LETTURE SUL MEDIOEVO III La crisi del Trecento Il tempo del
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LETTURE SUL MEDIOEVO III La crisi del Trecento Il tempo del
LETTURE SUL MEDIOEVO III La crisi del Trecento Il tempo del lavoro in città Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante L’unità del tempo di lavoro nell’Occidente medievale è la giornata: agli inizi, giornata del lavoro rurale, che si ritrova nella terminologia metrologica – la «giornata» di terra – e, a sua immagine, giornata del lavoro urbano, definita mediante il riferimento mutevole al tempo naturale, dal sorgere al tramonto del sole, e sottolineata approssimativamente dal tempo religioso, quello delle horae canonicae, derivato dall’antichità romana. […] All’ingrosso il tempo del lavoro è quello di un’economia ancora dominata dai ritmi agrari, esenti dalla fretta, senza scrupolo di esattezza, senza preoccupazioni di produttività, e di una società a sua immagine, «sobria e pudica», senza grandi appetiti, poco esigente, poco capace di sforzi quantitativi. […] Ora, a partire dalla fine del secolo XIII, questo tempo del lavoro è messo in discussione, entra in crisi. Offensiva del lavoro notturno, asprezza soprattutto nella definizione, nella misura, nella pratica della giornata di lavoro, conflitti sociali, infine, intorno alla durata del lavoro: così si manifesta in questo campo la crisi generale del secolo XIV, un progresso d’insieme attraverso gravi difficoltà di adattamento. Come il resto, il tempo del lavoro si trasforma, si precisa, si fa più efficace, non senza fatica. Curiosamente, prima si vedono gli operai stessi chiedere l’allungamento della giornata di lavoro. È di fatto il mezzo per aumentare i salari, è – diremmo noi oggi – la rivendicazione di ore straordinarie. […] Ma presto sorge una rivendicazione contraria. I padroni – i «donneurs d’ouvrage» – infatti, di fronte alla crisi, cercano dal canto loro di regolamentare quanto meglio possono la giornata di lavoro, lottando contro gli imbrogli degli operai in questo campo. Allora si moltiplicano quelle campane di lavoro già trovate da Bilfinger. Di queste Werkglocken ricordiamo alcuni esempi. […] A Amiens, il 24 aprile 1335, Filippo VI accoglie favorevolmente la richiesta del sindaco e degli scabini, che gli hanno chiesto «che essi possano fare un’ordinanza su quando gli operai nella detta città e suo distretto (banlieue) andranno ogni giorno di lavoro alla loro opera il mattino, su quando dovranno andare a mangiare e su quando dovranno tornare all’opera dopo mangiato; come pure la sera, su quando dovranno lasciare l’opera per la giornata; e che per la detta ordinanza che faranno, possano suonare una campana, che hanno fatto appendere alla torre della detta città, che è differente dalle altre campane». […] La nostra ricerca non è certo esauriente, ma essa è sufficiente a indicare che il problema della durata della giornata di lavoro è soprattutto acuto nel settore tessile, dove la crisi è più sensibile e dove la parte dei salari nel prezzo di costo e nei guadagni dei padroni è considerevole. Così la vulnerabilità alla crisi di questo settore di punta nell’economia medievale ne fa il campo di elezione di un progresso nell’organizzazione del lavoro. […] Cosi, almeno nelle città produttrici di panni, un tempo nuovo incombe sulla città: il tempo dei drappieri. Perché questo tempo è quello della dominazione di una categoria sociale. È il tempo dei nuovi padroni, il tempo di un gruppo colpito dalla crisi ma in una congiuntura di ascesi sociale. D’altronde questo tempo nuovo diviene ben presto la posta di aspri conflitti sociali. Tumulti e agitazioni operaie mirano ormai a far tacere la Werkglocke. […] Alla fine del secolo e all’inizio del secolo successivo vediamo bene che la durata della giornata di lavoro – non il salario direttamente – è la posta delle lotte operaie. Documenti famosi mostrano come una categoria operaia originale, una categoria particolarmente combattiva, soprattutto in ambiente urbano o suburbano, in quel tempo di vigne di città e di periferia, quella dei vignaioli giornalieri sostenga contro i suoi datori di lavoro, signori, ecclesiastici, borghesi, una lotta per la riduzione della giornata di lavoro, che trova il suo compimento in un processo davanti al Parlamento di Parigi. […] I documenti di Auxerre e di Sens, anche ammettendo che abbiamo a che fare in questo caso con una categoria speciale, ci permettono d’altronde di comprendere gli scopi degli operai nella lotta per essere padroni del loro tempo di lavoro: in fondo certamente il desiderio di essere protetti contro la tirannia padronale in questo campo, ma più precisamente il bisogno che sia delimitato, accanto al tempo del lavoro, un tempo libero e, accanto al lavoro salariato regolamentare, un tempo per il lavoro personale o il lavoro nero. […] Ma ciò che la campana del lavoro o l’utilizzazione della campana urbana per il lavoro apporta di nuovo è evidentemente – invece di un tempo «evenemenziale», che non si manifesta se non episodicamente, eccezionalmente – un tempo regolare, normale; di fronte alle ore clericali «incertaines» delle campane di chiesa, le ore «certaines» di cui parlano i borghesi di Aire. Tempo non del cataclisma o della festa, ma del quotidiano, rete cronologica che inquadra, racchiude e stringe la vita urbana.