Marco Cingolani - Provincia di Como

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Marco Cingolani - Provincia di Como
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MASSIMARIO MINIMO
a cura di Federico Roncoroni
Nel mondo non ci sono mai state due opinioni uguali, non più di quanto
ci siano mai stati due capelli o due grani identici: la qualità più universale è la diversità.
( Michel de Montaigne)
ARTEE FEDE
MERCOLEDÌ 4 MARZO 2009
Una rivelazione alla Biennale
«Porterò la pittura con Dio»
[opere]
Cingolani si è imposto con opere in
cui la cronaca diventa storia: particolare de «Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro» (1989)
Nella mostra «Percorsi di fede» Cingolani racconta con i colori di Matisse le apparizioni di Lourdes: «Bernadette contro Nietzsche e Marx»
Ecco un’altra grande opera di Cingolani sui «Percorsi di fede». Questa volta il tema è l’apparizione della Madonna ai tre pastorelli di Fatima nel 1917. Il titolo del quadro è
«Fatima (Penitence)»
L’emergente Marco Cingolani invitato alla prestigiosa rassegna di Venezia
Al Padiglione Italia con tre opere: «Per me l’arte è una questione cattolica»
di Stefania Briccola
Marco Cingolani è tra le rivelazioni
del Padiglione Italia della prossima Biennale di Venezia. Pittore colto e viscerale,
nato a Como nel 1961, vive a Milano dalla fine degli anni Settanta dove ha frequentato l’ambiente underground e l’Accademia di Brera. In quella atmosfera irripetibile degli anni Ottanta in cui l’arte si mischiava alla moda e alla musica punk si
va delineando la sua poetica. Si è imposto all’attenzione del pubblico con opere
in cui le pagine di cronaca diventano storia da «Il ritrovamento del corpo di Aldo
Moro (1989)», un grande quadro a gessetti che riprende lo stile dei madonnari con
l’urgenza di parlare a tutti, alla serie sull’Attentato al Papa. Il suo percorso è segnato dall’incontro con Mimmo Paladino
e con il gallerista Emilio Mazzoli.
Marco Cingolani parafrasando Chesterton
«Pensavo di fare il poeta, l’attore
anzi lo scrittore… oggi faccio
l’artista... Mi ha sedotto l’idea
che la Madonna sia apparsa»
afferma che: «L’arte è il luogo dove tutte
le verità si danno appuntamento». Nella
mostra «Percorsi della fede» in corso al
galleria Boxart di Verona racconta con i
colori di Matisse le apparizioni di Lourdes e Fatima. Tra un quadro e l’altro collabora alla rivista Cronaca Vera e insegna
pittura all’Accademia di Belle Arti di Palermo.
Marco Cingolani, che cosa porterà a Venezia?
Tre grandi dipinti che testimoniano la certezza che l’arte è una questione cattolica
e italiana; in particolare è il sogno di un
italiano di coniugare la bellezza greca con
il Cristo sulla croce. Questo ha determinato la nascita della pittura in Occidente.
Che opinione ha del Padiglione Italia
curato da Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli?
Mi piace molto la scelta eterogenea proposta in cui l’occhio non avrà censure.
Esporrò con artisti che
apprezzo tra cui Davide Nido, che è la continuazione della lezione di Fontana e
Gian Marco Montesano, bravo pittore e vero intellettuale.
Con Nicola Verlato ho
diviso lo studio a New
York. Lui coniuga la tradizione italiana della velatura
con lo sguardo tridimensionale
del ’900 tipico del film d’animazione.
Chi ha contato nel suo percorso di arte e di vita?
Emilio Mazzoli.
Il gallerista della Transavanguardia?
Sì, è uno che se ne intende davvero. I suoi
silenzi di fronte ai miei quadri sono stati
determinanti.
Come ricorda l’incontro con Mimmo
Paladino?
Lo incontrai nel 1982 nel suo studio a Milano. Dovevo intervistarlo per la rivista
Punk Artist alla quale collaboravo mentre
frequentavo l’Accademia di Brera.
Mimmo Paladino mi ha dato le chiavi per
entrare nel mondo dell’arte spendendo il
suo tempo e il suo nome per un ragazzino che andò da lui con qualche disegno.
Che cosa voleva fare da grande?
Il poeta, l’attore anzi lo scrittore… se oggi
faccio l’artista lo devo a Giovanni Scalzo
che sui gradini dell’Istituto Ripamonti di
Como mi disse che la rivista Gong stava
cercando dei ragazzini da fotografare. Andai in redazione a Milano e il direttore
Graziano Origa mi arruolò per recensire
libri e dischi. Ero tra i punk gentili e decadenti che guardavano a David Bowie,
ai Roxy Music e ai Krisma. In seguito collaborai a Punk Artist e il giornalismo mi
servì a non infilarmi nella politica mentre frequentavo l’Accademia di Brera.
Chiusa la rivista ho riscoperto la pittura e
il disegno che sono diventati la mia ragione di vita.
Quali ricordi ha di Como?
Ho trascorso un’infanzia felice a Maslianico. Da ragazzo mi dividevo tra il fermento culturale della biblioteca di Como e l’allegra malinconia della passeggiata a lago.
Poi c’è stato Luciano Caramel che mi ha
spiegato l’arte contemporanea.
Parliamo della mostra Percorsi
della fede alla galleria Boxart
di Verona…
È nata dalla coincidenza
di aver ritrovato i santini di mia nonna e i
libri di don Luigi
Bianchi su Fatima
che mi hanno condotto a riflettere su
temi già presenti nella mia ricerca legata al
trascendente. Mi ha sedotto l’idea che la Madonna sia apparsa. La pittura deve avere a che fare con
l’intervento di Dio nella storia.
La Bibbia riporta fatti di cronaca. L’apparizione di Fatima non è una cosa astratta.
Nel 1990 dipinsi l’attentato al Papa e non
avrei mai immaginato l’opera di Cattelan realizzata anni dopo. Nel 1989 ho raffigurato il corpo di Aldo Moro come se
fosse il corpo di Cristo.
Come si riflette il suo pensiero nelle
opere in mostra?
Un individuo si deve impegnare, ma se
non c’è l’aiuto di qualcuno, non ce la farà
mai. Taluni parlano di fortuna o destino.
Io la chiamo Provvidenza e dico che l’uomo non basta a se stesso. Non a caso le
mie opere rappresentano gli “Aiuti umanitari” che sono il battesimo, la comunione, la confessione e servono a vivere meglio.
Che cosa sta dipingendo?
Un grande quadro con Sherlock Holmes
che prega. Visto che gli artisti indagano.
Lo porterà alla Biennale?
Sono in trattativa con me stesso.
Reperti d’Africa dai sentieri degli antenati
La mostra del collezionista Bargna al Castello Visconteo di Abbiategrasso
I sentieri degli antenati è il titolo della
mostra di arte africana che il collezionista comasco Massimo Bargna terrà dal 7 al 22 marzo al Castello Visconteo di Abbiategrasso. Bargna, capiaghese, ha raccolto l’eredità del padre Giorgio, viaggiatore e collezionista scomparso nel 1994, arricchendo la straordinaria
raccolta di scultura tradizionale africana - maschere, statue, oggetti rituali - alimentata lungo una serie interminabile di viaggi in tutte
le regioni dell’Africa nera.
Ma la mostra non è solo un repertorio di oggetti d’arte, per quanto suggestivi. Lo spiega
bene il sottotitolo, Itinerari africani tra arte,
storia e cultura, che rimanda direttamente a
un volumetto scritto dallo stesso Massimo
Bargna che accompagna la mostra, e che in-
treccia immagini delle opere esposte con analisi e osservazioni di storia, letteratura, cultura e naturalmente arte. Schiavismi vecchi
e nuovi, esploratori e resoconti di viaggio, letteratura occidentale ispirata all’Africa e letteratura africana nata in seguito al contatto
con l’Occidente: tutto si intreccia in un filrouge che racconta a tre dimensioni l’itinerario della mostra. Un percorso da interpretare, per nulla scontato: una sfida culturale, che
non interpella solo il senso artistico. «L’incontro dell’Europa con l’arte africana tradizionale - scrive Bargna - è la storia di una serie di equivoci e malintesi e, in questo senso,
è esemplare delle dinamiche della visione e
dell’interpretazione del diverso». Dopo l’iniziale «curiosità o ribrezzo» del pubblico eu-
ropeo, furono le avanguardie artistiche della
prima metà del Novecento, insieme con la
sviluppo degli studi antropologici, a dare dignità d’arte alla produzione scultorea africana: «è a quel punto che maschere e statue hanno davvero smesso di essere degli "idoli da
bruciare" o dei semplici souvenirs, e sono diventati il termine di relazione di una cultura
diversa dalla nostra ma ricca di risorse umane e spirituali, che interroghiamo e da cui siamo interrogati»
Barbara Faverio
«I sentieri degli antenati: itinerari africani fra arte, storia e cultura» Castello Visconteo, Abbiategrasso (Mi), dal 7 al 22
marzo. Feriali: 15.30-19; festivi: 10-12.30
14.30-19. Ingresso libero
Il seggio di capo, arte tabwa (Congo)