state rese più attendibili grazie al confronto con la tecnica di misure architettoniche attestate da Vitruvio nello stesso periodo a cui risale il Trofeo. Tale tecnica aveva per base la scelta di un’unità di lunghezza (modulo), con multipli geometrici a triangoli, cerchi e losanghe. In particolare, il Trofeo di Augusto è iscritto in un triangolo isoscele avente per base la larghezza dell’intero recinto e per vertice la sommità della costruzione. Il Trofeo di Augusto è un unicum nel suo genere e di certo costituisce il prototipo di tutti i trofei monumentali di epoca seguente, sebbene anche in epoca precedente personaggi come Silla e Pompeo ne costruirono alcuni. Tuttavia nel trofeo di Augusto conuiscono elementi architettonici di origini diverse: per esempio riprende la tradizione ellenistica del mausoleo funerario mentre i piani rientranti sono un elemento tipico delle torri-faro. Inne riprende il primitivo schema della torre sormontata. Questo monumento dunque appare oggi come uno dei più insigni documenti dell’arte augustea, sia per il suo signicato storico sia per quello architettonico. Esso segna una tappa fondamentale della cultura romana nella Gallia, a cui Augusto diede un impulso decisivo lungo la via che da lui prese il nome.