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IL GIORNALE DEL REVISORE
DIRETTORE
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
Francesco Arcadio, Giacomo Bertocchini,
Giovanni Conti, Ernesto Curreli,
Michele Del Castello, Attilio Zifaro
EDITORE
Istituto Nazionale Revisori Contabili
Via Zuretti, 39 - 20125 Milano
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LA PROFESSIONE DEL REVISORE CONTABILE
Modesto Bertolli
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PROTOCOLLO D’INTESA INPS - ISTITUTO NAZIONALE DEI REVISORI
Testo del protocollo
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LA SENTENZA PENALE E IL DIRITTO / DOVERE DI AUTOTUTELA
Michele Del Castello
SCIENTIFICO
Antonino Mirone, Mario Tonucci, Antonio
Preto, Ernesto Currili, Angelo Deiana,
Michele del Castello
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IL GIORNALE
DEL REVISORE
DI REDAZIONE
Virgilio Baresi, Agostino Basso, Gianluigi
Bertolli, Modesto Bertolli, Andrea Boreatti,
Gaetano Carnessale, Giovanni Battista
De Muzio, Paolo Fontana, Giandomenico
Genta, Andrea Mastroianni, Santino
Mazzilli, Antonio Mirone, Massimo Pollini,
Ubaldo Procaccini, Giuseppe Sanfilippo,
Gaetano Scognamiglio, Michele Simone,
Mario Tonucci
COMITATO
M
GR
RESPONSABILE
Enrico Sassoon
COMITATO
M
Editoriale
10
ACCESSO ALLA BANCA DATI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO:
I REVISORI SOGGETTI ABILITATI
Circolare Ministero delle Finanze
12
ELETTO IL NUOVO CONSIGLIO NAZIONALE I.N.R.C.
Modesto Bertolli
14
LA TASSAZIONE AGLI EFFETTI IRPEF DEGLI IMMOBILI STORICO ARTISTICI
Francesco Arcadio
19
LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA
Giovanni Conti
ultima parte
STAMPA
Arti Grafiche Amilcare Pizzi SpA
Via Amilcare Pizzi, 14
20092 Cinisello Balsamo (Mi)
31
SISTEMA DI CONTROLLO INTERNO E GESTIONE DEI RISCHI
Silvia Sgalla - Alberto Carnevale
TIRATURA
Questo numero 101.214 copie
36
IL COLLEGIO SINDACALE E LA SUA FUNZIONE “SOCIALE”
Ernesto Curreli
37
LETTERE
a cura della redazione
38
I QUESITI DEI LETTORI
a cura dell’I.N.R.C.
39
UN NUOVO MODELLO ORGANIZZATIVO
Giacomo Bertocchini
40
IL SISTEMA DI VALUTAZIONE DEL PERSONALE
Attilio Zifaro
42
ICI E FINZIONE DI “NON EDIFICABILITÀ”
Francesco Arcadio
44
SPECIALE
a cura del Centro Studi Enti Locali
REDAZIONE
Via Zuretti, 39 - 20125 Milano
Tel. 02/67.38.311 r.a.
Fax 02/67.38.31.26 - 02/67.38.31.24
E-mail: [email protected]
ART DIRECTOR
Laura Arcari
IMPAGINAZIONE
Kappadue srl
PUBBLICITÀ
Istituto Nazionale Revisori Contabili
Registrazione Tribunale di Milano
n. 9 del 15 gennaio 2001
Inserto
NUOVA SERIE ANNO XXV - NUMERO 4/5
Spedizione in abb. post. 45% - Art. 2
Comma 20/B legge 662/96 - Milano
La redazione si riserva di modificare e
abbreviare i testi originali. Gli articoli
firmati rispecchiano il pensiero degli autori.
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Revisore” possono essere riprodotti
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alla redazione di Milano: Via Zuretti, 39
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Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
Lettere
Il parere dell’esperto
Enti locali
Il revisore negli Enti locali
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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condizioni di acquisto di prodotti e servizi.
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PIEMONTE, LIGURIA,
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LOMBARDIA
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20159 Milano
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VENETO, TRENTINO
ALTO ADIGE, FRIULI
VENEZIA GIULIA
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35100 Padova
Tel. 800-318318
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EMILIA ROMAGNA,
TOSCANA, MARCHE,
UMBRIA
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40129 Bologna
Tel. 800-358358
Fax 800-367452
LAZIO, SARDEGNA,
ABRUZZO, MOLISE
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00131 Roma
Tel. 800-476976
Fax 800-303139
CAMPANIA, PUGLIA,
BASILICATA
Centro Direzionale
Isola C1
80143 Napoli
Tel. 800-304304
Fax 800-368643
SICILIA, CALABRIA
Via Orsini, 9
90100 Palermo
Tel. 800-365365
Fax 800-3026565
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La professione
del Revisore Contabile
Vogliamo provare a classificare,
nel contesto professionale, il Revisore Contabile atteso che sullo
specifico argomento spesso e volentieri nascono problemi interpretativi che turbano la serenità di
taluni dei nostri iscritti.
A complicare le cose arrivano poi
le interpretazioni di comodo da
parte delle categorie professionali
interessate, protese a contrastare
l’evolversi della legislazione europea nello specifico settore orientata alla liberalizzazione generalizzata non escluso il settore delle professioni intellettuali a eccezione di
quelle legate alla salute del cittadino e alla difesa dello stesso in sede
penale. È questo l’orientamento
di massima del nostro Istituto, ragione per la quale siamo spesso in
“conflitto di interessi” con le categorie economico-amministrative
coinvolte. Fatte queste premesse,
noi sosteniamo che il Revisore
Contabile di cui al Decreto Legislativo 27 gennaio 1992 n. 88,
iscritto quindi nel registro presso
il Ministero della Giustizia, è professionista come tutti coloro risultanti iscritti in albi professionali
per cui possono esercitare qualsiasi attività professionale purché,
aggiungiamo noi, padrone delle
materie per le quali si presta all’esercizio dell’attività stessa in sintonia con le esigenze del mercato.
Il cammino di una economia in
rapida evoluzione non consente
più l’esistenza del professionista
“tuttofare” così come gli attuali
ordinamenti professionali preve-
dono, per cui o si arriva alla specializzazione oppure si muore.
Del resto basterà scorrere gli ordinamenti delle due professioni
economico-amministrative italiane (ragionieri e dottori commercialisti) per riscontrare che nessuna esclusiva è riservata agli iscritti
negli ordinamenti in parola. Ciò
non significa che l’iscrizione al registro dei Revisori Contabili equivalga a capacità incontrastata e
senza regole, ma valgono anche in
questo caso la preparazione, le capacità richieste dall’attività svolta,
coscienza delle responsabilità che
si assumono, rigoroso rispetto
della deontologia professionale.
Ciò premesso, il Revisore Contabile può esercitare tutte le attività
professionali a eccezione di quelle
specificamente vietate.
Conseguentemente ci limiteremo
a ricordare solo quelle oggi non
ancora acquisite più per insipienza di un legislatore distratto che
per motivi di professionalità.
Un esempio eclatante è rappresentato dai Decreti Legislativi 31
dicembre 1992 n. 545 e 546
(emessi quindi lo stesso giorno):
con il primo (545) si dice che il
Revisore Contabile può essere
membro componente delle commissioni tributarie; nel secondo
ove si stabilisce chi può difendere
il contribuente nanti alle commissioni tributarie stesse il Revisore Contabile non c’è più. Superfluo ricordare che la “dimenticanza” è tutt’altro che casuale.
Altra questione è il cosiddetto “vi-
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Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
sto pesante” che noi abbiamo
sempre considerato responsabilità
da evitare. Ciò non significa però
rinunciare al diritto formale di
possederne la legittimità.
Non crediamo vi siano altre questioni importanti meritevoli di eccessiva attenzione. In compenso,
però, vorremmo ricordare alcune
attività professionali riservate in
esclusiva alla categoria (ribadiamo
categoria) dei Revisori Contabili
indipendentemente dalla iscrizione in un albo professionale. Ci riferiamo al D.L. “omnibus” per
l’assegnazione e cessione di partecipazioni, il valore delle quali è determinato ai sensi dell’art. 9 del
TUIR, per cui il valore del patrimonio netto deve risultare da relazione giurata di stima.
Orbene, detta relazione deve essere redatta da un Revisore Contabile.
Il Decreto Legislativo 30 luglio
1999 n. 258 recante il regolamento della organizzazione dell’Istituto Nazionale per la valutazione
del sistema per l’istruzione attuativo, degli art. 1 e 3 del decreto
sopra richiamato all’art. 6 statuisce che il collegio di controllo deve essere formato solo da soggetti
iscritti nel registro dei Revisori
Contabili.
E, infine, tieni per esempio ciò che
i sapienti del passato ci hanno tramandato: “quod vult habet qui
velle quot satis potest”, cioè a dire:
“ha quello che vuole colui che può
volere quello che gli basta”.
Modesto Bertolli
IL GIORNALE
DEL REVISORE
PROTOCOLLO D’INTESA
INPS - ISTITUTO NAZIONALE
DEI REVISORI
p
remesso che l’INPS e i Revisori Contabili, nello svolgimento dei rispettivi compiti e
funzioni, hanno sempre perseguito l’obiettivo del continuo e
costante miglioramento dei servizi da fornire alla comune clientela, nella convinzione che, ai fini del raggiungimento di tale
obiettivo, risulta determinante
una reciproca formale collaborazione, l’INPS e i Revisori Contabili convengono sulla necessità
di stabilire rapporti che realizzino una incisiva attività di collaborazione volta anche nell’assunzione di indirizzi e di linee di intervento comuni, nel rispetto,
naturalmente, delle reciproche
competenze e funzioni istituzionali.
L’INPS E L’ISTITUTO NAZIONALE REVISORI
CONTABILI TERRANNO RIUNIONI IN OCCASIONE
DELL’ATTUAZIONE DI DISPOSIZIONI LEGISLATIVE
OVVERO DI MODIFICHE ORGANIZZATIVE
DELL’ISTITUTO CHE COMPORTINO INNOVAZIONI
OPERATIVE
IL GIORNALE
DEL REVISORE
Riportiamo il testo della
convenzione e del
protocollo d’intesa siglato
dall’Istituto con l’INPS
al fine di migliorare
i servizi alla clientela
In tale ottica l’Istituto recepisce
le indicazioni contenute nelle
norme: Legge n. 12 dell’11 gennaio 1979, direttiva CEE n.
84/253 e Decreto Legislativo n.
88 del 27 gennaio 1992, che riconoscono ai professionisti, nello svolgimento delle loro funzioni, un ruolo sociale e dinamico nell’adempimento degli
obblighi dei contribuenti.
Il presente protocollo d’intesa
ricalca sostanzialmente quello
sottoscritto con i Ragionieri e
periti commerciali, i Consulenti del lavoro, i Tributaristi, pertanto tende a formalizzare e ottimizzare i reciproci rapporti
per realizzare, attraverso il miglioramento degli stessi, un ulteriore salto qualitativo dell’attività della categoria e del prodotto dell’Istituto.
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Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
L’INPS, nell’ambito della Sede
Centrale, ha costituito un apposito Progetto preposto anche alla
gestione dei rapporti con le Categorie dei professionisti e le Organizzazioni sindacali, al fine di
valutare in modo organico le
istanze di ordine organizzativo e
funzionale provenienti dai soggetti destinatari dei servizi dell’Istituto.
L’Istituto Nazionale Revisori
Contabili, nell’ambito del
Consiglio direttivo, ha costituito una commissione di lavoro per i rapporti operativi
con gli Istituti previdenziali e
assicurativi.
Tali organismi pongono in essere, in particolare, ogni opportuna iniziativa per la realizzazione
di un rapporto di collaborazione
i cui effetti debbono essere funzionali allo sforzo che costantemente l’Istituto attua per un corretto e puntuale adempimento
del pagamento dei contributi e
la gestione dei conti assicurativi,
fattori più che mai oggi propedeutici a una corretta gestione
previdenziale e a una efficiente
politica di erogazione di prestazioni.
1 - Consultazioni
a livello centrale
L’INPS e l’Istituto Nazionale Revisori Contabili, nella consapevolezza della necessità di intensificare la prassi delle consultazioni preventive, terranno riunioni
in occasione sia dell’attuazione
di disposizioni legislative ovvero
di modifiche organizzative dell’Istituto che comportino innovazioni operative da parte delle
aziende, sia in tutte quelle altre
circostanze nelle quali si ravvisi
l’opportunità di risolvere congiuntamente i problemi eventualmente insorti.
In particolare, le consultazioni
saranno effettuate in modo da
prevenire quanto più possibile
situazioni di difficoltà di rapporto che possono produrre effetti negativi sulla funzionalità
dei servizi. Tali consultazioni,
che potranno essere richieste da
entrambe le parti, avverranno
tra funzionari dell’Istituto e
rappresentanti della categoria
designati dal consiglio direttivo
dei Revisori. Per l’INPS parteciperanno i rappresentanti, dei
servizi di volta in volta interessati alle problematiche oggetto
delle consultazioni, le quali
avranno luogo prima dell’emanazione delle relative disposizioni, fatta salva comunque l’esigenza per l’INPS della tempestività e urgenza nell’emanazione delle disposizioni stesse, di
cui sarà data comunicazione
con altrettanta tempestività.
Parallelamente opererà un gruppo di lavoro misto per i collegamenti telematici, composto da
funzionari dell’Istituto e da
membri designati dal consiglio
direttivo dei Revisori Contabili,
per lo studio e le proposte relative a tutte le problematiche
Massimo Paci
Modesto Bertolli
connesse ai collegamenti telematici e allo scambio di informazioni e dati per via informatica.
A tal fine gli accordi integrativi
locali stabiliranno modalità e
tempi di accesso agli uffici da
parte dei Revisori e dei propri dipendenti e collaboratori, anche
attraverso la predisposizione di
sportelli specializzati e riservati.
2 - Consultazioni
a livello locale
Presso ogni Agenzia come già
concordato a livello nazionale tra
INPS e Revisori, vengono attivati incontri periodici e sistematici
tra funzionari dell’INPS e rappresentanti dei Revisori per la
preventiva consultazione sulle
materie di carattere generale o
specifico oggetto dell’attività dei
Revisori stessi.
In tale sede – salva la continuità
dell’azione amministrativa –
vengono esaminate e definite
ipotesi di lavoro o soluzioni operative attinenti materie o attività
di competenza dei Revisori.
È autorizzato l’accesso alle Agenzie INPS dei Revisori iscritti all’Istituto Nazionale dei Revisori
Contabili, provvisti del tesserino
professionale, per consentire agli
stessi di rappresentare le imprese/clienti, definire le posizioni
attive e passive delle stesse e contribuire a risolvere problemi operativi e di sistema che potrebbero presentarsi.
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3 - Compilazione
della modulistica
Nelle consultazioni preventive
deve essere prestata particolare
attenzione alla modulistica di
comune interesse sia per quanto
riguarda la struttura, la veste e il
contenuto della medesima, sia
per ciò che riguarda la sua distribuzione.
I Revisori si impegnano a prestare particolare attenzione alla
chiara e corretta compilazione
della modulistica, presupposto
indispensabile a una migliore e
celere ricezione dei dati.
4 - Utilizzazione
dei mezzi informatici
Particolare attenzione viene prestata all’utilizzo sempre maggiore delle procedure automatizzate
che consentono lo sfruttamento
delle potenzialità fornite dallo
sviluppo delle tecnologie informatiche.
IL GIORNALE
DEL REVISORE
L’INPS E I REVISORI
CONTABILI
EFFETTUERANNO
SCAMBI DI
INFORMAZIONE E
VALUTAZIONI
AL FINE DI
PREVENTIVARE I
POSSIBILI EFFETTI
DERIVANTI DA
NORME IN CORSO
DI APPROVAZIONE
IL GIORNALE
DEL REVISORE
A esse, sia l’INPS che i Revisori
puntano per la massima efficienza: tale comune obiettivo porterà alla intensificazione dei contatti tra l’Istituto e rappresentanti della categoria per l’approfondimento e lo studio delle varie
problematiche concernenti la
realizzazione dei collegamenti telematici.
Sotto tale aspetto, l’INPS e i Revisori sono convinti che la proiezione all’esterno del prodotto informatico dell’INPS, integrando
la già elevata e specifica competenza tecnica della categoria,
contribuirà notevolmente a elevare la qualità del prodotto fornito dai singoli professionisti all’Istituto con i conseguenti benefici effetti sui servizi erogati da
quest’ultimo.
Al fine di pervenire all’ottimizzazione dei risultati, l’INPS si impegna a illustrare ai soggetti interessati le variazioni e innovazioni
dei programmi applicativi relativi alle procedure automatizzate
per la gestione degli adempimenti in materia contributiva e i
Revisori si impegnano a mettere
a disposizione la propria professionalità anche in campo informatico e assicurano il proprio
impegno per applicare operativamente le varie procedure informatiche.
I Revisori, pertanto, verranno
ammessi ai collegamenti telematici alla stregua degli altri Ordini
Professionali che hanno sottoscritto analoghi protocolli di intesa con l’Istituto.
Al fine di fornire a coloro che si
avvalgono di tale facoltà ogni
strumento che favorisca l’uso
delle procedure informatiche,
l’INPS si impegna a mettere a
disposizione dei Revisori percorsi privilegiati di accesso alle
Sedi e ogni altra possibile consentita condizione di ordine organizzativo.
Particolari accordi saranno perfezionati, a livello centrale e locale, in materia di distribuzione
della modulistica, del software e
delle modalità di accessi alle
banche dati, strumenti necessari ai Revisori per l’espletamento
dell’attività di consulenza e assistenza.
5 - Piani di attività
L’INPS e i Revisori Contabili
convengono sull’opportunità di
dar luogo alla individuazione
congiunta dei reciproci impegni
nei confronti di piani di notevole interesse per l’Istituto che coinvolgono l’attività di riscossione
dei contributi previdenziali e assistenziali.
Tali impegni potranno di volta
in volta essere precisati anche a
livello locale, mediante specifiche intese, nell’ambito, ovviamente, delle linee programmatiche del presente protocollo.
6 - Contenimento
del contenzioso
L’INPS e i Revisori Contabili si
impegnano a contenere il contenzioso giudiziario, attivando, a
tal fine, opportune consultazioni
preventive in modo particolare
nei casi in cui si preveda che i casi oggetto di contenzioso siano
numerosi.
Resta ovviamente impregiudicata ogni iniziativa finalizzata all’interruzione di eventuali termini prescrizionali e alla salvaguardia dei diritti.
7 - Attività di formazione
In coerenza e nel quadro dell’obiettivo del miglioramento qualitativo dei servizi, notevole rile-
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Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
vanza assume per l’Istituto la
proiezione all’esterno dei propri
processi produttivi e delle tecnologie utilizzate.
Da parte dei Revisori Contabili è
rilevante l’interesse a integrare le
proprie tecniche con quelle dell’INPS al fine di realizzare, con il
minore sforzo possibile, un miglioramento del prodotto che
consenta un rapporto di massima fiducia con i clienti.
In tale quadro, le parti riconoscono l’utilità dell’attività di
formazione, aggiornamento e
conoscenza, e concordano pertanto sull’opportunità della partecipazione reciproca a rispettivi
momenti formativi. Gli oneri
relativi graveranno pro-quota in
rapporto alla concreta fruizione
delle iniziative poste in essere
che sarà di volta in volta valutata dalle parti.
8 - Azione sugli organi
legislativi
Considerato il reciproco interesse a svolgere le proprie funzioni
in un contesto normativo chiaro
e opportunamente funzionale,
l’INPS e i Revisori Contabili effettueranno scambio di informazioni e valutazioni al fine di preventivare i possibili effetti derivanti da norme in corso di approvazione.
Le conseguenti valutazioni potranno essere rappresentate, nel
caso di convergenza, anche congiuntamente ai competenti organi di Governo e legislativi.
Roma, 25 luglio 2001
IL PRESIDENTE DELL’ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
Massimo Paci
IL PRESIDENTE DELL’ISTITUTO NAZIONALE REVISORI CONTABILI
Modesto Bertolli
CONVENZIONE TRA L’ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
E L’ISTITUTO NAZIONALE REVISORI CONTABILI
tra
I. N. P. S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, con sede in Roma (RM), Via Ciro il Grande 21, in prosieguo denominato più semplicemente INPS, nella persona del suo Presidente e legale rappresentante Prof. Massimo Paci, domiciliato per la carica in Roma, a ciò autorizzato in forza della deliberazione del Consiglio di Amministrazione n. 259 dell’8 settembre 1999
e
Istituto Nazionale Revisori Contabili, con sede in Milano, Via Zuretti 39, nella persona del suo Presidente rag. Modesto Bertolli
PREMESSO
- che ai sensi dell’art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 l’INPS deve procedere annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti
sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvedere, entro l’anno
successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza;
- che la legge 23 dicembre 2000, n. 388 (finanziaria 2001), oltre ad introdurre aumenti della maggiorazione sociale e della pensione sociale ha previsto nuove prestazioni legate al reddito;
- che alle prestazioni pensionistiche interessate alla verifica predetta vanno aggiunte le
verifiche reddituali relative agli assegni per il nucleo familiare ed agli assegni familiari;
- che l’operazione di rilevazione dei redditi, con le stesse modalità adottate in precedenza, debba essere effettuata anche nell’anno 2001 sia per i redditi degli
anni 1999 e 2000 sia per i redditi dell’anno 2001, la cui conoscenza è resa necessaria dalle disposizioni della legge finanziaria 2001;
- che nei confronti di tutti i soggetti le cui prestazioni sono collegate al reddito
l’INPS invia apposite comunicazioni invitandoli a dichiarare tutti i dati reddituali
necessari per procedere alle verifiche di legge;
- che l’Istituto deve procedere al recupero delle prestazioni indebitamente percepite ai sensi dell’art. 1, commi 260 e seguenti della legge 23 dicembre 1996,
n. 662;
- che il Consiglio di Amministrazione nella riunione del 28 febbraio 2001 ha deliberato di dare avvio all‘operazione RED con riferimento ai redditi degli anni 1999,
2000 e 2001.
Tutto ciò premesso e confermato da considerarsi parte integrante e sostanziale del presente contratto, tra le parti sottoscritte, come sopra costituite e rappresentate, si conviene e si stipula quanto segue
ART. 1
(Attività dell’INPS)
Entro il 15 dicembre 2001 i soggetti abilitati dal decreto legislativo
28.12.1998 n. 490, ai fini della verifica prevista ai sensi dell’art. 13 della legge 30 dicembre 1991 n. 412,
dovranno far pervenire all’INPS tutte le dichiarazioni ricevute.
L’INPS in questa fase provvede a
richiedere i dati relativi al triennio
1999/2001.
Per conferire la massima efficacia a tali iniziative l’INPS dà tempestiva e puntuale informazione
anche attraverso la stampa e gli
altri strumenti di comunicazione.
ART. 2
(Compiti dell’Istituto Nazionale
Revisori Contabili)
Gli iscritti all’Istituto Nazionale
Revisori Contabili si impegnano
ad acquisire, previo controllo dell’identità e della legittimazione dei
dichiaranti, le dichiarazioni dei titolari delle prestazioni a carico
dell’Istituto, a riscontrarne la corrispondenza con la documentazione fiscale ed a trasmettere via
cavo all’Istituto le dichiarazioni rese con l’attestazione di conformità alla documentazione fiscale.
Gli stessi iscritti, inoltre, devono
attenersi a quanto previsto dal
D.Lgs. del 28.12.2000 n. 445 e
accettare l’autocertificazione del
dichiarante senza chiedere alcuna documentazione. Per quanto
concerne l’anno 2001 è necessaria una dichiarazione presuntiva
del reddito relativo.
ART. 3
(Procedure informatiche di supporto)
Le procedure informatiche di supporto devono essere previamente
indicate dall’Istituto, il quale fornirà tempestivamente il software
specializzato idoneo a supportarle. Qualsiasi variazione delle procedure o del software dovrà preventivamente essere indicata ed
approvata dall’Istituto.
Gli iscritti all’Istituto Nazionale
Revisori Contabili devono essere
autorizzati al fisco telematico e
possedere la chiave pubblica e
privata (RSA) generata con il
software fornito dal Ministero delle Finanze.
ART. 4
(Informazioni rese al momento
della dichiarazione)
Al momento in cui acquisisce la
dichiarazione e la relativa documentazione, nel rispetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675, gli
iscritti all’Istituto Nazionale Revisori Contabili dovranno rendere
noto agli interessati che la dichiarazione e i dati documentali sono
da essi acquisiti e trasmessi all’INPS per il raggiungimento delle
finalità previste dalla legge e dalla presente convenzione.
ART. 5
(Stampa e custodia delle dichiarazioni)
Gli iscritti all’Istituto Nazionale
Revisori Contabili provvedono direttamente a stampare le dichiarazioni reddituali in duplice copia,
di cui una è custodita per un periodo non inferiore a dieci anni
negli appositi archivi da essi tenuti, e l’altra è consegnata per ricevuta al dichiarante o suo delegato.
ART. 6
(Custodia della documentazione)
Gli iscritti all’Istituto Nazionale
Revisori Contabili custodiscono
altresì nei propri archivi, per il periodo indicato dall’Istituto, la documentazione cartacea di supporto alle dichiarazioni.
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Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
ART. 7
(Compensi)
Per l’attività prevista nella presente convenzione l’INPS corrisponde agli iscritti dell’Istituto
Nazionale Revisori Contabili per
ogni dichiarazione trasmessa:
- £ 45.000 in caso di presentazione dell’intera documentazione per tutti i tre anni così
suddiviso:
- £ 21.000 anno 1999
- £ 15.000 anno 2000
- £ 9.000 anno 2001
- £ 35.000 in caso di presentazione di autocertificazione per
tutti i tre anni così suddiviso:
- £ 14.000 anno 1999
- £ 12.000 anno 2000
- £ 9.000 anno 2001
ART. 8
(Spese)
Tutte le spese e gli oneri, anche
fiscali, inerenti al presente atto
sono a carico dell’Istituto Nazionale Revisori Contabili, salvo diversa previsione di legge.
Il Presidente dell’Istituto Nazionale dell’INPS
Prof. Massimo Paci
Il Presidente Revisori Contabili
Rag. Modesto Bertolli
IL GIORNALE
DEL REVISORE
LA SENTENZA PENALE
E IL DIRITTO / DOVERE
DI AUTOTUTELA
l’
Amministrazione Finanziaria, a parole, pone un grande
rilievo affinché il rapporto con il
cittadino sia basato sui principi
di trasparenza e di reciproco rispetto. Quando, però, si passa
alle situazioni concrete i fatti
cambiano leggermente. Una delle questioni più emblematiche e
che maggiormente hanno interessato sia la dottrina che la giurisprudenza è la obbligatorietà, o
meno, dell’Ufficio Finanziario a
prestare acquiescenza alla sentenza penale di assoluzione passata in giudicato quando nel
procedimento si sia dibattuto sugli stessi fatti posti a base dell’accertamento tributario.
L’articolo 12 della legge n°
516/82 al 1° comma sanciva che
la sentenza di assoluzione “… ha
autorità di cosa giudicata nel
processo tributario”. Il 2° comma ribadiva che gli Uffici Finanziari, in presenza di tale situazione, “… possono … revocare gli
accertamenti”.
Il primo scoglio affrontato fu
quello interpretativo: infatti, la
parola “possono”, secondo gli Uffici Finanziari, stava a significare
una mera facoltà posta alla loro
libera discrezione e non un preciso obbligo.
IL GIORNALE
DEL REVISORE
La sentenza penale ha
autorità di cosa giudicata
nel processo tributario?
Secondo tale interpretazione le
Commissioni Tributarie (ovverossia i Giudici) avevano l’obbligo di adeguarsi alle Sentenze dei
Tribunali mentre gli Uffici avevano la più ampia discrezionalità.
È evidente che tale interpretazione cozzava con la logica e con le
più elementari norme del diritto.
Infatti la Corte Costituzionale,
interessata della problematica da
diverse Commissioni Tributarie
emise una Sentenza (n° 120 del
5-23 settembre 1992) interpretativa del 2° comma dell’articolo
12 con la quale si affermava che
la parola “possono” va intesa come
“avere il potere” e, quindi, il “dovere” di adeguarsi alla sentenza
penale. In sintesi l’unica attività
degli Uffici Finanziari, secondo
questa interpretazione, era quella
di riscontrare se i fatti posti a fondamento della pretesa tributaria
fossero i medesimi deliberati con
la sentenza penale, nonché verificare il passaggio in giudicato di
quest’ultima. Dopo di che all’Amministrazione Finanziaria
non rimaneva altro da fare che
revocare l’accertamento.
8
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
La situazione sembrava chiarita
ma, di lì a poco, veniva sollevato
un nuovo dubbio. Il nuovo codice di procedura penale, emanato
nel 1988, e, quindi, dopo la legge
n° 516/82 prevede, all’articolo
654, dei limiti alla efficacia della
sentenza penale nei giudizi civili e
amministrativi. La principale limitazione è relativa alla formazione della prova. In particolare si affermava che nel processo penale la
prova testimoniale è ammessa
mentre in quello tributario – sia
nella vecchia veste (articolo 35 del
D.P.R. n° 636/72) che nella nuova (articolo 7 del D. Leg.vo n°
546/92) – ciò è espressamente vietato con la conseguenza che se
una sentenza penale si basa sulla
decisiva prova testimoniale – magari di Ufficiali di Polizia Giudiziaria – questa non fa “stato” ai fini fiscali. Altra limitazione importante, sempre prevista dall’articolo
654 del c.p.p., è che la sentenza fa
stato per l’imputato e per la parte
civile che si sia costituita. Nel procedimento penale è la Procura
della Repubblica (il Pubblico Ministero) che sostiene l’accusa nei
confronti dell’imputato mentre
l’Amministrazione Finanziaria ha
facoltà – quasi mai esercitata visto
l’intervento della Procura – di co-
stituirsi parte civile con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato. Tutto ciò determina che
l’imputato viene, comunque, processato – anche in caso di contumacia – e, in caso di sua condanna, la sentenza fa stato; mentre
l’Amministrazione Finanziaria –
non costituitasi parte civile – in
caso di assoluzione dell’imputato,
si trova nella condizione che quella sentenza non sia a lei opponibile. Come principio giuridico è
senz’altro da scartare.
Infatti la Corte Costituzionale,
nuovamente investita della problematica dalle Commissioni
Tributarie si trovò a decidere sul
caso seguente. Una ditta individuale, sottoposta ad accertamento, era fallita e non aveva proposto impugnazione presso la competente Commissione Tributaria.
Per i medesimi fatti il titolare era
stato assolto dal tribunale con la
formula ampia. Il curatore fallimentare – sebbene l’accertamento fosse divenuto definitivo per
mancata impugnazione – vistasi
notificare la cartella esattoriale,
aveva impugnato quest’ultima
presso la Commissione Tributaria sostenendo che se quei fatti,
posti a base dell’accertamento fiscale, erano stati giudicati insussistenti dal Giudice penale non si
vedeva per quale ragione il Fisco
continuasse nella sua, infondata,
pretesa. La Corte Costituzionale
(Sentenza n° 264 del 23 luglio
1987) accolse la tesi del curatore
fallimentare affermando che se il
contribuente non ha commesso
la violazione fiscale – fatto accertato con sentenza penale passata
in giudicato – non ha il dovere di
pagare i tributi. In caso contrario
si sarebbero violati i principi basilari di eguaglianza e di capacità
contributiva sanciti dagli articoli
3 e 53 della Costituzione.
Circa l’obbligatorietà, o meno,
della Pubblica Amministrazione
– quindi degli Uffici Finanziari –
di prestare acquiescenza alla sentenza penale passata in giudicato
questa volta la Consulta fece riferimento alla legge quadro della
P.A. (n° 2248 del 1865 - Allegato “E” - articolo 4) ove si afferma
che i dipendenti pubblici hanno
l’obbligo di uniformarsi “alle sentenze dei Tribunali”.
La Sentenza n° 264/97 della Corte Costituzionale ha, quindi, portata molto ampia legando l’obbligo dei Funzionari statali di adeguarsi alla sentenza penale al fatto
stesso di essere dipendenti della
P.A. Il tutto a prescindere da questa o quella legge fiscale e dalla
successione delle leggi nel tempo.
A quel punto il Dipartimento delle Entrate del Ministero delle Finanze ha emanato la Circolare n°
195/E, appunto del 1997, con la
quale si afferma che “… l’esercizio
del potere di annullamento in via
di autotutela trova un limite insuperabile nel giudicato e cioè nell’esistenza di una sentenza passata
in giudicato … e, pertanto, all’Amministrazione, come a chiunque altro, non resta che darvi
puntuale ottemperanza”. Ci sarebbe da aggiungere: finalmente!
Infine la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili (13
luglio-24 settembre 1998) ha stabilito che le Sentenze interpretative della Consulta “… non possono essere disconosciute dai Giudici che, ove non ne condividessero
gli indirizzi, non avrebbero altra
soluzione che sollevare, nuovamente, la questione di incostituzionalità”. Fatto, quest’ultimo,
che nel caso di specie è già avvenuto per ben due volte e, in entrambi i casi, è stato risolto nel
senso sopra descritto. A questo
punto la situazione sembrava defi-
9
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
nitivamente risolta ma, nell’anno
2000, la Legge n° 516/82 è stata
sostituita dal D. Leg.vo n° 74 del
10 marzo 2000 e, quest’ultimo,
non ripropone, nemmeno in maniera indiretta, l’obbligo previsto
dall’art. 12 della vecchia norma.
Così, immediatamente, si sono
innalzate le voci di coloro i quali
pretendono che la sentenza penale non fa più stato nel processo tributario. E la Sentenza n° 264/97
della Corte Costituzionale? E la
legge n° 2248/1865? E
l’obbligo dei dipendenti
delle P.A. di uniformarsi
L’EMANAZIONE
alle sentenze dei tribunaDEL D.LGS. N. 74/2000
li? Sono stati dimenticati
nuovamente.
HA RIPROPOSTO IL
Prima che qualche altra
PROBLEMA, IN QUANTO
Commissione Tributaria
NON RIPRODUCE
sollevi, per la terza volta,
la problematica presso la
L’OBBLIGO DI CUI
Consulta il Signor MiniALL’ARTICOLO 12 DELLA
stro dell’Economia e delle Finanze non reputa
PRECEDENTE NORMA
opportuno emanare un
Decreto del seguente tenore: “La sentenza irrevocabile di
condanna o di proscioglimento
pronunciata in seguito a giudizio
relativo a reati previsti in materia
fiscale ha autorità di cosa giudicata nel processo tributario per
quanto concerne i fatti materiali
che sono stati oggetto del giudizio
penale. In tali circostanze l’Amministrazione Finanziaria ha l’obbligo di revocare l’accertamento
emettendo provvedimento di autotutela ai sensi del combinato
disposto dell’articolo 2/quater
della legge n° 656 del 30 novembre 1994 e del D.M. n° 37
dell’11/02/1997”?
Non pensa, Signor Ministro, che
in questa maniera i rapporti tra
Stato e cittadino possano migliorare ed essere improntati a reciproco rispetto?
Michele Del Castello
IL GIORNALE
DEL REVISORE
ACCESSO ALLA BANCA DATI DEL
CONTENZIOSO TRIBUTARIO:
I REVISORI SOGGETTI ABILITATI
v
engono frequentemente richieste informazioni sulla possibilità del Revisore Contabile
non anche iscritto in albi professionali di rappresentare la propria clientela nanti le commissioni tributarie.
È un problema che nasce in virtù
dell’esistenza di vecchie normative in disuso, invigorite da ottusi
“concorrenti” in cerca di esclusive
che non hanno, per cui torna agevole pescare nel torbido.
Al fine di chiarire una volta per
tutte l’annoso problema pubblichiamo integralmente la circolare del Ministero delle Finanze n.
26/E del 16 marzo 2001, per
quella parte che ci interessa, che
pone fine a ogni equivoco e noi
speriamo una volta per tutte.
D’altro canto sarebbe semplicemente assurdo disconoscere al
Revisore Contabile tale diritto
dal momento che il D.L. 31 dicembre 1992 n. 545 istitutivo
dell’ordinamento degli organi
speciali di giurisdizione tributa-
ria riconosce al Revisore Contabile il diritto a essere componente delle Commissioni Tributarie
stesse, per cui non si vede perché
non possa essere anche difensore
della propria clientela.
Raccomandiamo ai nostri associati di segnalarci tempestivamente
eventuali comportamenti difformi da parte delle Commissioni
Tributarie per consentirci il tempestivo intervento presso competenti organismi di difesa non
escluso il Ministero delle Finanze.
Il servizio è operativo dal 20 marzo 2001
Contenzioso tributario consultabile via Internet
(Circolare Finanze 26E/2001)
A partire dal 20 marzo 2001 tutti i soggetti già abilitati all’invio telematico delle dichiarazioni periodiche possono accedere alla banca dati del contenzioso tributario, inserita nel servizio telematico dell’Agenzia delle entrate.
Munendosi del prerequisito dell’abilitazione potranno inoltre accedere al servizio i soggetti abilitati all’assistenza
tecnica dinanzi alle Commissioni tributarie, in particolare - i soggetti indicati nell’articolo 63, terzo comma del
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (impiegati dell’Amministrazione finanziaria ed Ufficiali della Guardia di finanza);
- i dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel CNEL ed i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate, limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o
loro controllate. Successivamente il servizio verrà esteso anche ad altre “parti” dei rapporti in contenzioso. Con la
circolare 26E del 16 marzo 2001 il ministero delle Finanze indica la procedura di acceso tramite tecnologie web
e le caratteristiche della banca dati del contenzioso tributario. L’estensione della telematica al contenzioso tributario, che segue alla trasmissione via Internet delle dichiarazioni fiscali, mira a realizzare uno degli obiettivi strategici della riforma dell’Amministrazione finanziaria, la semplificazione e la razionalizzazione della struttura fiscale, per migliorare la qualità della comunicazione e dei servizi erogati. Il provvedimento illustra inoltre il contesto
d’uso, la visibilità dei dati sia per quanto attiene ai giudici tributari, accessibile a tutti, per evidenti ragioni di riservatezza, solo a chi è direttamente interessato e può introdurre gli specifici dati di riconoscimento; è infine attivo
un servizio di assistenza. I vantaggi derivanti dal nuovo servizio sono evidenti per gli uffici, che dovrebbero verificare una sostanziale diminuzione dei carichi di lavoro derivanti dalle informazioni richieste allo sportello dai soggetti coinvolti nel processo tributario; anche i professionisti potranno senza dubbio avvantaggiarsi ricorrendo al
nuovo strumento ed evitando lunghe attese e dalla possibilità di seguire in tempo reale l’andamento dell’iter processuale per ottenere informazioni sullo stato di trattazione del ricorso. (28 marzo 2001)
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
MINISTERO DELLE FINANZE. CIRCOLARE N. 26/E DEL 16 MARZO 2001
– OGGETTO: ACCESSO ALLA BANCA DATI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO
TRAMITE TECNOLOGIE WEB.
In attuazione delle disposizioni recate dall’art. 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, tutte le Commissioni tributarie provinciali e regionali sono state dotate di un sistema informativo per l’automazione delle attività svolte dalle proprie segreterie
e per il monitoraggio del contenzioso tributario.
Le procedure automatizzate per la gestione dei ricorsi e dei ricorsi in appello attengono all’attività pre-udienza (ricezione
atti e caricamento dati dei ricorsi, gestione dei decreti presidenziali, assegnazione dei ricorsi alle sezioni, avvisi di trattazione, composizione del collegio giudicante), all’attività post-udienza (acquisizione esito trattazione e deposito della sentenza,
comunicazione dei dispositivi alle parti, giudizio di ottemperanza) e alla gestione di altre attività.
L’inserimento dei dati effettuato per l’espletamento delle suddette attività dal personale di segreteria delle Commissioni tributarie determina la produzione di una banca dati che, a partire dal 20 marzo 2001, per mezzo del servizio telematico dell’Agenzia delle Entrate, sarà messa a disposizione di soggetti esterni, che da postazioni remote potranno usufruire di servizi
di interrogazione.
L’estensione della telematizzazione al contenzioso tributario, che segue alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali, è mirata alla realizzazione di uno degli obiettivi strategici della riforma dell’Amministrazione finanziaria, vale a dire la
semplificazione e la razionalizzazione della struttura fiscale, nell’ottica del miglioramento della qualità della comunicazione e
dei servizi erogati.
Con la presente circolare, predisposta d’intesa con il Ministero delle Finanze - Direzione Generale degli Affari Generali e
del Personale, che presiede all’organizzazione delle Commissione tributarie, vengono illustrate le procedure di accesso tramite tecnologie web e le caratteristiche della banca dati del contenzioso tributario.
SOGGETTI ABILITATI
Considerato che norme primarie e decreti dirigenziali già disciplinano l’utilizzo del servizio telematico, in questa prima fase,
gli utenti che potranno interrogare la base informativa del contenzioso tributario saranno le seguenti categorie di soggetti abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni:
• gli iscritti nell’albo dei dottori commercialisti;
• gli iscritti nell’albo dei ragionieri e dei periti commerciali;
• gli iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro;
• gli iscritti negli albi degli avvocati;
• gli iscritti nel registro dei revisori contabili di cui al Decreto legislativo 21 gennaio 1992, n. 88;
• gli iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio
o equipollenti o diploma di ragioniere;
• le associazioni o società semplici costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni in cui
almeno la metà degli associati o dei soci è costituita da soggetti indicati all’art. 3, comma 3, lettere a) e b) del D.P.R. 322/98.
Gli utenti incontrati in tali categorie sono, nella maggior parte dei casi, gli abilitati presso l’Agenzia delle Entrate a trasmettere in via telematica le citate dichiarazioni fiscali e sono altresì abilitati al patrocinio dei loro clienti presso le Commissioni tributarie provinciali e regionali.
Coloro, invece, che non sono in possesso del prerequisito della succitata abilitazione alla trasmissione telematica, potranno richiedere l’autorizzazione ad accedere presso la banca dati del contenzioso tributario alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate competente in base al proprio domicilio fiscale, oppure agli Uffici locali e agli altri Uffici operativi individuati da ciascuna Direzione regionale.
In particolare, potranno chiedere l’accesso alla predetta banca dati i seguenti soggetti abilitati all’assistenza tecnica dinanzi alle Commissioni tributarie, in quanto iscritti negli appositi elenchi tenuti dalle Direzioni regionali dell’Agenzia delle Entrate di cui al D.M. 18 novembre 1996, n. 631:
• soggetti indicati nell’articolo 63, terzo comma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (impiegati dell’Amministrazione finanziaria e Ufficiali della Guardia di finanza);
• dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel CNEL e i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate,
limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate.
11
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
IL GIORNALE
DEL REVISORE
ELETTO IL NUOVO CONSIGLIO
NAZIONALE INRC
Bertolli
Modesto
Presidente
Boreatti
Andrea
Baresi
Virgilio
Segretario
Generale
Basso
Agostino
Tesoriere
Vice
Presidente
Carnessale
Gaetano
Simone
Michele
Vice
Presidente
Vice
Presidente
Fontana
Paolo
Mastroianni
Andrea
Vice
Segretario
Vice
Segretario
Sanfilippo
Giuseppe
Vice
Segretario
Bertolli
Gianluigi
Consigliere
Cari amici,
penso che, una volta tanto, si abbia il diritto di uscire “dal guscio” sia pure con riservata circospezione così come la prudenza
della lumaca consiglia.
È, oggi, anche una necessità organizzativa perché il nostro “silenzio” impostoci dalla scadenza
di termini statutari è stato volentieri interpretato come l’agonia
del morituro.
No, amici ed avversari, siamo
qui, vivi e vegeti e come potete
riscontrare ringiovaniti e rinvigoriti da forze nuove e prestigiose giacché ad una famiglia in
costante aumento serve il rinnovarsi, il rendersi conto che a
maggiori numeri corrisponde
maggiore efficienza, necessario
adeguamento al mondo che
cammina.
Sento prima di tutto il bisogno
di un caloroso sentito sincero
ringraziamento a tutti i consiglieri che hanno sino a qui lottato per le nostre fortune perché a
loro si deve l’immagine attuale
del nostro istituto, le fortune del
quale ci vengono confermate
dalla stima e considerazione da
ogni parte trapelanti, financo da
parte dei più diretti “concorrenti” qualche volta costretti a fare
buon viso a cattivo gioco.
A tutti ribadiamo, sino alla noia,
che noi siamo aperti alla più ampia sincera collaborazione purché si operi alla difesa degli interessi di chi si rappresenta.
Ai nuovi arrivati diciamo siate i
benvenuti nella nostra famiglia
che crede nell’apporto della Vostra prestigiosa collaborazione destinata ad incutere sempre maggiore soggezione in quanti sperano nelle nostre capacità di tutela
ed affermazione della novella professione del Revisore Contabile.
Ciò che ci attende domani è
compito non facile proteso alla
formazione del futuro Revisore
per cui il nostro dovere sarà principalmente quello della formazione professionale del Revisore,
del suo aggiornamento nel tempo attraverso corsi di formazione
prima e di perfezionamento poi
perché noi riteniamo che il suo
riconoscimento, il suo prestigio
derivino appunto dalla sua preparazione culturale, professionale, morale e deontologica. Noi
non apparteniamo alla categoria
De Muzio
Giovanni
Battista
Genta
Giandomenico
Mazzilli
Santino
Mirone
Antonio
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
IL GIORNALE
DEL REVISORE
12
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
CONSIGLIERI REVISORI PROBIVIRI
Bertolli
Baresi
Boreatti
Basso
Carnessale
Simone
Fontana
Mastroianni
Sanfilippo
Bertolli
De Muzio
Genta
Mazzilli
Mirone
Pollini
Procaccini
Scognamiglio
Tonucci
Modesto
Virgilio
Andrea
Agostino
Gaetano
Michele
Paolo
Andrea
Giuseppe
Gianluigi
Giovanni Battista
Giandomenico
Santino
Antonio
Massimo
Ubaldo
Gaetano
Mario
Presidente
Segretario Generale
Tesoriere
Vice Presidente
Vice Presidente
Vice Presidente
Vice Segretario
Vice Segretario
Vice Segretario
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Franco
Massimino C.
Francesco G.
Lorenzo
Diego
Effettivo
Effettivo
Effettivo
Supplente
Supplente
Scognamiglio
Gaetano
Tonucci
Mario
Consigliere
Consigliere
Bordanzi
Franco
D'Amico
Massimino C.
Revisore
effettivo
Revisore
effettivo
Zorzoli
Francesco G.
Giacomelli
Lorenzo
Revisore
effettivo
Revisore
supplente
Morana
Diego
Cristiano
Adolfo
Revisore
supplente
Probiviro
effettivo
Guerra
Goffredo
Vitello
Eugenio
Probiviro
effettivo
Probiviro
effettivo
Cesta
Manuela
Pontesilli
Carlo
Probiviro
supplente
Probiviro
supplente
REVISORI
Bordanzi
D'Amico
Zorzoli
Giacomelli
Morana
PROBIVIRI
Cristiano
Guerra
Vitello
Cesta
Pontesilli
Adolfo
Goffredo
Eugenio
Manuela
Carlo
dei sostenitori dell’assioma “molti
nemici, molto onore”, ma la circostanza di risvegliare tanta gelosia è conferma indiretta della nostra presenza sul “mercato” per altro sempre più rimarcata e fastidiosa come un sassolino nella
scarpa di quanti ci vogliono male.
Anche in questa occasione voglia-
Effettivo
Effettivo
Effettivo
Supplente
Supplente
mo ribadire la nostra disponibilità
ad operare nel comune interesse
delle libere professioni consorelle
o meglio ancora di tutti i professionisti operanti nel settore convinti come siamo essere questa l’unica via da seguire per sopravvivere dignitosamente.
Modesto Bertolli
Pollini
Massimo
Procaccini
Ubaldo
Consigliere
Consigliere
13
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
IL GIORNALE
DEL REVISORE
LA TASSAZIONE AGLI
EFFETTI IRPEF DEGLI IMMOBILI
STORICO ARTISTICI
i
n questi ultimi tempi, la controversia che si è instaurata tra l’Amministrazione Finanziaria ed in
particolare quella fiscale dello Stato si è ulteriormente acuita, nei
confronti dei contribuenti che sono possessori di abitazioni ovvero
immobili di interesse storico ed
artistico di cui alla Legge
01.06.1939 n. 1089, allorché i
beni sono soggetti a locazione.
Secondo la tesi dell’Amministrazione Fiscale in caso di locazione, gli immobili di cui alla Legge
n. 1089/1939 sono soggetti alla
disciplina di cui all’art. 1, comma 2, lett. a) della Legge 9 dicembre 1998 n. 431 e non all’art. 11, comma 2 della Legge
30 dicembre 1991 n. 413.
Di conseguenza debba essere
soggetto a tassazione il canone di
locazione dell’immobile “storico” con i contemperamenti e riduzioni di cui all’art. 8 della Legge n. 431/98, in relazione a come detto innanzi, in relazione all’art. 1, comma 2, lett. a) della
Legge n. 431 medesima, i contribuenti, di contro, si poggiano
sul fatto che l’art. 11, comma 2
della Legge 30 dicembre 1991
n. 413 stabilisce che in ogni caso il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico ed
IL GIORNALE
DEL REVISORE
Non accenna a sopirsi
il contenzioso sulla
interpretazione
dell’art. 11, comma 2,
della Legge
30 dicembre 1991 n. 413
artistico è determinato mediante
l’applicazione della minore tra le
tariffe d’estimo previste per le
abitazioni della zona censuaria
nella quale è collocato il fabbricato. Sull’interpretazione di questa norma ed in particolare sulla
locuzione “in ogni caso” utilizzata dal legislatore si è instaurato
un ampio contenzioso che non
accenna a sopirsi.
La Suprema Corte di Cassazione, con Sentenza n. 2442 del 18
marzo 1999 ha statuito che la
portata dell’art. 11 della Legge n.
413/91 non poteva essere all’ipotesi dell’immobile sfitto, poiché il dato testuale, che recita,
“in ogni caso il reddito degli immobili” ha portata generale e deve essere applicata anche agli immobili locati.
Anche il Consiglio di Stato, adito a seguito di una ordinanza del
T.A.R. del Lazio, con ordinanza
n. 1913 del 18 aprile 2000 ha
14
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
confermato la declaratoria di illegittimità delle istruzioni, impartite per la compilazione del
Mod. 730, poiché è da ritenersi
erroneo il procedimento, relativo alla distinzione tra immobili
sfitti ed immobili locati, in materia di IRPEF su immobili storico-artistici.
Con nota del 21 aprile 2000, il
Dicastero delle Finanze è intervenuto nella controversa materia, per rettificare la propria restrittiva interpretazione, a seguito dei diversi pareri giurisprudenziali, arrivando, pur tuttavia,
alla conclusione che l’unico effetto da essi apportato è quello
della eliminazione delle sanzioni
per gli accertamenti, operati su
questo rilievo fino all’anno1997.
Infatti secondo l’Amministrazione Finanziaria, a partire dall’anno 1998, con l’entrata in vigore
della Legge 9 dicembre 1998 n.
431, cambia lo scenario normativo, disponendosi che il canone
contrattuale degli immobili storici viene diminuito del 50%
quando il contratto è stipulato
sul modello convenzionale, stabilito in sede locale, dalle Associazioni Sindacali dei proprietari
e degli inquilini ed in assenza di
contratto convenzionale, l’impo-
nibile è quello ordinario del canone maturato.
Siffatta tesi ministeriale è stata
confutata nel senso che se l’art.
1, comma 2, lett. a) della Legge
n. 431/98 stabilisce che per i
contratti di locazione degli immobili storici, la disciplina della
riduzione del 30% del reddito
fondiario si applica solo se è stato stipulato contratto “convenzionale”; ne consegue che in
mancanza di quest’ultimo, il
reddito è pari alla minore delle
tariffe d’estimo, previste per le
abitazioni della zona censuaria,
nella quale è collocato il fabbricato.
Anche per l’anno 2001 la situazione, relativa alle istruzioni per
la compilazione del Mod. 730 si
è ripetuta ed ancora il Consiglio
di Stato con ordinanza n. 2743
dell’8 maggio 2001 ha chiarito
che non solo l’imponibile agli effetti IRPEF degli immobili soggetti a vincolo storico-artistico
(Legge n. 1089/1939) è costituito dalla rendita catastale, derivante dall’applicazione della tariffa d’estimo minima per le abitazioni della zona censuaria, nella quale è collocato il fabbricato,
ma che anche le istruzioni ministeriali, per la compilazione del
Mod. 730 vanno modificate in
tal senso. Pertanto il Dipartimento delle Entrate, in seguito
alla predetta Ordinanza del
Consiglio di Stato, ha emanato il
provvedimento 25 maggio 2001
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 29 maggio 2001)
adeguando le istruzioni alla Ordinanza della Suprema Magistratura Amministrativa, lasciando,
pur tuttavia, agli Uffici la valutazione di ogni caso concreto, anche di provvedere alla notifica di
appositi avvisi di accertamento,
nelle forme ordinarie, per il recupero di maggiori imposte (art.
37 e segg. del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600). La materia
non ha trovato ancora una definitiva sistemazione, pur dovendo convenire che l’Amministrazione Finanziaria ha mutato
orientamento, nel senso che ha
abbandonato il sistema del recupero formale e liquidazione automatica, in quanto la riscossione delle maggiori imposte e delle sanzioni potrà avvenire solo
attraverso le procedure del contenzioso tributario.
È appena il caso di rilevare che la
VI Sezione della Commissione
Tributaria Provinciale di Padova,
con sentenza emessa nel 2001 ed
in controtendenza con quanto
sopra esposto, ha accolto il ricorso della locale Agenzia delle Entrate, in relazione alla interpretazione di cui all’art. 11, comma 2
della Legge 30 dicembre 1991
n. 413. In particolare l’Agenzia
delle Entrate, in applicazione della circolare n. 7 emanata dal Dipartimento in data 10 luglio
1993, ha calcolato l’imponibile
quale reddito effettivo, il canone
di locazione per gli immobili di
interesse storico-artistico di cui
alla Legge 1.6.1939 n. 1089.
L’Ufficio Tributario rilevava che le
eventuali agevolazioni, comprese
quelle di cui all’art. 11, comma 2
della Legge 30/12/1991 n. 413
spettassero solo nel caso in cui
l’immobile fosse sfitto.
La Commissione Tributaria di
Padova-Sez. VIa ha condiviso la
posizione assunta dall’Ufficio
delle Entrate, rilevando che
l’art.11, comma 2 della predetta
Legge n. 413/91 stabilisce che
“in ogni caso” il reddito degli
immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi del-
15
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
l’art. 3 della Legge 1 giugno
1939 n. 1089 e successive modificazioni ed integrazioni, è determinato mediante l’applicazione
della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è
collocato e che la dicitura “in
ogni caso” non va interpretata
con il significato che tali edifici
sono soggetti alla minore delle
rendite catastali anche nel caso
di un maggiore canone di locazione.
Il reddito dei fabbricati, prosegue la Commissione Tributaria
Patavina, viene calcolato in base
a tariffe d’estimo e in base a contratto di locazione: mentre nel
primo caso si tratta di un reddito “fittizio”, nel secondo caso, la
locazione costituisce un reddito
effettivo, che viene percepito dal
contribuente.
Trattandosi di immobili affittati,
viene evidenziato il canone di locazione, altrimenti si considera
la rendita catastale.
Gli immobili storici o artistici di
cui alla Legge n. 1089/1039 e
non affittati che hanno una rendita presunta che risulta agevolata per l’applicazione dell’art. 11,
comma 2 della Legge n. 413/91
e cioè determinata mediante
l’applicazione della minore tra le
tariffe d’estimo previste per le
abitazioni della zona censuaria
nella quale è collocato il fabbricato e trasferire tale agevolazione
anche nel caso di immobili storici locati, viene considerata dalla
Commissione Tributaria Provinciale di Padova “una forzatura
non prevista da nessuna norma
fiscale”.
Avremmo, conclude la Commissione Tributaria, un trattamento
discriminatorio in contrasto con
il principio costituzionale della
LA MATERIA
NON HA TROVATO
ANCORA
UNA DEFINITIVA
SISTEMAZIONE,
MA LA
RISCOSSIONE
DI MAGGIORI
IMPOSTE POTRÀ
AVVENIRE SOLO
ATTRAVERSO
IL CONTENZIOSO
IL GIORNALE
DEL REVISORE
Convenzione con Telecom Italia
per l’utilizzo di Internet
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alcune convenzioni al fine di ottenere servizi a condizioni vantaggiose per i propri iscritti. Particolare attenzione è stata rivolta alle tecnologie informatiche e alle telecomunicazioni, perché
esse rappresentano strumenti essenziali alla nostra attività.
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Attraverso Istituto Nazionale Revisori Contabili
Inviare le adesioni via mail a:
[email protected]
capacità contributiva nei confronti dei proprietari di immobili storici che non hanno, per varie ragioni, locato il proprio fabbricato. Questi verrebbero penalizzati, rispetto a coloro che usufruiscono di tali agevolazioni,
senza pagare nessuna imposta sul
reddito di locazione.
Secondo la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, poiché con sentenza n. 137/2/00
del 14 novembre 2000, statuisce
che l’applicabilità dell’art. 11,
comma 2 della Legge n. 413/91
è subordinata al fatto che compete al proprietario dell’immobile vincolato dimostrare di aver
preventivamente offerto allo Stato la possibilità di esercitare il diritto di prelazione, previsto dall’art. 30 della Legge n.
1089/1939. Il mancato assolvimento dei predetti obblighi di
legge determina la decadenza
dalle agevolazioni tributarie.
Insomma la materia è ancora in
fase di ebollizione, con decisioni
talvolta contrastanti e contraddittorie, motivo per cui il cittadino contribuente si trova ancora
una volta in seria difficoltà, per
l’esercizio di un serio comportamento fiscale e tributario.
A parere di chi scrive, al caso di
specie possa essere applicata la
norma di cui all’art. 6 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997
n. 472, che al 2° comma così recita: Non è punibile l’autore della violazione, quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e
sull’ambito di applicazione delle
disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza
delle richieste di informazioni o
dai modelli per la dichiarazione e
per il pagamento.
Francesco Arcadio
DOMANDA DI ISCRIZIONE
Io sottoscritto.............................................................................................................................................
nato a.........................................................................................................................................................
I N V I A R E V I A FA X O S P E D I R E A L L A S E D E D I M I L A N O (Scrivere possibilmente in stampatello)
Cod. Fisc................................................................. Partita IVA ..............................................................
residente a...................................................................................................... CAP .................................
Via/Piazza...................................................................................................... Civ. ..................................
Tel. ............../..................................... Fax ............/.................................. E-mail ...................................
con studio in .................................................... Via/Piazza.......................................................Civ. .........
Tel. ............../..................................... Fax ............/.................................. E-mail ...................................
iscritto nel Registro dei Revisori Contabili di cui al D.Lgs. 27.01.1992, n° 88
dal ....................................... con D.M. .................................. (G.U. n° ........ del ..............................)
chiedo
di essere iscritto all’Istituto Nazionale Revisori Contabili dichiarando di ben conoscere, e accettare incondizionatamente, le
norme dello Statuto e del Regolamento dell’Istituto. Conseguentemente mi obbligo al pagamento sia della quota di iscrizione
“una tantum” sia della quota annuale, sia di ogni altra contribuzione, anche straordinaria, nella misura e nei termini che verranno statutariamente stabiliti e mi impegno di assolvere all’obbligo di detti pagamenti finché non cesserò di appartenere all’Istituto per dimissioni volontarie o per altra causa statutariamente disciplinata.
Dichiaro infine che “l’attestato di iscrizione”, “il timbro nominativo” e la “Tessera Personale di riconoscimento” - che potranno essermi forniti - sono di proprietà dell’Istituto Nazionale Revisori Contabili e dovranno essere da me restituiti all’Istituto stesso a semplice richiesta.
In particolare mi obbligo a comunicare, senza indugio, all’Istituto i cambiamenti di indirizzo e dell’utenza telefonica e a
restituire, e comunque a non usare né utilizzare, l’attestato, il timbro e la tessera nel caso di cessazione della mia appartenenza all’Istituto ai sensi dell’art. 6 dello Statuto Sociale e ciò a partire dalla data di cessazione.
Data ........................................................
(firma autografa)
In ottemperanza alle prescrizioni della legge n. 675/1996, Vi autorizzo espressamente a inserire le informazioni contenute nel presente modulo nel database informatico, conservato presso la sede di Milano, degli Iscritti all’associazione, che potranno chiederne la consultazione.
Autorizzo l’utilizzo delle sole informazioni strettamente attinenti l’esercizio della professione, nel contesto di pubblicazioni e materiale divulgativo di varia natura, finalizzati a promuovere l’attività dell’Istituto e a diffonderne la conoscenza tra i soggetti con i quali l’Istituto stesso intrattiene rapporti utili
per il raggiungimento dei propri scopi statutari.
Compilare anche sul retro
10.2001
firma
Q U O T E A S S O C I AT I V E
-
Quota iscrizione “una tantum”
Lit.
50.000.=
Lit.
250.000.=
(solo all’atto dell’iscrizione) comprensiva dell’attestato
nominativo e del distintivo argento 800 (diam. 12 mm)
-
Quota associativa annuale
comprensiva della Tessera di Riconoscimento e vetrofania annuale auto
(per le adesioni pervenute dal 1° ottobre al 31 dicembre la quota associativa è
attribuita all’anno successivo ed è comprensiva del periodo dell’anno in corso
al momento del pagamento)
Grazie alla convenzione stipulata con Finemiro, l’iscrizione dà diritto a ricevere gratuitamente la carta di credito
personale. Per riceverla è sufficiente compilare e inviare il modulo che troverà sul sito: www.revisori.it
RIMBORSI DAI SOCI PER SERVIZI
(franco destinatario)
- Timbro nominativo preinchiostrato con il logo dell’I.N.R.C.
- Distintivo in oro 750
- Distintivo in oro 750
- Distintivo in argento 800
- Medaglione argentato
- Medaglione in bronzo
- Attestato nominativo
(diam. mm. 37)
(diam. mm. 18)
(diam. mm. 12)
(diam. mm. 12)
(diam. mm. 70)
(diam. mm. 70)
(mm. 420x295)
Lit.
“
“
“
“
“
“
100.000.=
150.000.=
70.000.=
35.000.=
50.000.=
45.000.=
50.000.=
TESSERE DI RICONOSCIMENTO DELL’ISTITUTO
Le tessere di riconoscimento rilasciate agli associati verranno corredate dalla foto del titolare. Gli associati dovranno far pervenire alla Sede
dell’Istituto due fotografie formato tessera a colori allegando fotocopia di un documento di identità personale, in corso di validità, munito
di fotografia. Il numero della tessera andrà sempre riportato nelle comunicazioni con l’Istituto.
RIEPILOGO VERSAMENTI QUOTE E RIMBORSI
❏ Quota associativa
❏ Quota iscrizione “una tantum”
❏ Rimborso spese attestato
❏ Rimborso spese timbro nominativo
❏ Distintivo
❏ ...............................................
Versamento di L. .............................. effettuato in data .............................. sul c/c n. 952140
della Banca Popolare di Crema (ABI 05228 - CAB 01660). Si prega non utilizzare altre forme di pagamento.
10.2001
LO STATO DI
INSOLVENZA
DELLA SOCIETÀ
COOPERATIVA
Ultima parte
DI GIOVANNI CONTI
Il testo è stato pubblicato
nel corso di più numeri sempre
nelle pagine centrali
per consentirne la raccolta.
SOMMARIO DELL’OPERA:
1. Dell’insolvenza in generale.
2. L’insolvenza dell’imprenditore: il fallimento.
3. La specialità dell’economia
sociale: la liquidazione coatta
amministrativa.
4. Le peculiarità dell’impresa
cooperativa.
5. Il principio di prevenzione.
6. L’accertamento giudiziale preventivo dello stato di insolvenza:
il processo ex art. 195 l.f.
7. (Segue): l’iniziativa
per la dichiarazione giudiziale
dell’insolvenza.
8. (Segue): le conseguenze
della dichiarazione giudiziale
dell’insolvenza.
9. (Segue): il parere
dell’autorità di vigilanza.
10. L’accertamento
amministrativo dell’insolvenza:
l’insufficienza patrimoniale.
11. (Segue): la vigilanza
amministrativa sulla società
cooperativa.
12. Liquidazione coatta
amministrativa e scioglimento
per atto d’autorità.
13. I limiti dell’iniziativa
del debitore.
14. (Segue): l’impresa
cooperativa in liquidazione
ordinaria.
15. (Segue): l’impresa
cooperativa in gestione
commissariale.
16. L’accertamento giudiziale
successivo dello stato
di insolvenza: il processo
ex art. 202 l.f.
17. L’unitarietà dell’insolvenza.
Ma vediamo più in dettaglio i contenuti dell’iniziativa volta alla dichiarazione giudiziale dell’insolvenza, preventiva rispetto al provvedimento di l.c.a., del quale la suddetta dichiarazione costituisce un presupposto.
La legge prevede due ipotesi.
C’è anzitutto l’iniziativa assunta dai creditori. In questo caso, e per quanto si è
detto, essa può essere, indifferentemente, diretta a ottenere una dichiarazione di fallimento ovvero, sul presupposto che l’impresa non sia di natura
commerciale, la dichiarazione del suo
stato di insolvenza, per poi ottenere, a
opera dell’autorità amministrativa competente, l’apertura della procedura di
l.c.a.
Dal punto di vista del creditore, l’iniziativa ex art. 195 l.f. non presenta caratteri
differenziali apprezzabili rispetto a quella fallimentare. In entrambi i casi siamo
di fronte a un creditore insoddisfatto che
reclama il pagamento del proprio credito e sollecita l’apertura di un regime
concorsuale, a prescindere dalla natura
e dall’attività esercitata dall’impresa. Se
tale sollecitazione porterà all’apertura
del fallimento o alla dichiarazione dell’insolvenza non è questione collegata
all’iniziativa del creditore, ma alla natura
commerciale o non commerciale dell’impresa.
L’altra ipotesi è quella, pure prevista
dallo stesso art. 195, comma 7, che si
realizza quando il tribunale provvede
d’ufficio. La legge disciplina il caso in
cui, nel corso di una procedura di concordato preventivo o di amministrazione
controllata66, si verifichino le condizioni
che comporterebbero – se la legge non
lo escludesse – la dichiarazione di fallimento. Sono le situazioni previste, rispettivamente, dall’art. 173 (nel caso di
concordato preventivo) e dagli artt. 192
e 193 (nel caso di amministrazione controllata) della legge fallimentare.
Si tratta comunque di ipotesi limite, delle quali si comprende agevolmente la
ratio.
L’art. 173 predispone taluni strumenti
volti a evitare che il debitore, nel corso
di una procedura concordataria – quindi
utilizzando una situazione anche per lui
di favore – compia atti fraudolenti; e a
7
19
Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001
intervenire qualora si scopra che non
sussistevano le condizioni di ammissibilità del concordato. Si tratta di rilevare
l’esistenza di fatti o circostanze gravi
che, se fossero state conosciute, non
avrebbero mai consentito il favorevole
sbocco costituito dalla procedura concordataria.
Quella degli artt. 192 e 193 è invece la
naturale presa d’atto della negativa conclusione di un tentativo (l’amministrazione controllata) e quindi dell’esistenza
delle condizioni per la dichiarazione di
fallimento.
In presenza delle descritte situazioni, la
legge ammette che, anche quando l’impresa non sarebbe suscettibile di fallimento, possa essere dichiarata d’ufficio
l’insolvenza67. E, francamente, sarebbe
assai singolare il contrario; se cioè, in
presenza di una situazione concordataria e di un debitore che occulta il proprio
patrimonio o compie atti fraudolenti, non
fosse consentito un intervento efficace
e tempestivo da parte del giudice.
Alle stesse conclusioni si deve arrivare
qualora il tentativo di salvataggio dell’impresa, compiuto attraverso l’espediente dell’amministrazione controllata,
si concluda senza risultati, con la presa
d’atto dell’esistenza di una crisi irreversibile, che non può che concludersi con
la dichiarazione di fallimento o, nel caso, di uno stato di insolvenza.
Fuori dalle ipotesi menzionate, che per
loro natura appartengono comunque a
situazioni di confine, si può quindi dire
che, ordinariamente, i creditori appaiono gli unici soggetti titolari di un potere
di iniziativa per la dichiarazione giudiziaria dello stato di insolvenza, ex art.
195 l.f. Rispetto alla disciplina dell’art. 6
l.f., risultano quindi esclusioni assai significative.
Risulta privo di legittimazione il pubblico
ministero e ne risulta ugualmente privo
il debitore. Soprattutto quest’ultima
esclusione potrebbe apparire poco
comprensibile, se non addirittura come
una ingiustificata compressione del sistema delle garanzie.
Si è anche tentato di motivare la presunta ambiguità della scelta legislativa
osservando che, in realtà, il debitore
non avrebbe alcun interesse alla dichia-
IL GIORNALE
DEL REVISORE
LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA
razione giudiziaria della propria insolvenza68. Ma l’osservazione non sembra molto convincente in quanto, anche
nell’ambito della procedura fallimentare, la facoltà del debitore di chiedere il proprio fallimento è disposta nell’interesse dei creditori, in quanto inerzia o ritardi d’intervento
possono aggravare il pregiudizio da essi sofferto. Ed è
proprio questo il motivo per cui il legislatore ritiene addirittura doveroso che il debitore, di fronte a una situazione
di dissesto irreversibile, si affretti a richiedere il proprio
fallimento69.
È stato sollevato anche qualche dubbio sulla legittimità
costituzionale della norma, sulla base di una presunta
disparità di trattamento fra il debitore dell’impresa commerciale e quello dell’impresa sottratta al fallimento. Ma
l’eccezione è stata respinta dalla Corte costituzionale70. E
anche a nostro parere la decisione appare corretta.
Potremmo aggiungere che, anche nel sistema particolare previsto per le imprese non soggette a fallimento, il debitore conserva la possibilità di richiedere l’apertura di
una procedura concorsuale; nella specie, la l.c.a., con la
differenza che la relativa istanza sarà indirizzata non al
giudice, ma all’autorità amministrativa di vigilanza.
Il legislatore, insomma, ha ritenuto di confermare la tutela giudiziale dei creditori, anche nel caso di imprese sottratte al fallimento, e di riservare all’imprenditore non
commerciale, che ritenesse di sollecitare l’accertamento
del proprio stato di insolvenza, iniziative non giudiziarie,
ma non per questo inefficaci. Ricordiamo ancora che siamo di fronte a un sistema normativo speciale, che tiene
prioritariamente conto della natura prevalentemente pubblicistica degli interessi da tutelare, ma che non per questo deve essere interpretato come un sistema di minori
garanzie.
pimento può essere chiesto all’amministrazione che non
sia la sollecita apertura della procedura liquidatoria72.
Poiché il destinatario del precetto normativo è la pubblica amministrazione, la legge non prevede un termine per
l’adozione del provvedimento. Si ritiene comunque che il
diniego di provvedere, così come un ritardo ingiustificato,
che possa causare un danno all’integrità patrimoniale
della società o agli interessi tutelati dalla procedura, configuri specifiche responsabilità in capo alla stessa amministrazione.
L’accertamento giudiziario dell’insolvenza comporta
un’altra importante conseguenza, prevista dall’art. 203 l.f.
La legge, regolando appunto gli effetti dell’accertamento
giudiziale dello stato di insolvenza, dispone che, una volta intervenuta tale pronuncia giudiziale, si applicano, con
effetto dalla data del provvedimento di l.c.a., anzitutto le
disposizioni del titolo II, capo III, sezione III della legge
fallimentare; cioè le disposizioni riguardanti il regime degli atti compiuti in frode ai creditori.
Tali disposizioni conferiscono al commissario liquidatore
anzitutto il potere di esercitare le c.d. azioni revocatorie
fallimentari – soprattutto quelle, particolarmente efficaci,
previste dall’art. 67 l.f., primo comma, nn. 1, 2 e 3 – per
il ripristino dell’integrità patrimoniale della società a fronte di atti di disposizione compiuti nell’ultimo biennio e
che, salvo non si provi il contrario, si presumono compiuti in danno ai creditori.
L’art. 203, 3° comma, l.f. – operando espressamente un
rinvio all’art. 33 l.f. – prevede, inoltre, l’obbligo per il commissario liquidatore di riferire al pubblico ministero73 sulle
cause del dissesto e sulle eventuali responsabilità dell’imprenditore o di altri soggetti. Sarà poi lo stesso pubblico ministero a valutare l’opportunità di esercitare le
azioni penali a carico dei responsabili. Sempre a partire
dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione,
la dichiarazione giudiziale dell’insolvenza consente infatti l’applicazione di alcune delle più significative disposizioni penali contenute nel titolo VI della legge fallimentare74. Si tratta di reati che presuppongono l’esistenza di un
fallimento e di un fallito, cioè di uno status che si acquisisce con l’insolvenza e che, in forza della legge, si estende agli amministratori e ai sindaci, ai liquidatori75 e ai soci illimitatamente responsabili76.
Con la dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza si
opera, dunque, un significativo allineamento della procedura di l.c.a. con quella fallimentare. Restano naturalmente distinti la natura e i poteri del commissario liquidatore e, rispettivamente, del curatore fallimentare, ossia
degli organi di gestione della liquidazione, come pure dell’autorità vigilante; ma sia l’una che l’altra procedura appaiono idonee a garantire un medesimo grado di tutela
degli interessi dei creditori, anche, come si è detto, sotto
il profilo della perseguibilità – civile e penale – dei responsabili del dissesto.
Le conseguenze della dichiarazione giudiziale di
uno stato di insolvenza sono anch’esse contenute
nell’art. 195 l.f. e consistono nella necessità di disporre, come si è detto, la procedura di l.c.a.
Dice espressamente la legge (art. 195, 1° comma) che,
con la stessa sentenza o con successivo decreto, il giudice adotta i provvedimenti conservativi che ritenga opportuni nell’interesse dei creditori, fino all’inizio della procedura di liquidazione. La sentenza è comunicata (art.
195, 3° comma) entro tre giorni, a norma dell’art. 136
c.p.c., all’autorità competente perché disponga la liquidazione. Naturalmente, il termine dei tre giorni è da considerarsi puramente indicativo71, ma nessun dubbio sussiste sulla obbligatorietà dell’apertura della procedura di liquidazione coatta.
Si può aggiungere che, in questo caso, la l.c.a. trae la sua
legittimazione dal provvedimento giudiziario e non da
un’attività discrezionale della pubblica amministrazione. Si
ha pertanto motivo per ritenere che nessun ulteriore adem-
8
IL GIORNALE
DEL REVISORE
20
Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001
Dice ancora la legge – art. 195, 2° comma, l.f. – che
il giudice, nel caso di impresa assoggettabile alla
l.c.a. con esclusione del fallimento, prima di provvedere, deve sentire l’autorità governativa che ha la vigilanza sull’impresa77.
Nessun dubbio sussiste sull’obbligatorietà di tale adempimento, che costituisce un requisito essenziale di legittimità della sentenza78; e neppure sul fatto che trattasi di parere non vincolante per il giudice79.
Sussistono, però, talune questioni da chiarire, soprattutto
in ordine alla natura e al contenuto dell’intervento della
pubblica amministrazione che, a nostro parere, non riguarda un pronunciamento sullo stato di insolvenza dell’impresa, ma altre valutazioni che precedono l’accertamento giudiziale.
Questo si ricava da molteplici considerazioni.
Anzitutto è da escludere che l’organo amministrativo possa assumere la qualità di parte e intervenire, quindi, direttamente nel contraddittorio processuale80. Così come ci
sentiamo di escludere che il parere possa rivestire carattere testimoniale, cioè come una sorta di contributo, da fornire al giudice, di elementi genericamente utili per la decisione81.
Come si è già detto, l’accertamento giudiziale dell’insolvenza risulta connesso con una doppia problematica, di
natura processuale e sostanziale.
Dal punto di vista processuale, occorre distinguere le
istanze di fallimento da quelle proposte ai sensi dell’art.
195 l.f.; dal punto di vista sostanziale, occorre accertare la
natura dell’attività dell’impresa, al fine di stabilire se questa
risulta soggetta o non soggetta a fallimento.
Vediamo, in dettaglio, le singole ipotesi.
Quella meno problematica riguarda i casi in cui venga richiesto il fallimento di una società commerciale, quindi anche di una società cooperativa esercente un’attività commerciale. Qui il giudice potrà accertare subito l’esistenza di
uno stato di insolvenza e, nell’ipotesi affermativa, pronunciare il fallimento, senza che sia tenuto a interpellare alcuna pubblica amministrazione. Alle stesse conclusioni si deve arrivare anche nel caso in cui venga proposta, nei confronti di impresa commerciale, un’istanza di insolvenza, ex
art. 195 l.f., qualora il giudice ritenga di dover pronunciare
comunque il fallimento dell’impresa. Avendo escluso, come si è detto, che si possa respingere l’istanza, non resta
che concludere che, anche in questo caso, non esiste la
necessità della preventiva consultazione dell’organo amministrativo, in quanto non esiste, per la sentenza di fallimento, alcun adempimento di questa natura.
Non si esclude naturalmente – se l’istanza fallimentare è
proposta verso un’impresa assoggettabile alla l.c.a., ma
anche al fallimento – che il giudice possa nutrire dubbi sulla natura dell’impresa o sui contenuti dell’attività da essa
esercitata. In questo caso si comprende bene quale contributo possa venire dal parere dell’organo di vigilanza, che
potrà confermarne la natura commerciale, consentendo
quindi la conseguente dichiarazione di fallimento, ovvero
rilevarne la natura non commerciale e dunque suggerire al
giudice la via della dichiarazione di insolvenza, ai sensi
dell’art. 195 l.f.
Ma qui l’organo amministrativo è chiamato a compiere una
serie di ulteriori delicate valutazioni. Infatti, nel caso di imprese soggette a l.c.a., ma non sottratte al fallimento – come, appunto, la società cooperativa82 – la consultazione
dell’organo amministrativo può costituire il presupposto
per sollecitarne l’intervento. In questi casi la pubblica amministrazione, a fronte della specificità di situazioni concretamente emergenti, potrebbe, infatti, determinarsi a intervenire, anche nel caso di impresa commerciale, con il
provvedimento di l.c.a. e quindi prospettare al giudice l’opportunità di sospendere il processo giudiziario. Ma potrebbe anche decidere di astenersi dall’assumere iniziative, lasciando che il giudice dichiari il fallimento. Non è infrequente, proprio nel caso di società cooperative, che l’impresa vesta indebitamente i panni della mutualità e che,
quindi, l’organo vigilante non ritenga di volerla sottrarre ai
rigori delle sanzioni fallimentari.
9
Fino a questo punto si è preso in esame l’accertamento dello stato di insolvenza nella sede
giudiziaria. Un accertamento di tipo preventivo
che, nell’ambito del processo ex art. 195 l.f, costituisce il
presupposto giuridico per l’adozione del provvedimento
di l.c.a.
Si è però anche detto che l’impresa cooperativa presenta
una disciplina più articolata. Per essa, infatti, il legislatore,
oltre ad aver previsto il doppio regime – nel caso di cooperative commerciali – del fallimento e della l.c.a., ha anche previsto la possibilità di attivare, oltre l’accertamento
giudiziario dell’insolvenza, un accertamento parallelo, di tipo amministrativo. Di questo si occupa l’art. 2540 c.c.
Torniamo, dunque, a focalizzare la riflessione sulla complessità di questa norma, anch’essa rubricata come insolvenza, ma che sembra fare un ambiguo riferimento a un’ipotesi diversa, che ha già creato qualche motivo di dubbio
sulla possibile esistenza di un contenuto speciale dell’insolvenza riservato dal legislatore alla società cooperativa.
Si è già detto sui motivi che inducono a concludere per l’inapplicabilità di questa disposizione nell’ambito dell’accertamento giudiziario dell’insolvenza. È, però, necessario rileggerne ora attentamente il contenuto.
Dice la norma che l’autorità governativa che ha la vigilanza83 sulla società può accertarne l’insufficienza delle attività e disporre la l.c.a.
L’autorità amministrativa può, quindi, autonomamente accertare l’esistenza di uno stato di insolvenza della società
e adottare il provvedimento di l.c.a., indipendentemente da
un accertamento giudiziario.
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IL GIORNALE
DEL REVISORE
LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA
Si tratta ora di stabilire se l’art. 2540 c.c. individui, per la
società cooperativa, un diverso presupposto dell’insolvenza che, descritto come insufficienza di attivo, potrebbe apparire distinto dall’insolvenza in senso proprio, almeno da quella che si accerta in sede giudiziale, a norma dell’art. 195 l.f.
Partiamo dalla considerazione che l’art. 2540 c.c., per individuare l’insolvenza della società cooperativa, usa una
terminologia di tipo spiccatamente contabile, che prende a
riferimento il bilancio dell’impresa, cioè quel documento
dal quale si può conoscere se l’ammontare complessivo
del patrimonio è o non è sufficiente a fare fronte all’ammontare complessivo dei debiti; cioè sapere se si è in presenza della predetta insufficienza di attivo. Sembra quasi
che il legislatore abbia curiosamente contrapposto la nozione, tutta giuridica, dell’insolvenza ex art. 5 l.f. a quella
segnatamente economico-contabile di insufficienza di attivo dell’art. 2540 c.c.
E anche sul piano logico le due locuzioni non coincidono.
Abbiamo, infatti, da un lato l’insolvenza, che fa riferimento
a inadempimenti o altri fatti, dai quali si desume l’incapacità di fare fronte ai pagamenti dovuti; dall’altro, l’insufficienza di attivo, ossia il dato oggettivo della consistenza patrimoniale. Ne viene, di conseguenza, che si potrebbe essere inadempienti senza un’insufficienza patrimoniale e si
potrebbe avere un patrimonio attivo insufficiente, senza
essere necessariamente inadempienti, né aver prodotto
fatti esteriori – come espressamente enuncia l’art. 5 l.f. –
che dimostrino l’incapacità di pagare regolarmente. Una
società potrebbe trovarsi, a esempio, nella condizione di riuscire a far fronte regolarmente ai propri debiti, pur avendo un attivo insufficiente, qualora avesse sopravvenienze
inaspettate, remissioni o rinunce da parte dei debitori. Gli
esempi si potrebbero moltiplicare.
Si è però anche detto che, per valutare la concreta sussistenza di uno stato di insolvenza, è necessario fare attenzione alla dimensione dinamica del patrimonio che, almeno in parte, prescinde sia dalla consistenza dell’indebitamento, sia da aritmetiche valutazioni sull’eventuale
saldo negativo fra attivo e passivo, rivelandosi assai più
significativo e determinante il dato dell’affidamento e della credibilità dell’impresa nel mercato. Ma questo vale ancora di più nel caso dell’insufficienza di attivo, dove può
ben verificarsi che la società non possa soddisfare tempestivamente le obbligazioni, pur avendo attività patrimoniali sufficienti. In questo caso saremmo di fronte non a
un’insolvenza, ma a una crisi di liquidità, valutabile, però,
anche nell’ambito del processo fallimentare dove, lo si è
già detto, una mera difficoltà finanziaria dell’impresa, ma
con la garanzia di un solido patrimonio, potrebbe non costituire stato di insolvenza.
Le due fattispecie – quella dell’art. 195 l.f. e quella dell’art. 2540 c.c. – non possono che considerarsi distinte.
Ma la distinzione non va ricercata in una diversità di con-
IL GIORNALE
DEL REVISORE
tenuto che assumerebbe, nei due casi, l’insolvenza, ma
nella considerazione che, mentre l’accertamento previsto
dall’art. 195 l.f. avviene nell’ambito di un procedimento
giudiziario e si realizza con una sentenza, quello dell’art.
2540 c.c. avviene invece nell’ambito di un procedimento
amministrativo e si realizza con un atto della pubblica
amministrazione.
Siamo, dunque, in presenza di due procedimenti, l’uno
giudiziario, l’altro amministrativo, che presentano, inoltre,
notevoli differenze anche sul piano delle conseguenze
che la legge riconosce, rispettivamente, ai due distinti accertamenti.
Nel caso dell’accertamento giudiziario, a esso consegue
l’applicazione, ai sensi dell’alt. 203 l.f., della normativa
fallimentare in materia di azioni revocatorie e di responsabilità per amministratori e sindaci della società, sul piano civile e penale.
Non lo stesso, ovviamente, avviene nel caso in cui l’accertamento dello stato di insolvenza si realizza a opera
della pubblica amministrazione. Se quest’ultimo è idoneo
a costituire il presupposto per l’apertura di una l.c.a., non
lo è per quanto riguarda l’applicazione di quelle norme
fallimentari che il legislatore ha voluto giustamente sottoporre a rigorose garanzie di natura giudiziaria.
Vediamo, dunque, qualche dettaglio dell’accertamento amministrativo dello stato d’insolvenza di
una società cooperativa.
Come si è detto, per questo tipo di società l’ordinamento
ha previsto un sistema integrato di sostegni e di controlli,
che prende avvio dalla enunciazione solenne dell’art. 45
Cost., a tenore del quale la Repubblica, riconoscendo la
funzione sociale della cooperazione, da un lato ne promuove e favorisce l’incremento, dall’altro, però, ne deve
assicurare il carattere e le finalità, con gli opportuni controlli. Le intenzioni del legislatore, di tutta evidenza, sono ribadite dall’art. 2542 c.c., che espressamente si titola controllo sulle società cooperative e, nel merito, rinvia alle legislazioni speciali il regime delle autorizzazioni, della vigilanza e degli altri controlli di gestione.
La disciplina speciale della materia è contenuta anzitutto
nel d.l .C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577 e successive modificazioni e integrazioni84, che attribuisce al ministero del
lavoro la vigilanza generale sulle società cooperative (e loro consorzi). Completano il sistema normativo le altre disposizioni che – ulteriore specialità nella specialità – attribuiscono la predetta vigilanza ad altre autorità85.
Per quanto riguarda le società cooperative, la vigilanza si
effettua attraverso il meccanismo delle ispezioni86. Questo
è quanto espressamente contenuto nell’art. 11 dello stesso d.l. 1577, che dispone un articolato sistema di interventi ministeriali per sanare ovvero reprimere comportamenti
o situazioni ritenuti non regolari.
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L’ispezione rappresenta anche l’unico strumento per accertare uno stato di irregolarità dell’ente e, quindi, il presupposto necessario per la legittima adozione di qualunque provvedimento sanzionatorio. Si dovrebbe, perciò,
concludere che qualunque accertamento, condotto o realizzato al di fuori del procedimento ispettivo e quindi ottenuto senza l’osservanza delle modalità prefissate87, sarebbe da considerarsi non idoneo, rendendo impugnabili le
eventuali sanzioni adottate.
Correntemente, fra i provvedimenti sanzionatori comminabili alla società cooperativa, si tende a ricomprendere anche la l.c.a., ritenuta, per altro, la più grave delle sanzioni.
Quindi, anche l’accertamento amministrativo dello stato di
insolvenza dovrebbe essere condotto in sede ispettiva.
Indubbiamente, l’ispezione rappresenta lo strumento ordinario attraverso il quale si accerta, assieme alle altre eventuali irregolarità dell’impresa, anche il suo stato di insolvenza. Tuttavia, poiché tale accertamento dovrebbe risolversi in una verifica di tipo essenzialmente contabile, non
si può escludere che possa avvenire anche a prescindere
da un accertamento ispettivo in senso formale, potendo risultare sufficiente la sola lettura dei dati del bilancio. Questa sembrerebbe anche la conclusione del legislatore, che
non prevede l’applicazione dell’art. 2540 c.c. fra gli effetti
delle ispezioni, disciplinati dall’alt. 11 del citato d.l. 1577.
Occorre inoltre tenere conto di un’altra importante considerazione.
Dice l’art. 2540 c.c. che, quando le attività dell’impresa non
sono sufficienti per il pagamento dei debiti, l’autorità governativa, alla quale spetta il controllo, può disporre la
l.c.a. della società.
Riteniamo di sostenere, anche nel caso della l.c.a., l’opzione della discrezionalità del potere di intervento della
pubblica amministrazione, in quanto certamente più coerente con il sistema complessivamente disposto dal legislatore, che conferisce alla pubblica amministrazione un
ampio potere di valutazione in ordine all’adozione di sanzioni che lo stesso legislatore mostra però di ritenere una
estrema ratio, alla quale ricorrere solo quando non sia possibile recuperare altrimenti le opportunità del sodalizio88.
E sarebbe assai singolare che, proprio nel caso della l.c.a. –
la più grave delle sanzioni – la pubblica amministrazione risultasse improvvisamente priva di discrezionalità e si vedesse costretta ad applicare automaticamente una mera risultanza contabile, senza tenere in alcun conto altri elementi di
valutazione che potrebbero risultare altrettanto rilevanti. Ad
esempio, sarebbe impensabile che non si dovesse tenere
conto dell’entità dell’eventuale sbilancio patrimoniale, dello
stato di salute complessivo dell’impresa, della natura dell’eventuale indebitamento, delle prospettive di risanamento.
Trattandosi, quindi, di esercizio di poteri discrezionali, l’amministrazione potrà anche valutare liberamente il tipo di
accertamento da effettuare e le eventuali ulteriori verifiche
da compiere89.
Naturalmente, la lettura del bilancio (possibilmente aggiornato) rappresenta un presupposto comunque necessario
per valutare l’eventuale insolvenza dell’impresa e non
sembra si possa dubitare del fatto che un provvedimento
di l.c.a., adottato senza avere acquisito il bilancio dell’impresa, risulterebbe sicuramente illegittimo.
Un ulteriore dilemma, di rilevanza anche pratica,
riguarda la situazione di un’impresa cooperativa
che si presenti contemporaneamente in stato di
insolvenza e in una (o più) situazioni di irregolarità di natura amministrativa, di quelle previste dall’art. 2544 c.c. che,
come si è già detto, possono costituire anch’esse il presupposto per l’apertura di una l.c.a.
L’ipotesi di contemporanea sussistenza delle fattispecie è
tutt’altro che infrequente. Nel caso delle società cooperative è spesso normale che il dissesto finanziario registri contestualmente il disgregarsi della compagine sociale, il disinteresse per ulteriori sollecitazioni mutualistiche, la cessazione di ogni attività. Inoltre, una delle manifestazioni più
evidenti del tracollo economico irreversibile è spesso rappresentata proprio dal mancato deposito del bilancio.
Qualora lo stato di insolvenza si sovrapponga alle ipotesi
dell’art. 2544 c.c., si è quindi posto il problema di stabilire
a quale titolo debba essere disposta la l.c.a.
Con un parere di dubbia utilità, la commissione centrale
per le cooperative90 ha sostenuto che i due provvedimenti vanno nettamente distinti, in quanto lo scioglimento d’autorità conseguirebbe a una valutazione discrezionale dell’amministrazione in presenza di determinati requisiti, mentre la l.c.a. si adotterebbe nel caso di comprovata insufficienza di attivo. Pertanto – così prosegue
il citato parere – la l.c.a. prevarrebbe sullo scioglimento
d’autorità tutte le volte che i presupposti contenuti nell’art. 2544 c.c. si accompagnano a una insolvenza della
società.
Le predette affermazioni, in astratto pure sostenibili, non
tengono però conto dell’intervento della richiamata legge
17 luglio 1975, n. 400 e, quindi, della piena equiparazione delle procedure di liquidazione, tanto se disposte ai
sensi dell’art. 2540 c.c., quanto se disposte ai sensi dell’art. 2544 c.c.; e, almeno ai fini dell’applicazione della
normativa della l.c.a., anche della conseguente equiparazione all’insolvenza delle altre ipotesi che possono pure comportare l’apertura della medesima procedura liquidatoria. La ratio della norma è fin troppo evidente. Pur
potendosi astrattamente ipotizzare fattispecie distinte e
distinguibili, le situazioni sostanziali esistenti sono spesso tra loro così fortemente intrecciate da rendere assai
difficile rilevare momenti di effettiva prevalenza. Così,
molto opportunamente, il legislatore ha disposto l’unificazione della procedura, quale che sia il titolo da cui essa
tragga origine, considerando prevalente il provvedimento
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LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA
più solerte. Pretendere, come ha mostrato di fare la commissione, di reintrodurre surrettiziamente una distinzione
che, non potendo più essere fondata sulla diversificazione delle procedure, verrebbe a basarsi sul solo titolo del
provvedimento, equivalendo a una reintegra che, non più
voluta dal legislatore, riproporrebbe proprio quegli elementi di incertezza e ambiguità che la legge ha inteso superare91. Ogni tentativo di superare il disposto della legge
400 sarebbe infatti destinato a reintrodurre solo elementi
di confusione e di difficoltà e quindi a vanificare proprio la
volontà del legislatore.
Per completezza d’indagine conviene, infine, fare qualche cenno su alcune situazioni particolari con le quali può intrecciarsi lo stato di insolvenza di una società cooperativa e che possono prospettare qualche dubbio interpretativo.
V’è anzitutto l’ipotesi della società in liquidazione ordinaria,
ossia della società sciolta e liquidata con un atto d’autonomia privata, ai sensi dell’art. 2539 c.c.93
Naturalmente, il fatto che la società sia stata posta in liquidazione ordinaria non può, comunque, costituire, in caso
di insolvenza, una causa né impeditiva, né limitativa dell’azione fallimentare. Se, quindi, la cooperativa in liquidazione è anche una società commerciale, i creditori, ma anche il pubblico ministero o il giudice d’ufficio (quando previsto) potranno attivare il processo fallimentare. Sarebbe
del resto assurdo se si potesse consentire all’imprenditore
insolvente di sottrarsi ai rigori della legge con l’espediente
della messa in liquidazione dell’impresa.
La stessa considerazione va fatta con riguardo all’eventuale iniziativa dei creditori, ex art. 195 l.f. In realtà, la legge non specifica espressamente se l’accertamento giudiziale dell’insolvenza possa proporsi anche nei confronti di
un’impresa in liquidazione, ma francamente non riteniamo
neppure di porre la questione, tanto sembra evidente la
conclusione.
Il legislatore si preoccupa, invece, di affermare espressamente, nel caso dell’art. 2540 c.c., che quando una società cooperativa, soggetta o non soggetta al fallimento, in
sede di accertamento ispettivo risulti insolvente94, l’autorità
di vigilanza può disporre la l.c.a. anche se l’impresa è già
in liquidazione ordinaria.
Ancora nulla dice il legislatore per quanto riguarda i poteri
e l’eventuale iniziativa del liquidatore, nell’ipotesi in cui l’impresa cooperativa in liquidazione ordinaria, nel corso della
stessa, risulti o comunque diventi insolvente. E questo sia
con riferimento all’attivazione del processo fallimentare,
nel caso di società cooperative commerciali, sia con riferimento all’iniziativa per la dichiarazione giudiziale dell’insolvenza, ex art. 195 l.f.
Per quanto riguarda l’attivazione del processo fallimentare,
l’art. 6 l.f., data anche la particolarità e la delicatezza degli
interessi e delle responsabilità coinvolti in tale procedura,
non dovrebbe consentire alcuna interpretazione estensiva.
Si ritiene, pertanto, che, in mancanza di iniziative da parte
dei soggetti ammessi, il liquidatore ordinario non possa
chiedere il fallimento della società. Del resto, il liquidatore,
anche se assume la rappresentanza legale del sodalizio95,
è pur sempre un liquidatore, cioè un soggetto che ha ricevuto un mandato, da parte della compagine sociale (quello di procedere, appunto, alla liquidazione dei beni) e non
può essere identificato e confuso con gli organi di gestione della società, cioè con l’imprenditore, in senso proprio.
Riteniamo, inoltre, di dover escludere il potere del liquidatore ordinario anche per quanto riguarda l’attivazione del-
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La l.c.a. è una procedura posta in essere da un
provvedimento amministrativo, che non ha collegamenti diretti – a differenza del fallimento –
con un’iniziativa di parte, cioè dei creditori, i quali possono
solo ottenere, come si è detto, la dichiarazione dell’insolvenza, ex art. 195 l.f.
Il legislatore esclude completamente iniziative giudiziali da
parte del debitore cioè, nel caso della società cooperativa,
da parte degli organi sociali del sodalizio.
In sede amministrativa questi ultimi – ma anche agli stessi creditori – possono, naturalmente, chiedere l’intervento
dell’organo di vigilanza, denunciando un proprio stato di insolvenza e, quindi, sollecitando l’adozione del provvedimento di l.c.a., ex art. 2540 c.c.
È necessario, naturalmente, per poter adottare un provvedimento di l.c.a., acquisire la documentazione contabile della società e soprattutto una copia del bilancio
che, per altro, la cooperativa sarebbe tenuta a depositare annualmente presso le competenti camere di commercio. Non sempre, tuttavia, gli organi sociali sono in
condizione di fornire un bilancio completo e aggiornato,
per difficoltà di funzionamento della società o perché si
tende, almeno in parte, a occultare le vere cause o l’entità dell’insolvenza. Infatti, mentre è difficile ipotizzare, in
capo agli organi sociali, un interesse a rappresentare
una situazione patrimoniale peggiorata rispetto a quella
reale, si comprende, invece, benissimo l’interesse a ottenere, con la massima sollecitudine, il provvedimento di
l.c.a., in alternativa – nel caso di società cooperative
commerciali – al fallimento, per molti aspetti ritenuto assai più devastante.
Si può, pertanto, ritenere, almeno in via generale, esaustiva l’autodenuncia avanzata dal presidente o comunque dagli organi rappresentativi del sodalizio92; ma, in
ogni caso, vale il principio secondo il quale l’applicazione dei provvedimenti sanzionatori, compresa la l.c.a., è
sempre discrezionale. Sarà quindi l’organo di vigilanza a
valutare l’attendibilità degli elementi acquisiti, l’eventuale necessità di ulteriori verifiche e quindi l’opportunità di
adottare il provvedimento di l.c.a. o eventuali altre sanzioni.
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tà giudiziaria. Lo stesso art. 2545 c.c., che disciplina la sostituzione dei liquidatori ordinari, espressamente nega poteri di intervento alla pubblica amministrazione quando il liquidatore sia stato nominato dal giudice.
Il commissariamento non risulta preclusivo neppure dell’accertamento dello stato di insolvenza dell’impresa, qualora i creditori propongano l’azione ex art. 195 l.f. Le argomentazioni già svolte appaiono sufficienti.
Si ritiene, invece, di escludere, anche per il commissario
governativo, tanto l’iniziativa per la procedura fallimentare,
ex art. 6 l.f., quanto l’istanza, ex art. 195 l.f.
Si giunge a queste conclusioni sulla scorta di due considerazioni. La prima è che nessuna norma conferisce, né
espressamente, né implicitamente, un tale potere al commissario governativo. L’altra è che lo stesso commissario
è un organo di emanazione amministrativa e all’organo
amministrativo di vigilanza deve egli, quindi, rispondere.
Apparirebbe quanto meno curioso se, improvvisamente,
con un’istanza giudiziale, il referente del commissario diventasse il giudice.
Naturalmente, qualora la gestione commissariale non consenta l’integrale soddisfazione di tutti i creditori e si prospetti quindi uno stato di insolvenza, sarà cura del commissario (e l’ipotesi è tutt’altro che rara) prospettare all’organo di vigilanza la necessità di porre termine al commissariamento e di disporre la l.c.a. Anche in questo caso valgono le considerazioni fatte circa gli obblighi di rendicontazione contabile. E poiché, come si è detto, il commissario governativo, assumendo l’incarico, diviene anche amministratore della società, si ha buon motivo per ritenere
che possa essere destinatario, nel caso in cui restituisca la
società in stato di insolvenza, delle azioni di responsabilità
previste, in via generale, a carico degli amministratori e
promosse dal commissario liquidatore, a norma dell’art.
206 l.f.97
l’accertamento dello stato d’insolvenza. Infatti, l’art. 195 l.f.,
che espressamente riserva ai soli creditori l’iniziativa per
tale accertamento, non sembra legittimare alcuna ulteriore
estensione di applicazione.
È, naturalmente, possibile che nel corso di una liquidazione ordinaria, il liquidatore verifichi l’esistenza di una insufficienza del patrimonio attivo, che non consente la totale
soddisfazione di tutti i creditori. Ma il legislatore non ha ritenuto di conferirgli – come, del resto, non ha conferito agli
organi sociali – il potere di proporre la dichiarazione giudiziaria dell’insolvenza. Egli potrà, quindi, prospettare la situazione all’organo di vigilanza e richiedere l’apertura della l.c.a. In questo caso non si ritiene necessario attivare ulteriori accertamenti ispettivi; si ritiene, però, necessario
che il liquidatore fornisca il bilancio della liquidazione, unitamente al rendiconto di gestione. Sarebbe, infatti, singolare se egli, denunciando l’incapacità patrimoniale della liquidazione, omettesse o, peggio, rifiutasse di fornire all’autorità vigilante i necessari riscontri contabili.
Resta, naturalmente, integra la facoltà dell’organo vigilante di approfondire gli elementi di conoscenza della situazione e valutare l’opportunità dei provvedimenti da
adottare.
Un’ulteriore situazione da considerare riguarda
l’ipotesi della società cooperativa posta in gestione commissariale, ai sensi dell’art. 2543 c.c.
Un istituto parallelo all’amministrazione controllata, sia con
riferimento alle finalità di risanamento dell’impresa, sia con
riferimento ai presupposti e alle modalità di gestione della
procedura96.
Indubbiamente, lo stato di commissariamento, ancorché
espressione di pubblico ufficio e nonostante sia finalizzato
al risanamento dell’impresa, è pur sempre un momento
imprenditoriale, che può condurre anche all’insolvenza.
Naturalmente, nel caso di società commerciale, non si può
escludere l’iniziativa fallimentare: né quella dei creditori, né
quella del pubblico ministero, né quella d’ufficio. Solo l’intervento della l.c.a. può infatti sottrarre l’impresa (commerciale) insolvente al fallimento.
Qualche dubbio sussiste nell’ipotesi inversa. Ci si può
chiedere cioè se un’impresa cooperativa in amministrazione controllata possa essere posta in l.c.a., ai sensi dell’art.
2540 c.c.
Si potrebbe argomentare in senso affermativo, considerando che anche la cooperativa in amministrazione controllata non è sottratta alla vigilanza dell’autorità amministrativa che, proprio in quanto autorità vigilante, dovrebbe
disporre dei poteri per l’adozione del provvedimento di
l.c.a. (ma, coerentemente, anche di quello ex art. 2544
c.c.).
Crea, tuttavia, qualche problema l’idea che un’autorità amministrativa possa disporre dove ha già disposto un’autori-
15
Dunque, lo stato di insolvenza di una società
cooperativa può essere rilevato anche a opera
dell’autorità amministrativa di vigilanza, la quale
può disporre, sulla base del proprio accertamento, il provvedimento di l.c.a. Tale provvedimento, come espressamente dispone l’art. 196 l.f., è alternativo alla pronuncia di
fallimento, ma non alla dichiarazione giudiziale dell’insolvenza, che può infatti intervenire anche in un momento
successivo. Le due fasi non si escludono, potendo anzi essere tra loro complementari98. Questa ipotesi è espressamente prevista dall’art. 202 l.f.
Dice la norma che se un’impresa, al tempo in cui è stata
ordinata la liquidazione, si trovava in stato di insolvenza e
questa non è stata preventivamente dichiarata, a norma
dell’art. 195 l.f., il tribunale competente, su ricorso del commissario liquidatore o su istanza del pubblico ministero,
accerta giudizialmente tale stato (con sentenza in camera
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LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA
sia già avvenuto in sede amministrativa, cioè anche se l’impresa è stata già posta in l.c.a., ai sensi dell’art. 2540 c.c.
Non ci sembra, però, che questo postuli la necessità di distinguere l’insolvenza dall’insufficienza di attivo sotto il profilo del contenuto sostanziale dell’accertamento, quanto
piuttosto quella di affermare che, in talune circostanze, l’accertamento solo amministrativo dell’insolvenza non è sufficiente. In alcuni casi, occorre cioè che lo stato d’insolvenza
venga accertato anche in sede giudiziale, con sentenza.
Questa necessità scaturisce dal fatto che talune conseguenze, collegate all’insolvenza e che riguardano l’applicazione della normativa fallimentare – quella di cui all’art.
203 l.f. – possono incidere fortemente nella sfera dei diritti
del debitore andando, da un lato, a colpire gli atti di disponibilità del patrimonio già compiuti e che quindi possono
coinvolgere la sfera patrimoniale anche di terzi; dall’altro, a
ipotizzare addirittura conseguenze sanzionatorie di ordine
penale. Molto opportunamente quindi il legislatore richiede, in questi casi, alcune ulteriori garanzie di ordine giurisdizionale. Non si può, in altri termini, attivare azioni revocatorie fallimentari, né perseguire penalmente amministratori e sindaci della società sulla base di accertamenti compiuti solo in sede amministrativa.
Ma allora non è nella natura sostanziale che vanno ricercati elementi di distinzione – che ovviamente esistono – fra
l’accertamento giudiziale e l’accertamento amministrativo
dell’insolvenza, ma nel sistema dei rispettivi procedimenti
e quindi nelle diverse garanzie che, rispettivamente, essi
possono offrire e che, opportunamente, il legislatore richiede in forma giurisdizionale quando, anche nell’ambito
della l.c.a., si renda necessario applicare la disciplina fallimentare dell’art. 203 l.f.
Ci sembra questa, in definitiva, la volontà vera del legislatore e, quindi, l’interpretazione più corretta della norma.
Ci si può chiedere ancora se l’art. 202 l.f. sia applicabile ai
casi di l.c.a. disposte ai sensi dell’art. 2544 c.c., cioè fuori
dall’ipotesi dell’insolvenza.
Naturalmente, se insolvenza non c’è, non c’è neppure motivo per dichiararla giudizialmente; né prima, né dopo l’apertura della procedura liquidatoria. Se però l’insolvenza
sussisteva al momento dell’apertura della l.c.a., ci sembrerebbe corretto ritenere che, anche nell’ipotesi di liquidazioni
aperte ai sensi dell’art. 2544 c.c., possa trovare applicazione l’art. 202 l.f.103 Non bisogna, infatti, dimenticare che, con
l’unificazione delle procedure liquidatorie, operata dalla legge 400/1975, la linea di confine fra la l.c.a. disposta ai sensi dell’art. 2540 c.c. e quella disposta ai sensi dell’art. 2544
c.c. si è venuta assottigliando in maniera assai significativa.
Non sono, del resto, infrequenti i casi di scioglimento di società cooperative che, a una verifica più meditata da parte
del commissario liquidatore, rivelano la sussistenza di un
vero stato di insolvenza. In questo caso, ogni preclusione di
iniziative, desunta dalla diversità del titolo di apertura della
liquidazione, si rivelerebbe immotivata e ingiustamente pe-
di consiglio) anche se la l.c.a. è stata disposta per insufficienza di attivo.
Diciamo subito che, dal punto di vista processuale, non ci
sono differenze apprezzabili fra questo momento dell’accertamento dell’insolvenza e quello preventivo, a norma dell’art. 195 l.f., al quale, del resto, l’art. 202 l.f. rinvia pressoché
integralmente, per tutto quanto riguarda le modalità procedimentali (dall’audizione dell’organo amministrativo di vigilanza, agli effetti della sentenza, al regime delle opposizioni)99.
Si debbono invece segnalare due differenze sostanziali.
La prima riguarda i poteri di iniziativa che, in questo caso,
sono riservati al commissario liquidatore e al pubblico ministero, con l’esclusione, quindi, dei creditori. Un’esclusione molto discussa, che trae seri argomenti di riflessione –
anche di ordine costituzionale100 – dalla considerazione
che l’iniziativa o la mancata iniziativa del commissario liquidatore potrebbe risultare determinante ai fini dell’attivazione delle revocatorie fallimentari e, quindi, della costituzione o ricostituzione della massa. Il legislatore, tuttavia,
non ha ritenuto di attribuire poteri di intervento ai creditori,
la cui soddisfazione appare, ancora una volta, mediata rispetto alla preminenza di altri interessi e di altre valutazioni che compirà il commissario liquidatore (o, nel caso, il
pubblico ministero) nell’ambito delle scelte e degli indirizzi
stabiliti dall’autorità di vigilanza. Si conferma, cioè, il principio – a nostro parere, legittimo anche sul piano costituzionale – che l’istituto della l.c.a. non è finalizzato alla sola
soddisfazione dell’interesse dei creditori.
La seconda caratteristica essenziale dell’accertamento
dell’insolvenza, ex art. 202 l.f., risiede nel fatto che, intervenendo successivamente al provvedimento di l.c.a., esso
può riguardare sia le imprese sottratte al fallimento, sia
quelle che non ne sono sottratte, nei casi in cui l’autorità
amministrativa, avendo preventivamente disposto la l.c.a.,
sia stata più solerte di quella giudiziaria. Dunque, una fattispecie di portata più ampia che, nel caso di società cooperative, comprende anche quelle commerciali, poste in
l.c.a. ai sensi dell’art. 2540 c.c.101
Si pongono, tuttavia, ulteriori questioni: in particolare quella che, sulla base della lettura del testo normativo, sembrerebbe riaffermare la distinzione fra stato d’insolvenza e
insufficienza di attivo, disgregando definitivamente ogni
tentativo di ricostruzione unitaria del fenomeno102.
Tentiamo perciò un ulteriore approfondimento, rileggendo
la norma nel modo che segue.
Dice il legislatore che se un’impresa, al tempo in cui è stata disposta la l.c.a. si trovava in stato di insolvenza e non
c’è stato il preventivo accertamento giudiziale, ai sensi dell’alt. 195 l.f., questo può avvenire anche successivamente
e anche nel caso in cui la l.c.a. sia stata disposta per insufficienza di attivo, cioè a opera dell’autorità amministrativa, ai sensi dell’art. 2540 c.c.
Dunque, ai sensi dell’art. 202 l.f., l’accertamento dell’insolvenza può essere riproposto in sede giudiziaria, ancorché
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DEL REVISORE
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nalizzante per la procedura, oltre che sicuramente in contrasto con la volontà espressa del legislatore.
Per completezza d’indagine resterebbe da fare cenno all’ipotesi di reiezione del ricorso, proposto dal commissario liquidatore, ex art. 202 l.f.104, cioè all’ipotesi in cui la sentenza giudiziale venga a negare che, al tempo in cui è stata ordinata la l.c.a., l’impresa si trovasse in stato di insolvenza e
quindi a certificare, quanto meno, l’incauta determinazione
della pubblica amministrazione, che avrebbe disposto il
provvedimento in carenza del requisito dello stato di insolvenza.
Stricti iuris, la sentenza non fa stato nei confronti del decreto ministeriale di l.c.a. che, essendo un atto amministrativo, può essere impugnato – come si è detto – con i gravami della giustizia amministrativa e non in sede fallimentare. Tuttavia, anche se la pronuncia del giudice si rivela inidonea a rimuovere la l.c.a., resta pur sempre l’autorità morale di un intervento giudiziario che ha accertato la sussistenza di un provvedimento amministrativo formalmente
valido, ma sostanzialmente illegittimo. Questa circostanza
dovrebbe almeno stimolare una ulteriore riflessione, da parte dell’organo di vigilanza, sull’opportunità di mantenere ovvero rimuovere le determinazioni assunte105.
Mentre, nel caso di imprese non soggette a fallimento, si
potrebbe persino ipotizzarne, in caso di insolvenza, una
franchigia.
Riteniamo, perciò, di poter concludere che l’espressione
stato di insolvenza individui un identico contenuto; sia
che il suo accertamento avvenga, con sentenza, in sede
giudiziale, sia che esso avvenga in sede amministrativa107.
Si deve piuttosto aggiungere un’altra considerazione.
Non sempre risulta necessario, qualora la società sia stata posta in l.c.a. per insufficienza di attivo, acquisire anche la sentenza giudiziale. Non esiste cioè alcun obbligo
di attivare il processo dell’art. 202 l.f., né in capo al commissario liquidatore108, né, ovviamente, in capo al pubblico ministero, ma solo una valutazione di opportunità.
Una volta dichiarata giudizialmente l’insolvenza, il commissario liquidatore potrà utilizzare, come si è detto, le
opportunità offerte dall’art. 203 l.f., che consentono di
porre in essere un potenziale aggressivo di particolare efficacia per la reintegrazione del patrimonio della società.
Quella del commissario è, però, una valutazione di opportunità. Avendo egli il compito di formare o eventualmente ricostituire la massa, potrà anche giudicare l’utilità
di revocare eventuali atti di disposizione compiuti in frode
ai creditori. Ma è anche evidente che, qualora si ritenga
inutile o improduttiva l’attivazione di tali meccanismi, appare altrettanto inutile l’attivazione del processo dell’art.
202 l.f.
La stessa valutazione di opportunità va compiuta anche
con riferimento a eventuali responsabilità penali a carico
degli ex amministratori e sindaci che, per essere perseguite, richiedono ugualmente una sentenza giudiziale.
Con questa sorge, infatti, per il commissario liquidatore
l’obbligo di riferire al pubblico ministero109, sulle cause del
dissesto e sulle responsabilità dell’imprenditore o di altri
soggetti. La relazione, da produrre ai sensi dell’art. 33 l.f.,
esaurisce, però, ogni adempimento nei confronti dell’autorità giudiziaria, dovendosi escludere la sussistenza di
un obbligo di promuovere il ricorso per la dichiarazione
dell’insolvenza al solo scopo di rendere possibile l’eventuale esercizio di azioni penali. Il compito della liquidazione deve intendersi, infatti, finalizzato unicamente alla
formazione della massa e all’eventuale recupero dell’integrità del patrimonio110.
La legge conferisce, comunque, autonomi poteri di iniziativa anche al pubblico ministero, che valuterà, per
quanto gli compete, le esigenze connesse all’esercizio di
azioni penali e quindi, nell’eventuale inerzia del commissario liquidatore, la necessità di attivare l’accertamento
giudiziale.
Abbiamo, dunque, tutti gli argomenti per riaffermare l’unitarietà del contenuto sostanziale
dell’insolvenza.
Si aggiunga che, se da un lato appare incomprensibile
ipotizzare un’insufficienza patrimoniale senza insolvenza, che è come dire che un debitore può far fronte regolarmente ai propri adempimenti pur avendo un patrimonio
complessivamente insufficiente106, dall’altro, anche l’insolvenza non collegata a un’incapienza patrimoniale appare altrettanto incomprensibile. Ci troveremmo di fronte
a quelle ipotesi di inadempimenti che, comunque, non
giustificherebbero l’apertura di una procedura concorsuale, potendo i creditori insoddisfatti attivare singolarmente gli strumenti ordinari dell’esecuzione. Il concorso
di più creditori su un medesimo patrimonio ha senso solo se si considera tale patrimonio insufficiente per l’integrale soddisfazione di tutti.
Un’ultima considerazione, infine. Se proprio si volesse
differenziare lo stato d’insolvenza dallo stato di insufficienza patrimoniale, si giungerebbe all’assurdo di ritenere che la l.c.a. potrebbe risultare preclusa qualora venga
accertato, in sede amministrativa, uno stato di insolvenza e non uno stato di insufficienza di attivo. E questo
equivarrebbe, nel caso di imprese soggette anche al fallimento, a restringere arbitrariamente l’ambito dell’intervento alternativo dell’autorità amministrativa, cioè a sottrarre alla l.c.a. quelle ipotesi di insolvenza che, non collegate a un’insufficienza patrimoniale, sarebbero rilevabili solo in sede giudiziale, cioè solo in ambito fallimentare.
17
Giovanni Conti
Dirigente del Ministero del Lavoro
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IL GIORNALE
DEL REVISORE
LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA
PROFILO DELL’AUTORE
Docente nei corsi di formazione e aggiornamento per
ispettori di società cooperative e membro delle commissioni d’esami, presso l’Istituto di studi cooperativi Luigi
Luzzatti di Roma.
Docente nel primo corso di aggiornamento sulla liquidazione coatta amministrativa presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Firenze.
Giovanni CONTI, vive a Roma dove è nato nel 1945.
Nel 1971 si laurea in Giurisprudenza presso l’Università
degli studi di Siena, proseguendo per qualche tempo la
sua attività, come volontario, presso la cattedra di diritto
processuale civile.
Nel 1974 ottiene l’incarico di assistente supplente presso
l’istituto di diritto processuale civile dell’Università di Bari.
Entrato al Ministero del Lavoro nel 1975, ne diviene primo dirigente nel 1985.
Dal 1995 dirige la Divisione VI della cooperazione, iniziando a occuparsi di liquidazioni coatte amministrative.
Autore, tra l’altro, della voce Liquidazione coatta amministrativa nel Dizionario della Cooperazione a cura di F.
Castiello, Viterbo 1997.
N
O
T
E
66 Trattasi di due procedure concorsuali
minori, rispettivamente disciplinate dalle
norme dei titoli III e IV della legge fallimentare. Per ogni riferimento, BONSIGNORI, Processi concorsuali minori,
cit., p. 129 ss. e 403 ss.
67 Per espressa disposizione dello stesso
art. 195 l.f. (ultimo comma) queste disposizioni non si applicano agli enti pubblici.
68 DE MARCO, L’accertamento giudiziale
dello stato di insolvenza, in Dir. fall.,
1948, 61.
69 La legge considera criminosa l’eventuale
inerzia del debitore, qualora da essa derivi l’aggravamento della situazione di
dissesto. L’art. 217 l.f. (bancarotta semplice) espressamente prevede la punibilità per l’imprenditore che, dichiarato fallito, abbia “aggravato il proprio dissesto,
astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento” (n. 4). Sul
punto, v. FERRARA-BORGIOLI, op. cit.,
p. 239 ss.
70 Sent. 27 luglio 1994, n. 363, Dir. fall.,
1994, II, 1031, id. Giur. cost., 1994,
2954. Si vedano, sul punto, anche le
considerazioni e gli ulteriori rinvii in
BONSIGNORI, op. cit., p. 521 ss.
71 Esso tuttavia testimonia l’importanza
che il legislatore assegna ad una comunicazione tempestiva dell’avvenuta dichiarazione giudiziale dell’insolvenza.
72 Non sussiste, in particolare, alcun obbligo connesso ai doveri di notifica dell’inizio delle procedure amministrative, ai
sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241
(sulla trasparenza dei procedimenti amministrativi).
73 La norma impone che la relazione sia
inoltrata al procuratore della repubblica
e non, come nel caso del fallimento (v.
art. 33, comma 1, l.f.) al tribunale.
74 Si tratta, in particolare, dell’applicazione
degli artt. 216-219 e 223-225 l.f. che riguardano i reati di bancarotta, semplice
e fraudolenta, e di ricorso abusivo al
credito.
IL GIORNALE
DEL REVISORE
75 Ci si riferisce ai liquidatori ordinari, nominati dagli organi sociali, nell’ipotesi in cui
l’impresa sia stata sciolta e messa in liquidazione, ai sensi dell’art. 2539 c.c.
76 La responsabilità illimitata o limitata di
soci di cooperativa è disciplinata, rispettivamente, dagli artt. 2513 e 2514 c.c.
77 Corre l’obbligo di aggiungere che, con
sentenza 27 giugno 1972, n. 110, la
Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di questa norma nella parte in
cui non prevede l’obbligo del tribunale di
disporre anche la comparizione del debitore in camera di consiglio, per l’esercizio dei propri diritti di difesa.
78 La mancata audizione dell’organo amministrativo costituirebbe causa di nullità
della sentenza. Così Trib. Milano 9 giugno 1994, Giur. it., 1995, I, 2, 492.
79 Cass. 8 agosto 1990, n. 8069, Fall.,
1991, 235; id. Cass. 10 ottobre 1992, n.
11085, Fall., 1993, 355.
80 V. ancora PAJARDI, op. cit., p. 1242.
81 Così invece espressamente LAZZARESCHI-MURER-RUFFINI, op. cit., p. 7980.
82 Nel caso della società cooperativa, il parere viene reso dal ministero del lavoro.
Recentemente, con d.m. 21.07.1999, n.
182, l’esercizio concreto della funzione è
stato trasferito alle direzioni provinciali
del lavoro (l’organo periferico unificato
del ministero).
83 Con l’entrata in vigore del d.to lg.vo 3
febbraio 1993, n. 29 (e successive modificazioni e integrazioni) che ha ripartito
gli ambiti delle competenze degli organi
politici e dell’amministrazione attiva, appare più corretto parlare di autorità amministrativa (piuttosto che governativa)
di vigilanza.
84 La legge è stata integrata da successive
disposizioni contenute nelle leggi 8 maggio 1949, n. 285, 2 aprile 1951, n. 302,
17 febbraio 1971, n. 127, 19 marzo
1983, n. 72 e 31 gennaio 1992, n. 59.
85 L’art. 1 della legge attribuisce, in via generale, la vigilanza sulle società e sugli
enti cooperativi e loro consorzi al ministero del lavoro e della previdenza sociale, salvo che norme speciali dispongano diversamente. È ancora attribuita,
in generale, al ministero del lavoro – salve diverse disposizioni di leggi speciali –
la vigilanza sugli enti mutualistici, di cui
all’art. 2512 c.c.
Sono soggette alla l.c.a., ma sottoposte
alla vigilanza della banca d’Italia, le imprese bancarie (v. il T.U. delle leggi bancarie approvato con d. l.vo 1 settembre
1993, n. 385) e a quella del ministero
dell’industria le imprese assicurative
(D.P.R. 13 febbraio 1959, n. 499).
È attribuita al ministero dei lavori pubblici, ai sensi delle disposizioni del testo
unico sull’edilizia popolare ed economica (artt. 125 ss.) la vigilanza sulle società cooperative edilizie di abitazione, a
contributo erariale. Tuttavia, la commissione centrale per le cooperative (riunione 23 gennaio 1992) ha espresso il parere che, anche per queste società,
spetti sempre al ministero del lavoro la
vigilanza di ordine generale, mentre al
ministero dei lavori pubblici spetterebbe
quella tecnica riguardante l’utilizzo dei finanziamenti pubblici. In senso confermativo di questo indirizzo sembrerebbe
anche il tenore degli artt. 13 ss. della l.
59/1992.
C’è inoltre da ricordare che le regioni a
statuto speciale (tranne la Sardegna) si
sono dotate di competenza esclusiva in
materia di vigilanza sulle società cooperative e che, ai sensi dell’art. 94 del
D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, anche le
regioni a statuto ordinario avrebbero acquisito competenze – di fatto scarsamente esercitate – in materia di vigilanza sulle cooperative edilizie a contributo
erariale.
Altre leggi speciali prevedono ancora
gruppi di imprese sottratte al fallimento e
soggette alla l.c.a. Si possono ricordare
il r.d. 15 giugno 1933, n. 859 (riguardante le società con partecipazione
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Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001
dell’I.R.I.) la l. 17 ottobre 1950, n. 840
(riguardante le imprese finanziate dal
Fondo per il finanziamento dell’industria
meccanica) il r.d. 17 gennaio 1935, n. 2
(riguardante le s.p.a. debitrici dello Stato) la l. 1 agosto 1986, n. 430 e il d.l. 5
giugno 1986, n. 233 (riguardanti le società e gli enti di gestione fiduciaria).
86 La legge cura anzitutto di distinguere le
ispezioni in ordinarie e straordinarie. Le
prime, quelle ordinarie, sono di regola
eseguite da revisori designati dalle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo che, ai sensi dell’art. 4 del d.to
lgs. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577,
sono competenti ad esercitarla sugli enti
cooperativi ad esse associati; le seconde, quelle straordinarie, sono direttamente in carico al ministero del lavoro,
che le esegue per mezzo di propri funzionari o di altri funzionari espressamente delegati.
La indicata distinzione – rispetto alla
quale tuttavia va tenuto presente che è
sempre l’autorità amministrativa titolare
della funzione di vigilanza e dei relativi
poteri sanzionatori – è contenuta
espressamente nell’art. 2 del citato d.l.
1577, secondo il quale le ispezioni ordinarie debbono aver luogo, dice il legislatore, almeno ogni due anni. Questa norma è stata ampiamente novellata da
successive disposizioni. L’art. 15 della
legge 59/1992 ha inserito una significativa modifica del 2° comma, prevedendo
la necessità dell’ispezione ordinaria annuale delle società cooperative che abbiano un fatturato superiore a trenta miliardi ovvero detengano partecipazioni di
controllo in società a responsabilità limitata. Medesima cadenza annuale è stata
introdotta – sempre dalla legge 59/1992
– per le cooperative edilizie di abitazione. La legge 8 novembre 1991, n. 381
aveva già provveduto a disporre una vigilanza ordinaria almeno annuale per le
cooperative sociali.
La legge non definisce però una specifica differenza fra le ispezioni straordinarie e quelle ordinarie; anzi, il 4° comma
dell’art. 2 del citato d.l. 1577 prevede
che le prime (quelle straordinarie) avvengano con l’osservanza delle disposizioni stabilite per le ispezioni ordinarie.
Questo tuttavia non deve trarre in inganno, in quanto le due categorie di interventi presentano caratteristiche sostanziali di notevole diversità.
Anzitutto, occorre tenere presente l’intero
quadro legislativo; ad iniziare dal successivo art. 3, che prevede una fondamentale
distinzione fra gli organi ai quali la legge
stessa affida la vigilanza sulle società cooperative – le associazioni e il ministero
del lavoro – e quindi fra la diversa natura
delle rispettive funzioni; ma tenendo anche
presenti gli artt. 4 (relativo all’attribuzione
della competenza in materia di vigilanza
solo alle associazioni debitamente riconosciute dal ministero del lavoro), 5 (relativo
al predetto riconoscimento) e 6 (riguardante la vigilanza ministeriale sulle stesse associazioni) che specificano e definiscono
un contesto normativo nel quale il legislatore chiaramente individua nell’autorità governativa l’organo titolare della funzione di
vigilanza, a sua volta esercitata direttamente o, a talune condizioni, per il tramite
delle associazioni di rappresentanza. Si
potrebbe aggiungere che la vigilanza esercitata dalle associazioni ha un contenuto e
un’articolazione finalizzata essenzialmente
al sostegno e all’assistenza delle cooperative associate. Manca pressoché completamente la valenza ispettiva. Alla vigilanza
delle associazioni non è infatti collegato alcun potere sanzionatorio neppure quello di
diffida; poteri riservati, in via esclusiva, agli
organi ministeriali.
Sotto altra angolazione, anche queste ultime tendono a rimarcare la diversità sostanziale degli interventi, sia dal punto di
vista terminologico, secondo il quale il termine ispettore sarebbe riservalo ai soli organi ministeriali, mentre quelli delle associazioni si denominerebbero, più correttamente, revisori; sia da quello della configurazione della funzione, che vedrebbe l’ispettore ministeriale assumere la qualificazione di pubblico ufficiale, mentre il revisore delle associazioni avrebbe soltanto
natura di incaricato di pubblico servizio.
Tale ultima distinzione acquista rilevanza
fondamentale nel diritto penale. Solo il
pubblico ufficiale è infatti imputabile dei
reati previsti dagli artt. xxx ss. c.p. (i reati di falso) ed è quindi comprensibile che
le associazioni, tendendo a negarsi la
qualifica di pubblico ufficiale, tendano a
circoscrivere, per i propri incaricati, le
conseguenze più gravi, sotto il profilo
penale, dell’attività ispettiva.
La questione, scarsamente affrontata finora dalla dottrina specialistica, si deve
tuttavia misurare con un orientamento, almeno in parte, non confermativo della
commissione centrale per le cooperative,
espresso in passato (riunione 21 gennaio
1955) ma non più contraddetto, che afferma la piena equivalenza fra le ispezioni
ministeriali e quelle compiute dalle associazioni. Ciò è anche quanto sembra
emergere (in sede penale) dagli orienta-
menti della magistratura inquirente.
87 Si tenga conto che, per l’esecuzione delle ispezioni, è predisposto un apposito
verbale ispettivo, con appositi modulari
predeterminati.
88 L’art. 11 del d.l.vo C.P.S. 14 dicembre
1947, n. 1577 prevede, per i provvedimenti di cui agli art. 2543 (gestione commissariale), 2544 (scioglimento per atto
d’autorità), 2545 (sostituzione del liquidatore ordinario) c.c., nonché per l’eventuale cancellazione della società dal registro prefettizio un sistema articolato e
complesso che prevede la preventiva
verifica ispettiva, l’atto di diffida e il successivo accertamento, il passaggio attraverso il parere consultivo della commissione centrale per le cooperative e
solo successivamente, per altro solo nei
casi più gravi, l’adozione del relativo
provvedimento sanzionatorio che, nel
caso di cooperative agricole o di produzione e lavoro viene adottato di concerto, rispettivamente, col ministero dell’agricoltura o con quello dell’industria.
89 Nel senso riferito c’è anche una pronuncia – pur se non recente – del Consiglio
di Stato (sent. 3 agosto 1953, n. 451).
90 Trattasi di un organismo previsto dagli
art. 18 e ss. del D.L. C.P.S. 14 dicembre
1947, n. 1577 che esprime, fra l’altro,
pareri sulle proposte di adozione, nei
confronti di società cooperative, dei
provvedimenti sanzionatori di cui agli
artt. 2543 (gestioni commissariali), 2544
(scioglimento per atto d’autorità), 2545
c.c. (sostituzione dei liquidatori ordinari).
I prescritti pareri sono obbligatori, ma
non vincolanti.
Con riferimento al caso di specie, trattasi della riunione del 23 gennaio 1992.
91 Si pensi, ad esempio, ad una società
che, avendo cessato la propria attività,
non abbia provveduto a redigere alcun
bilancio e si ipotizzi una contestuale situazione di esposizione debitoria. In che
modo sarebbe possibile immaginare una
prevalenza, sugli altri, dei motivi dell’insolvenza, mancando proprio l’unica documentazione idonea a dimostrarne la
sussistenza? Ma sono proprio queste le
ragioni della legge 400/1975, che considera irrilevante qualunque ricerca di prevalenza fra le due procedure.
92 Le stesse considerazioni dovrebbero valere nel caso in cui sia un’associazione
di rappresentanza a denunciare lo stato
di insolvenza di una cooperativa associata, anche se non può escludersi l’esistenza di elementi di conflittualità fra il
sodalizio e l’associazione. In questa ultima ipotesi la situazione è, naturalmente,
un po’ più delicata, in quanto si tratta di
verificare se la eventuale insolvenza denunciata sia effettivamente sussistente o
se prevalgano motivi di conflittualità interni al movimento cooperativo.
93 Il quale, individua le cause di scioglimento della società cooperativa rinviando alla disciplina dettata per la società
per azioni dall’art. 2448 c.c., ad eccezione del n. 4. Tali cause sono:
1) il decorso del termine;
2) il conseguimento dell’oggetto sociale
o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo;
3) l’impossibilità di funzionamento o la
continuata inattività dell’assemblea;
4) la riduzione del capitale sociale al di
sotto del minimo legale (questa causa è
tuttavia espressamente esclusa dall’art.
2539 c.c.);
5) la deliberazione dell’assemblea;
6) le altre eventuali cause previste dall’atto costitutivo.
94 La legge prevede espressamente che
anche la cooperativa in liquidazione ordinaria continui ad essere assoggettata
al regime generale delle ispezioni. Sia
l’art. 2540 c.c., sia l’art. 2545 c.c. (riguardante la sostituzione, da parte dell’organo di vigilanza, del liquidatore ordinario) lo presuppongono in maniera inequivoca.
95 Questo, in realtà, non è detto espressamente con riguardo alla liquidazione della società cooperativa. Lo si ricava, indirettamente, dall’art. 2278 c.c., dettato in
tema di poteri dei liquidatori della società semplice che, per la valenza generale
che contiene, può considerarsi una norma di carattere generale.
96 L’amministrazione controllata è prevista
dalle norme del titolo IV della legge fallimentare (artt. da 187 a 193). Naturalmente, sono diverse le autorità che dispongono le rispettive procedure e che
svolgono la funzione di organo vigilante;
il giudice, nel caso di amministrazione
controllata, l’autorità amministrativa, nel
caso di gestione commissariale.
97 Che rinvia agli artt. 2393 e 2394 c.c. in
tema di azioni di responsabilità contro gli
amministratori della società per azioni.
98 Per ogni ulteriore approfondimento v.
BONSIGNORI, op. cit., p. 527 ss.; LAZZARESCHI-MURER-RUFFINI, op. cit.,
p. 78 ss.
99 V. ancora BONSIGNORI, op. cit., p. 527
ss.
100 PROVINCIALI, Trattato, cit., IV, p.
2564; BONSIGNORI, op. cit., p. 530
ss.; PAJARDI, Codice del fallimento,
cit., p. 1270.
101 Si sostiene, nella migliore dottrina, che
l’art. 202 l.f., cioè la dichiarazione giudiziale dell’insolvenza successiva al provvedimento di l.c.a., si applica a tutte le
imprese per le quali sia possibile disporre la l.c.a. compresi – in questo caso con taluni ragionevoli dubbi – gli enti
pubblici. Cfr. BONSIGNORI, op. cit., p.
528 ss.; PAJARDI, op. cit., p. 1269 ed
ivi ulteriori richiami.
102 La giurisprudenza non aiuta a fare
chiarezza sulla questione. Tra notevoli
ambiguità permane comunque, nelle
decisioni giurisprudenziali, l’idea che
l’accertamento dell’insolvenza sia distinto da quello riguardante l’insufficienza di attivo. Così T.A.R. Valle d’Aosta 24 settembre 1996, n. 157, Foro
amm., 1997, 842. Così ancora Trib.
Potenza 8 novembre 1997, Gius.,
1998, 2349, il quale afferma che, ai fini
della declaratoria dell’insolvenza ai
sensi dell’art. 202 l.f, l’eccedenza delle
passività sulle attività pur essendo un
elemento fortemente sintomatico dell’insolvenza, non la comporti di per sé.
In senso sostanzialmente analogo si è
pronunciata anche Cass. 17 marzo
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1989, n. 1321, Giust. civ., 1989, I,
1619, id., Foro it., 1989, I, 1452, id. Dir.
fall., 1989, II, 539.
In senso contrario v. però ancora BONSIGNORI, op. cit., p. 532 ss. Sostiene,
in particolare l’A. che una tale soluzione sarebbe inammissibile in quanto
spezzerebbe irrimediabilmente il rapporto di concorso fra l.c.a. e fallimento.
L’accertamento successivo dello stato
di insolvenza sarebbe cioè consentito
solo quando il fallimento è escluso ovvero quando si sia effettivamente realizzata la prevenzione dell’art. 196 l.f.
Cosa che, per l’A., non sarebbe realizzabile nel caso di procedure di l.c.a.
aperte ex art. 2544 c.c.
Le stesse considerazioni relative al ricorso del commissario liquidatore valgono per l’eventuale istanza, ove proposta ai sensi dell’art. 202 l.f., del pubblico ministero.
Sempre che il provvedimento di liquidazione sia stato assunto ai sensi dell’art.
2540 c.c. e non ai sensi dell’art. 2544
c.c.
Una simile circostanza potrebbe addirittura far sospettare l’esistenza di contabilità illecite.
L’unico caso in cui si potrebbe ipotizzare una non coincidenza fra lo stato di
insolvenza e lo stato di insufficienza patrimoniale potrebbe essere quello in
cui, fra debitore e creditori, venga stipulato, ma non onorato, un pactum de
non petendo. In questo caso, trattandosi di posizioni debitorie non esigibili,
queste potrebbero non figurare nel passivo patrimoniale dell’impresa, ma contemporaneamente rilevare sul piano
dell’insolvenza. Così parrebbe a tenore
di alcune ambigue pronunce della Corte di Cassazione che avrebbe affermato l’inopponibilità di tali accordi per
escludere uno stato di insolvenza. V.
Cass. 14 aprile 1992, n. 4550, Giur.
comm., 1993, II, 382; 7 luglio 1992, n.
8271, Giur. it., 1993, I, 1, 798; 16 luglio
1992, n. 8656, Dir. fall., 1993, II, 381;
19 novembre 1992, n. 12383, Dir. fall.,
1993, II, 1084.
Si ritiene tuttavia, per evidenti motivi di
omogeneità di interpretazione, che non
si possa affermare che gli accordi (o il
venire meno degli accordi) fra debitore
e creditori rilevino ai soli fini dell’insolvenza e non anche per la valutazione
della capacità patrimoniale dell’impresa. Quale che sia la conclusione che si
voglia trarre, essa non può che trovare
applicazione in entrambe le ipotesi.
Di opinione contraria sembrerebbe
BONFANTE, op. cit., p. 687.
La norma impone che la relazione sia
inoltrata al procuratore della repubblica
e non, come nel caso del fallimento (v.
art. 33, comma 1, l.f.) al tribunale.
Diversa ancora è la valutazione da
compiere per quanto riguarda eventuali
giudizi di responsabilità nei confronti
degli ex amministratori; sia come esercizio di autonome azioni di responsabilità in sede civile, sia attraverso la costituzione di parte civile della procedura in
eventuali giudizi penali. Ma questa è
una problematica di tutt’altro contenuto.
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DEL REVISORE
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30
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
SISTEMA DI CONTROLLO
INTERNO E GESTIONE DEI RISCHI
1. Introduzione
Il sistema di controllo interno può
essere definito come l’insieme delle
regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte ad assicurare
il conseguimento delle seguenti macro categorie di obiettivi:
• controlli adeguati dei rischi aziendali
• efficacia ed efficienza dei processi
operativi aziendali;
• salvaguardia dell’integrità patrimoniale;
• completezza, tempestività ed affidabilità delle informazioni, sia
contabili sia gestionali;
• conformità dei comportamenti
aziendali alle leggi, ai regolamenti ed
alle direttive e procedure aziendali.
2. Componenti del Sistema
di Controllo Interno
Il Sistema di Controllo Interno, secondo la definizione che ne viene data dal COSO Report (il COSO è un
organismo internazionale che opera
in materia di controllo), sviluppata
anche da recenti analisi di benchmarking svolte a livello internazionale, si
basa su una serie di componenti fra
loro correlate e che si configurano diversamente in relazione al settore economico di appartenenza, al modo in
cui il management gestisce l’azienda e
alle altre condizioni che, di volta in
volta, si presentano. Tali categorie di
componenti sono, in sintesi:
• L’ambiente di controllo, che costituisce il fondamento di tutto il sistema di controllo interno, rappresenta
Riportiamo un articolo
a cura della società
di consulenza Andersen S.p.A.
sul controllo
e gestione dei rischi
che possono pregiudicare
il raggiungimento
degli obiettivi aziendali
un elemento importantissimo della
cultura di un’organizzazione aziendale in quanto determina il livello di
sensibilità del personale alla necessità di controllo. I fattori determinanti l’ambiente di controllo sono l’integrità ed i valori etici, la competenza del personale, la filosofia e lo stile
del management; le modalità di delega delle responsabilità, la politica
organizzativa e di motivazione del
personale; infine, la dedizione degli
organi esecutivi (Consiglio di Amministrazione, Comitati ecc.) e la loro capacità di indicare chiaramente
gli obiettivi aziendali. La presenza
dell’Internal Audit è, naturalmente,
un elemento essenziale di un buon
control environment.
• La valutazione dei rischi, ossia il
processo continuo di identificazione e di analisi di quei fattori endogeni ed esogeni che possono pregiudicare il raggiungimento degli
obiettivi aziendali, al fine di determinare come questi rischi possano
essere gestiti.
31
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
• L’attività di controllo, che costituisce la componente attuativa del sistema di governo dell’impresa, si
configura come l’insieme delle azioni e delle attività che garantiscono al
management la corretta applicazione, a tutti i livelli gerarchici e funzionali della struttura organizzativa,
delle direttive impartite.
• L’informazione e la comunicazione rappresentano un elemento fondamentale per il governo dell’azienda in quanto un sistema informativo ben strutturato e diffuso a tutti i
livelli aziendali (verso il basso, verso l’alto ed in senso orizzontale)
permette la gestione ed il controllo
di tutti i processi e le attività aziendali, siano esse operative o direzionali, contabili o commerciali.
• Il “monitoraggio” è costituito dall’attività essenziale di supervisione
continua e di valutazione periodica
dell’efficacia e dell’efficienza del sistema di controllo interno. La portata e le modalità del monitoraggio
dipendono dalla specifica realtà
operativa aziendale e dalla valutazione dei rischi e dell’efficacia delle
procedure di supervisione. Obiettivo primario del monitoraggio è in
sintesi quello di mantenere, aggiornare e migliorare la qualità del sistema di controllo interno in modo
continuo ed integrato nelle normali attività operative aziendali. A tal
fine è importante che le disfunzioni
e le carenze del controllo interno
siano portate all’attenzione dei sog-
IL GIORNALE
DEL REVISORE
Il Consiglio di Amministrazione ha il compito di vigilare sul
generale andamento della gestione tenendo in particolare considerazione le informazioni ricevute dal comitato per il controllo
interno. Verifica, inoltre, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo ed amministrativo generale della società e del Gruppo predisposto dagli Amministratori Delegati.
L’Alta Direzione, costituita da Amministratori Esecutivi, Amministratori Delegati e Direttore Generale, rappresenta il livello
più elevato di potere sostanziale all’interno dell’impresa: deve,
infatti, valutare i rischi che la dinamica economica fa emergere
internamente ed esternamente mettendo, quindi, in campo risorse, organizzazione, procedure, sistemi di controllo, decisioni
che permettano di prevenirli e fronteggiarli.
Il Consigliere Delegato assicura la funzionalità e l’adeguatezza del sistema di controllo interno, dedicandosi alla definizione delle procedure, alla nomina di uno o più preposti e alla verifica costante del corretto ed adeguato funzionamento del sistema stesso.
Il Comitato per il Controllo Interno (composto da un numero adeguato di amministratori non esecutivi) svolge funzioni consultive e propositive, valuta l’adeguatezza del sistema di controllo e riferisce al C.d.A. Valuta, inoltre, il piano di lavoro preparato dai preposti al controllo interno e l’attività di pianificazione
presentata dalla società di revisione.
I responsabili delle unità operative amministrano, assieme
all’Alta Direzione, il funzionamento e il miglioramento del sistema di controllo interno a presidio del raggiungimento degli obiettivi di economicità delle operazioni, attendibilità del sistema informativo e conformità alla normativa di riferimento.
I preposti al controllo interno sono nominati dal Consigliere
Delegato e hanno il compito di assicurare la funzionalità e l’adeguatezza del Sistema di Controllo Interno. Sono liberi da vincoli
gerarchici nei confronti dei soggetti sottoposti al loro controllo e
hanno autonomia di giudizio all’interno dell’azienda, riferendo al
Consigliere Delegato ed al Comitato per il Controllo Interno.
Il Collegio Sindacale è preposto in generale alla vigilanza sull’adeguatezza del sistema di controllo aziendale. Vigila, in particolare, sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, sull’adeguatezza
della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile, nonché sull’affidabilità di quest’ultimo nel
rappresentare correttamente i fatti di gestione.
L’attività di vigilanza è svolta su due livelli:
- vigilanza indiretta, ossia generica supervisione sull’attività svolta dagli altri organi di controllo (a cui sono affidati attività di
controllo diretto sul conseguimento degli obiettivi di economicità e di attendibilità del sistema informativo);
- vigilanza diretta e monitoraggio dei controlli esistenti di conformità alle norme e regolamenti vigenti.
L’Intemal Auditing esercita sia un’attività di natura ispettiva, volta alla verifica del rispetto delle procedure di controllo interno, sia un’attività, qualitativamente molto diversa, che ha l’obiettivo di verificare i seguenti aspetti:
- aderenza a politiche, piani, procedure, leggi e regolamenti
- affidabilità ed integrità delle informazioni
- salvaguardia del patrimonio aziendale
- utilizzo economico ed efficiente delle risorse
- raggiungimento degli obiettivi e dei traguardi stabiliti per operazioni e programmi
Il Controllo di Gestione monitora l’operato delle diverse unità organizzative al fine di verificare il raggiungimento degli obiettivi di economicità definiti a livello aziendale.
La Società di Revisione rappresenta un punto di riferimento
esterno ed indipendente rispetto all’Alta Direzione ed al Comitato per il Controllo Interno, con particolare riguardo agli aspetti di
attendibilità del sistema amministrativo contabile.
IL GIORNALE
DEL REVISORE
getti aziendali dotati dell’autorità di
provvedere, tempestivamente, alle
adeguate azioni correttive.
3. Gli Attori del Sistema di
Controllo Interno
Gli attori del sistema di controllo interno sono:
• Il Consiglio di Amministrazione
• L’Alta Direzione
• Il Consigliere Delegato
• Audit Committee o Comitato per
il controllo interno
• I responabili delle unità operative
• I preposti al controllo
• Il collegio Sindacale
• L’internal auditing
• Il controllo di gestione
• La società di revisione
Le responsabilità principali e i ruoli
chiave dei suddetti attori sono, in
sintesi, riportati nella tabella a lato.
4. Alcune considerazioni
Da quanto esposto precedentemente si desume che:
• il controllo interno non è un evento isolato od una circostanza unica,
ma un insieme di processi/azioni
ben coordinati che riguardano l’azienda nel suo complesso e in ogni
momento del suo operare;
• il controllo interno che è costituito
da tecniche, procedure, supporti
informatici, meccanismi organizzativi, fonda, principalmente, il suo
valore sugli individui che operano a
tutti i livelli della struttura dell’impresa e, nel concreto, sono chiamati a rendere operativi i controlli;
• un sistema di controllo benché organico e ben concepito fornisce al management ed agli organi esecutivi solamente una ragionevole sicurezza
sulla realizzazione degli obiettivi
aziendali. Il perseguimento delle finalità aziendali risente, infatti, dei limiti insiti in tutti i sistemi di controllo.
• è necessario, per ogni realtà aziendale, verificare, costantemente, che lo
32
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
sviluppo di un sistema di controllo
interno adeguato sia sempre equilibrato in termini di costi e benefici;
• il fattore chiave di successo di un
sistema di controllo interno si fonda, principalmente, sull’identificazione, sul monitoraggio e sul controllo dei rischi aziendali.
Pur consapevoli che nessun sistema
di controllo possa essere in grado di
prevenire con certezza perdite inattese (e/o mancati guadagni) o rappresentazioni errate non intenzionali di fatti di gestione, si ritiene che la
costituzione di un efficace sistema di
controllo interno sia elemento qualificante di una buona gestione.
5. Il processo di gestione
dei rischi
La struttura organizzativa/operativa
aziendale e le metodologie di gestione del business sono, fortemente, influenzate dai concetti precedentemente illustrati. Questo perché il
“sistema di controllo interno”, pervadendo tutta l’attività aziendale,
coinvolge direttamente il Consiglio
di Amministrazione e l’Alta Direzione, oltre alle altre strutture operative/organizzative.
Un modello di controllo interno definito nel rispetto dei principi chiave
suindicati, dovrebbe svilupparsi sulla
base di uno schema logico che permetta al Top Management, supportato dai responsabili delle aree operativo/organizzative, di porre in essere un
processo articolato di gestione e controllo del rischio al fine di minimizzare il potenziale impatto dei rischi
stessi (come anche richiesto dalle recenti norme di Corporate Governance e dalle disposizioni di Banca d’Italia e dell’ISVAP) sugli obiettivi e sulle strategie in essere, al fine di incrementare il “valore per gli azionisti”.
I caratteri salienti del sistema di controllo interno possono riassumersi
nel seguente modello di cui si riportano alcuni elementi fondamentali:
5.1 Stabilire scopi ed obiettivi
• Gli obiettivi e le finalità della gestione del rischio sono definiti dall’Alta Direzione, concordati con il
CDA e comunicati alle singole
aree operative.
• Per i rischi chiave vengono definiti
e comunicati i livelli di tolleranza
al rischio. L’Alta Direzione comunica, ad esempio:
- i rischi da evitare in quanto incontrollabili;
- le attività di business ad alto rischio che sono precluse/limitate;
- le attività target di sviluppo del
business;
- criteri di autorizzazione (deleghe, ecc.);
- parametri precisi per la conduzione del business.
• La tolleranza al rischio proposta
dall’Alta Direzione (in termini di
massima perdita accettabile, limiti
operativi, esposizione al capitale,
ecc.) è approvata dal CDA.
5.2 Valutare i rischi di business
• L’Alta Direzione pone in essere un
processo per valutare i cambiamenti nell’ambiente esterno e validare le
assunzioni chiave sottostanti le strategie di business. Ad esempio:
- assicura il monitoraggio del contesto esterno (concorrenti, mercati, riassicuratori, clienti, regolamenti, ecc.);
- anticipa condizioni ed eventi che
possono minacciare il raggiungimento di obiettivi strategici;
- valuta le assunzioni di base della
strategia e la loro coerenza con le
mutazioni dell’ambiente esterno.
• I singoli responsabili di area devono
valutare l’ambiente esterno, i processi e le informazioni per svolgere attività di gestione del business, comunicando all’Alta Direzione le loro
valutazioni complessive del rischio.
• Si sviluppa un comune linguaggio
(modello) per la definizione dei rischi. Tutte le entità coinvolte nella
- Le strategie per gestire i diversi
tipi di rischio, includendo le tolleranze al rischio (grado di rischio che l’organizzazione è disposta ad accettare);
- La misurazione del rischio e la
reportistica sulle performance, in
modo tale che i responsabili di
processo/attività siano responsabilizzati sull’implementazione
delle necessarie attività.
• Una funzione indipendente, quale
ad esempio l’Internal Auditing, verifica l’esecuzione delle policy e riporta all’Alta Direzione e al CDA.
gestione dei rischi (CDA, Alta Direzione, management operativo,
ecc.) sono in grado di parlare lo
stesso linguaggio.
• Esiste una procedura/processo (anche informale) di valutazione del
rischio.
5.3 Sviluppare strategie
di gestione dei rischi
• L’Alta Direzione formula strategie
per rispondere tempestivamente ai
cambiamenti ed allineare di conseguenza i comportamenti dell’azienda. Quando si identificano
nuovi rischi, è immediatamente
identificato il responsabile al fine
di ottenere una pronta risposta.
• I responsabili di area/processo sviluppano sistemi per monitorare
costantemente il rischio.
• Sono definite strategie per gestire i
rischi significativi (ad esempio evitare/valutare/trasferire/ridurre ecc.).
• L’Alta Direzione ed il CDA approvano una policy per il controllo del
business che individui ad esempio:
- Gli obiettivi di valutazione e
controllo dei rischi e l’importanza di tale attività per gli obiettivi
e le strategie aziendali;
- Il framework di valutazione del
rischio;
- Il responsabile per l’implementazione delle policy per i rischi chiave;
5.4 Disegnare/implementare
il processo di controllo dei rischi
• L’Alta Direzione assicura che vengano posti in essere processi di selezione e sviluppo del personale, affinché
questo sia provvisto delle competenze necessarie per implementare
adeguati sistemi di controllo.
• Vengono attentamente valutate le
policy di assunzione/premio del
personale.
• Viene implementato un sistema di
analisi dell’efficienza/efficacia dei
processi di controllo e monitoraggio del rischio. Esistono specifici
report per i rischi più significativi.
• Vengono definiti i principi che un
sistema di controllo richiede ed
implementati i processi di delega,
Figura 1
Stabilire scopi ed obiettivi
• Limiti di rischio • Tolleranza
Valutare i rischi
• Individuazione • Fonte • Misurazione
Migliorare il Processo
di controllo dei rischi
Migliorare la performance del
Processo di controllo dei rischi
33
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
Informazioni
per il Processo
decisionale
Sviluppare strategie
di gestione dei rischi
• Eliminare
• Trasferire
• Valutare
• Accettare
Disegnare / Implementare il
Processo di controllo dei rischi
IL GIORNALE
DEL REVISORE
segregazione di funzioni, gestione
dell’informazione ecc.
• Il sistema di controllo viene implementato valutando il suo allineamento alle strategie, al rapporto
costo/beneficio/valore, alla tipologia di rischio coperto.
• I manager operativi sono coinvolti
nella progettazione e nel disegno
delle variazioni da apportare al sistema di controllo al fine di garantirne il miglioramento continuo.
5.5 Monitorare la performance
del processo di gestione
e controllo dei rischi
• L’Alta Direzione misura in modo sistematico l’efficacia/efficienza del sistema di gestione e controllo dei rischi, usando parametri di misurazione ed indicatori quali ad esempio:
- analisi del settore, dei concorrenti, ecc.;
- indicatori statistici legati ai rischi
e al loro controllo;
- analisi delle informazioni per eccezione;
- il V. A. R. - Value at Risk con il
quale, ad esempio, si lega il rischio al rendimento atteso.
• Tali valutazioni ed indicatori sono
integrati sia a monte che a valle
dell’organizzazione.
• Vengono prese opportune decisioni
per monitorare eventuali “eccezioni”.
• Vengono effettuate opportune
analisi di benchmarking sui propri
processi con:
- Concorrenti;
Figura 2
Classificazione rischi
Rischi
con influenza
sul business
Rilevanza
Rischi con
alta influenza
sul business
Rischi
non rilevanti
Probabilità
IL GIORNALE
DEL REVISORE
- bestpractice disponibili;
- altri processi/attività di business.
• Le attività di Internal Auditing sono
condotte con tecniche top-down e
focalizzate sui processi di controllo e
sull’identificazione dei rischi.
5.6 Migliorare il processo
di gestione e controllo dei rischi
• Deve esistere una comunicazione
interattiva all’interno dell’organizzazione che consenta la definizione
delle migliori tecniche di controllo
dei rischi.
• Deve essere garantito un processo
di miglioramento continuo del sistema di controllo.
Il processo logico alla base delle attività sopra evidenziate permette sia la
gestione a livello esterno dei rischi
aziendali, sia la creazione della struttura organizzativa ed operativa del
sistema di controllo, consentendo:
• al top management di dotarsi degli
strumenti per monitorare il business ed assicurarsi che vi sia una
adeguata e strutturata comunicazione delle informazioni per il processo decisionale;.
• l’implementazione del sistema di
controllo interno in tutte le sue
componenti;
• di creare la c.d. “cultura del controllo “, facendo in modo che i gestori/responsabili di attività comprendano i loro obiettivi, compiti
e responsabilità ed adottino comportamenti di tipo “proactive”.
5.7 Informazioni per il processo
decisionale
Infine, il fulcro del “modello” è il sistema informativo (per il processo
decisionale), che deve garantire un
flusso adeguato di informazioni verso l’alto, verso il basso ed a livello
trasversale, al fine di consentire una
chiara conoscenza dei compiti e delle responsabilità di ciascuno anche
per quanto concerne la progettazione, l’implementazione ed il monitoraggio del sistema di controllo.
34
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
6. Alcuni strumenti da
utilizzare per implementare/
valutare un sistema
di gestione dei rischi
Lo sviluppo e la definizione di un
adeguato sistema di controllo interno e di gestione dei rischi si fonda
necessariamente sull’utilizzo e sviluppo di alcuni strumenti. Ad esempio, l’utilizzo di un “linguaggio comune “ dei rischi è strumento fondamentale affinché il processo di gestione dei rischi possa essere compreso ed accettato da tutta l’organizzazione.
6.1 Il sistema dei rischi
I rischi che le imprese devono gestire e monitorare possono essere suddivisi nelle seguenti tre categorie:
• Rischi connessi al contesto esterno, relativi agli eventi esterni che
possono condizionare e/o modificare sensibilmente gli obiettivi e le
strategie aziendali;
• Rischi connessi ai processi gestionali, riferiti alla possibilità che i processi operativi non siano chiaramente definiti ed allineati alla strategia
aziendale, ovvero non siano svolti in
maniera efficace ed efficiente;
• Rischi di informativa del processo
decisionale, riferiti alla possibilità
che le informazioni a supporto delle decisioni aziendali non siano
complete, aggiornate ed accurate.
6.2 La mappa dei rischi
La misurazione dei rischi viene generalmente espressa in termini di rilevanza e probabilità di accadimento. Uno strumento di facilitazione
che il management può utilizzare è
rappresentato dall’utilizzo di una
mappa dei rischi, che graficamente
può essere rappresentata come in figura 2.
La misurazione dei rischi in termini
di probabilità e della rilevanza scaturisce spesso da sessioni “facilitate” di
risk assessment nelle quali i responsabili di un certo pool di rischi, uti-
lizzando anche strumenti di votazione elettronica, effettuano un’autovalutazione (self-assessment) dei rischi.
6.3 La struttura dei controlli
Con riguardo all’analisi ed alla valutazione dell’affidabilità dei controlli interni a fronte di ogni rischio
ritenuto critico, si può individuare
la seguente gerarchia (qui presentata con approccio bottom-up) di
controlli:
• Controlli specifici, direttamente
riferiti ad un singolo aspetto o
transazione di un ciclo operativo o
del processo di formazione di una
singola voce di bilancio.
• Controlli di tipo pervasivo, mirati
alla gestione del rischio individuato nel suo complesso (ad esempio,
controlli attuati tramite la separazione dei compiti e delle responsabilità, l’attribuzione di autorizzazioni o limiti all’operatività dei singoli, ecc.).
• Controlli di monitoraggio, finalizzati sia alla supervisione dell’efficacia dei processi di controllo dei rischi specifici sia alla verifica delle
performance dei processi di controllo interno.
Un modello efficace di sistema di
controllo interno dovrebbe, quindi,
con riguardo ad ogni rischio significativo ed altamente probabile, definire nel modo e nella misura coerente con le esigenze aziendali le tipologie di controllo suddette.
Disegnati i controlli, occorre effettuare una valutazione dell’efficacia e
dell’effettiva operatività degli stessi
in merito alla riduzione del rischio
ad un livello accettabile. Questo
processo valutativo deve basarsi sull’analisi delle tre componenti della
gerarchia dei controlli con un approccio di tipo “bottom-up”.
Per quanto concerne l’operatività dei
controlli specifici, le variabili da considerare da parte della società sono:
• la localizzazione del controllo rispetto alla fonte del rischio;
• l’affidabilità e l’adeguatezza della
procedura di controllo. Si ricorda,
da un lato, che un controllo informatico/automatizzato è più affidabile di un controllo basato principalmente sull’intervento umano;
dall’altro, che un controllo preventivo è più adeguato/desiderabile
che un controllo a posteriori;
• lo scostamento tra la procedura di
controllo ottimale (best practice) e
quella rilevata.
È importante notare che il massimo
grado di affidabilità ed adeguatezza
si ha in presenza di un controllo informatico, preventivo e localizzato
vicino alla fonte del rischio, mentre
un controllo basato sull’intervento
umano e finalizzato all’identificazione e correzione dell’errore è caratterizzato da un livello inferiore di adeguatezza ed affidabilità.
Per la valutazione dell’efficacia dei
controlli pervasivi dovranno, invece,
essere considerate:
• la corretta separazione di funzioni
e compiti, sulla base delle attività
operative svolte, del personale addetto e della tecnologia applicata;
• il controllo sull’integrità dei flussi
informativi necessari alla corretta
esecuzione dei controlli, sia specifici che di monitoraggio.
Per la valutazione dell’efficacia dei
controlli di monitoraggio, infine, le
variabili oggetto di analisi e valutazione sono:
• l’integrazione delle procedure di
monitoraggio con le attività operative dell’azienda, con particolare riferimento ai controlli specifici;
• l’integrità dei flussi informativi utilizzati nell’attività di monitoraggio
(con riferimento ai controlli pervasivi di cui sopra);
• le iniziative da assumere in caso di
lacune od inefficienze dei processi
di monitoraggio.
7. Conclusioni
Il sistema di controllo interno, pur
potendosi articolare organizzativa-
35
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
mente in diversi assetti, modulati
sulla realtà di ciascuna società, dovrebbe sempre basarsi sui seguenti
principi cardine:
• il controllo è parte integrante delle
procedure operative quotidiane
dell’azienda;
• i responsabili dei singoli processi/attività svolgono un monitoraggio delle attività sottostanti di cui
hanno la responsabilità;
• l’azienda garantisce, tramite una
funzione indipendente da quelle
operative, che tale sistema sia efficiente ed efficace.
Alla luce di quanto detto, la predisposizione di un adeguato sistema di
controllo richiede che:
• Le imprese favoriscano la diffusione della “cultura del controllo” in
modo che il personale, a qualsiasi
livello e funzione, sia sensibilizzato
sulla necessità e sull’utilità dei controlli, conosca il proprio ruolo e le
proprie responsabilità e sia effettivamente impegnato nello svolgimento dei controlli stessi.
Si definiscano direttive e procedure
coerenti con gli obiettivi aziendali e
tali da consentire la rilevazione o la
limitazione dei rischi che possono
minacciare il corretto funzionamento dell’impresa.
• Le imprese sviluppino processi
funzionali alla definizione di controlli idonei a ridurre i rischi ad un
livello ritenuto accettabile.
• Le imprese si dotino di procedure
per verificare l’applicazione delle
direttive impartite dal vertice.
• All’interno delle imprese siano garantiti i flussi informativi che consentano a ciascuno di disporre degli
elementi di conoscenza idonei allo
svolgimento dei propri compiti. Le
informazioni dovranno essere complete, tempestive ed affidabili.
Alberto Carnevale
Partner Andersen S.p.A.
Silvia Sgalla
Manager
IL GIORNALE
DEL REVISORE
IL COLLEGIO SINDACALE
E LA SUA FUNZIONE “SOCIALE”
a
l momento sembra accantonata l’ipotesi, ventilata nelle delega al Governo per la riforma del
diritto societario, di affidare di
fatto agli stessi amministratori il
controllo dei conti delle società.
Sarebbe stato davvero singolare
demandare il controllo agli stessi
soggetti controllati, ossia a coloro
che sono responsabili dei conti e
che, materialmente, hanno la facoltà di far redigere le scritture
contabili da soggetti loro subordinati. I riflessi negativi di tale “deregulation” non avrebbero tardato a manifestarsi.
Infatti, le esperienze italiane e occidentali in generale hanno ampiamente dimostrato la necessità
di mantenere in funzione organismi di controllo composti da soggetti terzi, cioè da professionisti il
più possibile estranei e neutrali rispetto alle strutture societarie esecutive (consiglio di amministrazione, amministratori unici) o volitive (assemblea degli azionisti o
dei soci). Ogni anno in Italia i
collegi sindacali, composti ormai
da professionisti revisori contabili, adottano decine di migliaia di
provvedimenti di censura o addirittura bloccano atti amministrativi societari non in linea con le
norme generali o settoriali. Ciò
perché il controllo legale spazia da
tempo su una molteplicità di materie cardine quali il diritto socie-
IL GIORNALE
DEL REVISORE
Il Collegio sindacale
assolve una funzione
pubblica di garanzia
tario e fiscale e nel più ampio
spettro delle norme amministrative generali.
Responsabili in prima persona di
un così ampio carico, i revisori
spesso si scontrano con provvedimenti contrari alla legge, posti in
essere quasi sempre in buona fede
per superficiale conoscenza del
disposto legislativo. Altre volte
devono misurarsi duramente con
atteggiamenti consapevoli di aggiramento o elusione delle norme
fiscali o di sopruso verso i diritti
delle minoranze societarie.
Insomma, appare evidente che il
collegio sindacale, lungi dall’essere sorpassato nelle sue attuali
strutture e funzioni, assolve invece un compito pubblico di garanzia, indispensabile soprattutto in
una fase storica che vede le tradizionali strutture statali sempre
più deboli in conseguenza dell’arretramento liberista dello Stato da
settori sui quali in passato esercitava una presenza fin troppo asfissiante. Un controllo di terzietà
che è garanzia collettiva, ancor
più indispensabile quando appunto il sistema pubblico di controllo, in Italia come in tutto
l’Occidente, appare in affanno di
fronte alle nuove tecnologie in-
36
Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
formatiche e alle involuzioni del
libero mercato, che rendono l’economia volatile, eterea, fino a
rendere sempre più “invisibili” i
fenomeni economici. I progressi
di questi anni rendono immediati i trasferimenti di ingenti masse
finanziarie da un continente all’altro, così come il liberismo consente una maggiore flessibilità nei
cambiamenti del management
aziendale, della proprietà capitalista, della delocalizzazione delle
produzioni, vera fonte di accumulazione del reddito, il quale
con rinnovato vigore tende a
sfuggire a ogni imposizione legislativa, specie se di natura fiscale.
Lo Stato, in questa fase di continua evoluzione economica e sociale, potrà pur sempre emanare
norme impositive nel tentativo di
indirizzare le scelte economiche
private verso più ampi fini pubblici, quali la certezza del diritto, l’alimentazione indispensabile dell’erario statale, la tutela delle fasce
deboli e il mantenimento di quelle provvidenze di welfare che ritiene di dover far sopravvivere. Ma
tutto ciò servirebbe a ben poco se,
sulla prima linea dell’economia,
venissero a mancare proprio quegli strumenti, i collegi sindacali
esterni, che finora hanno assicurato allo Stato la salvaguardia dell’irrinunciabile interesse collettivo.
Ernesto Curreli
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a cura della redazione
Risposta del Presidente alla lettera di un
Revisore “curioso”.
Egregio Collega,
ho letto e riletto la tua lettera più volte
non tanto per l’eccezionalità dei contenuti, ma per due principali motivi:
a) come tu possa essere venuto in possesso
di una notizia in poco più di 48 ore
dal suo verificarsi, resterà per me curiosità inappagata;
b) l’inguaribile scibile umano sempre
pronto a vedere il male anche laddove
non c’è, ma soprattutto l’invalso ricorso
a maliziose interpretazioni dei più
semplici e lapalissiani rapporti umani.
Il nostro Istituto decise a suo tempo di entrare a far parte della FITA nell’intento di
difendere la figura istituzionale del Revisore Contabile, osteggiata proprio dalle
categorie professionali consorelle, ed anche
le professioni economico - amministrative
stesse destinate al macero non solo dal governo del nostro Paese, ma da una legislazione comunitaria che non riconosce
strutture obsolete esistenti solo in casa nostra.
Dopo ripetuti tentativi ci siamo accorti di
essere perdenti e come tutte le persone serie
ci siamo guardati in faccia riconoscendo
di esserci sbagliati.
Ciò posto, da persone serie e responsabili,
abbiamo riconosciuto la non lieta esperienza deliberandone la fine.
Vorrei ricordarti, anche a nome di tutti i
componenti il consiglio, che noi non ci
consideriamo appartenenti alla categoria
dei “mortali infallibili”, per cui non arrossiamo in volto nel riconoscere le nostre
limitazioni.
Non ci illudiamo con ciò di averti convertito alla nostra filosofia (lo riteniamo
un atto di presunzione), certo è che noi
continueremo ad applicarla.
Con viva cordialità.
I1 Presidente
Modesto Bertolli
ASSICURAZIONI
L'Istituto Nazionale Revisori Contabili nel ricordare la validissima convezione per i rischi professionali con i LLOYD'S stipulata tramite il BROKER B&S (i cui riferimenti sono in calce) è lieto di comunicare la nuova convenzione per l'ASSICURAZIONE
RC AUTO e rischi accessori (incendio, furto, eventi speciali e kasko) predisposta sempre dal BROKER B&S, in collaborazione
con l'Istituto, in esclusiva per i revisori contabili, a condizioni vantaggiosissime.
La convenzione, relativa all'assicurazione di veicoli in genere, ciclomotori, motocicli e natanti di proprietà o nella disponibilità esclusiva, è riservata ai "revisori in attività ed in pensione, loro coniugi e figli, dipendenti/collaboratori coordinati e continuativi e/o parasubordinati in genere dello studio".
La convenzione è stata stipulata con AZZURRA ASSICURAZIONI, la compagnia del GRUPPO SAI dedicata a target specifici e qualificati di clientela.
Le tariffe applicate sono estremamente competitive e saranno offerte in esclusiva ai revisori contabili.
Caratteristica del servizio sarà l'operatività attraverso sistemi tecnologici di avanguardia, ciascun revisore potrà rivolgersi ad
un call center telefonico con numero verde dedicato, attraverso il quale potrà effettuare tutte le operazioni assicurative con un
effettivo risparmio in termini di costi e di tempo.
Sarà anche disponibile, un sito internet nel quale sarà riservata ai revisori un'area specifica dove ottenere ogni genere di informazione, richiedere i preventivi, denunciare e seguire i sinistri.
Gli uffici del GRUPPO B&S saranno a disposizione a partire dal prossimo 19 novembre 2001 per fornire a tutti i revisori il
numero verde dedicato alla convenzione.
UFFICI DEL GRUPPO B&S IN ITALIA
MILANO
Via Turati, 38
20121
Tel. 02.65 55 754
Fax 02.65 99 941
e-mail:
[email protected]
PADOVA
P.zza De Gasperi, 12
35131
Tel. 049.87 50 990
Fax 049.87 50 974
e-mail:
[email protected]
GENOVA
Via S. Luca,12/54
16124
Tel. 010.24 72 488
Fax 010.24 72 514
e-mail:
[email protected]
UDINE
Via Maniago, 2
33100
Tel. 0432.47 04 57
Fax 0432.56 25 28
e-mail:
[email protected]
UFFICIO CORRISPONDENTE
MARINA DI CARRARA
V.le da Verrazzano,13
54036
Tel. 0585.63 11 14
Fax 0585.63 41 21
e-mail:
[email protected]
ROMA
Via F. Mengotti, 45
00191
Tel. 06.32 97 654
Fax 06.32 97 769
e-mail:
[email protected]
BROLO (Me) - 98061 Via Mazzini, 4
Tel. 0941.56 25 27
Fax 0941.56 25 28
e-mail: [email protected]
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IL GIORNALE
DEL REVISORE
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I quesiti
dei lettori
ATTIVITÀ DI CONSULENZA
DEL LAVORO
In riferimento “Chiarimento in merito alle attività” di cui alla rubrica “i
quesiti dei lettori” pubblicata dal Vs.
Il Giornale del Revisore n. 2 Marzo/Aprile 2001, relativamente allo
svolgimento della attività di consulenza del lavoro, faccio presente di essere
iscritto al Registro dei Revisori Contabili con D.M. del 12.04.1995 e di essere iscritto al Vs. Istituto.
Poiché avrei intenzione di intraprendere l’attività di consulenza del lavoro ho contattato il locale Ispettorato
del Lavoro e mi è stato riferito che i
soggetti abilitati sono quelli indicati
nella Legge n. 12/1979 e D.M. 3 agosto 1979 (Avvocati, Procuratori Legali, Dottori commercialisti e Ragionieri) dove ovviamente non figurano i
Revisori contabili. Potete fornirmi
qualche chiarimento in merito?
Nel ringraziarVi porgo cordiali saluti.
Gian Piero Bascherini
RISPOSTA
I revisori contabili possono esercitare
l’attività di consulenza del lavoro. La
norma citata che risale all’agosto del
1979 non poteva elencare i revisori
contabili nati nel 1992 con il D.L. 27
gennaio 1992 n. 88.
Unico chiarimento pretendere il riconoscimento ed in caso di rifiuto avvertirci tempestivamente.
Per avere una risposta
nella rubrica “I quesiti dei lettori”
inviate le vostre domande a:
[email protected]
Riportando sempre il numero della
tessera di iscrizione all’Istituto.
IL GIORNALE
DEL REVISORE
CHIARIMENTI IN MERITO
ALL’ISCRIZIONE ALL’ALBO
DEI REVISORI
Sono un giovane laureato in economia e
commercio, vorrei proporre un quesito:
l’iscrizione all’albo dei dottori commercialisti comporta automaticamente anche l’iscrizione all’albo dei revisori contabili? In caso contrario prego mandare
documentazione relativa alla stessa.
Distinti saluti.
Francesco Rinaldi
RISPOSTA
Secondo la vigente normativa l’iscrizione all’ordine dei dottori è titolo per
l’automatica iscrizione al registro dei revisori contabili a condizione che si sia
esperito il tirocinio a norma del DPR 6
marzo 1998 n° 99 integrato dal DPR
12 luglio 2000 n° 233.
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a cura dell’I.N.R.C.
CHIARIMENTI SULL’AUTENTICA
DELLA FIRMA
Spett.le Segreteria, avrei bisogno di
una risposta sul tema esposto di seguito.
É concesso ai revisori rappresentare ed
assistere i contribuenti ai sensi e per gli
effetti dell’art. 63 del DPR 600/73?
In modo particolare è concesso ai revisori di autenticare la firma del contribuente sulla delega da presentare all’Agenzia delle Entrate?
Ringrazio sin da ora per la cortese collaborazione.
Cordialità.
Luigino Petris
RISPOSTA
Risposta positiva in ambo e due i casi.
Ci segnali eventuali dinieghi ed i motivi che li hanno originati.
C O M U N I C ATO
■ Riceviamo centinaia di lettere con le più disparate richieste di
informazioni da parte di Revisori Contabili che pure essendo tali
non risultano iscritti al nostro Istituto.
Per ragioni ovvie, oltre che statutarie, non ci è possibile soddisfare
tali richieste per cui ci scusiamo con i nostri interlocutori.
Vorremmo anche ricordare loro che essi ricevono gratuitamente la
nostra rivista “Il Giornale del Revisore” contenente una rubrica “i
quesiti dei lettori” in cui vengono trattati argomenti della natura
dei quesiti pervenuti.
Ci teniamo ad informare però che da tempo forniamo invece consigli ed informazioni a coloro che intendono diventare Revisore
Contabile per facilitarli nel compimento del lungo iter da seguire.
Infine rivolgiamo a tutti il cortese invito di riportare sempre il
numero di tessera di iscrizione all’Istituto e il numero di telefono, mezzo che, oltre a permettere il migliore approfondimento
del quesito, ci evita l’onere della risposta scritta imposta da altri sistemi.
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Un nuovo modello
organizzativo
UN NUOVO, MODERNO
SISTEMA ORGANIZZATIVO
NEGLI ENTI LOCALI
L’ORGANIZZAZIONE DELL’ENTE LOCALE CENTRATA
SULLA PROGRAMMAZIONE E SUL CONTROLLO DEI
RISULTATI È IN GRADO DI SODDISFARE
Il sistema organizzativo in termiMAGGIORMENTE LA DOMANDA TERRITORIALE
ni funzionali degli enti locali
stenta a decollare per ragioni di
ordine politico miranti ad avere
La gestione in economia è un modo reun controllo diretto nella gestione dei
siduale cui si ricorre quando per le moservizi.
deste dimensioni o per le caratteristiche
D’altro canto il capo VII della legge n°
del servizio non sia possibile ricercare
142 del 1990 contiene disposizioni gealtre forme gestionali.
neriche e si inserisce in un quadro norÈ evidente come entrambi i presupposti
mativo complesso e articolato per cui la
ma soprattutto il secondo siano suscetsua portata innovativa richiede tempi
tibili di una interpretazione assai lata.
lunghi di attuazione tanto più che la
L’art. 113 del D. Leg.vo 267 del 2000
dottrina ha giudicato programmatiche
ha aggiunto un’altra forma gestionale e
e non immediatamente precettive alcucioè a mezzo di società senza vincolo
ne disposizioni del suddetto capo.
della proprietà pubblica maggioritaria.
L’art. 22 della legge 142 codifica alcuni
L’attuazione incompleta della legge sulmodi di esercizio dei pubblici servizi
le autonomie locali condiziona l’applideterminando un rafforzamento delcabilità dell’ordinamento economicol’autonomia che si trova nella scelta delfinanziario di cui al D. Leg.vo 77 del
le opzioni che di volta in volta si rende1995 modificato dal D. Leg.vo 267 del
ranno più opportune; scelte motivate e
2000 in quanto una normativa contabicoerenti con la natura del servizio e con
le di tipo aziendalistico difficilmente
i principi di efficienza ed economicità
potrà realizzarsi in un sistema organiznel rispetto delle norme statutarie.
zativo di servizi gestiti in economia diL’unico criterio determinato è quello
versi per natura, scopi e fattori produtche sta a fondamento della distinzione
tivi; sistema appesantito, tra l’altro, dalfra servizi di rilevanza imprenditoriale e
l’iter burocratico.
non; quest’ultimi possono essere gestiti
I tentativi di calare il nuovo ordinatramite “istituzione”, rilevando tuttavia
mento contabile e finanziario nelle geche non esiste in natura una attività che
stioni in economia ha fornito input
sia o non sia ontologicamente imprenparziali delle singole gestioni dei servizi
ditoriale in quanto dipende da criteri
erogati.
gestionali.
La contabilità finanziaria è la sola diIl legislatore ha ravvisato alcune forme
sciplinata dalla normativa che lascia ai
gestionali demandando la scelte all’ente
singoli enti piena discrezionalità per
locale e palesando che la forma che la
l’applicazione del sistema delle rilevalegge preferisce è quella più consona alzioni economiche. Il principio unitale caratteristiche del servizio da esercitario di bilancio sposta le rilevazioni ecore in vista della realizzazione dei princinomiche sui singoli piani esecutivi di
pi di efficienza e di economicità.
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Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
Giacomo Bertocchini
gestione che spesso non contengono tutti i fattori produttivi
inerenti a un dato servizio per
cui il conto economico riferito
al PEG non rispecchia il risultato gestionale del servizio medesimo.
L’implicazione è dovuta al fatto
che le attività dei singoli servizi gestiti
in economia sono frantumate in settori
o comparti strutturali spesso non comunicanti tra loro.
Lo stesso servizio finanziario dell’ente
difficilmente potrà svolgere le funzioni
di rilevazione finanziaria - economica
sia di bilancio che dei singoli servizi in
tempi reali, tanto che il legislatore affida al responsabile del servizio finanziario la sola gestione di bilancio.
Le rilevazioni in tempi reali sono estremamente necessarie per sapere cogliere
le disfunzioni che si manifestano nei
singoli servizi in relazione agli indirizzi
programmatici.
Un primo modello organizzativo parte
dall’analisi dei servizi resi direttamente
alla collettività (servizi sociali, della
pubblica istruzione, servizio demografico, cultura, sport, del territorio, del
commercio, ecc.) distinguendoli dalle
strutture di supporto (amministrativo,
legale, ragioneria, economato, ecc.). Tali strutture devono essere articolate in
unità operative i cui contenuti sono le
relative funzioni a favore di uno o più
servizi.
Tale modello organizzativo comporta
costi amministrativi generali elevati e
non facilmente controllabili perché generati al di fuori della struttura del servizio la quale è strettamente interdipendente con la combinazione dei fattori
produttivi programmati per raggiungere un determinato risultato.
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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I principi dettati dal legislatore non si
conciliano né con i vincoli amministrativi e burocratici, né con una struttura
nella quale le funzioni dei singoli servizi sono trasversali, né con la carenza del
fattore imprenditoriale per cui le gestioni in economia difficilmente potranno
raggiungere il massimo grado di efficienza ed efficacia.
Un secondo modello organizzativo parte dalla concezione che l’ente locale deve assumere come ruolo prioritario
quello di indirizzo e di programmazione nei servizi da erogare alla collettività
amministrata. In altre parole l’ente locale deve spogliarsi di gran parte delle
funzioni gestionali incentrando l’attività nelle scelte, nella programmazione e
nel controllo degli obiettivi.
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Nel panorama dei molteplici servizi locali, fatti salvi alcuni il cui carattere
pubblico è insito nella loro natura per
cui la gestione in economia è propria
istituzionalmente (anagrafe, urbanistica, toponomastica, commercio, ecc.)
per tutti gli altri servizi vanno ricercate
forme gestionali con criteri imprenditoriali, diverse da quelle in economia (società, fondazioni, cooperative).
Il controllo si esplica attraverso la verifica degli obiettivi programmati e trova la
sua ragione d’essere nel rapporto tra i risultati e gli obiettivi e cioè la verifica del
soddisfacimento della domanda in rapporto alle risorse assegnate.
Il medesimo elefantiaco apparato tecnico che ha elevati costi gestionali che
vanno dalla progettualità alla direzione
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dei lavori, all’iter amministrativo e contabile potrebbe essere snellito attraverso
il ricorso ad altri strumenti quali quello
del project financing, dell’affidamento
chiavi in mano, dell’istituto della concessione, dando così certezza ai tempi di
esecuzione delle opere pubbliche e conseguente economicità di bilancio con
una inversione di tendenza nel rapporto tra spese correnti e spese di investimento, e quindi una qualificazione nelle spese correnti e una quantificazione
maggiore nelle spese di investimento.
L’organizzazione dell’ente locale incentrandosi sulla programmazione e sul
controllo dei risultati è in grado di dare
risposte concrete ai cittadini con un
maggiore grado di soddisfacimento della domanda territoriale.
Il sistema di valutazione
del personale
1.1 PREMESSA
dal contratto di lavoro degli enti
locali del 31.03.99; consente
massimamente il riconoscimento di progressioni economiche e
di carriera dei dipendenti stessi
attraverso il processo di ottimizzazione delle risorse umane.
Già l’art. 41 del D.Lgs. 77/95
contemplava l’istituzione di servizi di
controllo interno, altrimenti definiti
“nuclei di valutazione” con il compito
precipuo di verificare, attraverso apprezzamenti comparativi dei costi e
rendimenti, la concretizzazione degli
obiettivi, la correttezza della gestione
economica.
Tali nuclei sono preposti alla formulazione di parametri di riferimento afferenti il controllo o meglio la valutazione. L’organismo opera in condizioni di mera autonomia rispondendo
LA VALUTAZIONE SI CONCRETIZZERÀ CON PARAMETRI
Questo organismo rappresenta
sicuramente, oggi, la più signifiE CRITERI OGGETTIVI PER LA VALORIZZAZIONE
cativa ed efficace reazione codifiDELLA QUALITÀ E LA QUANTIFICAZIONE DEI
cata ai mali strutturali ancorché
RISULTATI
operativi dell’organizzazione del
personale dipendente degli enti
locali, che introduce una metointerazioni tra organi di comando e apdologia di valutazione irrefragabile delparato dirigenziale.
le prestazioni e dei risultati, anzi costiLa “cultura della valutazione” negli enti
tuisce uno stimolo al processo maieutilocali si configura come uno strumento
co delle potenzialità e delle azioni degli
essenziale e idoneo di gestione del peroperatori in grado di esaltare le indivisonale che lo assimila sempre più alle
dualità al fine di ridestare la coscienza
tecniche assolutamente privilegiate delverso un nuovo impegno che sottende i
l’imprenditoria privata.
processi di cambiamento culturale in
atto nell’epoca attuale.
La normativa di riferimento enuncia il
1.2 LA PRASSI OPERATIVA
lodevole pregio di individuazione dei
corretti principi del controllo interno,
Il sistema di valutazione delle attività e
evidenziando i protagonisti basilari e le
dei risultati dei dipendenti è previsto
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
Attilio Zifaro
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del suo operato ai soli organi di direzione politica. Ha libero accesso ai documenti amministrativi e relaziona
trimestralmente agli organi generali di
direzione sulle acquisizioni attinenti
alla indagine preordinata. Il nucleo di
valutazione si occupa fondamentalmente dell’elaborazione dei parametri
atti a valutare i responsabili e l’intera
compagine amministrativa. Tale struttura si compone di persone prevalentemente esterne altamente qualificate,
con una molteplicità di compiti ricongiungibili, tuttavia, alla valutazione
dei dirigenti e dei responsabili nella
generalità con l’obbligo perentorio di
non poter svolgere altre attività di
controllo.
Recentemente l’art. 147 del D.Lgs. 18
agosto 2000 n° 267 sui controlli interni così novella: “Gli enti locali nell’ambito della loro autonomia normativa e
organizzativa individuano strumenti e
metodologie adeguati a: … c) valutare
le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale”; e ancora: “5. … sono
istituite apposite strutture di consulenza e supporto, delle quali possono avvalersi gli enti locali per l’esercizio dei
controlli previsti dal decreto legislativo
30 luglio 1999 n° 286. A tal fine, i predetti comitati possono essere integrati
con esperti nelle materie di pertinenza”.
Sostanzialmente il disposto normativo
ricalca la procedura di valutazione prevista dagli artt. 20 e 21 del D.Lgs.
29/93 relativa a tutti gli enti locali dotati di staff dirigenziale.
La valutazione della dirigenza discende,
altresì, dall’art. 5 del D.Lgs. 286/99 che
ne prevede una cadenza annuale.
Tale istituto appare, tuttavia, di difficile realizzazione negli enti locali di piccole e medie dimensioni, che si possono consorziare o istituire forme di collaborazione diverse, e comunque di irrefutabile utilità per la trasparenza e il
buon andamento della gestione talché
la sua istituzione si assimila ai sistemi
operativi di “corporate governance”,
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tipici delle aziende private, costituendo un segno tangibile e netto di avvicinamento a tale modus operandi.
La valutazione promana dagli obiettivi
e finalità che l’amministrazione accuratamente avrà programmato e si concretizzerà attraverso la predisposizione
di parametri e criteri oggettivi con l’individuazione della qualità delle prestazioni e la quantificazione dei risultati
conseguiti dalle singole strutture, formalizzate a fine anno nei modi preordinati dal nucleo di valutazione.
Il nucleo di valutazione mira essenzialmente a ottimizzare il perseguimento
delle finalità istituzionali e a esaltare la
capacità operativa della struttura e l’organizzazione logistica del lavoro. La
definizione e implementazione del sistema di valutazione dovrà favorire
l’accostamento con la cultura e la mentalità del nostro tempo assicurando
primariamente:
- la discussione e il confronto sulle
prospettive operative;
- l’analisi dei rilievi e suggerimenti
emergenti da eventuali e possibili
contrasti culturali;
- il dialogo e conseguenti decisioni sulle azioni propositive;
- la prospettiva dei traguardi di sviluppo e programmi dell’ente;
- la contribuzione di ogni dipendente
alla realizzazione di obiettivi mirati.
I criteri di valutazione ai quali far riferimento si sostanziano in:
- definizione degli obiettivi;
- specificazione dei parametri qualiquantificativi;
- determinazione della tempistica in
ordine alla realizzazione della progettualità;
- acquisizione delle tecniche procedimentali correlate alla realizzazione di
attività produttive;
- conoscenza dei costi dei servizi offerti;
- analisi delle varie fasi della produzione;
- valutazione di eventuali errori in corso
d’opera;
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Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001
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- studio delle possibilità migliorative del
servizio;
- attivazione di processi lavorativi per
progetti e per gruppi.
L’oggetto della valutazione afferisce essenzialmente a:
- la posizione, cioè la esplicitazione di
una funzione o mansione in seno alla
struttura;
- i risultati relazionati agli obiettivi;
- le caratteristiche qualitative delle prestazioni individuali.
Perciò è necessario ricorrere a determinate tecniche e predisporre opportunamente le misure idonee e individuare
taluni termini di identificazione come:
- parametri, ossia elementi significativi
e pertinenti alla collocazione nella
struttura;
- fattori, ossia elementi di chiarificazione della qualità;
- variabili, ossia elementi caratterizzanti
parametri, risultati e fattori;
- indicatori, ossia elementi che illustrano le variabili.
Concretamente, il nucleo di valutazione
utilizzerà un sistema di rilevazione con
delle schede e tabelle a doppia entrata che
sintetizzano le attività, le competenze, le
conoscenze e relative responsabilità.
L’anamnesi degli elementi essenziali
conduce a un sistema di punteggio basato su indicatori valoriali. La valutazione dei risultati sarà parametrata agli
obiettivi individuati nei PEG che consentirà di verificare proficuamente:
- l’ottenimento di economie;
- la razionalizzazione del lavoro in relazione al tempo;
- la metamorfosi in senso migliorativo
dell’organizzazione;
- il conseguimento della fattiva collaborazione tra i dipendenti.
Infine non trascurabile è il percorso di
formazione manageriale, per l’Alta Direzione, e di formazione permanente per i
funzionari, per la acquisizione della “cultura della responsabilità e del risultato” al
fine di mugliorare la qualità e la competitività dei processi.Così la realizzazione
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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del sistema di valutazione si estrinsicherà
in una atmosfera di collaborazione e di
dialettico confronto con i diversi protagonisti talché lo strumento di valutazione finale raffigurerà le linee guida della
gestione e l’aggiornamento costante della posizione della struttura in ordine alle
capacità e potenzialità.
È opportuno prevedere un congruo numero di colloqui di valutazione per legittimare i risultati conseguiti dal nucleo di
valutazione e per penetrare a fondo la problematica degli addetti in fase operativa e
per far emergere il loro fermento nascosto.
1.3 CONCLUSIONE
La valutazione consiste nella formulazione di un giudizio sul variegato apporto professionale degli operatori concretizzantesi nel complesso di regole,
processi e strumenti.
L’obiettivo del sistema di valutazione
s’impernia sulla capacità di integrare le
potenzialità professionali delle persone
alle istanze dell’ente.
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Gli obiettivi attengono strettamente ai
risultati perseguiti e consentono segnatamente di:
- individuare la progettualità dell’ente;
- predisporre adeguati percorsi formativi;
- attivare metodologie collegate pervicacemente al sistema di valutazione delle performance;
- garantire la trasparenza del sistema valutativo.
Infine il nucleo di valutazione attraverso la sua azione pregnante può implementare sinergie nell’ambito dell’azione
amministrativa in grado di:
- avvicinare empaticamente la politica
alla tecnocrazia negli indirizzi e strategie gestionali;
- stimolare la partecipazione attiva ai
processi di mutamento e miglioramento in modo da innalzare il livello
di competitività;
- sollecitare l’avvaloramento delle varie
professionalità inerenti alle singole caratteristiche e potenzialità del fattore
umano operante nell’ente;
- incoraggiare la valorizzazione dei risul-
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tati migliorativi dei servizi sia sotto il
profilo economico che della soddisfazione dell’utenza;
- spronare la gestione efficace ed efficiente delle risorse dell’ente.
La valutazione dei risultati e della qualità delle prestazioni è suffragata anche
dalla conferenza dei dirigenti e dalla
conferenza di servizio come strumenti
strategici di comunicazione e di coinvolgimento emozionale.
Il nucleo di valutazione deve operare
con un alto grado di consenso instaurando una sorta di autorità carismatica
che riposa sulla devozione alla capacità
specifica ed eccezionale nonché sul carattere esemplare del modello normativo di riferimento.
Con un certo azzardo si potrebbe accostare il sistema di valutazione a un “…
processo di valorizzazione: quest’ultimo
non è altro che un processo di creazione di valore prolungato al di là di un
certo punto” (K. Marx “Il capitale Processo di valorizzazione”, Editori
Riuniti, 1994, Roma).
ICI e finzione di
“non edificabilità”
Efficacia retroattiva
dell’agevolazione
Francesco Arcadio
Sono considerati, tuttavia (e qui
la “finzione giuridica”), non fabCON CIRCOLARE N. 193/E DEL 1999 IL MINISTERO
bricabili i terreni posseduti e
In questi ultimi tempi sono sorHA FORNITO CHIARIMENTI IN MERITO ALLE
condotti dai soggetti indicati nel
te problematiche relative a cittaCONDIZIONI DI APPLICABILITÀ DELLA FINZIONE
comma 1 dell’art. 9 sui quali
dini aventi la qualifica di coltivapersiste l’utilizzazione agro-silvotori diretti e imprenditori agricoGIURIDICA DI NON EDIFICABILITÀ DEI SUOLI
pastorale mediante l’esercizio di
li a titolo principale e la “finzioattività dirette alla coltivazione
ne” di non edificabilità di terredel fondo, alla silvicoltura, alla
no o area, classificati quali aree
funghicoltura e all’allevamento di anizabile a scopo edificatorio in base agli
edificabili, in base a strumenti urbanimali.
strumenti urbanistici generali o attuatistici generali o attuativi.
Il Comune, su richiesta del contribuenvi ovvero in base alle possibilità di edifiIn particolare l’art. 2, comma 1, lett. b)
te, attesta se l’area sita nel proprio terricazione effettive, determinate secondo i
del Decreto Legislativo 30 dicembre
torio è fabbricabile in base ai criteri stacriteri previsti agli effetti dell’indennità
1992 n. 504 testualmente recita che per
biliti dalla presente lettera.
di espropriazione per pubblica utilità.
area fabbricabile si intende l’area utiliz-
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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L’art. 9, comma 1 del D.Lgs. n. 504/1992
precisa che i terreni agricoli, posseduti
da coltivatori diretti o da imprenditori
agricoli che esplicano la loro attività a
titolo principale, purché dai medesimi
condotti, sono soggetti all’imposta
(I.C.I.), limitatamente alla parte di valore eccedente Lire 50.000.000 e con le
seguenti riduzioni:
a) del 70% dell’imposta gravante sulla
parte di valore eccedente i predetti
50.000.000 di Lire e fino a 120.000.000
di Lire;
b) del 50% di quella gravante sulla parte di valore eccedente 120.000.000 di
Lire e fino a 200.000.000 di Lire;
c) del 25% di quella gravante sulla parte di valore eccedente 200.000.000 di
Lire e fino a 250.000.000 di Lire.
L’art. 8, comma secondo, del D.Lgs. 15
dicembre 1997 n. 446, recita che agli
effetti dell’applicazione dell’art. 9 del
D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, relativo alle modalità di applicazione dell’imposta (I.C.I.) sui terreni agricoli, si
considerano coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo principale, le
persone fisiche iscritte negli appositi
elenchi comunali, previsti dall’art. 11
della Legge 9 gennaio 1963, n. 9, e soggette al corrispondente obbligo dell’assicurazione per invalidità, vecchiaia e
malattia; la cancellazione dei predetti
elenchi ha effetto a decorrere dal 1°
gennaio dell’anno successivo.
A tal riguardo, con risoluzione n. 139/3E, resa dal Ministero delle Finanze in data 25 agosto 1999 lo stesso Dicastero ebbe a precisare che con il successivo comma 2 sono individuati i soggetti coltivatori diretti o imprenditori agricoli che
esplicano la loro attività a titolo principale, agli effetti dell’applicazione delle
disposizioni agevolative, recate dall’art. 9
e di riflesso dalla lett. b) del comma 1
dell’art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992.
La disposizione, prosegue la risoluzione
ministeriale, ha carattere interpretativo,
ricavandosi già dall’attuale formulazione
del primo comma del predetto art. 9 la
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necessità, per riconoscimento della particolare qualifica, dell’iscrizione negli appositi elenchi dei coltivatori diretti ed
imprenditori agricoli a titolo principale
di cui all’art. 11 della Legge 9 gennaio
1963 n. 9 e dell’assoggettamento al corrispondente obbligo dell’assicurazione
per invalidità, vecchiaia e malattia.
Siffatta natura interpretativa del secondo
comma dell’art. 58, comma 2 del D.Lgs.
n. 446/1997 è stata poi ribadita dal citato Dicastero, il quale già nell’appendice
/5 alle istruzioni per il versamento I.C.I.
1998 ha espresso l’avviso che:
La predetta definizione normativa ha
carattere interpretativo, con efficacia
quindi anche per il passato e vale non
soltanto agli effetti dell’applicazione
delle agevolazioni recate dall’art. 9 del
D.Lgs. n. 504 del 1992, ma altresì agli
effetti della “finzione giuridica” di non
edificabilità dei suoli (vedasi l’art. 2,
comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 504/92
e sopra riportato).
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Per quanto concerne le sanzioni per le
annualità di imposta (I.C.I.) antecedenti al 1998, ad avviso del Ministero
delle Finanze, è invocabile l’applicazione dell’art. 6 del D.Lgs. 18 dicembre
1997 n. 472, con conseguente disapplicazione delle sanzioni, potendosi ravvisare, nella fattispecie in commento, la
sussistenza di condizioni di incertezza
sull’esatta portata dell’originario primo
comma dell’art. 9, comma 1 del D.Lgs.
n. 504/1992.
Per completezza di discorso viene riportato l’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 che testualmente
recita:
“non è punibile l’autore della violazione
quando essa è determinata da obiettive
condizioni di incertezza sulla portata e
sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da
indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento”.
L’EVOLUZIONE
DEL SISTEMA TRIBUTARIO ITALIANO
lectio brevis 1861-2000 Storia, anomalie, prospettive
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In questo interessante volume si traccia il profilo
evolutivo del fisco italiano affrontando il complesso
argomento con innovativo metodo interdisciplinare.
Infatti la storia economica, e talvolta persino la
letteratura, arricchiscono l’efficace e coerente
esposizione che risulta sempre gradevole ed avvincente,
superando l’aridità della normativa tributaria.
L’autore, laureato in economia a Parma, già docente di ragioneria negli Istituti Tecnici
commerciali, ragioniere commercialista e revisore contabile, cultore di storia
economica, mette in evidenza anche le principali anomalie del fisco italiano e confronta
efficacemente la pressione tributaria dei vari Paesi.
La sua lectio brevis è davvero originale e convincente: essa parte dai modelli
“piemontesi” per giungere gradualmente a quelli della globalizzazione, osservando i
grandi avvenimenti con rigorosa imparzialità.
Il libro è stato presentato il 28 aprile corrente anno dall’Università di Modena e Reggio
Emilia e dall’Istituto Tecnico Commerciale “Scaruffi -Levi” di Reggio Emilia ed ha
riscosso lusinghieri commenti. Gli antichi documenti e le rare illustrazioni riprodotte
completano l’opera che, partendo dal passato, analizza sinteticamente, ma con
riconosciuta lucidità, i problemi e le prospettive del presente.
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IL GIORNALE
DEL REVISORE
Nonostante le rassicuranti dichiarazioni di molti “addetti ai lavori” (non ultima la recente audizione del vice presidente vicario dell’Anci, Michela Sironi Mariotti, alla Commissione Bilancio e Finanze della Camera) l’impressione che si ha, frequentando per ragioni di lavoro Comuni di diversa importanza e dimensioni, è che nella
maggioranza degli Enti si stia complessivamente sottovalutando la portata e
la ricaduta che l’introduzione dell’Euro avrà in tutta una serie di operazioni
gestionali, con il rischio che, se non si
interviene rapidamente, a partire dal
prossimo 1° gennaio si determinino situazioni diffuse di malfunzionamento
e di inefficienza.
Ritenendo che rientri appieno tra i
compiti del Revisore di un Ente Locale
l’adoperarsi, attraverso idenei controlli
preventivi, per evitare che ciò si verifichi, presentiamo di seguito una sintetica check-list di alcune delle principali
verifiche da fare negli Enti in vista dell’ormai imminentissimo passaggio definitivo all’Euro (rinviando per un più
adeguato approfondimento di molte
delle questioni trattate, all’apposita rubrica “speciale Euro” della Circolare di
aggiornamento e approfondimento professionale per gli operatori degli Enti Locali,
settimanale edita dal Centro Studi Enti
Locali).
Prima però riteniamo opportuno chiarire bene (non fosse altro per correggere
alcuni equivoci di una inesatta, almeno
finora, campagna televisiva d’informazione) la reale funzione del periodo di
doppia circolazione Lira/Euro prevista
dal 1° gennaio fino al 28 febbraio 2002.
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In molti Enti si è creata infatti l’errata
convinzione che ci sia tempo fino a
quest’ultima data per completare l’adeguamento di tutti i propri strumenti gestionali alla nuova moneta.
Così non è, anzi, un simile comportamento rischia di determinare, fin dai
primi giorni del prossimo anno, situazioni di malfunzionamento generale e
soprattutto di disagio (se non addirittura di disservizio) per i cittadini/utenti.
Il periodo di doppia circolazione ha
infatti l’unico scopo di favorire l’automatico ricambio, nelle tasche degli italiani, di un circolante quasi esclusivamente in Lire (al 1° gennaio) in un circolante quasi esclusivamente in Euro
(al 28 febbraio).
Se si fa mente locale ai tempi ordinari
di circolazione del circolante (ci si passi il bisticcio di parole) e si escludono
situazioni particolari di giacenze inutilizzate, ci si renderà conto che già nel
giro delle prime settimane di gennaio
nelle nostre tasche avremo sempre più
Euro che Lire.
Questo significa che quindi rischia di
essere solo teorica la possibilità di continuare fino al 28 febbraio ad effettuare pagamenti e riscossioni nella moneta nazionale e che, qualora continuassero in quel periodo a trovarsi davanti
prezzi, tariffe, importi da pagare, ecc.
espressi unicamente in Lire, le difficoltà in cui rischierebbero di trovarsi soprattutto le fasce sociali più deboli sarebbero davvero notevoli.
Inoltre la possibilità di effettuare pagamenti e riscossioni in Lire riguarda solo le transazioni in contanti, mentre
tutte le altre devono essere effettuate,
fin dal 1° gennaio, in Euro.
Ebbene, le transazioni in contanti che
effettua un ente locale sono pochissime; non solo, ma già dall’inizio dell’anno tutti gli atti contabili dovranno
contenere importi espressi unicamente
in Euro.
Da qui allora la necessità (per non dire
l’obbligo) che già dal 1° gennaio l’atti-
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vità di tutti gli uffici ed i servizi di un
Comune sia “euroconforme”.
L’elencazione che segue ha appunto
questa finalità: verificare preventivamente se si sta operando perché ciò si
verifichi.
emessi da qui alla fine dell’anno contengano la doppia indicazione monetaria (al fine di evitare problemi o contestazioni qualora al pagamento o alla
riscossione venga provveduto, in Euro,
dopo il 1° gennaio).
Deliberazioni e determinazioni
Contabilità del personale
Dal momento che molte di quelle che
verranno adottate d’ora in avanti finiranno di dispiegare i propri effetti nel
nuovo esercizio, verificare se in tali atti
tutti gli importi monetari sono espressi
nella doppia valuta (anche come preparazione a quando, dopo il 1° gennaio,
questi dovranno essere espressi unicamente in Euro).
Accertare che, oltre ad essere pronti
per tenere ale contabilità in Euro dal
1° gennaio, gli uffici stiano provvedendo alla convensione documentale
dei dati storici da utilizzare per futuri
conteggi inerenti il personale (liquidazione di emolumenti pregressi, ricostruzioni di carriera, pratiche di
pensionamento, ecc.) da effettuare
obbligatoriamente nella nuova moneta.
Regolamenti
Verificare se è stato effettuato un accurato censimento di tutti quelli in vigore nell’Ente, al fine di provvedere alla
conversione documentale degli importi in Lire in essi contenuti (al fine di
evitare fastidiose operazioni di conversione manuale degli stessi dopo il 1°
gennaio).
Contratti e appalti
Verificare se nel periodo transitorio i
valori monetari sono sempre stati
espressi nella doppia valuta.
In caso contrario richiedere che venga
provveduto tempestivamente alla conversione documentale degli importi in
Lire, al fine di valutare altresì l’opportunità di:
- applicare quanto previsto per i c.d.
calcoli intermedi per la conversione
in Euro dei valori unitari presenti
nei capitolati di appalto o di fornitura espressi in centinaia o decine di
Lire;
- provvedere alla ridenominazione dei
valori in Lire in forma concordata
con le controparti.
Pagamenti e riscossioni
Verificare se tutti gli avvisi di pagamento o di riscossione (e atti similari)
Adempimenti del Comune
come sostituto o soggetto passivo
d’imposta
Se è vero che tutte le dichiarazioni fiscali inerenti l’anno 2001 potranno essere redatte in Lire, è altrettanto vero
che tutti i versamenti di carattere fiscale (a partire da quelli da effettuare entro il 15 gennaio) potranno essere fatti
unicamente in Euro (dal momento
che un Comune non può assolutamente effettuarli in contanti). Verificare quindi che gli uffici si stiano attrezzando a ciò.
Tariffe e tributi locali
Verificare se gli amministratori comunali si stanno ponendo il problema di
quali dei relativi valori monetari lasciare alla conversione automatica e per
quali invece provvedere alla loro rideterminazione e/o rideliberazione (tenendo presente la quasi contestualità
delle scelte da operare, in questa materia, in sede di predisposizione del bilancio preventivo 2002).
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Atti di bilancio
Tenendo presente il principio in base
al quale “per la P.A. il passaggio all’Euro non è legato all’anno solare, ma all’esercizio finanziario”, accertarsi che ci si
stia attrezzando per:
- convertire in Euro i valori finali, in
Lire, dell’esercizio 2001 che dovranno essere riportati nei documenti
contabili del 2002 (residui, accertamenti e previsioni definitive degli
esercizi precedenti, valori iniziali del
conto economico e del conto del patrimonio, ecc.);
- gestire, in Euro, la comparazione di
dati afferenti l’esercizio 2002 con
quelli degli esercizi pregressi;
- provvedere al c.d. “ribaltamento” in
Euro, delle previsione definitive, in
Lire, dell’esercizio in corso, in caso
di gestione provvisoria, anche per un
breve periodo, del bilancio 2002.
Modulistica
Tenuto conto che i simboli Lit. e ¤ sono tutt’altro che equivalenti, accertarsi
che, a partire dal 1° gennaio, tutta la
modulistica in uso nell’Ente sia “euroconforme”.
Strumenti informatici
Se è vero che quasi tutti i Comuni
hanno provveduto per tempo ad adeguare i programmi riguardanti la contabilità, i tributi, ecc., non sempre lo
stesso è stato fatto per quei programmi
gestionali che gestiscono solo marginalmente valori (ad es. il programma
di gestione dell’anagrafe che gestisce
spesso anche la contabilità dei relativi
diritti, il programma di gestione delle
concessioni edilizie che gestisce anche
la contabilizzazione degli oneri di urbanizzazione, ecc.).
Verificare altresì se i listini prezzi o gli
altri atti d’informazione per gli utenti
sono “euroconformi”.
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ALCUNE CONSIDERAZIONI
SULLA LEGITTIMITÀ DELLE
RITENUTE SUGLI INTERESSI
E SUI REDDITI DI CAPITALE
DEGLI ENTI LOCALI ALLA
LUCE DI DUE RECENTI
PRONUNCIAMENTI DELLA
CONSULTA
di Francesco Vegni
Sul problema della legittimità costituzionale dell’applicazione delle ritenute
d’imposta sugli interessi e sui redditi di
capitale percepiti da soggetti esclusi
dall’Irpeg, tra cui gli Enti Locali, si sono espressi numerosi organi giurisdizionali con pronunciamenti diversi e
spesso profondamente discordanti.
Prima di entrare nel merito della questione, è opportuno ricordare che, per
quanto concerne i soggetti esclusi dall’Irpeg, con effetto dal 1° gennaio
1991, l’art. 88 del Dpr. n. 917/86
(Tuir), è stato integrato dall’art. 4,
comma 3-bis), del Dl. n. 310/90, convertito con modificazioni nella Legge
n. 403/90.
Per effetto di tale integrazione, nella
nuova formulazione l’art. 88 ricomprende, tra gli enti non assoggettati all’Irpeg, anche “i Comuni, le Comunità
montane, le Province e le Regioni”.
Riguardo invece al problema delle ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale, l’art. 14 della Legge n. 28/1999,
recante “Interpretazione autentica della
disciplina concernente le ritenute sugli
interessi e sui redditi di capitale”, ha
chiarito che le ritenute sugli interessi e
sui redditi di capitale “sono applicate a
titolo d’imposta nei confronti dei soggetti esenti dall’Irpeg ed in ogni altro caso”.
Alla luce di tale interpretazione sono
stati sollevati diversi dubbi sia riguardo
al fatto se risulti costituzionalmente legittimo comprendere in tale disposizione, oltre ai soggetti esenti dall’Ir-
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peg, anche i soggetti esclusi da tale tributo, compresi quindi gli Enti Locali,
sia in merito alla correttezza e l’appropriatezza della medesima interpretazione da un punto di vista prettamente tributario.
Per quanto concerne la prima questione, solo pochi mesi fa (Ordinanza n.
174 del 31 maggio 2001) la Corte Costituzionale ha nuovamente affermato
che la predetta interpretazione autentica non appare costituzionalmente illegittima, in quanto la tassazione di redditi prodotti da coloro che sono dichiarati non soggetti ad imposta non
determina affatto la lesione del principio costituzionale di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, dal momento che il presupposto
impositivo, da individuarsi nella percezione di redditi di capitale, quali sono gli interessi attivi di conto corrente,
risulta pienamente realizzato.
Sia l’esclusione che l’esenzione da imposta, ha infatti ribadito la Corte Costituzionale, non costituiscono affatto
sinonimo di assenza di capacità contributiva: l’esenzione tributaria, risolvendosi in una agevolazione concessa a
soggetti che in difetto di essa sarebbero sottoposti alla obbligazione tributaria, lungi dal poter negare una capacità contributiva, addirittura la presuppone, mentre l’esclusione tributaria,
che consiste in una delimitazione negativa della sfera di applicazione del
tributo, si fonda pur sempre su una valutazione discrezionale del legislatore,
volta ad escludere l’attitudine di un
dato soggetto al pagamento di un tributo, che non appare né irragionevole,
né irrispettosa dei principi costituzionali sanciti in materia.
Per quanto riguarda invece la correttezza e l’appropriatezza dell’interpretazione fornita dall’art. 14 della Legge n.
28/99 da un punto di vista prettamente tributario, la perplessità maggiore
deriva dal fatto che il ragionamento
fatto dalla Corte potrebbe apparire del
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tutto lineare solo se la ritenuta in questione non fosse ex lege qualificata e
considerata come una imposta sostitutiva.
Secondo le nozioni basilari del diritto
tributario, infatti, la ritenuta d’imposta non è un’imposizione fine a se stessa, ma una tassazione sostitutiva di
quella ordinaria per finalità di carattere agevolativo e, dunque, riesce piuttosto difficile capire come la prima possa
essere giuridicamente configurabile in
difetto della seconda.
I dubbi in merito alla legittimità costituzionale ed alla correttezza dal punto
di vista tributario dell’interpretazione
in oggetto, non sono stati completamente fugati neppure da una ancor
più recente Sentenza della stessa Corte
Costituzionale (la n. 208 del 6 giugno
2001, depositata in Cancelleria il 26
giugno scorso), con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità, in linea con
l’Ordinanza n. 174, di alcuni giudizi
di legittimità costituzionale inerenti il
richiamato art. 14 della Legge n.
28/99, promossi con ricorsi delle Regioni Piemonte, Veneto e Lombardia.
Nei tre ricorsi, poi riuniti dalla Corte
giudicante, la questione di legittimità
costituzionale era stata sollevata eccependo che l’impugnato articolo sarebbe andato contro:
- ai principi di eguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva, di
cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal momento che l’art. 88, comma 1, del Tuir, esclude gli Enti territoriali dall’assoggettabilità all’Irpeg e
quindi risulterebbe contraddittorio
prevederne allo stesso tempo la loro
sottoposizione a ritenuta d’imposta;
- all’art. 76, dal momento che la denunciata disposizione legislativa dovrebbe essere interpretata alla luce
della Legge n. 825/71, di delega per
la riforma tributaria, la quale, nel
prevedere la ritenuta (a titolo d’acconto o d’imposta) sui redditi di capitale corrisposti esclusivamente a
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soggetti Irpeg o a soggetti esenti,
avrebbe dimostrato la chiara intenzione di non assoggettare al prelievo
alla fonte i soggetti esclusi dal tributo;
- all’art. 97, considerato l’impatto sfavorevole che la disciplina impugnata
avrebbe sul piano dell’attività amministrativa e finanziaria;
- all’art. 101, in quanto l’impugnato
articolo sarebbe frutto di un uso distorto e arbitrario della legge interpretativa, col quale, attraverso la manipolazione artificiosa del sistema
creato con l’art. 88 del Tuir, si sarebbe cercato di bloccare le numerose
richieste di rimborso avanzate dagli
Enti territoriali a seguito dell’esclusione degli stessi dall’applicazione
dell’Irpeg, disposta a partire dal 1°
gennaio 1991 (art. 4, comma 3, del
Dl. n. 310/90, convertito nella Legge n. 403/90), incidendo allo stesso
tempo sui giudizi in corso;
- infine, al principio di autonomia finanziaria ed allo status costituzionale
delle Regioni, di cui agli artt. 114,
115, 117, 118 e 119 della Costituzione medesima, dal momento che
risulterebbe contraddittorio sottoporre a ritenuta le disponibilità costitutive dell’autonomia finanziaria
delle Regioni, dopo averle escluse,
con il richiamato art. 88, comma 1,
del Tuir, dall’area di assoggettabilità
dell’Irpeg.
Al riguardo, la Corte Costituzionale ha
dichiarato tutte le questioni sopra
enunciate inammissibili, dal punto di
vista della legittimità costituzionale, in
base alle seguenti considerazioni:
- in riferimento agli artt. 3 e 53 della
Costituzione, la questione è stata
giudicata tale in quanto le Regioni
agiscono, in tale frangente, “come
contribuenti” e sarebbe pertanto
inammissibile che ogni questione
nella quale le Regioni si configurano
come debitori rilevasse sul piano costituzionale;
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- riguardo all’art. 97, la questione, peraltro formulata in termini meramente assertivi, è risultata allo stesso
modo inammissibile in quanto la disciplina impugnata non può essere
considerata menomazione di attribuzioni regionali;
- riguardo invece all’art. 76, la questione è stata giudicata inammissibile in quanto la disposizione impugnata è stata introdotta con Legge
ordinaria e non già con Legge delegata;
- in riferimento poi all’art. 101, il giudizio di inammissibilità è derivato
dal fatto che un’ipotetica lesione del
principio contenuto in detto articolo non può di per sé tradursi in una
menomazione di competenze regionali;
- riguardo infine agli artt. 114, 115,
117, 118 e 119, la questione è risultata parimenti inammissibile in
quanto la Costituzione non definisce e garantisce alle Regioni un’autonomia finanziaria in termini quantitativi, ma solo il diritto a disporre di
risorse finanziarie che risultino complessivamente adeguate ai compiti
loro attribuiti, affinché non sia impedito loro il normale espletamento
delle loro funzioni.
Per quanto riguarda invece la correttezza dell’interpretazione fornita dall’art. 14 della Legge n. 28/99 dal punto di vista fiscale, particolare rilievo assume l’osservazione, richiamata dalla
stessa Sentenza, formulata dall’Avvocatura Generale dello Stato in merito all’inquadramento tecnico delle ritenute
d’imposta di cui in oggetto.
A parere dei difensori dell’Erario tali
ritenute risultano essere imposizioni
reali distinte dalle imposizioni personali sul reddito, cosicché non vi può
essere contraddizione tra non soggezione all’Irpeg e soggezione a ritenuta.
Tale motivazione, seppur asserita all’interno di un pronunciamento di legittimità costituzionale – e non nel-
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l’ambito di un contenzioso tributario
– costituisce probabilmente, ad oggi,
la giustificazione maggiormente plausibile, dal punto di vista fiscale, della
validità del contenuto dell’art. 14 della Legge n. 28/99 e quindi, indirettamente, dell’art. 26, comma 4, del Dpr
n. 600/73.
Tuttavia, come già ribadito in precedenza, almeno sotto quest’ultimo
aspetto la questione appare ancora
tutt’altro che definitivamente chiarita.
Come era stato evidenziato dalle Regioni ricorrenti, la Legge n. 28/99 appare introdotta nel nostro ordinamento al solo scopo di manipolare il sistema statuito dall’art. 88 del Tuir, in modo da legittimare, con Legge ordinaria
di carattere interpretativo, il blocco
delle richieste di rimborso da parte degli Enti Locali e territoriali, forzando,
in modo quanto mai evidente, il significato della locuzione “in ogni altro caso”, contenuta nell’art. 26, comma 4,
del Dpr. n. 600/73, anche ai soggetti
esclusi dall’Irpeg.
Tutto ciò al di fuori di quello che inizialmente costituiva il reale intento
della Legge delega di riforma del sistema tributario (la citata Legge n.
825/71), ossia comprendere nell’applicazione della ritenuta i soli soggetti
esenti e non anche quelli esclusi, dal
momento che nel periodo di stesura
della norma in questione non potevano prevedersi ipotesi successive di non
soggettività passiva.
In conclusione dunque, nonostante
che i richiamati pronunciamenti della
Consulta abbiano chiarito, anche se
con motivazioni non proprio ineccepibili, la legittimità costituzionale dell’art. 14 della Legge n. 28/99, lo stesso
non può dirsi, almeno per il momento
ed in attesa di necessari approfondimenti futuri, riguardo alla coerenza di
tale norma con l’insieme del nostro ordinamento tributario.
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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Mercoledì 20 giugno 2001
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Il notiziario:
Proroga in vista per il Mod. 770/2001 “autonomo” ?
Comunità montane e Unioni di comuni: in arrivo i trasferimenti
Aran: una precisazione sulle procedure di raffreddamento dei conflitti
Euro: un progetto per informare le popolazione dei Comuni minori
Scuola dell’obbligo: entro il 7 luglio le richieste per gli arredi
LL.PP.: Determinazione dell’Autority su forniture con posa in opera
LL.PP.: un chiarimento in materia di barriere stradali di sicurezza
Compatibile con la privacy la trasparenza sugli stipendi pubblici
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Gli approfondimenti:
Il Testo Unico sugli espropri per pubblica utilità
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I documenti:
Le risposte dell’Aran in materiale di personale degli Enti Locali
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La giurisprudenza:
Via libera alla professione di avv. per i dip. pubblici a part-time
Segretario di C.M. può essere Sindaco di un Comune che la compone
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I quesiti:
Il credito d’imposta sugli utili su ex aziende municipalizzate
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Lo scadenzario
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La Circolare si compone di n. 22 pagine
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(firma) ___________________________
“Progetto formativo enti locali”
MASTER BASE PER REVISORI ENTI LOCALI
Napoli - Bari - Pescara
Dicembre 2001 - aprile 2002
Il Centro Studi Enti Locali, in collaborazione con la Grant Thornthon Enti Pubblici Srl,
ha in programma di organizzare una seconda edizione del Master base per i Revisori degli Enti Locali
destinata ai professionisti che risiedono nelle Regioni meridionali.
Anche al fine di verificare il reale interesse verso una simile iniziativa finalizzata a mettere in condizione
i Revisori di svolgere, con ancora maggiore competenza ed efficacia, il proprio lavoro,
i professionisti interessati a parteciparvi sono invitati a comunicarci la loro disponibilità al seguente indirizzo:
Tel. 0571/469222 – Fax 0571/469237 - E-mail [email protected]
Quanti effettueranno la pre-iscrizione entro il 15 novembre potranno usufruire di uno sconto aggiuntivo sul costo del Master.