E se non voglio ascoltare? Marina Cazzola (da “Dettotranoi”, Aprile
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E se non voglio ascoltare? Marina Cazzola (da “Dettotranoi”, Aprile
E se non voglio ascoltare? Marina Cazzola (da “Dettotranoi”, Aprile 2000) Periodico di informazione della Cooperativa Edificatrice l’Aurora di Bresso Registrazione del Tribunale di Milano - n. 306 del 21.6.1993 Dove finisce la mia libertà? Nello scorso numero abbiamo visto un esempio di come l’intervento di uno sponsor commerciale abbia permesso di salvaguardare un’iniziativa privata e di mettere a disposizione della comunità di internet un servizio di ottima qualità. Si tratta di una vera e propria simbiosi tra le due parti: i vantaggi sono reciproci. Internet offre grandiose prospettive per il commercio (pensate alle già pubblicizzate possibilità di consultare il proprio conto in banca o di fare acquisti da casa con un semplice “click”). Si tratta però di capire fino a che punto il commercio può fare bene a internet. Su sempre più siti cominciano ad apparire “banner” pubblicitari (gestiti da apposite compagnie pubblicitarie “virtuali”). Questo in generale significa che sponsor e pubblicità permettono al sito di sopravvivere. Ma questa pubblicità crea fastidio a chi visita quel sito? Tecnicamente il banner è una immagine grafica e, come tutte le immagini grafiche, richiede per essere visualizzato sul computer del visitatore un tempo maggiore rispetto al normale testo. Si tratta però in generale di tempi infinitesimi, impercettibili. E in ogni caso il navigatore ha la possibilità di difendersi disabilitando la visualizzazione delle immagini sul suo computer. La cosa diventa più delicata quando il pubblicitario si lascia prendere la mano dallo strumento tecnologico: la posta elettronica dà la possibilità di creare, quasi senza fatica, un contatto personale con decine di milioni di persone. Una vera e propria manna! Si nasconde però un “costo” a carico di chi riceve il messaggio che diventa sempre più oneroso. E più fastidioso. Quando riceviamo un messaggio di posta elettronica, questo viene conservato dal provider in una casella del tutto analoga alla cassetta della posta in cui il postino deposita le lettere “di carta”. Con la sola differenza che quando la casella è piena, tutti i messaggi in eccesso vengono automaticamente cestinati (senza controllare se siano di interesse per chi li riceve). Inoltre per ritirare la posta dalla casella, effettuiamo una connessione telefonica, con un costo tanto maggiore quanto maggiore è la sua durata. Più sono i messaggi, maggiore è il costo. Il ripetersi di invio selvaggio di e-mail indesiderate a, come si diceva, decine di milioni di indirizzi ha finito con il far infuriare una buona parte di utenti internet, tanto da far scatenare una vera e propria guerra. Da un lato chi difende la libertà di espressione e di commercio (www.provider.com /framesbulke.htm). Dall’altro chi ribatte che questo tipo di pubblicità è troppo invasiva (ricordate quando si proponeva di fare pubblicità elettorale tramite i messaggini sui telefonini? Era chiaro a tutti che la nostra privacy era a rischio). Inoltre si obietta con ragioni tecniche che non possiamo spiegare nei dettagli, sostenendo che questa pratica nuoce al funzionamento globale della rete (questo e molto altro è spiegato in collinelli.virtualave .net sito completamente in italiano!). Il fronte è agguerritissimo, e i nomi scelti sono significativi. Si ha l’“Abuse Net” (www.abuse.net/spam), il “Mail Abuse Protection System” o MAPS (www.mail -abuse.org che offre strumenti tecnici per impedire il ricevimento di messaggi e-mail indesiderati), il o la CAUCE (“Coalition against unsolicited e-mail” www .cauce.org), con il suo ramo europeo, l’EuroCAUCE (www.euro.cauce.org, contiene una sezione in italiano). Tra l’altro i cittadini europei sono invitati a sottoscrivere una petizione che chiede all’Unione europea di modificare la sua direttiva in merito (www.ispo.cec.be / Ecommerce / docs / legalit . pdf), ritenuta troppo permissiva (www.politik-digital .de/spam/it/). Il nodo centrale della contestazione è l’invio di “messaggi via e- mail non richiesti”. Il principio è che se io non ho esplicitamente richiesto una informazione nessuno ha il diritto di usare la mia casella elettronica per comunicarmela (negli Stati Uniti è in vigore una legge federale, basata sullo stesso principio, che vieta l’uso dei fax per spedire messaggi non graditi: “il fax è mio e me lo gestisco io!”, in fondo carta e inchiostro sono a mio carico). Indipendentemente dal contenuto della comunicazione, che nessuno vuole censurare (anzi potete curiosare sul sito www.people.virgi nia.edu/˜ymb5v per esempi di messaggi la cui massiccia distribuzione su internet è ritenuta dannosa o comunque inutile). In gergo si usa la parola “spam”, che indica “i messaggi che vengono diffusi avvalendosi delle funzionalità della rete, senza rispettare lo scopo per il quale tali funzionalità esistono”. Il richiamo è a una gag dei Mon- thy Python in cui un gruppo di persone in un ristorante, ripetendo all’infinito proprio la parola “spam” creano un fragore tale da impedire a tutti gli altri clienti del ristorante di sentire alcunché, in particolare di sentire (e farsi sentire da) la cameriera (e quindi di fare quello per il cui il ristorante è di fatto preposto: ordinare una cena!). Tra l’altro, essendo “Spam” un noto tipo di carne in scatola (di una nota ditta americana), c’è chi contesta l’uso di questo termine (www.fortunecity.com/ mel tingpot / dalston / 714 / my ribbon.htm) perché assocerebbe un ottimo prodotto a una pessima pratica. E forse un buon pubblicitario, con un prodotto da rendere gradevole, dovrebbe valutare bene se correre il rischio di associare il suo prodotto a una pratica sgradita a una buona fetta di utenti di internet. ([email protected])