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S O IL GIORNALE DEL REVISORE DIRETTORE HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Francesco Arcadio, Giacomo Bertocchini, Giovanni Conti, Ernesto Curreli, Michele Del Castello, Attilio Zifaro EDITORE Istituto Nazionale Revisori Contabili Via Zuretti, 39 - 20125 Milano R I O 3 LA PROFESSIONE DEL REVISORE CONTABILE Modesto Bertolli 4 PROTOCOLLO D’INTESA INPS - ISTITUTO NAZIONALE DEI REVISORI Testo del protocollo 8 LA SENTENZA PENALE E IL DIRITTO / DOVERE DI AUTOTUTELA Michele Del Castello SCIENTIFICO Antonino Mirone, Mario Tonucci, Antonio Preto, Ernesto Currili, Angelo Deiana, Michele del Castello A IL GIORNALE DEL REVISORE DI REDAZIONE Virgilio Baresi, Agostino Basso, Gianluigi Bertolli, Modesto Bertolli, Andrea Boreatti, Gaetano Carnessale, Giovanni Battista De Muzio, Paolo Fontana, Giandomenico Genta, Andrea Mastroianni, Santino Mazzilli, Antonio Mirone, Massimo Pollini, Ubaldo Procaccini, Giuseppe Sanfilippo, Gaetano Scognamiglio, Michele Simone, Mario Tonucci COMITATO M GR RESPONSABILE Enrico Sassoon COMITATO M Editoriale 10 ACCESSO ALLA BANCA DATI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO: I REVISORI SOGGETTI ABILITATI Circolare Ministero delle Finanze 12 ELETTO IL NUOVO CONSIGLIO NAZIONALE I.N.R.C. Modesto Bertolli 14 LA TASSAZIONE AGLI EFFETTI IRPEF DEGLI IMMOBILI STORICO ARTISTICI Francesco Arcadio 19 LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA Giovanni Conti ultima parte STAMPA Arti Grafiche Amilcare Pizzi SpA Via Amilcare Pizzi, 14 20092 Cinisello Balsamo (Mi) 31 SISTEMA DI CONTROLLO INTERNO E GESTIONE DEI RISCHI Silvia Sgalla - Alberto Carnevale TIRATURA Questo numero 101.214 copie 36 IL COLLEGIO SINDACALE E LA SUA FUNZIONE “SOCIALE” Ernesto Curreli 37 LETTERE a cura della redazione 38 I QUESITI DEI LETTORI a cura dell’I.N.R.C. 39 UN NUOVO MODELLO ORGANIZZATIVO Giacomo Bertocchini 40 IL SISTEMA DI VALUTAZIONE DEL PERSONALE Attilio Zifaro 42 ICI E FINZIONE DI “NON EDIFICABILITÀ” Francesco Arcadio 44 SPECIALE a cura del Centro Studi Enti Locali REDAZIONE Via Zuretti, 39 - 20125 Milano Tel. 02/67.38.311 r.a. Fax 02/67.38.31.26 - 02/67.38.31.24 E-mail: [email protected] ART DIRECTOR Laura Arcari IMPAGINAZIONE Kappadue srl PUBBLICITÀ Istituto Nazionale Revisori Contabili Registrazione Tribunale di Milano n. 9 del 15 gennaio 2001 Inserto NUOVA SERIE ANNO XXV - NUMERO 4/5 Spedizione in abb. post. 45% - Art. 2 Comma 20/B legge 662/96 - Milano La redazione si riserva di modificare e abbreviare i testi originali. Gli articoli firmati rispecchiano il pensiero degli autori. Studi, servizi e articoli de “Il Giornale del Revisore” possono essere riprodotti purché ne sia citata la fonte. ISTRUZIONI PER GLI AUTORI I lavori non devono superare le 11.600 battute. I lavori dovranno essere inviati alla redazione di Milano: Via Zuretti, 39 preferibilmente per e-mail utilizzando un formato Word per Windows (MS-DOS o Macintosh) a questo indirizzo: [email protected] GARANZIA DI RISERVATEZZA Il trattamento dei dati personali che riguardano il destinatario viene svolto nel rispetto di quanto stabilito dalla legge 675/96 sulla tutela dei dati personali. Il trattamento dei dati è effettuato al fine di aggiornare il destinatario su iniziative e offerte dell’editore. I dati non saranno comunicati o diffusi a terzi e per essi il destinatario potrà richiedere, in qualsiasi momento, la modifica o la cancellazione. 1 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 Lettere Il parere dell’esperto Enti locali Il revisore negli Enti locali IL GIORNALE DEL REVISORE L’appartenenza all’I.N.R.C., oltre ai vantaggi di tutela e rappresentanza della figura del Revisore Contabile, agli strumenti di informazione privilegiati ed esclusivi, offre ai propri associati i benefici dei nuovi accordi stretti con aziende leader di settore, che garantiscono le migliori condizioni di acquisto di prodotti e servizi. • TIM “tariffe speciali” • COMPAQ “offerte personalizzate” • • LLOYD’S “copertura assicurativa” • FINEMIRO “una card dai molteplici vantaggi” • • ALFA ROMEO “Top assistance Status” • TELECOM “Web Kit • • STAR HOTEL “tariffe privilegiate” • • TERME DI SALSOMAGGIORE “i migliori alberghi” • Sono in corso trattative con altre primarie società per ampliare la gamma dei vantaggi. Per associarsi all’Istituto Nazionale Revisori Contabili o visionare le modalità delle offerte, nelle pagine di questo numero sono presenti coupon di iscrizione e pubblicità esplicative. - N.B. Per poter ricevere tutte le informative sulle iniziative adottate e su quelle che verranno in futuro promosse, è indispensabile rilasciare l’assenso al trattamento dei dati personali in calce alla domanda di iscrizione. • Per informazioni sulla carta di credito FINEMIRO riservata ai Revisori consultare il sito internet – [email protected] – • Per la copertura assicurativa LLOYD’S informazioni all’indirizzo internet – [email protected] – • Per le convenzioni con TERME DI SALSOMAGGIORE e STAR HOTEL presentare all’atto della prenotazione la propria tessera di riconoscimento; la stessa tessera va presentata presso i concessionari ALFA ROMEO a voi più vicini. • Per prendere visione delle offerte, il sito COMPAQ SHOP è pronto per essere utilizzato in modo personalizzato dagli utenti “revisori contabili”, l’indirizzo da cui si accede è http://shop.compaq.it/revisori, verrà chiesto nome utente e password che gli iscritti dovranno richiedere all’Istituto. • I moduli per aderire alle convenzioni TIM possono essere richiesti direttamente alla sede dell’Istituto che provvederà a inviarli a mezzo posta elettronica. Ulteriori informazioni possono essere richieste ai seguenti Numeri Verdi: PIEMONTE, LIGURIA, VALLE D’AOSTA Via Sestriere, 130/b 10098 Rivoli (To) Tel. 800-290182 Fax 800-601315 LOMBARDIA Via Jenner, 30 20159 Milano Tel. 800309309 Fax 800-116529 VENETO, TRENTINO ALTO ADIGE, FRIULI VENEZIA GIULIA Via Settima Strada, 22 Torre B Pal. S. Barbara 35100 Padova Tel. 800-318318 Fax 800-402540 EMILIA ROMAGNA, TOSCANA, MARCHE, UMBRIA Via Fioravanti, 27 40129 Bologna Tel. 800-358358 Fax 800-367452 LAZIO, SARDEGNA, ABRUZZO, MOLISE Via Faustiniana, 28 00131 Roma Tel. 800-476976 Fax 800-303139 CAMPANIA, PUGLIA, BASILICATA Centro Direzionale Isola C1 80143 Napoli Tel. 800-304304 Fax 800-368643 SICILIA, CALABRIA Via Orsini, 9 90100 Palermo Tel. 800-365365 Fax 800-3026565 E D I T O R I A L E La professione del Revisore Contabile Vogliamo provare a classificare, nel contesto professionale, il Revisore Contabile atteso che sullo specifico argomento spesso e volentieri nascono problemi interpretativi che turbano la serenità di taluni dei nostri iscritti. A complicare le cose arrivano poi le interpretazioni di comodo da parte delle categorie professionali interessate, protese a contrastare l’evolversi della legislazione europea nello specifico settore orientata alla liberalizzazione generalizzata non escluso il settore delle professioni intellettuali a eccezione di quelle legate alla salute del cittadino e alla difesa dello stesso in sede penale. È questo l’orientamento di massima del nostro Istituto, ragione per la quale siamo spesso in “conflitto di interessi” con le categorie economico-amministrative coinvolte. Fatte queste premesse, noi sosteniamo che il Revisore Contabile di cui al Decreto Legislativo 27 gennaio 1992 n. 88, iscritto quindi nel registro presso il Ministero della Giustizia, è professionista come tutti coloro risultanti iscritti in albi professionali per cui possono esercitare qualsiasi attività professionale purché, aggiungiamo noi, padrone delle materie per le quali si presta all’esercizio dell’attività stessa in sintonia con le esigenze del mercato. Il cammino di una economia in rapida evoluzione non consente più l’esistenza del professionista “tuttofare” così come gli attuali ordinamenti professionali preve- dono, per cui o si arriva alla specializzazione oppure si muore. Del resto basterà scorrere gli ordinamenti delle due professioni economico-amministrative italiane (ragionieri e dottori commercialisti) per riscontrare che nessuna esclusiva è riservata agli iscritti negli ordinamenti in parola. Ciò non significa che l’iscrizione al registro dei Revisori Contabili equivalga a capacità incontrastata e senza regole, ma valgono anche in questo caso la preparazione, le capacità richieste dall’attività svolta, coscienza delle responsabilità che si assumono, rigoroso rispetto della deontologia professionale. Ciò premesso, il Revisore Contabile può esercitare tutte le attività professionali a eccezione di quelle specificamente vietate. Conseguentemente ci limiteremo a ricordare solo quelle oggi non ancora acquisite più per insipienza di un legislatore distratto che per motivi di professionalità. Un esempio eclatante è rappresentato dai Decreti Legislativi 31 dicembre 1992 n. 545 e 546 (emessi quindi lo stesso giorno): con il primo (545) si dice che il Revisore Contabile può essere membro componente delle commissioni tributarie; nel secondo ove si stabilisce chi può difendere il contribuente nanti alle commissioni tributarie stesse il Revisore Contabile non c’è più. Superfluo ricordare che la “dimenticanza” è tutt’altro che casuale. Altra questione è il cosiddetto “vi- 3 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 sto pesante” che noi abbiamo sempre considerato responsabilità da evitare. Ciò non significa però rinunciare al diritto formale di possederne la legittimità. Non crediamo vi siano altre questioni importanti meritevoli di eccessiva attenzione. In compenso, però, vorremmo ricordare alcune attività professionali riservate in esclusiva alla categoria (ribadiamo categoria) dei Revisori Contabili indipendentemente dalla iscrizione in un albo professionale. Ci riferiamo al D.L. “omnibus” per l’assegnazione e cessione di partecipazioni, il valore delle quali è determinato ai sensi dell’art. 9 del TUIR, per cui il valore del patrimonio netto deve risultare da relazione giurata di stima. Orbene, detta relazione deve essere redatta da un Revisore Contabile. Il Decreto Legislativo 30 luglio 1999 n. 258 recante il regolamento della organizzazione dell’Istituto Nazionale per la valutazione del sistema per l’istruzione attuativo, degli art. 1 e 3 del decreto sopra richiamato all’art. 6 statuisce che il collegio di controllo deve essere formato solo da soggetti iscritti nel registro dei Revisori Contabili. E, infine, tieni per esempio ciò che i sapienti del passato ci hanno tramandato: “quod vult habet qui velle quot satis potest”, cioè a dire: “ha quello che vuole colui che può volere quello che gli basta”. Modesto Bertolli IL GIORNALE DEL REVISORE PROTOCOLLO D’INTESA INPS - ISTITUTO NAZIONALE DEI REVISORI p remesso che l’INPS e i Revisori Contabili, nello svolgimento dei rispettivi compiti e funzioni, hanno sempre perseguito l’obiettivo del continuo e costante miglioramento dei servizi da fornire alla comune clientela, nella convinzione che, ai fini del raggiungimento di tale obiettivo, risulta determinante una reciproca formale collaborazione, l’INPS e i Revisori Contabili convengono sulla necessità di stabilire rapporti che realizzino una incisiva attività di collaborazione volta anche nell’assunzione di indirizzi e di linee di intervento comuni, nel rispetto, naturalmente, delle reciproche competenze e funzioni istituzionali. L’INPS E L’ISTITUTO NAZIONALE REVISORI CONTABILI TERRANNO RIUNIONI IN OCCASIONE DELL’ATTUAZIONE DI DISPOSIZIONI LEGISLATIVE OVVERO DI MODIFICHE ORGANIZZATIVE DELL’ISTITUTO CHE COMPORTINO INNOVAZIONI OPERATIVE IL GIORNALE DEL REVISORE Riportiamo il testo della convenzione e del protocollo d’intesa siglato dall’Istituto con l’INPS al fine di migliorare i servizi alla clientela In tale ottica l’Istituto recepisce le indicazioni contenute nelle norme: Legge n. 12 dell’11 gennaio 1979, direttiva CEE n. 84/253 e Decreto Legislativo n. 88 del 27 gennaio 1992, che riconoscono ai professionisti, nello svolgimento delle loro funzioni, un ruolo sociale e dinamico nell’adempimento degli obblighi dei contribuenti. Il presente protocollo d’intesa ricalca sostanzialmente quello sottoscritto con i Ragionieri e periti commerciali, i Consulenti del lavoro, i Tributaristi, pertanto tende a formalizzare e ottimizzare i reciproci rapporti per realizzare, attraverso il miglioramento degli stessi, un ulteriore salto qualitativo dell’attività della categoria e del prodotto dell’Istituto. 4 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 L’INPS, nell’ambito della Sede Centrale, ha costituito un apposito Progetto preposto anche alla gestione dei rapporti con le Categorie dei professionisti e le Organizzazioni sindacali, al fine di valutare in modo organico le istanze di ordine organizzativo e funzionale provenienti dai soggetti destinatari dei servizi dell’Istituto. L’Istituto Nazionale Revisori Contabili, nell’ambito del Consiglio direttivo, ha costituito una commissione di lavoro per i rapporti operativi con gli Istituti previdenziali e assicurativi. Tali organismi pongono in essere, in particolare, ogni opportuna iniziativa per la realizzazione di un rapporto di collaborazione i cui effetti debbono essere funzionali allo sforzo che costantemente l’Istituto attua per un corretto e puntuale adempimento del pagamento dei contributi e la gestione dei conti assicurativi, fattori più che mai oggi propedeutici a una corretta gestione previdenziale e a una efficiente politica di erogazione di prestazioni. 1 - Consultazioni a livello centrale L’INPS e l’Istituto Nazionale Revisori Contabili, nella consapevolezza della necessità di intensificare la prassi delle consultazioni preventive, terranno riunioni in occasione sia dell’attuazione di disposizioni legislative ovvero di modifiche organizzative dell’Istituto che comportino innovazioni operative da parte delle aziende, sia in tutte quelle altre circostanze nelle quali si ravvisi l’opportunità di risolvere congiuntamente i problemi eventualmente insorti. In particolare, le consultazioni saranno effettuate in modo da prevenire quanto più possibile situazioni di difficoltà di rapporto che possono produrre effetti negativi sulla funzionalità dei servizi. Tali consultazioni, che potranno essere richieste da entrambe le parti, avverranno tra funzionari dell’Istituto e rappresentanti della categoria designati dal consiglio direttivo dei Revisori. Per l’INPS parteciperanno i rappresentanti, dei servizi di volta in volta interessati alle problematiche oggetto delle consultazioni, le quali avranno luogo prima dell’emanazione delle relative disposizioni, fatta salva comunque l’esigenza per l’INPS della tempestività e urgenza nell’emanazione delle disposizioni stesse, di cui sarà data comunicazione con altrettanta tempestività. Parallelamente opererà un gruppo di lavoro misto per i collegamenti telematici, composto da funzionari dell’Istituto e da membri designati dal consiglio direttivo dei Revisori Contabili, per lo studio e le proposte relative a tutte le problematiche Massimo Paci Modesto Bertolli connesse ai collegamenti telematici e allo scambio di informazioni e dati per via informatica. A tal fine gli accordi integrativi locali stabiliranno modalità e tempi di accesso agli uffici da parte dei Revisori e dei propri dipendenti e collaboratori, anche attraverso la predisposizione di sportelli specializzati e riservati. 2 - Consultazioni a livello locale Presso ogni Agenzia come già concordato a livello nazionale tra INPS e Revisori, vengono attivati incontri periodici e sistematici tra funzionari dell’INPS e rappresentanti dei Revisori per la preventiva consultazione sulle materie di carattere generale o specifico oggetto dell’attività dei Revisori stessi. In tale sede – salva la continuità dell’azione amministrativa – vengono esaminate e definite ipotesi di lavoro o soluzioni operative attinenti materie o attività di competenza dei Revisori. È autorizzato l’accesso alle Agenzie INPS dei Revisori iscritti all’Istituto Nazionale dei Revisori Contabili, provvisti del tesserino professionale, per consentire agli stessi di rappresentare le imprese/clienti, definire le posizioni attive e passive delle stesse e contribuire a risolvere problemi operativi e di sistema che potrebbero presentarsi. 5 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 3 - Compilazione della modulistica Nelle consultazioni preventive deve essere prestata particolare attenzione alla modulistica di comune interesse sia per quanto riguarda la struttura, la veste e il contenuto della medesima, sia per ciò che riguarda la sua distribuzione. I Revisori si impegnano a prestare particolare attenzione alla chiara e corretta compilazione della modulistica, presupposto indispensabile a una migliore e celere ricezione dei dati. 4 - Utilizzazione dei mezzi informatici Particolare attenzione viene prestata all’utilizzo sempre maggiore delle procedure automatizzate che consentono lo sfruttamento delle potenzialità fornite dallo sviluppo delle tecnologie informatiche. IL GIORNALE DEL REVISORE L’INPS E I REVISORI CONTABILI EFFETTUERANNO SCAMBI DI INFORMAZIONE E VALUTAZIONI AL FINE DI PREVENTIVARE I POSSIBILI EFFETTI DERIVANTI DA NORME IN CORSO DI APPROVAZIONE IL GIORNALE DEL REVISORE A esse, sia l’INPS che i Revisori puntano per la massima efficienza: tale comune obiettivo porterà alla intensificazione dei contatti tra l’Istituto e rappresentanti della categoria per l’approfondimento e lo studio delle varie problematiche concernenti la realizzazione dei collegamenti telematici. Sotto tale aspetto, l’INPS e i Revisori sono convinti che la proiezione all’esterno del prodotto informatico dell’INPS, integrando la già elevata e specifica competenza tecnica della categoria, contribuirà notevolmente a elevare la qualità del prodotto fornito dai singoli professionisti all’Istituto con i conseguenti benefici effetti sui servizi erogati da quest’ultimo. Al fine di pervenire all’ottimizzazione dei risultati, l’INPS si impegna a illustrare ai soggetti interessati le variazioni e innovazioni dei programmi applicativi relativi alle procedure automatizzate per la gestione degli adempimenti in materia contributiva e i Revisori si impegnano a mettere a disposizione la propria professionalità anche in campo informatico e assicurano il proprio impegno per applicare operativamente le varie procedure informatiche. I Revisori, pertanto, verranno ammessi ai collegamenti telematici alla stregua degli altri Ordini Professionali che hanno sottoscritto analoghi protocolli di intesa con l’Istituto. Al fine di fornire a coloro che si avvalgono di tale facoltà ogni strumento che favorisca l’uso delle procedure informatiche, l’INPS si impegna a mettere a disposizione dei Revisori percorsi privilegiati di accesso alle Sedi e ogni altra possibile consentita condizione di ordine organizzativo. Particolari accordi saranno perfezionati, a livello centrale e locale, in materia di distribuzione della modulistica, del software e delle modalità di accessi alle banche dati, strumenti necessari ai Revisori per l’espletamento dell’attività di consulenza e assistenza. 5 - Piani di attività L’INPS e i Revisori Contabili convengono sull’opportunità di dar luogo alla individuazione congiunta dei reciproci impegni nei confronti di piani di notevole interesse per l’Istituto che coinvolgono l’attività di riscossione dei contributi previdenziali e assistenziali. Tali impegni potranno di volta in volta essere precisati anche a livello locale, mediante specifiche intese, nell’ambito, ovviamente, delle linee programmatiche del presente protocollo. 6 - Contenimento del contenzioso L’INPS e i Revisori Contabili si impegnano a contenere il contenzioso giudiziario, attivando, a tal fine, opportune consultazioni preventive in modo particolare nei casi in cui si preveda che i casi oggetto di contenzioso siano numerosi. Resta ovviamente impregiudicata ogni iniziativa finalizzata all’interruzione di eventuali termini prescrizionali e alla salvaguardia dei diritti. 7 - Attività di formazione In coerenza e nel quadro dell’obiettivo del miglioramento qualitativo dei servizi, notevole rile- 6 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 vanza assume per l’Istituto la proiezione all’esterno dei propri processi produttivi e delle tecnologie utilizzate. Da parte dei Revisori Contabili è rilevante l’interesse a integrare le proprie tecniche con quelle dell’INPS al fine di realizzare, con il minore sforzo possibile, un miglioramento del prodotto che consenta un rapporto di massima fiducia con i clienti. In tale quadro, le parti riconoscono l’utilità dell’attività di formazione, aggiornamento e conoscenza, e concordano pertanto sull’opportunità della partecipazione reciproca a rispettivi momenti formativi. Gli oneri relativi graveranno pro-quota in rapporto alla concreta fruizione delle iniziative poste in essere che sarà di volta in volta valutata dalle parti. 8 - Azione sugli organi legislativi Considerato il reciproco interesse a svolgere le proprie funzioni in un contesto normativo chiaro e opportunamente funzionale, l’INPS e i Revisori Contabili effettueranno scambio di informazioni e valutazioni al fine di preventivare i possibili effetti derivanti da norme in corso di approvazione. Le conseguenti valutazioni potranno essere rappresentate, nel caso di convergenza, anche congiuntamente ai competenti organi di Governo e legislativi. Roma, 25 luglio 2001 IL PRESIDENTE DELL’ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE Massimo Paci IL PRESIDENTE DELL’ISTITUTO NAZIONALE REVISORI CONTABILI Modesto Bertolli CONVENZIONE TRA L’ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE E L’ISTITUTO NAZIONALE REVISORI CONTABILI tra I. N. P. S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, con sede in Roma (RM), Via Ciro il Grande 21, in prosieguo denominato più semplicemente INPS, nella persona del suo Presidente e legale rappresentante Prof. Massimo Paci, domiciliato per la carica in Roma, a ciò autorizzato in forza della deliberazione del Consiglio di Amministrazione n. 259 dell’8 settembre 1999 e Istituto Nazionale Revisori Contabili, con sede in Milano, Via Zuretti 39, nella persona del suo Presidente rag. Modesto Bertolli PREMESSO - che ai sensi dell’art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 l’INPS deve procedere annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvedere, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza; - che la legge 23 dicembre 2000, n. 388 (finanziaria 2001), oltre ad introdurre aumenti della maggiorazione sociale e della pensione sociale ha previsto nuove prestazioni legate al reddito; - che alle prestazioni pensionistiche interessate alla verifica predetta vanno aggiunte le verifiche reddituali relative agli assegni per il nucleo familiare ed agli assegni familiari; - che l’operazione di rilevazione dei redditi, con le stesse modalità adottate in precedenza, debba essere effettuata anche nell’anno 2001 sia per i redditi degli anni 1999 e 2000 sia per i redditi dell’anno 2001, la cui conoscenza è resa necessaria dalle disposizioni della legge finanziaria 2001; - che nei confronti di tutti i soggetti le cui prestazioni sono collegate al reddito l’INPS invia apposite comunicazioni invitandoli a dichiarare tutti i dati reddituali necessari per procedere alle verifiche di legge; - che l’Istituto deve procedere al recupero delle prestazioni indebitamente percepite ai sensi dell’art. 1, commi 260 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662; - che il Consiglio di Amministrazione nella riunione del 28 febbraio 2001 ha deliberato di dare avvio all‘operazione RED con riferimento ai redditi degli anni 1999, 2000 e 2001. Tutto ciò premesso e confermato da considerarsi parte integrante e sostanziale del presente contratto, tra le parti sottoscritte, come sopra costituite e rappresentate, si conviene e si stipula quanto segue ART. 1 (Attività dell’INPS) Entro il 15 dicembre 2001 i soggetti abilitati dal decreto legislativo 28.12.1998 n. 490, ai fini della verifica prevista ai sensi dell’art. 13 della legge 30 dicembre 1991 n. 412, dovranno far pervenire all’INPS tutte le dichiarazioni ricevute. L’INPS in questa fase provvede a richiedere i dati relativi al triennio 1999/2001. Per conferire la massima efficacia a tali iniziative l’INPS dà tempestiva e puntuale informazione anche attraverso la stampa e gli altri strumenti di comunicazione. ART. 2 (Compiti dell’Istituto Nazionale Revisori Contabili) Gli iscritti all’Istituto Nazionale Revisori Contabili si impegnano ad acquisire, previo controllo dell’identità e della legittimazione dei dichiaranti, le dichiarazioni dei titolari delle prestazioni a carico dell’Istituto, a riscontrarne la corrispondenza con la documentazione fiscale ed a trasmettere via cavo all’Istituto le dichiarazioni rese con l’attestazione di conformità alla documentazione fiscale. Gli stessi iscritti, inoltre, devono attenersi a quanto previsto dal D.Lgs. del 28.12.2000 n. 445 e accettare l’autocertificazione del dichiarante senza chiedere alcuna documentazione. Per quanto concerne l’anno 2001 è necessaria una dichiarazione presuntiva del reddito relativo. ART. 3 (Procedure informatiche di supporto) Le procedure informatiche di supporto devono essere previamente indicate dall’Istituto, il quale fornirà tempestivamente il software specializzato idoneo a supportarle. Qualsiasi variazione delle procedure o del software dovrà preventivamente essere indicata ed approvata dall’Istituto. Gli iscritti all’Istituto Nazionale Revisori Contabili devono essere autorizzati al fisco telematico e possedere la chiave pubblica e privata (RSA) generata con il software fornito dal Ministero delle Finanze. ART. 4 (Informazioni rese al momento della dichiarazione) Al momento in cui acquisisce la dichiarazione e la relativa documentazione, nel rispetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675, gli iscritti all’Istituto Nazionale Revisori Contabili dovranno rendere noto agli interessati che la dichiarazione e i dati documentali sono da essi acquisiti e trasmessi all’INPS per il raggiungimento delle finalità previste dalla legge e dalla presente convenzione. ART. 5 (Stampa e custodia delle dichiarazioni) Gli iscritti all’Istituto Nazionale Revisori Contabili provvedono direttamente a stampare le dichiarazioni reddituali in duplice copia, di cui una è custodita per un periodo non inferiore a dieci anni negli appositi archivi da essi tenuti, e l’altra è consegnata per ricevuta al dichiarante o suo delegato. ART. 6 (Custodia della documentazione) Gli iscritti all’Istituto Nazionale Revisori Contabili custodiscono altresì nei propri archivi, per il periodo indicato dall’Istituto, la documentazione cartacea di supporto alle dichiarazioni. 7 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 ART. 7 (Compensi) Per l’attività prevista nella presente convenzione l’INPS corrisponde agli iscritti dell’Istituto Nazionale Revisori Contabili per ogni dichiarazione trasmessa: - £ 45.000 in caso di presentazione dell’intera documentazione per tutti i tre anni così suddiviso: - £ 21.000 anno 1999 - £ 15.000 anno 2000 - £ 9.000 anno 2001 - £ 35.000 in caso di presentazione di autocertificazione per tutti i tre anni così suddiviso: - £ 14.000 anno 1999 - £ 12.000 anno 2000 - £ 9.000 anno 2001 ART. 8 (Spese) Tutte le spese e gli oneri, anche fiscali, inerenti al presente atto sono a carico dell’Istituto Nazionale Revisori Contabili, salvo diversa previsione di legge. Il Presidente dell’Istituto Nazionale dell’INPS Prof. Massimo Paci Il Presidente Revisori Contabili Rag. Modesto Bertolli IL GIORNALE DEL REVISORE LA SENTENZA PENALE E IL DIRITTO / DOVERE DI AUTOTUTELA l’ Amministrazione Finanziaria, a parole, pone un grande rilievo affinché il rapporto con il cittadino sia basato sui principi di trasparenza e di reciproco rispetto. Quando, però, si passa alle situazioni concrete i fatti cambiano leggermente. Una delle questioni più emblematiche e che maggiormente hanno interessato sia la dottrina che la giurisprudenza è la obbligatorietà, o meno, dell’Ufficio Finanziario a prestare acquiescenza alla sentenza penale di assoluzione passata in giudicato quando nel procedimento si sia dibattuto sugli stessi fatti posti a base dell’accertamento tributario. L’articolo 12 della legge n° 516/82 al 1° comma sanciva che la sentenza di assoluzione “… ha autorità di cosa giudicata nel processo tributario”. Il 2° comma ribadiva che gli Uffici Finanziari, in presenza di tale situazione, “… possono … revocare gli accertamenti”. Il primo scoglio affrontato fu quello interpretativo: infatti, la parola “possono”, secondo gli Uffici Finanziari, stava a significare una mera facoltà posta alla loro libera discrezione e non un preciso obbligo. IL GIORNALE DEL REVISORE La sentenza penale ha autorità di cosa giudicata nel processo tributario? Secondo tale interpretazione le Commissioni Tributarie (ovverossia i Giudici) avevano l’obbligo di adeguarsi alle Sentenze dei Tribunali mentre gli Uffici avevano la più ampia discrezionalità. È evidente che tale interpretazione cozzava con la logica e con le più elementari norme del diritto. Infatti la Corte Costituzionale, interessata della problematica da diverse Commissioni Tributarie emise una Sentenza (n° 120 del 5-23 settembre 1992) interpretativa del 2° comma dell’articolo 12 con la quale si affermava che la parola “possono” va intesa come “avere il potere” e, quindi, il “dovere” di adeguarsi alla sentenza penale. In sintesi l’unica attività degli Uffici Finanziari, secondo questa interpretazione, era quella di riscontrare se i fatti posti a fondamento della pretesa tributaria fossero i medesimi deliberati con la sentenza penale, nonché verificare il passaggio in giudicato di quest’ultima. Dopo di che all’Amministrazione Finanziaria non rimaneva altro da fare che revocare l’accertamento. 8 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 La situazione sembrava chiarita ma, di lì a poco, veniva sollevato un nuovo dubbio. Il nuovo codice di procedura penale, emanato nel 1988, e, quindi, dopo la legge n° 516/82 prevede, all’articolo 654, dei limiti alla efficacia della sentenza penale nei giudizi civili e amministrativi. La principale limitazione è relativa alla formazione della prova. In particolare si affermava che nel processo penale la prova testimoniale è ammessa mentre in quello tributario – sia nella vecchia veste (articolo 35 del D.P.R. n° 636/72) che nella nuova (articolo 7 del D. Leg.vo n° 546/92) – ciò è espressamente vietato con la conseguenza che se una sentenza penale si basa sulla decisiva prova testimoniale – magari di Ufficiali di Polizia Giudiziaria – questa non fa “stato” ai fini fiscali. Altra limitazione importante, sempre prevista dall’articolo 654 del c.p.p., è che la sentenza fa stato per l’imputato e per la parte civile che si sia costituita. Nel procedimento penale è la Procura della Repubblica (il Pubblico Ministero) che sostiene l’accusa nei confronti dell’imputato mentre l’Amministrazione Finanziaria ha facoltà – quasi mai esercitata visto l’intervento della Procura – di co- stituirsi parte civile con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato. Tutto ciò determina che l’imputato viene, comunque, processato – anche in caso di contumacia – e, in caso di sua condanna, la sentenza fa stato; mentre l’Amministrazione Finanziaria – non costituitasi parte civile – in caso di assoluzione dell’imputato, si trova nella condizione che quella sentenza non sia a lei opponibile. Come principio giuridico è senz’altro da scartare. Infatti la Corte Costituzionale, nuovamente investita della problematica dalle Commissioni Tributarie si trovò a decidere sul caso seguente. Una ditta individuale, sottoposta ad accertamento, era fallita e non aveva proposto impugnazione presso la competente Commissione Tributaria. Per i medesimi fatti il titolare era stato assolto dal tribunale con la formula ampia. Il curatore fallimentare – sebbene l’accertamento fosse divenuto definitivo per mancata impugnazione – vistasi notificare la cartella esattoriale, aveva impugnato quest’ultima presso la Commissione Tributaria sostenendo che se quei fatti, posti a base dell’accertamento fiscale, erano stati giudicati insussistenti dal Giudice penale non si vedeva per quale ragione il Fisco continuasse nella sua, infondata, pretesa. La Corte Costituzionale (Sentenza n° 264 del 23 luglio 1987) accolse la tesi del curatore fallimentare affermando che se il contribuente non ha commesso la violazione fiscale – fatto accertato con sentenza penale passata in giudicato – non ha il dovere di pagare i tributi. In caso contrario si sarebbero violati i principi basilari di eguaglianza e di capacità contributiva sanciti dagli articoli 3 e 53 della Costituzione. Circa l’obbligatorietà, o meno, della Pubblica Amministrazione – quindi degli Uffici Finanziari – di prestare acquiescenza alla sentenza penale passata in giudicato questa volta la Consulta fece riferimento alla legge quadro della P.A. (n° 2248 del 1865 - Allegato “E” - articolo 4) ove si afferma che i dipendenti pubblici hanno l’obbligo di uniformarsi “alle sentenze dei Tribunali”. La Sentenza n° 264/97 della Corte Costituzionale ha, quindi, portata molto ampia legando l’obbligo dei Funzionari statali di adeguarsi alla sentenza penale al fatto stesso di essere dipendenti della P.A. Il tutto a prescindere da questa o quella legge fiscale e dalla successione delle leggi nel tempo. A quel punto il Dipartimento delle Entrate del Ministero delle Finanze ha emanato la Circolare n° 195/E, appunto del 1997, con la quale si afferma che “… l’esercizio del potere di annullamento in via di autotutela trova un limite insuperabile nel giudicato e cioè nell’esistenza di una sentenza passata in giudicato … e, pertanto, all’Amministrazione, come a chiunque altro, non resta che darvi puntuale ottemperanza”. Ci sarebbe da aggiungere: finalmente! Infine la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili (13 luglio-24 settembre 1998) ha stabilito che le Sentenze interpretative della Consulta “… non possono essere disconosciute dai Giudici che, ove non ne condividessero gli indirizzi, non avrebbero altra soluzione che sollevare, nuovamente, la questione di incostituzionalità”. Fatto, quest’ultimo, che nel caso di specie è già avvenuto per ben due volte e, in entrambi i casi, è stato risolto nel senso sopra descritto. A questo punto la situazione sembrava defi- 9 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 nitivamente risolta ma, nell’anno 2000, la Legge n° 516/82 è stata sostituita dal D. Leg.vo n° 74 del 10 marzo 2000 e, quest’ultimo, non ripropone, nemmeno in maniera indiretta, l’obbligo previsto dall’art. 12 della vecchia norma. Così, immediatamente, si sono innalzate le voci di coloro i quali pretendono che la sentenza penale non fa più stato nel processo tributario. E la Sentenza n° 264/97 della Corte Costituzionale? E la legge n° 2248/1865? E l’obbligo dei dipendenti delle P.A. di uniformarsi L’EMANAZIONE alle sentenze dei tribunaDEL D.LGS. N. 74/2000 li? Sono stati dimenticati nuovamente. HA RIPROPOSTO IL Prima che qualche altra PROBLEMA, IN QUANTO Commissione Tributaria NON RIPRODUCE sollevi, per la terza volta, la problematica presso la L’OBBLIGO DI CUI Consulta il Signor MiniALL’ARTICOLO 12 DELLA stro dell’Economia e delle Finanze non reputa PRECEDENTE NORMA opportuno emanare un Decreto del seguente tenore: “La sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento pronunciata in seguito a giudizio relativo a reati previsti in materia fiscale ha autorità di cosa giudicata nel processo tributario per quanto concerne i fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale. In tali circostanze l’Amministrazione Finanziaria ha l’obbligo di revocare l’accertamento emettendo provvedimento di autotutela ai sensi del combinato disposto dell’articolo 2/quater della legge n° 656 del 30 novembre 1994 e del D.M. n° 37 dell’11/02/1997”? Non pensa, Signor Ministro, che in questa maniera i rapporti tra Stato e cittadino possano migliorare ed essere improntati a reciproco rispetto? Michele Del Castello IL GIORNALE DEL REVISORE ACCESSO ALLA BANCA DATI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO: I REVISORI SOGGETTI ABILITATI v engono frequentemente richieste informazioni sulla possibilità del Revisore Contabile non anche iscritto in albi professionali di rappresentare la propria clientela nanti le commissioni tributarie. È un problema che nasce in virtù dell’esistenza di vecchie normative in disuso, invigorite da ottusi “concorrenti” in cerca di esclusive che non hanno, per cui torna agevole pescare nel torbido. Al fine di chiarire una volta per tutte l’annoso problema pubblichiamo integralmente la circolare del Ministero delle Finanze n. 26/E del 16 marzo 2001, per quella parte che ci interessa, che pone fine a ogni equivoco e noi speriamo una volta per tutte. D’altro canto sarebbe semplicemente assurdo disconoscere al Revisore Contabile tale diritto dal momento che il D.L. 31 dicembre 1992 n. 545 istitutivo dell’ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributa- ria riconosce al Revisore Contabile il diritto a essere componente delle Commissioni Tributarie stesse, per cui non si vede perché non possa essere anche difensore della propria clientela. Raccomandiamo ai nostri associati di segnalarci tempestivamente eventuali comportamenti difformi da parte delle Commissioni Tributarie per consentirci il tempestivo intervento presso competenti organismi di difesa non escluso il Ministero delle Finanze. Il servizio è operativo dal 20 marzo 2001 Contenzioso tributario consultabile via Internet (Circolare Finanze 26E/2001) A partire dal 20 marzo 2001 tutti i soggetti già abilitati all’invio telematico delle dichiarazioni periodiche possono accedere alla banca dati del contenzioso tributario, inserita nel servizio telematico dell’Agenzia delle entrate. Munendosi del prerequisito dell’abilitazione potranno inoltre accedere al servizio i soggetti abilitati all’assistenza tecnica dinanzi alle Commissioni tributarie, in particolare - i soggetti indicati nell’articolo 63, terzo comma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (impiegati dell’Amministrazione finanziaria ed Ufficiali della Guardia di finanza); - i dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel CNEL ed i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate, limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate. Successivamente il servizio verrà esteso anche ad altre “parti” dei rapporti in contenzioso. Con la circolare 26E del 16 marzo 2001 il ministero delle Finanze indica la procedura di acceso tramite tecnologie web e le caratteristiche della banca dati del contenzioso tributario. L’estensione della telematica al contenzioso tributario, che segue alla trasmissione via Internet delle dichiarazioni fiscali, mira a realizzare uno degli obiettivi strategici della riforma dell’Amministrazione finanziaria, la semplificazione e la razionalizzazione della struttura fiscale, per migliorare la qualità della comunicazione e dei servizi erogati. Il provvedimento illustra inoltre il contesto d’uso, la visibilità dei dati sia per quanto attiene ai giudici tributari, accessibile a tutti, per evidenti ragioni di riservatezza, solo a chi è direttamente interessato e può introdurre gli specifici dati di riconoscimento; è infine attivo un servizio di assistenza. I vantaggi derivanti dal nuovo servizio sono evidenti per gli uffici, che dovrebbero verificare una sostanziale diminuzione dei carichi di lavoro derivanti dalle informazioni richieste allo sportello dai soggetti coinvolti nel processo tributario; anche i professionisti potranno senza dubbio avvantaggiarsi ricorrendo al nuovo strumento ed evitando lunghe attese e dalla possibilità di seguire in tempo reale l’andamento dell’iter processuale per ottenere informazioni sullo stato di trattazione del ricorso. (28 marzo 2001) IL GIORNALE DEL REVISORE 10 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 MINISTERO DELLE FINANZE. CIRCOLARE N. 26/E DEL 16 MARZO 2001 – OGGETTO: ACCESSO ALLA BANCA DATI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO TRAMITE TECNOLOGIE WEB. In attuazione delle disposizioni recate dall’art. 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, tutte le Commissioni tributarie provinciali e regionali sono state dotate di un sistema informativo per l’automazione delle attività svolte dalle proprie segreterie e per il monitoraggio del contenzioso tributario. Le procedure automatizzate per la gestione dei ricorsi e dei ricorsi in appello attengono all’attività pre-udienza (ricezione atti e caricamento dati dei ricorsi, gestione dei decreti presidenziali, assegnazione dei ricorsi alle sezioni, avvisi di trattazione, composizione del collegio giudicante), all’attività post-udienza (acquisizione esito trattazione e deposito della sentenza, comunicazione dei dispositivi alle parti, giudizio di ottemperanza) e alla gestione di altre attività. L’inserimento dei dati effettuato per l’espletamento delle suddette attività dal personale di segreteria delle Commissioni tributarie determina la produzione di una banca dati che, a partire dal 20 marzo 2001, per mezzo del servizio telematico dell’Agenzia delle Entrate, sarà messa a disposizione di soggetti esterni, che da postazioni remote potranno usufruire di servizi di interrogazione. L’estensione della telematizzazione al contenzioso tributario, che segue alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali, è mirata alla realizzazione di uno degli obiettivi strategici della riforma dell’Amministrazione finanziaria, vale a dire la semplificazione e la razionalizzazione della struttura fiscale, nell’ottica del miglioramento della qualità della comunicazione e dei servizi erogati. Con la presente circolare, predisposta d’intesa con il Ministero delle Finanze - Direzione Generale degli Affari Generali e del Personale, che presiede all’organizzazione delle Commissione tributarie, vengono illustrate le procedure di accesso tramite tecnologie web e le caratteristiche della banca dati del contenzioso tributario. SOGGETTI ABILITATI Considerato che norme primarie e decreti dirigenziali già disciplinano l’utilizzo del servizio telematico, in questa prima fase, gli utenti che potranno interrogare la base informativa del contenzioso tributario saranno le seguenti categorie di soggetti abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni: • gli iscritti nell’albo dei dottori commercialisti; • gli iscritti nell’albo dei ragionieri e dei periti commerciali; • gli iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro; • gli iscritti negli albi degli avvocati; • gli iscritti nel registro dei revisori contabili di cui al Decreto legislativo 21 gennaio 1992, n. 88; • gli iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioniere; • le associazioni o società semplici costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni in cui almeno la metà degli associati o dei soci è costituita da soggetti indicati all’art. 3, comma 3, lettere a) e b) del D.P.R. 322/98. Gli utenti incontrati in tali categorie sono, nella maggior parte dei casi, gli abilitati presso l’Agenzia delle Entrate a trasmettere in via telematica le citate dichiarazioni fiscali e sono altresì abilitati al patrocinio dei loro clienti presso le Commissioni tributarie provinciali e regionali. Coloro, invece, che non sono in possesso del prerequisito della succitata abilitazione alla trasmissione telematica, potranno richiedere l’autorizzazione ad accedere presso la banca dati del contenzioso tributario alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate competente in base al proprio domicilio fiscale, oppure agli Uffici locali e agli altri Uffici operativi individuati da ciascuna Direzione regionale. In particolare, potranno chiedere l’accesso alla predetta banca dati i seguenti soggetti abilitati all’assistenza tecnica dinanzi alle Commissioni tributarie, in quanto iscritti negli appositi elenchi tenuti dalle Direzioni regionali dell’Agenzia delle Entrate di cui al D.M. 18 novembre 1996, n. 631: • soggetti indicati nell’articolo 63, terzo comma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (impiegati dell’Amministrazione finanziaria e Ufficiali della Guardia di finanza); • dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel CNEL e i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate, limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate. 11 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 IL GIORNALE DEL REVISORE ELETTO IL NUOVO CONSIGLIO NAZIONALE INRC Bertolli Modesto Presidente Boreatti Andrea Baresi Virgilio Segretario Generale Basso Agostino Tesoriere Vice Presidente Carnessale Gaetano Simone Michele Vice Presidente Vice Presidente Fontana Paolo Mastroianni Andrea Vice Segretario Vice Segretario Sanfilippo Giuseppe Vice Segretario Bertolli Gianluigi Consigliere Cari amici, penso che, una volta tanto, si abbia il diritto di uscire “dal guscio” sia pure con riservata circospezione così come la prudenza della lumaca consiglia. È, oggi, anche una necessità organizzativa perché il nostro “silenzio” impostoci dalla scadenza di termini statutari è stato volentieri interpretato come l’agonia del morituro. No, amici ed avversari, siamo qui, vivi e vegeti e come potete riscontrare ringiovaniti e rinvigoriti da forze nuove e prestigiose giacché ad una famiglia in costante aumento serve il rinnovarsi, il rendersi conto che a maggiori numeri corrisponde maggiore efficienza, necessario adeguamento al mondo che cammina. Sento prima di tutto il bisogno di un caloroso sentito sincero ringraziamento a tutti i consiglieri che hanno sino a qui lottato per le nostre fortune perché a loro si deve l’immagine attuale del nostro istituto, le fortune del quale ci vengono confermate dalla stima e considerazione da ogni parte trapelanti, financo da parte dei più diretti “concorrenti” qualche volta costretti a fare buon viso a cattivo gioco. A tutti ribadiamo, sino alla noia, che noi siamo aperti alla più ampia sincera collaborazione purché si operi alla difesa degli interessi di chi si rappresenta. Ai nuovi arrivati diciamo siate i benvenuti nella nostra famiglia che crede nell’apporto della Vostra prestigiosa collaborazione destinata ad incutere sempre maggiore soggezione in quanti sperano nelle nostre capacità di tutela ed affermazione della novella professione del Revisore Contabile. Ciò che ci attende domani è compito non facile proteso alla formazione del futuro Revisore per cui il nostro dovere sarà principalmente quello della formazione professionale del Revisore, del suo aggiornamento nel tempo attraverso corsi di formazione prima e di perfezionamento poi perché noi riteniamo che il suo riconoscimento, il suo prestigio derivino appunto dalla sua preparazione culturale, professionale, morale e deontologica. Noi non apparteniamo alla categoria De Muzio Giovanni Battista Genta Giandomenico Mazzilli Santino Mirone Antonio Consigliere Consigliere Consigliere Consigliere IL GIORNALE DEL REVISORE 12 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 CONSIGLIERI REVISORI PROBIVIRI Bertolli Baresi Boreatti Basso Carnessale Simone Fontana Mastroianni Sanfilippo Bertolli De Muzio Genta Mazzilli Mirone Pollini Procaccini Scognamiglio Tonucci Modesto Virgilio Andrea Agostino Gaetano Michele Paolo Andrea Giuseppe Gianluigi Giovanni Battista Giandomenico Santino Antonio Massimo Ubaldo Gaetano Mario Presidente Segretario Generale Tesoriere Vice Presidente Vice Presidente Vice Presidente Vice Segretario Vice Segretario Vice Segretario Consigliere Consigliere Consigliere Consigliere Consigliere Consigliere Consigliere Consigliere Consigliere Franco Massimino C. Francesco G. Lorenzo Diego Effettivo Effettivo Effettivo Supplente Supplente Scognamiglio Gaetano Tonucci Mario Consigliere Consigliere Bordanzi Franco D'Amico Massimino C. Revisore effettivo Revisore effettivo Zorzoli Francesco G. Giacomelli Lorenzo Revisore effettivo Revisore supplente Morana Diego Cristiano Adolfo Revisore supplente Probiviro effettivo Guerra Goffredo Vitello Eugenio Probiviro effettivo Probiviro effettivo Cesta Manuela Pontesilli Carlo Probiviro supplente Probiviro supplente REVISORI Bordanzi D'Amico Zorzoli Giacomelli Morana PROBIVIRI Cristiano Guerra Vitello Cesta Pontesilli Adolfo Goffredo Eugenio Manuela Carlo dei sostenitori dell’assioma “molti nemici, molto onore”, ma la circostanza di risvegliare tanta gelosia è conferma indiretta della nostra presenza sul “mercato” per altro sempre più rimarcata e fastidiosa come un sassolino nella scarpa di quanti ci vogliono male. Anche in questa occasione voglia- Effettivo Effettivo Effettivo Supplente Supplente mo ribadire la nostra disponibilità ad operare nel comune interesse delle libere professioni consorelle o meglio ancora di tutti i professionisti operanti nel settore convinti come siamo essere questa l’unica via da seguire per sopravvivere dignitosamente. Modesto Bertolli Pollini Massimo Procaccini Ubaldo Consigliere Consigliere 13 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 IL GIORNALE DEL REVISORE LA TASSAZIONE AGLI EFFETTI IRPEF DEGLI IMMOBILI STORICO ARTISTICI i n questi ultimi tempi, la controversia che si è instaurata tra l’Amministrazione Finanziaria ed in particolare quella fiscale dello Stato si è ulteriormente acuita, nei confronti dei contribuenti che sono possessori di abitazioni ovvero immobili di interesse storico ed artistico di cui alla Legge 01.06.1939 n. 1089, allorché i beni sono soggetti a locazione. Secondo la tesi dell’Amministrazione Fiscale in caso di locazione, gli immobili di cui alla Legge n. 1089/1939 sono soggetti alla disciplina di cui all’art. 1, comma 2, lett. a) della Legge 9 dicembre 1998 n. 431 e non all’art. 11, comma 2 della Legge 30 dicembre 1991 n. 413. Di conseguenza debba essere soggetto a tassazione il canone di locazione dell’immobile “storico” con i contemperamenti e riduzioni di cui all’art. 8 della Legge n. 431/98, in relazione a come detto innanzi, in relazione all’art. 1, comma 2, lett. a) della Legge n. 431 medesima, i contribuenti, di contro, si poggiano sul fatto che l’art. 11, comma 2 della Legge 30 dicembre 1991 n. 413 stabilisce che in ogni caso il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico ed IL GIORNALE DEL REVISORE Non accenna a sopirsi il contenzioso sulla interpretazione dell’art. 11, comma 2, della Legge 30 dicembre 1991 n. 413 artistico è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato. Sull’interpretazione di questa norma ed in particolare sulla locuzione “in ogni caso” utilizzata dal legislatore si è instaurato un ampio contenzioso che non accenna a sopirsi. La Suprema Corte di Cassazione, con Sentenza n. 2442 del 18 marzo 1999 ha statuito che la portata dell’art. 11 della Legge n. 413/91 non poteva essere all’ipotesi dell’immobile sfitto, poiché il dato testuale, che recita, “in ogni caso il reddito degli immobili” ha portata generale e deve essere applicata anche agli immobili locati. Anche il Consiglio di Stato, adito a seguito di una ordinanza del T.A.R. del Lazio, con ordinanza n. 1913 del 18 aprile 2000 ha 14 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 confermato la declaratoria di illegittimità delle istruzioni, impartite per la compilazione del Mod. 730, poiché è da ritenersi erroneo il procedimento, relativo alla distinzione tra immobili sfitti ed immobili locati, in materia di IRPEF su immobili storico-artistici. Con nota del 21 aprile 2000, il Dicastero delle Finanze è intervenuto nella controversa materia, per rettificare la propria restrittiva interpretazione, a seguito dei diversi pareri giurisprudenziali, arrivando, pur tuttavia, alla conclusione che l’unico effetto da essi apportato è quello della eliminazione delle sanzioni per gli accertamenti, operati su questo rilievo fino all’anno1997. Infatti secondo l’Amministrazione Finanziaria, a partire dall’anno 1998, con l’entrata in vigore della Legge 9 dicembre 1998 n. 431, cambia lo scenario normativo, disponendosi che il canone contrattuale degli immobili storici viene diminuito del 50% quando il contratto è stipulato sul modello convenzionale, stabilito in sede locale, dalle Associazioni Sindacali dei proprietari e degli inquilini ed in assenza di contratto convenzionale, l’impo- nibile è quello ordinario del canone maturato. Siffatta tesi ministeriale è stata confutata nel senso che se l’art. 1, comma 2, lett. a) della Legge n. 431/98 stabilisce che per i contratti di locazione degli immobili storici, la disciplina della riduzione del 30% del reddito fondiario si applica solo se è stato stipulato contratto “convenzionale”; ne consegue che in mancanza di quest’ultimo, il reddito è pari alla minore delle tariffe d’estimo, previste per le abitazioni della zona censuaria, nella quale è collocato il fabbricato. Anche per l’anno 2001 la situazione, relativa alle istruzioni per la compilazione del Mod. 730 si è ripetuta ed ancora il Consiglio di Stato con ordinanza n. 2743 dell’8 maggio 2001 ha chiarito che non solo l’imponibile agli effetti IRPEF degli immobili soggetti a vincolo storico-artistico (Legge n. 1089/1939) è costituito dalla rendita catastale, derivante dall’applicazione della tariffa d’estimo minima per le abitazioni della zona censuaria, nella quale è collocato il fabbricato, ma che anche le istruzioni ministeriali, per la compilazione del Mod. 730 vanno modificate in tal senso. Pertanto il Dipartimento delle Entrate, in seguito alla predetta Ordinanza del Consiglio di Stato, ha emanato il provvedimento 25 maggio 2001 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 29 maggio 2001) adeguando le istruzioni alla Ordinanza della Suprema Magistratura Amministrativa, lasciando, pur tuttavia, agli Uffici la valutazione di ogni caso concreto, anche di provvedere alla notifica di appositi avvisi di accertamento, nelle forme ordinarie, per il recupero di maggiori imposte (art. 37 e segg. del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600). La materia non ha trovato ancora una definitiva sistemazione, pur dovendo convenire che l’Amministrazione Finanziaria ha mutato orientamento, nel senso che ha abbandonato il sistema del recupero formale e liquidazione automatica, in quanto la riscossione delle maggiori imposte e delle sanzioni potrà avvenire solo attraverso le procedure del contenzioso tributario. È appena il caso di rilevare che la VI Sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Padova, con sentenza emessa nel 2001 ed in controtendenza con quanto sopra esposto, ha accolto il ricorso della locale Agenzia delle Entrate, in relazione alla interpretazione di cui all’art. 11, comma 2 della Legge 30 dicembre 1991 n. 413. In particolare l’Agenzia delle Entrate, in applicazione della circolare n. 7 emanata dal Dipartimento in data 10 luglio 1993, ha calcolato l’imponibile quale reddito effettivo, il canone di locazione per gli immobili di interesse storico-artistico di cui alla Legge 1.6.1939 n. 1089. L’Ufficio Tributario rilevava che le eventuali agevolazioni, comprese quelle di cui all’art. 11, comma 2 della Legge 30/12/1991 n. 413 spettassero solo nel caso in cui l’immobile fosse sfitto. La Commissione Tributaria di Padova-Sez. VIa ha condiviso la posizione assunta dall’Ufficio delle Entrate, rilevando che l’art.11, comma 2 della predetta Legge n. 413/91 stabilisce che “in ogni caso” il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi del- 15 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 l’art. 3 della Legge 1 giugno 1939 n. 1089 e successive modificazioni ed integrazioni, è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato e che la dicitura “in ogni caso” non va interpretata con il significato che tali edifici sono soggetti alla minore delle rendite catastali anche nel caso di un maggiore canone di locazione. Il reddito dei fabbricati, prosegue la Commissione Tributaria Patavina, viene calcolato in base a tariffe d’estimo e in base a contratto di locazione: mentre nel primo caso si tratta di un reddito “fittizio”, nel secondo caso, la locazione costituisce un reddito effettivo, che viene percepito dal contribuente. Trattandosi di immobili affittati, viene evidenziato il canone di locazione, altrimenti si considera la rendita catastale. Gli immobili storici o artistici di cui alla Legge n. 1089/1039 e non affittati che hanno una rendita presunta che risulta agevolata per l’applicazione dell’art. 11, comma 2 della Legge n. 413/91 e cioè determinata mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato e trasferire tale agevolazione anche nel caso di immobili storici locati, viene considerata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Padova “una forzatura non prevista da nessuna norma fiscale”. Avremmo, conclude la Commissione Tributaria, un trattamento discriminatorio in contrasto con il principio costituzionale della LA MATERIA NON HA TROVATO ANCORA UNA DEFINITIVA SISTEMAZIONE, MA LA RISCOSSIONE DI MAGGIORI IMPOSTE POTRÀ AVVENIRE SOLO ATTRAVERSO IL CONTENZIOSO IL GIORNALE DEL REVISORE Convenzione con Telecom Italia per l’utilizzo di Internet Nell’intento di favorire l’attività professionale dei propri iscritti l’Istituto ha portato a conclusione alcune convenzioni al fine di ottenere servizi a condizioni vantaggiose per i propri iscritti. Particolare attenzione è stata rivolta alle tecnologie informatiche e alle telecomunicazioni, perché esse rappresentano strumenti essenziali alla nostra attività. 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Questi verrebbero penalizzati, rispetto a coloro che usufruiscono di tali agevolazioni, senza pagare nessuna imposta sul reddito di locazione. Secondo la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, poiché con sentenza n. 137/2/00 del 14 novembre 2000, statuisce che l’applicabilità dell’art. 11, comma 2 della Legge n. 413/91 è subordinata al fatto che compete al proprietario dell’immobile vincolato dimostrare di aver preventivamente offerto allo Stato la possibilità di esercitare il diritto di prelazione, previsto dall’art. 30 della Legge n. 1089/1939. Il mancato assolvimento dei predetti obblighi di legge determina la decadenza dalle agevolazioni tributarie. Insomma la materia è ancora in fase di ebollizione, con decisioni talvolta contrastanti e contraddittorie, motivo per cui il cittadino contribuente si trova ancora una volta in seria difficoltà, per l’esercizio di un serio comportamento fiscale e tributario. A parere di chi scrive, al caso di specie possa essere applicata la norma di cui all’art. 6 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997 n. 472, che al 2° comma così recita: Non è punibile l’autore della violazione, quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dai modelli per la dichiarazione e per il pagamento. Francesco Arcadio DOMANDA DI ISCRIZIONE Io sottoscritto............................................................................................................................................. nato a......................................................................................................................................................... I N V I A R E V I A FA X O S P E D I R E A L L A S E D E D I M I L A N O (Scrivere possibilmente in stampatello) Cod. Fisc................................................................. Partita IVA .............................................................. residente a...................................................................................................... CAP ................................. Via/Piazza...................................................................................................... Civ. .................................. Tel. ............../..................................... Fax ............/.................................. E-mail ................................... con studio in .................................................... Via/Piazza.......................................................Civ. ......... Tel. ............../..................................... Fax ............/.................................. E-mail ................................... iscritto nel Registro dei Revisori Contabili di cui al D.Lgs. 27.01.1992, n° 88 dal ....................................... con D.M. .................................. (G.U. n° ........ del ..............................) chiedo di essere iscritto all’Istituto Nazionale Revisori Contabili dichiarando di ben conoscere, e accettare incondizionatamente, le norme dello Statuto e del Regolamento dell’Istituto. Conseguentemente mi obbligo al pagamento sia della quota di iscrizione “una tantum” sia della quota annuale, sia di ogni altra contribuzione, anche straordinaria, nella misura e nei termini che verranno statutariamente stabiliti e mi impegno di assolvere all’obbligo di detti pagamenti finché non cesserò di appartenere all’Istituto per dimissioni volontarie o per altra causa statutariamente disciplinata. Dichiaro infine che “l’attestato di iscrizione”, “il timbro nominativo” e la “Tessera Personale di riconoscimento” - che potranno essermi forniti - sono di proprietà dell’Istituto Nazionale Revisori Contabili e dovranno essere da me restituiti all’Istituto stesso a semplice richiesta. In particolare mi obbligo a comunicare, senza indugio, all’Istituto i cambiamenti di indirizzo e dell’utenza telefonica e a restituire, e comunque a non usare né utilizzare, l’attestato, il timbro e la tessera nel caso di cessazione della mia appartenenza all’Istituto ai sensi dell’art. 6 dello Statuto Sociale e ciò a partire dalla data di cessazione. Data ........................................................ (firma autografa) In ottemperanza alle prescrizioni della legge n. 675/1996, Vi autorizzo espressamente a inserire le informazioni contenute nel presente modulo nel database informatico, conservato presso la sede di Milano, degli Iscritti all’associazione, che potranno chiederne la consultazione. Autorizzo l’utilizzo delle sole informazioni strettamente attinenti l’esercizio della professione, nel contesto di pubblicazioni e materiale divulgativo di varia natura, finalizzati a promuovere l’attività dell’Istituto e a diffonderne la conoscenza tra i soggetti con i quali l’Istituto stesso intrattiene rapporti utili per il raggiungimento dei propri scopi statutari. Compilare anche sul retro 10.2001 firma Q U O T E A S S O C I AT I V E - Quota iscrizione “una tantum” Lit. 50.000.= Lit. 250.000.= (solo all’atto dell’iscrizione) comprensiva dell’attestato nominativo e del distintivo argento 800 (diam. 12 mm) - Quota associativa annuale comprensiva della Tessera di Riconoscimento e vetrofania annuale auto (per le adesioni pervenute dal 1° ottobre al 31 dicembre la quota associativa è attribuita all’anno successivo ed è comprensiva del periodo dell’anno in corso al momento del pagamento) Grazie alla convenzione stipulata con Finemiro, l’iscrizione dà diritto a ricevere gratuitamente la carta di credito personale. Per riceverla è sufficiente compilare e inviare il modulo che troverà sul sito: www.revisori.it RIMBORSI DAI SOCI PER SERVIZI (franco destinatario) - Timbro nominativo preinchiostrato con il logo dell’I.N.R.C. - Distintivo in oro 750 - Distintivo in oro 750 - Distintivo in argento 800 - Medaglione argentato - Medaglione in bronzo - Attestato nominativo (diam. mm. 37) (diam. mm. 18) (diam. mm. 12) (diam. mm. 12) (diam. mm. 70) (diam. mm. 70) (mm. 420x295) Lit. “ “ “ “ “ “ 100.000.= 150.000.= 70.000.= 35.000.= 50.000.= 45.000.= 50.000.= TESSERE DI RICONOSCIMENTO DELL’ISTITUTO Le tessere di riconoscimento rilasciate agli associati verranno corredate dalla foto del titolare. Gli associati dovranno far pervenire alla Sede dell’Istituto due fotografie formato tessera a colori allegando fotocopia di un documento di identità personale, in corso di validità, munito di fotografia. Il numero della tessera andrà sempre riportato nelle comunicazioni con l’Istituto. RIEPILOGO VERSAMENTI QUOTE E RIMBORSI ❏ Quota associativa ❏ Quota iscrizione “una tantum” ❏ Rimborso spese attestato ❏ Rimborso spese timbro nominativo ❏ Distintivo ❏ ............................................... Versamento di L. .............................. effettuato in data .............................. sul c/c n. 952140 della Banca Popolare di Crema (ABI 05228 - CAB 01660). Si prega non utilizzare altre forme di pagamento. 10.2001 LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA Ultima parte DI GIOVANNI CONTI Il testo è stato pubblicato nel corso di più numeri sempre nelle pagine centrali per consentirne la raccolta. SOMMARIO DELL’OPERA: 1. Dell’insolvenza in generale. 2. L’insolvenza dell’imprenditore: il fallimento. 3. La specialità dell’economia sociale: la liquidazione coatta amministrativa. 4. Le peculiarità dell’impresa cooperativa. 5. Il principio di prevenzione. 6. L’accertamento giudiziale preventivo dello stato di insolvenza: il processo ex art. 195 l.f. 7. (Segue): l’iniziativa per la dichiarazione giudiziale dell’insolvenza. 8. (Segue): le conseguenze della dichiarazione giudiziale dell’insolvenza. 9. (Segue): il parere dell’autorità di vigilanza. 10. L’accertamento amministrativo dell’insolvenza: l’insufficienza patrimoniale. 11. (Segue): la vigilanza amministrativa sulla società cooperativa. 12. Liquidazione coatta amministrativa e scioglimento per atto d’autorità. 13. I limiti dell’iniziativa del debitore. 14. (Segue): l’impresa cooperativa in liquidazione ordinaria. 15. (Segue): l’impresa cooperativa in gestione commissariale. 16. L’accertamento giudiziale successivo dello stato di insolvenza: il processo ex art. 202 l.f. 17. L’unitarietà dell’insolvenza. Ma vediamo più in dettaglio i contenuti dell’iniziativa volta alla dichiarazione giudiziale dell’insolvenza, preventiva rispetto al provvedimento di l.c.a., del quale la suddetta dichiarazione costituisce un presupposto. La legge prevede due ipotesi. C’è anzitutto l’iniziativa assunta dai creditori. In questo caso, e per quanto si è detto, essa può essere, indifferentemente, diretta a ottenere una dichiarazione di fallimento ovvero, sul presupposto che l’impresa non sia di natura commerciale, la dichiarazione del suo stato di insolvenza, per poi ottenere, a opera dell’autorità amministrativa competente, l’apertura della procedura di l.c.a. Dal punto di vista del creditore, l’iniziativa ex art. 195 l.f. non presenta caratteri differenziali apprezzabili rispetto a quella fallimentare. In entrambi i casi siamo di fronte a un creditore insoddisfatto che reclama il pagamento del proprio credito e sollecita l’apertura di un regime concorsuale, a prescindere dalla natura e dall’attività esercitata dall’impresa. Se tale sollecitazione porterà all’apertura del fallimento o alla dichiarazione dell’insolvenza non è questione collegata all’iniziativa del creditore, ma alla natura commerciale o non commerciale dell’impresa. L’altra ipotesi è quella, pure prevista dallo stesso art. 195, comma 7, che si realizza quando il tribunale provvede d’ufficio. La legge disciplina il caso in cui, nel corso di una procedura di concordato preventivo o di amministrazione controllata66, si verifichino le condizioni che comporterebbero – se la legge non lo escludesse – la dichiarazione di fallimento. Sono le situazioni previste, rispettivamente, dall’art. 173 (nel caso di concordato preventivo) e dagli artt. 192 e 193 (nel caso di amministrazione controllata) della legge fallimentare. Si tratta comunque di ipotesi limite, delle quali si comprende agevolmente la ratio. L’art. 173 predispone taluni strumenti volti a evitare che il debitore, nel corso di una procedura concordataria – quindi utilizzando una situazione anche per lui di favore – compia atti fraudolenti; e a 7 19 Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001 intervenire qualora si scopra che non sussistevano le condizioni di ammissibilità del concordato. Si tratta di rilevare l’esistenza di fatti o circostanze gravi che, se fossero state conosciute, non avrebbero mai consentito il favorevole sbocco costituito dalla procedura concordataria. Quella degli artt. 192 e 193 è invece la naturale presa d’atto della negativa conclusione di un tentativo (l’amministrazione controllata) e quindi dell’esistenza delle condizioni per la dichiarazione di fallimento. In presenza delle descritte situazioni, la legge ammette che, anche quando l’impresa non sarebbe suscettibile di fallimento, possa essere dichiarata d’ufficio l’insolvenza67. E, francamente, sarebbe assai singolare il contrario; se cioè, in presenza di una situazione concordataria e di un debitore che occulta il proprio patrimonio o compie atti fraudolenti, non fosse consentito un intervento efficace e tempestivo da parte del giudice. Alle stesse conclusioni si deve arrivare qualora il tentativo di salvataggio dell’impresa, compiuto attraverso l’espediente dell’amministrazione controllata, si concluda senza risultati, con la presa d’atto dell’esistenza di una crisi irreversibile, che non può che concludersi con la dichiarazione di fallimento o, nel caso, di uno stato di insolvenza. Fuori dalle ipotesi menzionate, che per loro natura appartengono comunque a situazioni di confine, si può quindi dire che, ordinariamente, i creditori appaiono gli unici soggetti titolari di un potere di iniziativa per la dichiarazione giudiziaria dello stato di insolvenza, ex art. 195 l.f. Rispetto alla disciplina dell’art. 6 l.f., risultano quindi esclusioni assai significative. Risulta privo di legittimazione il pubblico ministero e ne risulta ugualmente privo il debitore. Soprattutto quest’ultima esclusione potrebbe apparire poco comprensibile, se non addirittura come una ingiustificata compressione del sistema delle garanzie. Si è anche tentato di motivare la presunta ambiguità della scelta legislativa osservando che, in realtà, il debitore non avrebbe alcun interesse alla dichia- IL GIORNALE DEL REVISORE LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA razione giudiziaria della propria insolvenza68. Ma l’osservazione non sembra molto convincente in quanto, anche nell’ambito della procedura fallimentare, la facoltà del debitore di chiedere il proprio fallimento è disposta nell’interesse dei creditori, in quanto inerzia o ritardi d’intervento possono aggravare il pregiudizio da essi sofferto. Ed è proprio questo il motivo per cui il legislatore ritiene addirittura doveroso che il debitore, di fronte a una situazione di dissesto irreversibile, si affretti a richiedere il proprio fallimento69. È stato sollevato anche qualche dubbio sulla legittimità costituzionale della norma, sulla base di una presunta disparità di trattamento fra il debitore dell’impresa commerciale e quello dell’impresa sottratta al fallimento. Ma l’eccezione è stata respinta dalla Corte costituzionale70. E anche a nostro parere la decisione appare corretta. Potremmo aggiungere che, anche nel sistema particolare previsto per le imprese non soggette a fallimento, il debitore conserva la possibilità di richiedere l’apertura di una procedura concorsuale; nella specie, la l.c.a., con la differenza che la relativa istanza sarà indirizzata non al giudice, ma all’autorità amministrativa di vigilanza. Il legislatore, insomma, ha ritenuto di confermare la tutela giudiziale dei creditori, anche nel caso di imprese sottratte al fallimento, e di riservare all’imprenditore non commerciale, che ritenesse di sollecitare l’accertamento del proprio stato di insolvenza, iniziative non giudiziarie, ma non per questo inefficaci. Ricordiamo ancora che siamo di fronte a un sistema normativo speciale, che tiene prioritariamente conto della natura prevalentemente pubblicistica degli interessi da tutelare, ma che non per questo deve essere interpretato come un sistema di minori garanzie. pimento può essere chiesto all’amministrazione che non sia la sollecita apertura della procedura liquidatoria72. Poiché il destinatario del precetto normativo è la pubblica amministrazione, la legge non prevede un termine per l’adozione del provvedimento. Si ritiene comunque che il diniego di provvedere, così come un ritardo ingiustificato, che possa causare un danno all’integrità patrimoniale della società o agli interessi tutelati dalla procedura, configuri specifiche responsabilità in capo alla stessa amministrazione. L’accertamento giudiziario dell’insolvenza comporta un’altra importante conseguenza, prevista dall’art. 203 l.f. La legge, regolando appunto gli effetti dell’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza, dispone che, una volta intervenuta tale pronuncia giudiziale, si applicano, con effetto dalla data del provvedimento di l.c.a., anzitutto le disposizioni del titolo II, capo III, sezione III della legge fallimentare; cioè le disposizioni riguardanti il regime degli atti compiuti in frode ai creditori. Tali disposizioni conferiscono al commissario liquidatore anzitutto il potere di esercitare le c.d. azioni revocatorie fallimentari – soprattutto quelle, particolarmente efficaci, previste dall’art. 67 l.f., primo comma, nn. 1, 2 e 3 – per il ripristino dell’integrità patrimoniale della società a fronte di atti di disposizione compiuti nell’ultimo biennio e che, salvo non si provi il contrario, si presumono compiuti in danno ai creditori. L’art. 203, 3° comma, l.f. – operando espressamente un rinvio all’art. 33 l.f. – prevede, inoltre, l’obbligo per il commissario liquidatore di riferire al pubblico ministero73 sulle cause del dissesto e sulle eventuali responsabilità dell’imprenditore o di altri soggetti. Sarà poi lo stesso pubblico ministero a valutare l’opportunità di esercitare le azioni penali a carico dei responsabili. Sempre a partire dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione, la dichiarazione giudiziale dell’insolvenza consente infatti l’applicazione di alcune delle più significative disposizioni penali contenute nel titolo VI della legge fallimentare74. Si tratta di reati che presuppongono l’esistenza di un fallimento e di un fallito, cioè di uno status che si acquisisce con l’insolvenza e che, in forza della legge, si estende agli amministratori e ai sindaci, ai liquidatori75 e ai soci illimitatamente responsabili76. Con la dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza si opera, dunque, un significativo allineamento della procedura di l.c.a. con quella fallimentare. Restano naturalmente distinti la natura e i poteri del commissario liquidatore e, rispettivamente, del curatore fallimentare, ossia degli organi di gestione della liquidazione, come pure dell’autorità vigilante; ma sia l’una che l’altra procedura appaiono idonee a garantire un medesimo grado di tutela degli interessi dei creditori, anche, come si è detto, sotto il profilo della perseguibilità – civile e penale – dei responsabili del dissesto. Le conseguenze della dichiarazione giudiziale di uno stato di insolvenza sono anch’esse contenute nell’art. 195 l.f. e consistono nella necessità di disporre, come si è detto, la procedura di l.c.a. Dice espressamente la legge (art. 195, 1° comma) che, con la stessa sentenza o con successivo decreto, il giudice adotta i provvedimenti conservativi che ritenga opportuni nell’interesse dei creditori, fino all’inizio della procedura di liquidazione. La sentenza è comunicata (art. 195, 3° comma) entro tre giorni, a norma dell’art. 136 c.p.c., all’autorità competente perché disponga la liquidazione. Naturalmente, il termine dei tre giorni è da considerarsi puramente indicativo71, ma nessun dubbio sussiste sulla obbligatorietà dell’apertura della procedura di liquidazione coatta. Si può aggiungere che, in questo caso, la l.c.a. trae la sua legittimazione dal provvedimento giudiziario e non da un’attività discrezionale della pubblica amministrazione. Si ha pertanto motivo per ritenere che nessun ulteriore adem- 8 IL GIORNALE DEL REVISORE 20 Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001 Dice ancora la legge – art. 195, 2° comma, l.f. – che il giudice, nel caso di impresa assoggettabile alla l.c.a. con esclusione del fallimento, prima di provvedere, deve sentire l’autorità governativa che ha la vigilanza sull’impresa77. Nessun dubbio sussiste sull’obbligatorietà di tale adempimento, che costituisce un requisito essenziale di legittimità della sentenza78; e neppure sul fatto che trattasi di parere non vincolante per il giudice79. Sussistono, però, talune questioni da chiarire, soprattutto in ordine alla natura e al contenuto dell’intervento della pubblica amministrazione che, a nostro parere, non riguarda un pronunciamento sullo stato di insolvenza dell’impresa, ma altre valutazioni che precedono l’accertamento giudiziale. Questo si ricava da molteplici considerazioni. Anzitutto è da escludere che l’organo amministrativo possa assumere la qualità di parte e intervenire, quindi, direttamente nel contraddittorio processuale80. Così come ci sentiamo di escludere che il parere possa rivestire carattere testimoniale, cioè come una sorta di contributo, da fornire al giudice, di elementi genericamente utili per la decisione81. Come si è già detto, l’accertamento giudiziale dell’insolvenza risulta connesso con una doppia problematica, di natura processuale e sostanziale. Dal punto di vista processuale, occorre distinguere le istanze di fallimento da quelle proposte ai sensi dell’art. 195 l.f.; dal punto di vista sostanziale, occorre accertare la natura dell’attività dell’impresa, al fine di stabilire se questa risulta soggetta o non soggetta a fallimento. Vediamo, in dettaglio, le singole ipotesi. Quella meno problematica riguarda i casi in cui venga richiesto il fallimento di una società commerciale, quindi anche di una società cooperativa esercente un’attività commerciale. Qui il giudice potrà accertare subito l’esistenza di uno stato di insolvenza e, nell’ipotesi affermativa, pronunciare il fallimento, senza che sia tenuto a interpellare alcuna pubblica amministrazione. Alle stesse conclusioni si deve arrivare anche nel caso in cui venga proposta, nei confronti di impresa commerciale, un’istanza di insolvenza, ex art. 195 l.f., qualora il giudice ritenga di dover pronunciare comunque il fallimento dell’impresa. Avendo escluso, come si è detto, che si possa respingere l’istanza, non resta che concludere che, anche in questo caso, non esiste la necessità della preventiva consultazione dell’organo amministrativo, in quanto non esiste, per la sentenza di fallimento, alcun adempimento di questa natura. Non si esclude naturalmente – se l’istanza fallimentare è proposta verso un’impresa assoggettabile alla l.c.a., ma anche al fallimento – che il giudice possa nutrire dubbi sulla natura dell’impresa o sui contenuti dell’attività da essa esercitata. In questo caso si comprende bene quale contributo possa venire dal parere dell’organo di vigilanza, che potrà confermarne la natura commerciale, consentendo quindi la conseguente dichiarazione di fallimento, ovvero rilevarne la natura non commerciale e dunque suggerire al giudice la via della dichiarazione di insolvenza, ai sensi dell’art. 195 l.f. Ma qui l’organo amministrativo è chiamato a compiere una serie di ulteriori delicate valutazioni. Infatti, nel caso di imprese soggette a l.c.a., ma non sottratte al fallimento – come, appunto, la società cooperativa82 – la consultazione dell’organo amministrativo può costituire il presupposto per sollecitarne l’intervento. In questi casi la pubblica amministrazione, a fronte della specificità di situazioni concretamente emergenti, potrebbe, infatti, determinarsi a intervenire, anche nel caso di impresa commerciale, con il provvedimento di l.c.a. e quindi prospettare al giudice l’opportunità di sospendere il processo giudiziario. Ma potrebbe anche decidere di astenersi dall’assumere iniziative, lasciando che il giudice dichiari il fallimento. Non è infrequente, proprio nel caso di società cooperative, che l’impresa vesta indebitamente i panni della mutualità e che, quindi, l’organo vigilante non ritenga di volerla sottrarre ai rigori delle sanzioni fallimentari. 9 Fino a questo punto si è preso in esame l’accertamento dello stato di insolvenza nella sede giudiziaria. Un accertamento di tipo preventivo che, nell’ambito del processo ex art. 195 l.f, costituisce il presupposto giuridico per l’adozione del provvedimento di l.c.a. Si è però anche detto che l’impresa cooperativa presenta una disciplina più articolata. Per essa, infatti, il legislatore, oltre ad aver previsto il doppio regime – nel caso di cooperative commerciali – del fallimento e della l.c.a., ha anche previsto la possibilità di attivare, oltre l’accertamento giudiziario dell’insolvenza, un accertamento parallelo, di tipo amministrativo. Di questo si occupa l’art. 2540 c.c. Torniamo, dunque, a focalizzare la riflessione sulla complessità di questa norma, anch’essa rubricata come insolvenza, ma che sembra fare un ambiguo riferimento a un’ipotesi diversa, che ha già creato qualche motivo di dubbio sulla possibile esistenza di un contenuto speciale dell’insolvenza riservato dal legislatore alla società cooperativa. Si è già detto sui motivi che inducono a concludere per l’inapplicabilità di questa disposizione nell’ambito dell’accertamento giudiziario dell’insolvenza. È, però, necessario rileggerne ora attentamente il contenuto. Dice la norma che l’autorità governativa che ha la vigilanza83 sulla società può accertarne l’insufficienza delle attività e disporre la l.c.a. L’autorità amministrativa può, quindi, autonomamente accertare l’esistenza di uno stato di insolvenza della società e adottare il provvedimento di l.c.a., indipendentemente da un accertamento giudiziario. 10 21 Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001 IL GIORNALE DEL REVISORE LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA Si tratta ora di stabilire se l’art. 2540 c.c. individui, per la società cooperativa, un diverso presupposto dell’insolvenza che, descritto come insufficienza di attivo, potrebbe apparire distinto dall’insolvenza in senso proprio, almeno da quella che si accerta in sede giudiziale, a norma dell’art. 195 l.f. Partiamo dalla considerazione che l’art. 2540 c.c., per individuare l’insolvenza della società cooperativa, usa una terminologia di tipo spiccatamente contabile, che prende a riferimento il bilancio dell’impresa, cioè quel documento dal quale si può conoscere se l’ammontare complessivo del patrimonio è o non è sufficiente a fare fronte all’ammontare complessivo dei debiti; cioè sapere se si è in presenza della predetta insufficienza di attivo. Sembra quasi che il legislatore abbia curiosamente contrapposto la nozione, tutta giuridica, dell’insolvenza ex art. 5 l.f. a quella segnatamente economico-contabile di insufficienza di attivo dell’art. 2540 c.c. E anche sul piano logico le due locuzioni non coincidono. Abbiamo, infatti, da un lato l’insolvenza, che fa riferimento a inadempimenti o altri fatti, dai quali si desume l’incapacità di fare fronte ai pagamenti dovuti; dall’altro, l’insufficienza di attivo, ossia il dato oggettivo della consistenza patrimoniale. Ne viene, di conseguenza, che si potrebbe essere inadempienti senza un’insufficienza patrimoniale e si potrebbe avere un patrimonio attivo insufficiente, senza essere necessariamente inadempienti, né aver prodotto fatti esteriori – come espressamente enuncia l’art. 5 l.f. – che dimostrino l’incapacità di pagare regolarmente. Una società potrebbe trovarsi, a esempio, nella condizione di riuscire a far fronte regolarmente ai propri debiti, pur avendo un attivo insufficiente, qualora avesse sopravvenienze inaspettate, remissioni o rinunce da parte dei debitori. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Si è però anche detto che, per valutare la concreta sussistenza di uno stato di insolvenza, è necessario fare attenzione alla dimensione dinamica del patrimonio che, almeno in parte, prescinde sia dalla consistenza dell’indebitamento, sia da aritmetiche valutazioni sull’eventuale saldo negativo fra attivo e passivo, rivelandosi assai più significativo e determinante il dato dell’affidamento e della credibilità dell’impresa nel mercato. Ma questo vale ancora di più nel caso dell’insufficienza di attivo, dove può ben verificarsi che la società non possa soddisfare tempestivamente le obbligazioni, pur avendo attività patrimoniali sufficienti. In questo caso saremmo di fronte non a un’insolvenza, ma a una crisi di liquidità, valutabile, però, anche nell’ambito del processo fallimentare dove, lo si è già detto, una mera difficoltà finanziaria dell’impresa, ma con la garanzia di un solido patrimonio, potrebbe non costituire stato di insolvenza. Le due fattispecie – quella dell’art. 195 l.f. e quella dell’art. 2540 c.c. – non possono che considerarsi distinte. Ma la distinzione non va ricercata in una diversità di con- IL GIORNALE DEL REVISORE tenuto che assumerebbe, nei due casi, l’insolvenza, ma nella considerazione che, mentre l’accertamento previsto dall’art. 195 l.f. avviene nell’ambito di un procedimento giudiziario e si realizza con una sentenza, quello dell’art. 2540 c.c. avviene invece nell’ambito di un procedimento amministrativo e si realizza con un atto della pubblica amministrazione. Siamo, dunque, in presenza di due procedimenti, l’uno giudiziario, l’altro amministrativo, che presentano, inoltre, notevoli differenze anche sul piano delle conseguenze che la legge riconosce, rispettivamente, ai due distinti accertamenti. Nel caso dell’accertamento giudiziario, a esso consegue l’applicazione, ai sensi dell’alt. 203 l.f., della normativa fallimentare in materia di azioni revocatorie e di responsabilità per amministratori e sindaci della società, sul piano civile e penale. Non lo stesso, ovviamente, avviene nel caso in cui l’accertamento dello stato di insolvenza si realizza a opera della pubblica amministrazione. Se quest’ultimo è idoneo a costituire il presupposto per l’apertura di una l.c.a., non lo è per quanto riguarda l’applicazione di quelle norme fallimentari che il legislatore ha voluto giustamente sottoporre a rigorose garanzie di natura giudiziaria. Vediamo, dunque, qualche dettaglio dell’accertamento amministrativo dello stato d’insolvenza di una società cooperativa. Come si è detto, per questo tipo di società l’ordinamento ha previsto un sistema integrato di sostegni e di controlli, che prende avvio dalla enunciazione solenne dell’art. 45 Cost., a tenore del quale la Repubblica, riconoscendo la funzione sociale della cooperazione, da un lato ne promuove e favorisce l’incremento, dall’altro, però, ne deve assicurare il carattere e le finalità, con gli opportuni controlli. Le intenzioni del legislatore, di tutta evidenza, sono ribadite dall’art. 2542 c.c., che espressamente si titola controllo sulle società cooperative e, nel merito, rinvia alle legislazioni speciali il regime delle autorizzazioni, della vigilanza e degli altri controlli di gestione. La disciplina speciale della materia è contenuta anzitutto nel d.l .C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577 e successive modificazioni e integrazioni84, che attribuisce al ministero del lavoro la vigilanza generale sulle società cooperative (e loro consorzi). Completano il sistema normativo le altre disposizioni che – ulteriore specialità nella specialità – attribuiscono la predetta vigilanza ad altre autorità85. Per quanto riguarda le società cooperative, la vigilanza si effettua attraverso il meccanismo delle ispezioni86. Questo è quanto espressamente contenuto nell’art. 11 dello stesso d.l. 1577, che dispone un articolato sistema di interventi ministeriali per sanare ovvero reprimere comportamenti o situazioni ritenuti non regolari. 11 22 Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001 L’ispezione rappresenta anche l’unico strumento per accertare uno stato di irregolarità dell’ente e, quindi, il presupposto necessario per la legittima adozione di qualunque provvedimento sanzionatorio. Si dovrebbe, perciò, concludere che qualunque accertamento, condotto o realizzato al di fuori del procedimento ispettivo e quindi ottenuto senza l’osservanza delle modalità prefissate87, sarebbe da considerarsi non idoneo, rendendo impugnabili le eventuali sanzioni adottate. Correntemente, fra i provvedimenti sanzionatori comminabili alla società cooperativa, si tende a ricomprendere anche la l.c.a., ritenuta, per altro, la più grave delle sanzioni. Quindi, anche l’accertamento amministrativo dello stato di insolvenza dovrebbe essere condotto in sede ispettiva. Indubbiamente, l’ispezione rappresenta lo strumento ordinario attraverso il quale si accerta, assieme alle altre eventuali irregolarità dell’impresa, anche il suo stato di insolvenza. Tuttavia, poiché tale accertamento dovrebbe risolversi in una verifica di tipo essenzialmente contabile, non si può escludere che possa avvenire anche a prescindere da un accertamento ispettivo in senso formale, potendo risultare sufficiente la sola lettura dei dati del bilancio. Questa sembrerebbe anche la conclusione del legislatore, che non prevede l’applicazione dell’art. 2540 c.c. fra gli effetti delle ispezioni, disciplinati dall’alt. 11 del citato d.l. 1577. Occorre inoltre tenere conto di un’altra importante considerazione. Dice l’art. 2540 c.c. che, quando le attività dell’impresa non sono sufficienti per il pagamento dei debiti, l’autorità governativa, alla quale spetta il controllo, può disporre la l.c.a. della società. Riteniamo di sostenere, anche nel caso della l.c.a., l’opzione della discrezionalità del potere di intervento della pubblica amministrazione, in quanto certamente più coerente con il sistema complessivamente disposto dal legislatore, che conferisce alla pubblica amministrazione un ampio potere di valutazione in ordine all’adozione di sanzioni che lo stesso legislatore mostra però di ritenere una estrema ratio, alla quale ricorrere solo quando non sia possibile recuperare altrimenti le opportunità del sodalizio88. E sarebbe assai singolare che, proprio nel caso della l.c.a. – la più grave delle sanzioni – la pubblica amministrazione risultasse improvvisamente priva di discrezionalità e si vedesse costretta ad applicare automaticamente una mera risultanza contabile, senza tenere in alcun conto altri elementi di valutazione che potrebbero risultare altrettanto rilevanti. Ad esempio, sarebbe impensabile che non si dovesse tenere conto dell’entità dell’eventuale sbilancio patrimoniale, dello stato di salute complessivo dell’impresa, della natura dell’eventuale indebitamento, delle prospettive di risanamento. Trattandosi, quindi, di esercizio di poteri discrezionali, l’amministrazione potrà anche valutare liberamente il tipo di accertamento da effettuare e le eventuali ulteriori verifiche da compiere89. Naturalmente, la lettura del bilancio (possibilmente aggiornato) rappresenta un presupposto comunque necessario per valutare l’eventuale insolvenza dell’impresa e non sembra si possa dubitare del fatto che un provvedimento di l.c.a., adottato senza avere acquisito il bilancio dell’impresa, risulterebbe sicuramente illegittimo. Un ulteriore dilemma, di rilevanza anche pratica, riguarda la situazione di un’impresa cooperativa che si presenti contemporaneamente in stato di insolvenza e in una (o più) situazioni di irregolarità di natura amministrativa, di quelle previste dall’art. 2544 c.c. che, come si è già detto, possono costituire anch’esse il presupposto per l’apertura di una l.c.a. L’ipotesi di contemporanea sussistenza delle fattispecie è tutt’altro che infrequente. Nel caso delle società cooperative è spesso normale che il dissesto finanziario registri contestualmente il disgregarsi della compagine sociale, il disinteresse per ulteriori sollecitazioni mutualistiche, la cessazione di ogni attività. Inoltre, una delle manifestazioni più evidenti del tracollo economico irreversibile è spesso rappresentata proprio dal mancato deposito del bilancio. Qualora lo stato di insolvenza si sovrapponga alle ipotesi dell’art. 2544 c.c., si è quindi posto il problema di stabilire a quale titolo debba essere disposta la l.c.a. Con un parere di dubbia utilità, la commissione centrale per le cooperative90 ha sostenuto che i due provvedimenti vanno nettamente distinti, in quanto lo scioglimento d’autorità conseguirebbe a una valutazione discrezionale dell’amministrazione in presenza di determinati requisiti, mentre la l.c.a. si adotterebbe nel caso di comprovata insufficienza di attivo. Pertanto – così prosegue il citato parere – la l.c.a. prevarrebbe sullo scioglimento d’autorità tutte le volte che i presupposti contenuti nell’art. 2544 c.c. si accompagnano a una insolvenza della società. Le predette affermazioni, in astratto pure sostenibili, non tengono però conto dell’intervento della richiamata legge 17 luglio 1975, n. 400 e, quindi, della piena equiparazione delle procedure di liquidazione, tanto se disposte ai sensi dell’art. 2540 c.c., quanto se disposte ai sensi dell’art. 2544 c.c.; e, almeno ai fini dell’applicazione della normativa della l.c.a., anche della conseguente equiparazione all’insolvenza delle altre ipotesi che possono pure comportare l’apertura della medesima procedura liquidatoria. La ratio della norma è fin troppo evidente. Pur potendosi astrattamente ipotizzare fattispecie distinte e distinguibili, le situazioni sostanziali esistenti sono spesso tra loro così fortemente intrecciate da rendere assai difficile rilevare momenti di effettiva prevalenza. Così, molto opportunamente, il legislatore ha disposto l’unificazione della procedura, quale che sia il titolo da cui essa tragga origine, considerando prevalente il provvedimento 12 23 Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001 IL GIORNALE DEL REVISORE LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA più solerte. Pretendere, come ha mostrato di fare la commissione, di reintrodurre surrettiziamente una distinzione che, non potendo più essere fondata sulla diversificazione delle procedure, verrebbe a basarsi sul solo titolo del provvedimento, equivalendo a una reintegra che, non più voluta dal legislatore, riproporrebbe proprio quegli elementi di incertezza e ambiguità che la legge ha inteso superare91. Ogni tentativo di superare il disposto della legge 400 sarebbe infatti destinato a reintrodurre solo elementi di confusione e di difficoltà e quindi a vanificare proprio la volontà del legislatore. Per completezza d’indagine conviene, infine, fare qualche cenno su alcune situazioni particolari con le quali può intrecciarsi lo stato di insolvenza di una società cooperativa e che possono prospettare qualche dubbio interpretativo. V’è anzitutto l’ipotesi della società in liquidazione ordinaria, ossia della società sciolta e liquidata con un atto d’autonomia privata, ai sensi dell’art. 2539 c.c.93 Naturalmente, il fatto che la società sia stata posta in liquidazione ordinaria non può, comunque, costituire, in caso di insolvenza, una causa né impeditiva, né limitativa dell’azione fallimentare. Se, quindi, la cooperativa in liquidazione è anche una società commerciale, i creditori, ma anche il pubblico ministero o il giudice d’ufficio (quando previsto) potranno attivare il processo fallimentare. Sarebbe del resto assurdo se si potesse consentire all’imprenditore insolvente di sottrarsi ai rigori della legge con l’espediente della messa in liquidazione dell’impresa. La stessa considerazione va fatta con riguardo all’eventuale iniziativa dei creditori, ex art. 195 l.f. In realtà, la legge non specifica espressamente se l’accertamento giudiziale dell’insolvenza possa proporsi anche nei confronti di un’impresa in liquidazione, ma francamente non riteniamo neppure di porre la questione, tanto sembra evidente la conclusione. Il legislatore si preoccupa, invece, di affermare espressamente, nel caso dell’art. 2540 c.c., che quando una società cooperativa, soggetta o non soggetta al fallimento, in sede di accertamento ispettivo risulti insolvente94, l’autorità di vigilanza può disporre la l.c.a. anche se l’impresa è già in liquidazione ordinaria. Ancora nulla dice il legislatore per quanto riguarda i poteri e l’eventuale iniziativa del liquidatore, nell’ipotesi in cui l’impresa cooperativa in liquidazione ordinaria, nel corso della stessa, risulti o comunque diventi insolvente. E questo sia con riferimento all’attivazione del processo fallimentare, nel caso di società cooperative commerciali, sia con riferimento all’iniziativa per la dichiarazione giudiziale dell’insolvenza, ex art. 195 l.f. Per quanto riguarda l’attivazione del processo fallimentare, l’art. 6 l.f., data anche la particolarità e la delicatezza degli interessi e delle responsabilità coinvolti in tale procedura, non dovrebbe consentire alcuna interpretazione estensiva. Si ritiene, pertanto, che, in mancanza di iniziative da parte dei soggetti ammessi, il liquidatore ordinario non possa chiedere il fallimento della società. Del resto, il liquidatore, anche se assume la rappresentanza legale del sodalizio95, è pur sempre un liquidatore, cioè un soggetto che ha ricevuto un mandato, da parte della compagine sociale (quello di procedere, appunto, alla liquidazione dei beni) e non può essere identificato e confuso con gli organi di gestione della società, cioè con l’imprenditore, in senso proprio. Riteniamo, inoltre, di dover escludere il potere del liquidatore ordinario anche per quanto riguarda l’attivazione del- 14 La l.c.a. è una procedura posta in essere da un provvedimento amministrativo, che non ha collegamenti diretti – a differenza del fallimento – con un’iniziativa di parte, cioè dei creditori, i quali possono solo ottenere, come si è detto, la dichiarazione dell’insolvenza, ex art. 195 l.f. Il legislatore esclude completamente iniziative giudiziali da parte del debitore cioè, nel caso della società cooperativa, da parte degli organi sociali del sodalizio. In sede amministrativa questi ultimi – ma anche agli stessi creditori – possono, naturalmente, chiedere l’intervento dell’organo di vigilanza, denunciando un proprio stato di insolvenza e, quindi, sollecitando l’adozione del provvedimento di l.c.a., ex art. 2540 c.c. È necessario, naturalmente, per poter adottare un provvedimento di l.c.a., acquisire la documentazione contabile della società e soprattutto una copia del bilancio che, per altro, la cooperativa sarebbe tenuta a depositare annualmente presso le competenti camere di commercio. Non sempre, tuttavia, gli organi sociali sono in condizione di fornire un bilancio completo e aggiornato, per difficoltà di funzionamento della società o perché si tende, almeno in parte, a occultare le vere cause o l’entità dell’insolvenza. Infatti, mentre è difficile ipotizzare, in capo agli organi sociali, un interesse a rappresentare una situazione patrimoniale peggiorata rispetto a quella reale, si comprende, invece, benissimo l’interesse a ottenere, con la massima sollecitudine, il provvedimento di l.c.a., in alternativa – nel caso di società cooperative commerciali – al fallimento, per molti aspetti ritenuto assai più devastante. Si può, pertanto, ritenere, almeno in via generale, esaustiva l’autodenuncia avanzata dal presidente o comunque dagli organi rappresentativi del sodalizio92; ma, in ogni caso, vale il principio secondo il quale l’applicazione dei provvedimenti sanzionatori, compresa la l.c.a., è sempre discrezionale. Sarà quindi l’organo di vigilanza a valutare l’attendibilità degli elementi acquisiti, l’eventuale necessità di ulteriori verifiche e quindi l’opportunità di adottare il provvedimento di l.c.a. o eventuali altre sanzioni. 13 IL GIORNALE DEL REVISORE 24 Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001 tà giudiziaria. Lo stesso art. 2545 c.c., che disciplina la sostituzione dei liquidatori ordinari, espressamente nega poteri di intervento alla pubblica amministrazione quando il liquidatore sia stato nominato dal giudice. Il commissariamento non risulta preclusivo neppure dell’accertamento dello stato di insolvenza dell’impresa, qualora i creditori propongano l’azione ex art. 195 l.f. Le argomentazioni già svolte appaiono sufficienti. Si ritiene, invece, di escludere, anche per il commissario governativo, tanto l’iniziativa per la procedura fallimentare, ex art. 6 l.f., quanto l’istanza, ex art. 195 l.f. Si giunge a queste conclusioni sulla scorta di due considerazioni. La prima è che nessuna norma conferisce, né espressamente, né implicitamente, un tale potere al commissario governativo. L’altra è che lo stesso commissario è un organo di emanazione amministrativa e all’organo amministrativo di vigilanza deve egli, quindi, rispondere. Apparirebbe quanto meno curioso se, improvvisamente, con un’istanza giudiziale, il referente del commissario diventasse il giudice. Naturalmente, qualora la gestione commissariale non consenta l’integrale soddisfazione di tutti i creditori e si prospetti quindi uno stato di insolvenza, sarà cura del commissario (e l’ipotesi è tutt’altro che rara) prospettare all’organo di vigilanza la necessità di porre termine al commissariamento e di disporre la l.c.a. Anche in questo caso valgono le considerazioni fatte circa gli obblighi di rendicontazione contabile. E poiché, come si è detto, il commissario governativo, assumendo l’incarico, diviene anche amministratore della società, si ha buon motivo per ritenere che possa essere destinatario, nel caso in cui restituisca la società in stato di insolvenza, delle azioni di responsabilità previste, in via generale, a carico degli amministratori e promosse dal commissario liquidatore, a norma dell’art. 206 l.f.97 l’accertamento dello stato d’insolvenza. Infatti, l’art. 195 l.f., che espressamente riserva ai soli creditori l’iniziativa per tale accertamento, non sembra legittimare alcuna ulteriore estensione di applicazione. È, naturalmente, possibile che nel corso di una liquidazione ordinaria, il liquidatore verifichi l’esistenza di una insufficienza del patrimonio attivo, che non consente la totale soddisfazione di tutti i creditori. Ma il legislatore non ha ritenuto di conferirgli – come, del resto, non ha conferito agli organi sociali – il potere di proporre la dichiarazione giudiziaria dell’insolvenza. Egli potrà, quindi, prospettare la situazione all’organo di vigilanza e richiedere l’apertura della l.c.a. In questo caso non si ritiene necessario attivare ulteriori accertamenti ispettivi; si ritiene, però, necessario che il liquidatore fornisca il bilancio della liquidazione, unitamente al rendiconto di gestione. Sarebbe, infatti, singolare se egli, denunciando l’incapacità patrimoniale della liquidazione, omettesse o, peggio, rifiutasse di fornire all’autorità vigilante i necessari riscontri contabili. Resta, naturalmente, integra la facoltà dell’organo vigilante di approfondire gli elementi di conoscenza della situazione e valutare l’opportunità dei provvedimenti da adottare. Un’ulteriore situazione da considerare riguarda l’ipotesi della società cooperativa posta in gestione commissariale, ai sensi dell’art. 2543 c.c. Un istituto parallelo all’amministrazione controllata, sia con riferimento alle finalità di risanamento dell’impresa, sia con riferimento ai presupposti e alle modalità di gestione della procedura96. Indubbiamente, lo stato di commissariamento, ancorché espressione di pubblico ufficio e nonostante sia finalizzato al risanamento dell’impresa, è pur sempre un momento imprenditoriale, che può condurre anche all’insolvenza. Naturalmente, nel caso di società commerciale, non si può escludere l’iniziativa fallimentare: né quella dei creditori, né quella del pubblico ministero, né quella d’ufficio. Solo l’intervento della l.c.a. può infatti sottrarre l’impresa (commerciale) insolvente al fallimento. Qualche dubbio sussiste nell’ipotesi inversa. Ci si può chiedere cioè se un’impresa cooperativa in amministrazione controllata possa essere posta in l.c.a., ai sensi dell’art. 2540 c.c. Si potrebbe argomentare in senso affermativo, considerando che anche la cooperativa in amministrazione controllata non è sottratta alla vigilanza dell’autorità amministrativa che, proprio in quanto autorità vigilante, dovrebbe disporre dei poteri per l’adozione del provvedimento di l.c.a. (ma, coerentemente, anche di quello ex art. 2544 c.c.). Crea, tuttavia, qualche problema l’idea che un’autorità amministrativa possa disporre dove ha già disposto un’autori- 15 Dunque, lo stato di insolvenza di una società cooperativa può essere rilevato anche a opera dell’autorità amministrativa di vigilanza, la quale può disporre, sulla base del proprio accertamento, il provvedimento di l.c.a. Tale provvedimento, come espressamente dispone l’art. 196 l.f., è alternativo alla pronuncia di fallimento, ma non alla dichiarazione giudiziale dell’insolvenza, che può infatti intervenire anche in un momento successivo. Le due fasi non si escludono, potendo anzi essere tra loro complementari98. Questa ipotesi è espressamente prevista dall’art. 202 l.f. Dice la norma che se un’impresa, al tempo in cui è stata ordinata la liquidazione, si trovava in stato di insolvenza e questa non è stata preventivamente dichiarata, a norma dell’art. 195 l.f., il tribunale competente, su ricorso del commissario liquidatore o su istanza del pubblico ministero, accerta giudizialmente tale stato (con sentenza in camera 16 25 Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001 IL GIORNALE DEL REVISORE LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA sia già avvenuto in sede amministrativa, cioè anche se l’impresa è stata già posta in l.c.a., ai sensi dell’art. 2540 c.c. Non ci sembra, però, che questo postuli la necessità di distinguere l’insolvenza dall’insufficienza di attivo sotto il profilo del contenuto sostanziale dell’accertamento, quanto piuttosto quella di affermare che, in talune circostanze, l’accertamento solo amministrativo dell’insolvenza non è sufficiente. In alcuni casi, occorre cioè che lo stato d’insolvenza venga accertato anche in sede giudiziale, con sentenza. Questa necessità scaturisce dal fatto che talune conseguenze, collegate all’insolvenza e che riguardano l’applicazione della normativa fallimentare – quella di cui all’art. 203 l.f. – possono incidere fortemente nella sfera dei diritti del debitore andando, da un lato, a colpire gli atti di disponibilità del patrimonio già compiuti e che quindi possono coinvolgere la sfera patrimoniale anche di terzi; dall’altro, a ipotizzare addirittura conseguenze sanzionatorie di ordine penale. Molto opportunamente quindi il legislatore richiede, in questi casi, alcune ulteriori garanzie di ordine giurisdizionale. Non si può, in altri termini, attivare azioni revocatorie fallimentari, né perseguire penalmente amministratori e sindaci della società sulla base di accertamenti compiuti solo in sede amministrativa. Ma allora non è nella natura sostanziale che vanno ricercati elementi di distinzione – che ovviamente esistono – fra l’accertamento giudiziale e l’accertamento amministrativo dell’insolvenza, ma nel sistema dei rispettivi procedimenti e quindi nelle diverse garanzie che, rispettivamente, essi possono offrire e che, opportunamente, il legislatore richiede in forma giurisdizionale quando, anche nell’ambito della l.c.a., si renda necessario applicare la disciplina fallimentare dell’art. 203 l.f. Ci sembra questa, in definitiva, la volontà vera del legislatore e, quindi, l’interpretazione più corretta della norma. Ci si può chiedere ancora se l’art. 202 l.f. sia applicabile ai casi di l.c.a. disposte ai sensi dell’art. 2544 c.c., cioè fuori dall’ipotesi dell’insolvenza. Naturalmente, se insolvenza non c’è, non c’è neppure motivo per dichiararla giudizialmente; né prima, né dopo l’apertura della procedura liquidatoria. Se però l’insolvenza sussisteva al momento dell’apertura della l.c.a., ci sembrerebbe corretto ritenere che, anche nell’ipotesi di liquidazioni aperte ai sensi dell’art. 2544 c.c., possa trovare applicazione l’art. 202 l.f.103 Non bisogna, infatti, dimenticare che, con l’unificazione delle procedure liquidatorie, operata dalla legge 400/1975, la linea di confine fra la l.c.a. disposta ai sensi dell’art. 2540 c.c. e quella disposta ai sensi dell’art. 2544 c.c. si è venuta assottigliando in maniera assai significativa. Non sono, del resto, infrequenti i casi di scioglimento di società cooperative che, a una verifica più meditata da parte del commissario liquidatore, rivelano la sussistenza di un vero stato di insolvenza. In questo caso, ogni preclusione di iniziative, desunta dalla diversità del titolo di apertura della liquidazione, si rivelerebbe immotivata e ingiustamente pe- di consiglio) anche se la l.c.a. è stata disposta per insufficienza di attivo. Diciamo subito che, dal punto di vista processuale, non ci sono differenze apprezzabili fra questo momento dell’accertamento dell’insolvenza e quello preventivo, a norma dell’art. 195 l.f., al quale, del resto, l’art. 202 l.f. rinvia pressoché integralmente, per tutto quanto riguarda le modalità procedimentali (dall’audizione dell’organo amministrativo di vigilanza, agli effetti della sentenza, al regime delle opposizioni)99. Si debbono invece segnalare due differenze sostanziali. La prima riguarda i poteri di iniziativa che, in questo caso, sono riservati al commissario liquidatore e al pubblico ministero, con l’esclusione, quindi, dei creditori. Un’esclusione molto discussa, che trae seri argomenti di riflessione – anche di ordine costituzionale100 – dalla considerazione che l’iniziativa o la mancata iniziativa del commissario liquidatore potrebbe risultare determinante ai fini dell’attivazione delle revocatorie fallimentari e, quindi, della costituzione o ricostituzione della massa. Il legislatore, tuttavia, non ha ritenuto di attribuire poteri di intervento ai creditori, la cui soddisfazione appare, ancora una volta, mediata rispetto alla preminenza di altri interessi e di altre valutazioni che compirà il commissario liquidatore (o, nel caso, il pubblico ministero) nell’ambito delle scelte e degli indirizzi stabiliti dall’autorità di vigilanza. Si conferma, cioè, il principio – a nostro parere, legittimo anche sul piano costituzionale – che l’istituto della l.c.a. non è finalizzato alla sola soddisfazione dell’interesse dei creditori. La seconda caratteristica essenziale dell’accertamento dell’insolvenza, ex art. 202 l.f., risiede nel fatto che, intervenendo successivamente al provvedimento di l.c.a., esso può riguardare sia le imprese sottratte al fallimento, sia quelle che non ne sono sottratte, nei casi in cui l’autorità amministrativa, avendo preventivamente disposto la l.c.a., sia stata più solerte di quella giudiziaria. Dunque, una fattispecie di portata più ampia che, nel caso di società cooperative, comprende anche quelle commerciali, poste in l.c.a. ai sensi dell’art. 2540 c.c.101 Si pongono, tuttavia, ulteriori questioni: in particolare quella che, sulla base della lettura del testo normativo, sembrerebbe riaffermare la distinzione fra stato d’insolvenza e insufficienza di attivo, disgregando definitivamente ogni tentativo di ricostruzione unitaria del fenomeno102. Tentiamo perciò un ulteriore approfondimento, rileggendo la norma nel modo che segue. Dice il legislatore che se un’impresa, al tempo in cui è stata disposta la l.c.a. si trovava in stato di insolvenza e non c’è stato il preventivo accertamento giudiziale, ai sensi dell’alt. 195 l.f., questo può avvenire anche successivamente e anche nel caso in cui la l.c.a. sia stata disposta per insufficienza di attivo, cioè a opera dell’autorità amministrativa, ai sensi dell’art. 2540 c.c. Dunque, ai sensi dell’art. 202 l.f., l’accertamento dell’insolvenza può essere riproposto in sede giudiziaria, ancorché IL GIORNALE DEL REVISORE 26 Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001 nalizzante per la procedura, oltre che sicuramente in contrasto con la volontà espressa del legislatore. Per completezza d’indagine resterebbe da fare cenno all’ipotesi di reiezione del ricorso, proposto dal commissario liquidatore, ex art. 202 l.f.104, cioè all’ipotesi in cui la sentenza giudiziale venga a negare che, al tempo in cui è stata ordinata la l.c.a., l’impresa si trovasse in stato di insolvenza e quindi a certificare, quanto meno, l’incauta determinazione della pubblica amministrazione, che avrebbe disposto il provvedimento in carenza del requisito dello stato di insolvenza. Stricti iuris, la sentenza non fa stato nei confronti del decreto ministeriale di l.c.a. che, essendo un atto amministrativo, può essere impugnato – come si è detto – con i gravami della giustizia amministrativa e non in sede fallimentare. Tuttavia, anche se la pronuncia del giudice si rivela inidonea a rimuovere la l.c.a., resta pur sempre l’autorità morale di un intervento giudiziario che ha accertato la sussistenza di un provvedimento amministrativo formalmente valido, ma sostanzialmente illegittimo. Questa circostanza dovrebbe almeno stimolare una ulteriore riflessione, da parte dell’organo di vigilanza, sull’opportunità di mantenere ovvero rimuovere le determinazioni assunte105. Mentre, nel caso di imprese non soggette a fallimento, si potrebbe persino ipotizzarne, in caso di insolvenza, una franchigia. Riteniamo, perciò, di poter concludere che l’espressione stato di insolvenza individui un identico contenuto; sia che il suo accertamento avvenga, con sentenza, in sede giudiziale, sia che esso avvenga in sede amministrativa107. Si deve piuttosto aggiungere un’altra considerazione. Non sempre risulta necessario, qualora la società sia stata posta in l.c.a. per insufficienza di attivo, acquisire anche la sentenza giudiziale. Non esiste cioè alcun obbligo di attivare il processo dell’art. 202 l.f., né in capo al commissario liquidatore108, né, ovviamente, in capo al pubblico ministero, ma solo una valutazione di opportunità. Una volta dichiarata giudizialmente l’insolvenza, il commissario liquidatore potrà utilizzare, come si è detto, le opportunità offerte dall’art. 203 l.f., che consentono di porre in essere un potenziale aggressivo di particolare efficacia per la reintegrazione del patrimonio della società. Quella del commissario è, però, una valutazione di opportunità. Avendo egli il compito di formare o eventualmente ricostituire la massa, potrà anche giudicare l’utilità di revocare eventuali atti di disposizione compiuti in frode ai creditori. Ma è anche evidente che, qualora si ritenga inutile o improduttiva l’attivazione di tali meccanismi, appare altrettanto inutile l’attivazione del processo dell’art. 202 l.f. La stessa valutazione di opportunità va compiuta anche con riferimento a eventuali responsabilità penali a carico degli ex amministratori e sindaci che, per essere perseguite, richiedono ugualmente una sentenza giudiziale. Con questa sorge, infatti, per il commissario liquidatore l’obbligo di riferire al pubblico ministero109, sulle cause del dissesto e sulle responsabilità dell’imprenditore o di altri soggetti. La relazione, da produrre ai sensi dell’art. 33 l.f., esaurisce, però, ogni adempimento nei confronti dell’autorità giudiziaria, dovendosi escludere la sussistenza di un obbligo di promuovere il ricorso per la dichiarazione dell’insolvenza al solo scopo di rendere possibile l’eventuale esercizio di azioni penali. Il compito della liquidazione deve intendersi, infatti, finalizzato unicamente alla formazione della massa e all’eventuale recupero dell’integrità del patrimonio110. La legge conferisce, comunque, autonomi poteri di iniziativa anche al pubblico ministero, che valuterà, per quanto gli compete, le esigenze connesse all’esercizio di azioni penali e quindi, nell’eventuale inerzia del commissario liquidatore, la necessità di attivare l’accertamento giudiziale. Abbiamo, dunque, tutti gli argomenti per riaffermare l’unitarietà del contenuto sostanziale dell’insolvenza. Si aggiunga che, se da un lato appare incomprensibile ipotizzare un’insufficienza patrimoniale senza insolvenza, che è come dire che un debitore può far fronte regolarmente ai propri adempimenti pur avendo un patrimonio complessivamente insufficiente106, dall’altro, anche l’insolvenza non collegata a un’incapienza patrimoniale appare altrettanto incomprensibile. Ci troveremmo di fronte a quelle ipotesi di inadempimenti che, comunque, non giustificherebbero l’apertura di una procedura concorsuale, potendo i creditori insoddisfatti attivare singolarmente gli strumenti ordinari dell’esecuzione. Il concorso di più creditori su un medesimo patrimonio ha senso solo se si considera tale patrimonio insufficiente per l’integrale soddisfazione di tutti. Un’ultima considerazione, infine. Se proprio si volesse differenziare lo stato d’insolvenza dallo stato di insufficienza patrimoniale, si giungerebbe all’assurdo di ritenere che la l.c.a. potrebbe risultare preclusa qualora venga accertato, in sede amministrativa, uno stato di insolvenza e non uno stato di insufficienza di attivo. E questo equivarrebbe, nel caso di imprese soggette anche al fallimento, a restringere arbitrariamente l’ambito dell’intervento alternativo dell’autorità amministrativa, cioè a sottrarre alla l.c.a. quelle ipotesi di insolvenza che, non collegate a un’insufficienza patrimoniale, sarebbero rilevabili solo in sede giudiziale, cioè solo in ambito fallimentare. 17 Giovanni Conti Dirigente del Ministero del Lavoro 27 Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001 IL GIORNALE DEL REVISORE LO STATO DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA PROFILO DELL’AUTORE Docente nei corsi di formazione e aggiornamento per ispettori di società cooperative e membro delle commissioni d’esami, presso l’Istituto di studi cooperativi Luigi Luzzatti di Roma. Docente nel primo corso di aggiornamento sulla liquidazione coatta amministrativa presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Firenze. Giovanni CONTI, vive a Roma dove è nato nel 1945. Nel 1971 si laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Siena, proseguendo per qualche tempo la sua attività, come volontario, presso la cattedra di diritto processuale civile. Nel 1974 ottiene l’incarico di assistente supplente presso l’istituto di diritto processuale civile dell’Università di Bari. Entrato al Ministero del Lavoro nel 1975, ne diviene primo dirigente nel 1985. Dal 1995 dirige la Divisione VI della cooperazione, iniziando a occuparsi di liquidazioni coatte amministrative. Autore, tra l’altro, della voce Liquidazione coatta amministrativa nel Dizionario della Cooperazione a cura di F. Castiello, Viterbo 1997. N O T E 66 Trattasi di due procedure concorsuali minori, rispettivamente disciplinate dalle norme dei titoli III e IV della legge fallimentare. Per ogni riferimento, BONSIGNORI, Processi concorsuali minori, cit., p. 129 ss. e 403 ss. 67 Per espressa disposizione dello stesso art. 195 l.f. (ultimo comma) queste disposizioni non si applicano agli enti pubblici. 68 DE MARCO, L’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza, in Dir. fall., 1948, 61. 69 La legge considera criminosa l’eventuale inerzia del debitore, qualora da essa derivi l’aggravamento della situazione di dissesto. L’art. 217 l.f. (bancarotta semplice) espressamente prevede la punibilità per l’imprenditore che, dichiarato fallito, abbia “aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento” (n. 4). Sul punto, v. FERRARA-BORGIOLI, op. cit., p. 239 ss. 70 Sent. 27 luglio 1994, n. 363, Dir. fall., 1994, II, 1031, id. Giur. cost., 1994, 2954. Si vedano, sul punto, anche le considerazioni e gli ulteriori rinvii in BONSIGNORI, op. cit., p. 521 ss. 71 Esso tuttavia testimonia l’importanza che il legislatore assegna ad una comunicazione tempestiva dell’avvenuta dichiarazione giudiziale dell’insolvenza. 72 Non sussiste, in particolare, alcun obbligo connesso ai doveri di notifica dell’inizio delle procedure amministrative, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 (sulla trasparenza dei procedimenti amministrativi). 73 La norma impone che la relazione sia inoltrata al procuratore della repubblica e non, come nel caso del fallimento (v. art. 33, comma 1, l.f.) al tribunale. 74 Si tratta, in particolare, dell’applicazione degli artt. 216-219 e 223-225 l.f. che riguardano i reati di bancarotta, semplice e fraudolenta, e di ricorso abusivo al credito. IL GIORNALE DEL REVISORE 75 Ci si riferisce ai liquidatori ordinari, nominati dagli organi sociali, nell’ipotesi in cui l’impresa sia stata sciolta e messa in liquidazione, ai sensi dell’art. 2539 c.c. 76 La responsabilità illimitata o limitata di soci di cooperativa è disciplinata, rispettivamente, dagli artt. 2513 e 2514 c.c. 77 Corre l’obbligo di aggiungere che, con sentenza 27 giugno 1972, n. 110, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di questa norma nella parte in cui non prevede l’obbligo del tribunale di disporre anche la comparizione del debitore in camera di consiglio, per l’esercizio dei propri diritti di difesa. 78 La mancata audizione dell’organo amministrativo costituirebbe causa di nullità della sentenza. Così Trib. Milano 9 giugno 1994, Giur. it., 1995, I, 2, 492. 79 Cass. 8 agosto 1990, n. 8069, Fall., 1991, 235; id. Cass. 10 ottobre 1992, n. 11085, Fall., 1993, 355. 80 V. ancora PAJARDI, op. cit., p. 1242. 81 Così invece espressamente LAZZARESCHI-MURER-RUFFINI, op. cit., p. 7980. 82 Nel caso della società cooperativa, il parere viene reso dal ministero del lavoro. Recentemente, con d.m. 21.07.1999, n. 182, l’esercizio concreto della funzione è stato trasferito alle direzioni provinciali del lavoro (l’organo periferico unificato del ministero). 83 Con l’entrata in vigore del d.to lg.vo 3 febbraio 1993, n. 29 (e successive modificazioni e integrazioni) che ha ripartito gli ambiti delle competenze degli organi politici e dell’amministrazione attiva, appare più corretto parlare di autorità amministrativa (piuttosto che governativa) di vigilanza. 84 La legge è stata integrata da successive disposizioni contenute nelle leggi 8 maggio 1949, n. 285, 2 aprile 1951, n. 302, 17 febbraio 1971, n. 127, 19 marzo 1983, n. 72 e 31 gennaio 1992, n. 59. 85 L’art. 1 della legge attribuisce, in via generale, la vigilanza sulle società e sugli enti cooperativi e loro consorzi al ministero del lavoro e della previdenza sociale, salvo che norme speciali dispongano diversamente. È ancora attribuita, in generale, al ministero del lavoro – salve diverse disposizioni di leggi speciali – la vigilanza sugli enti mutualistici, di cui all’art. 2512 c.c. Sono soggette alla l.c.a., ma sottoposte alla vigilanza della banca d’Italia, le imprese bancarie (v. il T.U. delle leggi bancarie approvato con d. l.vo 1 settembre 1993, n. 385) e a quella del ministero dell’industria le imprese assicurative (D.P.R. 13 febbraio 1959, n. 499). È attribuita al ministero dei lavori pubblici, ai sensi delle disposizioni del testo unico sull’edilizia popolare ed economica (artt. 125 ss.) la vigilanza sulle società cooperative edilizie di abitazione, a contributo erariale. Tuttavia, la commissione centrale per le cooperative (riunione 23 gennaio 1992) ha espresso il parere che, anche per queste società, spetti sempre al ministero del lavoro la vigilanza di ordine generale, mentre al ministero dei lavori pubblici spetterebbe quella tecnica riguardante l’utilizzo dei finanziamenti pubblici. In senso confermativo di questo indirizzo sembrerebbe anche il tenore degli artt. 13 ss. della l. 59/1992. C’è inoltre da ricordare che le regioni a statuto speciale (tranne la Sardegna) si sono dotate di competenza esclusiva in materia di vigilanza sulle società cooperative e che, ai sensi dell’art. 94 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, anche le regioni a statuto ordinario avrebbero acquisito competenze – di fatto scarsamente esercitate – in materia di vigilanza sulle cooperative edilizie a contributo erariale. Altre leggi speciali prevedono ancora gruppi di imprese sottratte al fallimento e soggette alla l.c.a. Si possono ricordare il r.d. 15 giugno 1933, n. 859 (riguardante le società con partecipazione 28 Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001 dell’I.R.I.) la l. 17 ottobre 1950, n. 840 (riguardante le imprese finanziate dal Fondo per il finanziamento dell’industria meccanica) il r.d. 17 gennaio 1935, n. 2 (riguardante le s.p.a. debitrici dello Stato) la l. 1 agosto 1986, n. 430 e il d.l. 5 giugno 1986, n. 233 (riguardanti le società e gli enti di gestione fiduciaria). 86 La legge cura anzitutto di distinguere le ispezioni in ordinarie e straordinarie. Le prime, quelle ordinarie, sono di regola eseguite da revisori designati dalle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo che, ai sensi dell’art. 4 del d.to lgs. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, sono competenti ad esercitarla sugli enti cooperativi ad esse associati; le seconde, quelle straordinarie, sono direttamente in carico al ministero del lavoro, che le esegue per mezzo di propri funzionari o di altri funzionari espressamente delegati. La indicata distinzione – rispetto alla quale tuttavia va tenuto presente che è sempre l’autorità amministrativa titolare della funzione di vigilanza e dei relativi poteri sanzionatori – è contenuta espressamente nell’art. 2 del citato d.l. 1577, secondo il quale le ispezioni ordinarie debbono aver luogo, dice il legislatore, almeno ogni due anni. Questa norma è stata ampiamente novellata da successive disposizioni. L’art. 15 della legge 59/1992 ha inserito una significativa modifica del 2° comma, prevedendo la necessità dell’ispezione ordinaria annuale delle società cooperative che abbiano un fatturato superiore a trenta miliardi ovvero detengano partecipazioni di controllo in società a responsabilità limitata. Medesima cadenza annuale è stata introdotta – sempre dalla legge 59/1992 – per le cooperative edilizie di abitazione. La legge 8 novembre 1991, n. 381 aveva già provveduto a disporre una vigilanza ordinaria almeno annuale per le cooperative sociali. La legge non definisce però una specifica differenza fra le ispezioni straordinarie e quelle ordinarie; anzi, il 4° comma dell’art. 2 del citato d.l. 1577 prevede che le prime (quelle straordinarie) avvengano con l’osservanza delle disposizioni stabilite per le ispezioni ordinarie. Questo tuttavia non deve trarre in inganno, in quanto le due categorie di interventi presentano caratteristiche sostanziali di notevole diversità. Anzitutto, occorre tenere presente l’intero quadro legislativo; ad iniziare dal successivo art. 3, che prevede una fondamentale distinzione fra gli organi ai quali la legge stessa affida la vigilanza sulle società cooperative – le associazioni e il ministero del lavoro – e quindi fra la diversa natura delle rispettive funzioni; ma tenendo anche presenti gli artt. 4 (relativo all’attribuzione della competenza in materia di vigilanza solo alle associazioni debitamente riconosciute dal ministero del lavoro), 5 (relativo al predetto riconoscimento) e 6 (riguardante la vigilanza ministeriale sulle stesse associazioni) che specificano e definiscono un contesto normativo nel quale il legislatore chiaramente individua nell’autorità governativa l’organo titolare della funzione di vigilanza, a sua volta esercitata direttamente o, a talune condizioni, per il tramite delle associazioni di rappresentanza. Si potrebbe aggiungere che la vigilanza esercitata dalle associazioni ha un contenuto e un’articolazione finalizzata essenzialmente al sostegno e all’assistenza delle cooperative associate. Manca pressoché completamente la valenza ispettiva. Alla vigilanza delle associazioni non è infatti collegato alcun potere sanzionatorio neppure quello di diffida; poteri riservati, in via esclusiva, agli organi ministeriali. Sotto altra angolazione, anche queste ultime tendono a rimarcare la diversità sostanziale degli interventi, sia dal punto di vista terminologico, secondo il quale il termine ispettore sarebbe riservalo ai soli organi ministeriali, mentre quelli delle associazioni si denominerebbero, più correttamente, revisori; sia da quello della configurazione della funzione, che vedrebbe l’ispettore ministeriale assumere la qualificazione di pubblico ufficiale, mentre il revisore delle associazioni avrebbe soltanto natura di incaricato di pubblico servizio. Tale ultima distinzione acquista rilevanza fondamentale nel diritto penale. Solo il pubblico ufficiale è infatti imputabile dei reati previsti dagli artt. xxx ss. c.p. (i reati di falso) ed è quindi comprensibile che le associazioni, tendendo a negarsi la qualifica di pubblico ufficiale, tendano a circoscrivere, per i propri incaricati, le conseguenze più gravi, sotto il profilo penale, dell’attività ispettiva. La questione, scarsamente affrontata finora dalla dottrina specialistica, si deve tuttavia misurare con un orientamento, almeno in parte, non confermativo della commissione centrale per le cooperative, espresso in passato (riunione 21 gennaio 1955) ma non più contraddetto, che afferma la piena equivalenza fra le ispezioni ministeriali e quelle compiute dalle associazioni. Ciò è anche quanto sembra emergere (in sede penale) dagli orienta- menti della magistratura inquirente. 87 Si tenga conto che, per l’esecuzione delle ispezioni, è predisposto un apposito verbale ispettivo, con appositi modulari predeterminati. 88 L’art. 11 del d.l.vo C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577 prevede, per i provvedimenti di cui agli art. 2543 (gestione commissariale), 2544 (scioglimento per atto d’autorità), 2545 (sostituzione del liquidatore ordinario) c.c., nonché per l’eventuale cancellazione della società dal registro prefettizio un sistema articolato e complesso che prevede la preventiva verifica ispettiva, l’atto di diffida e il successivo accertamento, il passaggio attraverso il parere consultivo della commissione centrale per le cooperative e solo successivamente, per altro solo nei casi più gravi, l’adozione del relativo provvedimento sanzionatorio che, nel caso di cooperative agricole o di produzione e lavoro viene adottato di concerto, rispettivamente, col ministero dell’agricoltura o con quello dell’industria. 89 Nel senso riferito c’è anche una pronuncia – pur se non recente – del Consiglio di Stato (sent. 3 agosto 1953, n. 451). 90 Trattasi di un organismo previsto dagli art. 18 e ss. del D.L. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577 che esprime, fra l’altro, pareri sulle proposte di adozione, nei confronti di società cooperative, dei provvedimenti sanzionatori di cui agli artt. 2543 (gestioni commissariali), 2544 (scioglimento per atto d’autorità), 2545 c.c. (sostituzione dei liquidatori ordinari). I prescritti pareri sono obbligatori, ma non vincolanti. Con riferimento al caso di specie, trattasi della riunione del 23 gennaio 1992. 91 Si pensi, ad esempio, ad una società che, avendo cessato la propria attività, non abbia provveduto a redigere alcun bilancio e si ipotizzi una contestuale situazione di esposizione debitoria. In che modo sarebbe possibile immaginare una prevalenza, sugli altri, dei motivi dell’insolvenza, mancando proprio l’unica documentazione idonea a dimostrarne la sussistenza? Ma sono proprio queste le ragioni della legge 400/1975, che considera irrilevante qualunque ricerca di prevalenza fra le due procedure. 92 Le stesse considerazioni dovrebbero valere nel caso in cui sia un’associazione di rappresentanza a denunciare lo stato di insolvenza di una cooperativa associata, anche se non può escludersi l’esistenza di elementi di conflittualità fra il sodalizio e l’associazione. In questa ultima ipotesi la situazione è, naturalmente, un po’ più delicata, in quanto si tratta di verificare se la eventuale insolvenza denunciata sia effettivamente sussistente o se prevalgano motivi di conflittualità interni al movimento cooperativo. 93 Il quale, individua le cause di scioglimento della società cooperativa rinviando alla disciplina dettata per la società per azioni dall’art. 2448 c.c., ad eccezione del n. 4. Tali cause sono: 1) il decorso del termine; 2) il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo; 3) l’impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell’assemblea; 4) la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale (questa causa è tuttavia espressamente esclusa dall’art. 2539 c.c.); 5) la deliberazione dell’assemblea; 6) le altre eventuali cause previste dall’atto costitutivo. 94 La legge prevede espressamente che anche la cooperativa in liquidazione ordinaria continui ad essere assoggettata al regime generale delle ispezioni. Sia l’art. 2540 c.c., sia l’art. 2545 c.c. (riguardante la sostituzione, da parte dell’organo di vigilanza, del liquidatore ordinario) lo presuppongono in maniera inequivoca. 95 Questo, in realtà, non è detto espressamente con riguardo alla liquidazione della società cooperativa. Lo si ricava, indirettamente, dall’art. 2278 c.c., dettato in tema di poteri dei liquidatori della società semplice che, per la valenza generale che contiene, può considerarsi una norma di carattere generale. 96 L’amministrazione controllata è prevista dalle norme del titolo IV della legge fallimentare (artt. da 187 a 193). Naturalmente, sono diverse le autorità che dispongono le rispettive procedure e che svolgono la funzione di organo vigilante; il giudice, nel caso di amministrazione controllata, l’autorità amministrativa, nel caso di gestione commissariale. 97 Che rinvia agli artt. 2393 e 2394 c.c. in tema di azioni di responsabilità contro gli amministratori della società per azioni. 98 Per ogni ulteriore approfondimento v. BONSIGNORI, op. cit., p. 527 ss.; LAZZARESCHI-MURER-RUFFINI, op. cit., p. 78 ss. 99 V. ancora BONSIGNORI, op. cit., p. 527 ss. 100 PROVINCIALI, Trattato, cit., IV, p. 2564; BONSIGNORI, op. cit., p. 530 ss.; PAJARDI, Codice del fallimento, cit., p. 1270. 101 Si sostiene, nella migliore dottrina, che l’art. 202 l.f., cioè la dichiarazione giudiziale dell’insolvenza successiva al provvedimento di l.c.a., si applica a tutte le imprese per le quali sia possibile disporre la l.c.a. compresi – in questo caso con taluni ragionevoli dubbi – gli enti pubblici. Cfr. BONSIGNORI, op. cit., p. 528 ss.; PAJARDI, op. cit., p. 1269 ed ivi ulteriori richiami. 102 La giurisprudenza non aiuta a fare chiarezza sulla questione. Tra notevoli ambiguità permane comunque, nelle decisioni giurisprudenziali, l’idea che l’accertamento dell’insolvenza sia distinto da quello riguardante l’insufficienza di attivo. Così T.A.R. Valle d’Aosta 24 settembre 1996, n. 157, Foro amm., 1997, 842. Così ancora Trib. Potenza 8 novembre 1997, Gius., 1998, 2349, il quale afferma che, ai fini della declaratoria dell’insolvenza ai sensi dell’art. 202 l.f, l’eccedenza delle passività sulle attività pur essendo un elemento fortemente sintomatico dell’insolvenza, non la comporti di per sé. In senso sostanzialmente analogo si è pronunciata anche Cass. 17 marzo 29 Anno XXV - Numero 4 /5 - Luglio/Ottobre 2001 103 104 105 106 107 108 109 110 1989, n. 1321, Giust. civ., 1989, I, 1619, id., Foro it., 1989, I, 1452, id. Dir. fall., 1989, II, 539. In senso contrario v. però ancora BONSIGNORI, op. cit., p. 532 ss. Sostiene, in particolare l’A. che una tale soluzione sarebbe inammissibile in quanto spezzerebbe irrimediabilmente il rapporto di concorso fra l.c.a. e fallimento. L’accertamento successivo dello stato di insolvenza sarebbe cioè consentito solo quando il fallimento è escluso ovvero quando si sia effettivamente realizzata la prevenzione dell’art. 196 l.f. Cosa che, per l’A., non sarebbe realizzabile nel caso di procedure di l.c.a. aperte ex art. 2544 c.c. Le stesse considerazioni relative al ricorso del commissario liquidatore valgono per l’eventuale istanza, ove proposta ai sensi dell’art. 202 l.f., del pubblico ministero. Sempre che il provvedimento di liquidazione sia stato assunto ai sensi dell’art. 2540 c.c. e non ai sensi dell’art. 2544 c.c. Una simile circostanza potrebbe addirittura far sospettare l’esistenza di contabilità illecite. L’unico caso in cui si potrebbe ipotizzare una non coincidenza fra lo stato di insolvenza e lo stato di insufficienza patrimoniale potrebbe essere quello in cui, fra debitore e creditori, venga stipulato, ma non onorato, un pactum de non petendo. In questo caso, trattandosi di posizioni debitorie non esigibili, queste potrebbero non figurare nel passivo patrimoniale dell’impresa, ma contemporaneamente rilevare sul piano dell’insolvenza. Così parrebbe a tenore di alcune ambigue pronunce della Corte di Cassazione che avrebbe affermato l’inopponibilità di tali accordi per escludere uno stato di insolvenza. V. Cass. 14 aprile 1992, n. 4550, Giur. comm., 1993, II, 382; 7 luglio 1992, n. 8271, Giur. it., 1993, I, 1, 798; 16 luglio 1992, n. 8656, Dir. fall., 1993, II, 381; 19 novembre 1992, n. 12383, Dir. fall., 1993, II, 1084. Si ritiene tuttavia, per evidenti motivi di omogeneità di interpretazione, che non si possa affermare che gli accordi (o il venire meno degli accordi) fra debitore e creditori rilevino ai soli fini dell’insolvenza e non anche per la valutazione della capacità patrimoniale dell’impresa. Quale che sia la conclusione che si voglia trarre, essa non può che trovare applicazione in entrambe le ipotesi. Di opinione contraria sembrerebbe BONFANTE, op. cit., p. 687. La norma impone che la relazione sia inoltrata al procuratore della repubblica e non, come nel caso del fallimento (v. art. 33, comma 1, l.f.) al tribunale. Diversa ancora è la valutazione da compiere per quanto riguarda eventuali giudizi di responsabilità nei confronti degli ex amministratori; sia come esercizio di autonome azioni di responsabilità in sede civile, sia attraverso la costituzione di parte civile della procedura in eventuali giudizi penali. Ma questa è una problematica di tutt’altro contenuto. IL GIORNALE DEL REVISORE CONVENZIONI ALBERGHIERE IN CORSO ANNO 2001 ENTI CONVENZIONATI BASTIANI GRAND HOTEL Piazza Gioberti, 64 58100 Grosseto (GR) Tel. 0564 20047 Fax 0564 29321 HOTEL MARCONI Via Fabio Filzi, 3 20124 Milano (MI) Tel. 02 66985561 Fax 02 6690738 www.marconihotel.it E-mail: [email protected] HOTEL RAFFAELLO Via Urbana, 3-4-5 00184 Roma (RM) Tel. 06 4884342 06 4824780 Direzione e fax 06 4744905 JOLLY HOTELS Centro Prenotazioni Numero Verde 800-017703 www.jollyhotels.it E-mail: [email protected] PARK HOTEL LE SORGENTI Via Matteotti, 198 Montecatini Terme (PT) 51018 Pieve a Nievole Tel. 0572 951116 Fax 0572 952731 STARHOTELS S.p.A. 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Introduzione Il sistema di controllo interno può essere definito come l’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte ad assicurare il conseguimento delle seguenti macro categorie di obiettivi: • controlli adeguati dei rischi aziendali • efficacia ed efficienza dei processi operativi aziendali; • salvaguardia dell’integrità patrimoniale; • completezza, tempestività ed affidabilità delle informazioni, sia contabili sia gestionali; • conformità dei comportamenti aziendali alle leggi, ai regolamenti ed alle direttive e procedure aziendali. 2. Componenti del Sistema di Controllo Interno Il Sistema di Controllo Interno, secondo la definizione che ne viene data dal COSO Report (il COSO è un organismo internazionale che opera in materia di controllo), sviluppata anche da recenti analisi di benchmarking svolte a livello internazionale, si basa su una serie di componenti fra loro correlate e che si configurano diversamente in relazione al settore economico di appartenenza, al modo in cui il management gestisce l’azienda e alle altre condizioni che, di volta in volta, si presentano. Tali categorie di componenti sono, in sintesi: • L’ambiente di controllo, che costituisce il fondamento di tutto il sistema di controllo interno, rappresenta Riportiamo un articolo a cura della società di consulenza Andersen S.p.A. sul controllo e gestione dei rischi che possono pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi aziendali un elemento importantissimo della cultura di un’organizzazione aziendale in quanto determina il livello di sensibilità del personale alla necessità di controllo. I fattori determinanti l’ambiente di controllo sono l’integrità ed i valori etici, la competenza del personale, la filosofia e lo stile del management; le modalità di delega delle responsabilità, la politica organizzativa e di motivazione del personale; infine, la dedizione degli organi esecutivi (Consiglio di Amministrazione, Comitati ecc.) e la loro capacità di indicare chiaramente gli obiettivi aziendali. La presenza dell’Internal Audit è, naturalmente, un elemento essenziale di un buon control environment. • La valutazione dei rischi, ossia il processo continuo di identificazione e di analisi di quei fattori endogeni ed esogeni che possono pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi aziendali, al fine di determinare come questi rischi possano essere gestiti. 31 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 • L’attività di controllo, che costituisce la componente attuativa del sistema di governo dell’impresa, si configura come l’insieme delle azioni e delle attività che garantiscono al management la corretta applicazione, a tutti i livelli gerarchici e funzionali della struttura organizzativa, delle direttive impartite. • L’informazione e la comunicazione rappresentano un elemento fondamentale per il governo dell’azienda in quanto un sistema informativo ben strutturato e diffuso a tutti i livelli aziendali (verso il basso, verso l’alto ed in senso orizzontale) permette la gestione ed il controllo di tutti i processi e le attività aziendali, siano esse operative o direzionali, contabili o commerciali. • Il “monitoraggio” è costituito dall’attività essenziale di supervisione continua e di valutazione periodica dell’efficacia e dell’efficienza del sistema di controllo interno. La portata e le modalità del monitoraggio dipendono dalla specifica realtà operativa aziendale e dalla valutazione dei rischi e dell’efficacia delle procedure di supervisione. Obiettivo primario del monitoraggio è in sintesi quello di mantenere, aggiornare e migliorare la qualità del sistema di controllo interno in modo continuo ed integrato nelle normali attività operative aziendali. A tal fine è importante che le disfunzioni e le carenze del controllo interno siano portate all’attenzione dei sog- IL GIORNALE DEL REVISORE Il Consiglio di Amministrazione ha il compito di vigilare sul generale andamento della gestione tenendo in particolare considerazione le informazioni ricevute dal comitato per il controllo interno. Verifica, inoltre, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo ed amministrativo generale della società e del Gruppo predisposto dagli Amministratori Delegati. L’Alta Direzione, costituita da Amministratori Esecutivi, Amministratori Delegati e Direttore Generale, rappresenta il livello più elevato di potere sostanziale all’interno dell’impresa: deve, infatti, valutare i rischi che la dinamica economica fa emergere internamente ed esternamente mettendo, quindi, in campo risorse, organizzazione, procedure, sistemi di controllo, decisioni che permettano di prevenirli e fronteggiarli. Il Consigliere Delegato assicura la funzionalità e l’adeguatezza del sistema di controllo interno, dedicandosi alla definizione delle procedure, alla nomina di uno o più preposti e alla verifica costante del corretto ed adeguato funzionamento del sistema stesso. Il Comitato per il Controllo Interno (composto da un numero adeguato di amministratori non esecutivi) svolge funzioni consultive e propositive, valuta l’adeguatezza del sistema di controllo e riferisce al C.d.A. Valuta, inoltre, il piano di lavoro preparato dai preposti al controllo interno e l’attività di pianificazione presentata dalla società di revisione. I responsabili delle unità operative amministrano, assieme all’Alta Direzione, il funzionamento e il miglioramento del sistema di controllo interno a presidio del raggiungimento degli obiettivi di economicità delle operazioni, attendibilità del sistema informativo e conformità alla normativa di riferimento. I preposti al controllo interno sono nominati dal Consigliere Delegato e hanno il compito di assicurare la funzionalità e l’adeguatezza del Sistema di Controllo Interno. Sono liberi da vincoli gerarchici nei confronti dei soggetti sottoposti al loro controllo e hanno autonomia di giudizio all’interno dell’azienda, riferendo al Consigliere Delegato ed al Comitato per il Controllo Interno. Il Collegio Sindacale è preposto in generale alla vigilanza sull’adeguatezza del sistema di controllo aziendale. Vigila, in particolare, sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile, nonché sull’affidabilità di quest’ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione. L’attività di vigilanza è svolta su due livelli: - vigilanza indiretta, ossia generica supervisione sull’attività svolta dagli altri organi di controllo (a cui sono affidati attività di controllo diretto sul conseguimento degli obiettivi di economicità e di attendibilità del sistema informativo); - vigilanza diretta e monitoraggio dei controlli esistenti di conformità alle norme e regolamenti vigenti. L’Intemal Auditing esercita sia un’attività di natura ispettiva, volta alla verifica del rispetto delle procedure di controllo interno, sia un’attività, qualitativamente molto diversa, che ha l’obiettivo di verificare i seguenti aspetti: - aderenza a politiche, piani, procedure, leggi e regolamenti - affidabilità ed integrità delle informazioni - salvaguardia del patrimonio aziendale - utilizzo economico ed efficiente delle risorse - raggiungimento degli obiettivi e dei traguardi stabiliti per operazioni e programmi Il Controllo di Gestione monitora l’operato delle diverse unità organizzative al fine di verificare il raggiungimento degli obiettivi di economicità definiti a livello aziendale. La Società di Revisione rappresenta un punto di riferimento esterno ed indipendente rispetto all’Alta Direzione ed al Comitato per il Controllo Interno, con particolare riguardo agli aspetti di attendibilità del sistema amministrativo contabile. IL GIORNALE DEL REVISORE getti aziendali dotati dell’autorità di provvedere, tempestivamente, alle adeguate azioni correttive. 3. Gli Attori del Sistema di Controllo Interno Gli attori del sistema di controllo interno sono: • Il Consiglio di Amministrazione • L’Alta Direzione • Il Consigliere Delegato • Audit Committee o Comitato per il controllo interno • I responabili delle unità operative • I preposti al controllo • Il collegio Sindacale • L’internal auditing • Il controllo di gestione • La società di revisione Le responsabilità principali e i ruoli chiave dei suddetti attori sono, in sintesi, riportati nella tabella a lato. 4. Alcune considerazioni Da quanto esposto precedentemente si desume che: • il controllo interno non è un evento isolato od una circostanza unica, ma un insieme di processi/azioni ben coordinati che riguardano l’azienda nel suo complesso e in ogni momento del suo operare; • il controllo interno che è costituito da tecniche, procedure, supporti informatici, meccanismi organizzativi, fonda, principalmente, il suo valore sugli individui che operano a tutti i livelli della struttura dell’impresa e, nel concreto, sono chiamati a rendere operativi i controlli; • un sistema di controllo benché organico e ben concepito fornisce al management ed agli organi esecutivi solamente una ragionevole sicurezza sulla realizzazione degli obiettivi aziendali. Il perseguimento delle finalità aziendali risente, infatti, dei limiti insiti in tutti i sistemi di controllo. • è necessario, per ogni realtà aziendale, verificare, costantemente, che lo 32 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 sviluppo di un sistema di controllo interno adeguato sia sempre equilibrato in termini di costi e benefici; • il fattore chiave di successo di un sistema di controllo interno si fonda, principalmente, sull’identificazione, sul monitoraggio e sul controllo dei rischi aziendali. Pur consapevoli che nessun sistema di controllo possa essere in grado di prevenire con certezza perdite inattese (e/o mancati guadagni) o rappresentazioni errate non intenzionali di fatti di gestione, si ritiene che la costituzione di un efficace sistema di controllo interno sia elemento qualificante di una buona gestione. 5. Il processo di gestione dei rischi La struttura organizzativa/operativa aziendale e le metodologie di gestione del business sono, fortemente, influenzate dai concetti precedentemente illustrati. Questo perché il “sistema di controllo interno”, pervadendo tutta l’attività aziendale, coinvolge direttamente il Consiglio di Amministrazione e l’Alta Direzione, oltre alle altre strutture operative/organizzative. Un modello di controllo interno definito nel rispetto dei principi chiave suindicati, dovrebbe svilupparsi sulla base di uno schema logico che permetta al Top Management, supportato dai responsabili delle aree operativo/organizzative, di porre in essere un processo articolato di gestione e controllo del rischio al fine di minimizzare il potenziale impatto dei rischi stessi (come anche richiesto dalle recenti norme di Corporate Governance e dalle disposizioni di Banca d’Italia e dell’ISVAP) sugli obiettivi e sulle strategie in essere, al fine di incrementare il “valore per gli azionisti”. I caratteri salienti del sistema di controllo interno possono riassumersi nel seguente modello di cui si riportano alcuni elementi fondamentali: 5.1 Stabilire scopi ed obiettivi • Gli obiettivi e le finalità della gestione del rischio sono definiti dall’Alta Direzione, concordati con il CDA e comunicati alle singole aree operative. • Per i rischi chiave vengono definiti e comunicati i livelli di tolleranza al rischio. L’Alta Direzione comunica, ad esempio: - i rischi da evitare in quanto incontrollabili; - le attività di business ad alto rischio che sono precluse/limitate; - le attività target di sviluppo del business; - criteri di autorizzazione (deleghe, ecc.); - parametri precisi per la conduzione del business. • La tolleranza al rischio proposta dall’Alta Direzione (in termini di massima perdita accettabile, limiti operativi, esposizione al capitale, ecc.) è approvata dal CDA. 5.2 Valutare i rischi di business • L’Alta Direzione pone in essere un processo per valutare i cambiamenti nell’ambiente esterno e validare le assunzioni chiave sottostanti le strategie di business. Ad esempio: - assicura il monitoraggio del contesto esterno (concorrenti, mercati, riassicuratori, clienti, regolamenti, ecc.); - anticipa condizioni ed eventi che possono minacciare il raggiungimento di obiettivi strategici; - valuta le assunzioni di base della strategia e la loro coerenza con le mutazioni dell’ambiente esterno. • I singoli responsabili di area devono valutare l’ambiente esterno, i processi e le informazioni per svolgere attività di gestione del business, comunicando all’Alta Direzione le loro valutazioni complessive del rischio. • Si sviluppa un comune linguaggio (modello) per la definizione dei rischi. Tutte le entità coinvolte nella - Le strategie per gestire i diversi tipi di rischio, includendo le tolleranze al rischio (grado di rischio che l’organizzazione è disposta ad accettare); - La misurazione del rischio e la reportistica sulle performance, in modo tale che i responsabili di processo/attività siano responsabilizzati sull’implementazione delle necessarie attività. • Una funzione indipendente, quale ad esempio l’Internal Auditing, verifica l’esecuzione delle policy e riporta all’Alta Direzione e al CDA. gestione dei rischi (CDA, Alta Direzione, management operativo, ecc.) sono in grado di parlare lo stesso linguaggio. • Esiste una procedura/processo (anche informale) di valutazione del rischio. 5.3 Sviluppare strategie di gestione dei rischi • L’Alta Direzione formula strategie per rispondere tempestivamente ai cambiamenti ed allineare di conseguenza i comportamenti dell’azienda. Quando si identificano nuovi rischi, è immediatamente identificato il responsabile al fine di ottenere una pronta risposta. • I responsabili di area/processo sviluppano sistemi per monitorare costantemente il rischio. • Sono definite strategie per gestire i rischi significativi (ad esempio evitare/valutare/trasferire/ridurre ecc.). • L’Alta Direzione ed il CDA approvano una policy per il controllo del business che individui ad esempio: - Gli obiettivi di valutazione e controllo dei rischi e l’importanza di tale attività per gli obiettivi e le strategie aziendali; - Il framework di valutazione del rischio; - Il responsabile per l’implementazione delle policy per i rischi chiave; 5.4 Disegnare/implementare il processo di controllo dei rischi • L’Alta Direzione assicura che vengano posti in essere processi di selezione e sviluppo del personale, affinché questo sia provvisto delle competenze necessarie per implementare adeguati sistemi di controllo. • Vengono attentamente valutate le policy di assunzione/premio del personale. • Viene implementato un sistema di analisi dell’efficienza/efficacia dei processi di controllo e monitoraggio del rischio. Esistono specifici report per i rischi più significativi. • Vengono definiti i principi che un sistema di controllo richiede ed implementati i processi di delega, Figura 1 Stabilire scopi ed obiettivi • Limiti di rischio • Tolleranza Valutare i rischi • Individuazione • Fonte • Misurazione Migliorare il Processo di controllo dei rischi Migliorare la performance del Processo di controllo dei rischi 33 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 Informazioni per il Processo decisionale Sviluppare strategie di gestione dei rischi • Eliminare • Trasferire • Valutare • Accettare Disegnare / Implementare il Processo di controllo dei rischi IL GIORNALE DEL REVISORE segregazione di funzioni, gestione dell’informazione ecc. • Il sistema di controllo viene implementato valutando il suo allineamento alle strategie, al rapporto costo/beneficio/valore, alla tipologia di rischio coperto. • I manager operativi sono coinvolti nella progettazione e nel disegno delle variazioni da apportare al sistema di controllo al fine di garantirne il miglioramento continuo. 5.5 Monitorare la performance del processo di gestione e controllo dei rischi • L’Alta Direzione misura in modo sistematico l’efficacia/efficienza del sistema di gestione e controllo dei rischi, usando parametri di misurazione ed indicatori quali ad esempio: - analisi del settore, dei concorrenti, ecc.; - indicatori statistici legati ai rischi e al loro controllo; - analisi delle informazioni per eccezione; - il V. A. R. - Value at Risk con il quale, ad esempio, si lega il rischio al rendimento atteso. • Tali valutazioni ed indicatori sono integrati sia a monte che a valle dell’organizzazione. • Vengono prese opportune decisioni per monitorare eventuali “eccezioni”. • Vengono effettuate opportune analisi di benchmarking sui propri processi con: - Concorrenti; Figura 2 Classificazione rischi Rischi con influenza sul business Rilevanza Rischi con alta influenza sul business Rischi non rilevanti Probabilità IL GIORNALE DEL REVISORE - bestpractice disponibili; - altri processi/attività di business. • Le attività di Internal Auditing sono condotte con tecniche top-down e focalizzate sui processi di controllo e sull’identificazione dei rischi. 5.6 Migliorare il processo di gestione e controllo dei rischi • Deve esistere una comunicazione interattiva all’interno dell’organizzazione che consenta la definizione delle migliori tecniche di controllo dei rischi. • Deve essere garantito un processo di miglioramento continuo del sistema di controllo. Il processo logico alla base delle attività sopra evidenziate permette sia la gestione a livello esterno dei rischi aziendali, sia la creazione della struttura organizzativa ed operativa del sistema di controllo, consentendo: • al top management di dotarsi degli strumenti per monitorare il business ed assicurarsi che vi sia una adeguata e strutturata comunicazione delle informazioni per il processo decisionale;. • l’implementazione del sistema di controllo interno in tutte le sue componenti; • di creare la c.d. “cultura del controllo “, facendo in modo che i gestori/responsabili di attività comprendano i loro obiettivi, compiti e responsabilità ed adottino comportamenti di tipo “proactive”. 5.7 Informazioni per il processo decisionale Infine, il fulcro del “modello” è il sistema informativo (per il processo decisionale), che deve garantire un flusso adeguato di informazioni verso l’alto, verso il basso ed a livello trasversale, al fine di consentire una chiara conoscenza dei compiti e delle responsabilità di ciascuno anche per quanto concerne la progettazione, l’implementazione ed il monitoraggio del sistema di controllo. 34 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 6. Alcuni strumenti da utilizzare per implementare/ valutare un sistema di gestione dei rischi Lo sviluppo e la definizione di un adeguato sistema di controllo interno e di gestione dei rischi si fonda necessariamente sull’utilizzo e sviluppo di alcuni strumenti. Ad esempio, l’utilizzo di un “linguaggio comune “ dei rischi è strumento fondamentale affinché il processo di gestione dei rischi possa essere compreso ed accettato da tutta l’organizzazione. 6.1 Il sistema dei rischi I rischi che le imprese devono gestire e monitorare possono essere suddivisi nelle seguenti tre categorie: • Rischi connessi al contesto esterno, relativi agli eventi esterni che possono condizionare e/o modificare sensibilmente gli obiettivi e le strategie aziendali; • Rischi connessi ai processi gestionali, riferiti alla possibilità che i processi operativi non siano chiaramente definiti ed allineati alla strategia aziendale, ovvero non siano svolti in maniera efficace ed efficiente; • Rischi di informativa del processo decisionale, riferiti alla possibilità che le informazioni a supporto delle decisioni aziendali non siano complete, aggiornate ed accurate. 6.2 La mappa dei rischi La misurazione dei rischi viene generalmente espressa in termini di rilevanza e probabilità di accadimento. Uno strumento di facilitazione che il management può utilizzare è rappresentato dall’utilizzo di una mappa dei rischi, che graficamente può essere rappresentata come in figura 2. La misurazione dei rischi in termini di probabilità e della rilevanza scaturisce spesso da sessioni “facilitate” di risk assessment nelle quali i responsabili di un certo pool di rischi, uti- lizzando anche strumenti di votazione elettronica, effettuano un’autovalutazione (self-assessment) dei rischi. 6.3 La struttura dei controlli Con riguardo all’analisi ed alla valutazione dell’affidabilità dei controlli interni a fronte di ogni rischio ritenuto critico, si può individuare la seguente gerarchia (qui presentata con approccio bottom-up) di controlli: • Controlli specifici, direttamente riferiti ad un singolo aspetto o transazione di un ciclo operativo o del processo di formazione di una singola voce di bilancio. • Controlli di tipo pervasivo, mirati alla gestione del rischio individuato nel suo complesso (ad esempio, controlli attuati tramite la separazione dei compiti e delle responsabilità, l’attribuzione di autorizzazioni o limiti all’operatività dei singoli, ecc.). • Controlli di monitoraggio, finalizzati sia alla supervisione dell’efficacia dei processi di controllo dei rischi specifici sia alla verifica delle performance dei processi di controllo interno. Un modello efficace di sistema di controllo interno dovrebbe, quindi, con riguardo ad ogni rischio significativo ed altamente probabile, definire nel modo e nella misura coerente con le esigenze aziendali le tipologie di controllo suddette. Disegnati i controlli, occorre effettuare una valutazione dell’efficacia e dell’effettiva operatività degli stessi in merito alla riduzione del rischio ad un livello accettabile. Questo processo valutativo deve basarsi sull’analisi delle tre componenti della gerarchia dei controlli con un approccio di tipo “bottom-up”. Per quanto concerne l’operatività dei controlli specifici, le variabili da considerare da parte della società sono: • la localizzazione del controllo rispetto alla fonte del rischio; • l’affidabilità e l’adeguatezza della procedura di controllo. Si ricorda, da un lato, che un controllo informatico/automatizzato è più affidabile di un controllo basato principalmente sull’intervento umano; dall’altro, che un controllo preventivo è più adeguato/desiderabile che un controllo a posteriori; • lo scostamento tra la procedura di controllo ottimale (best practice) e quella rilevata. È importante notare che il massimo grado di affidabilità ed adeguatezza si ha in presenza di un controllo informatico, preventivo e localizzato vicino alla fonte del rischio, mentre un controllo basato sull’intervento umano e finalizzato all’identificazione e correzione dell’errore è caratterizzato da un livello inferiore di adeguatezza ed affidabilità. Per la valutazione dell’efficacia dei controlli pervasivi dovranno, invece, essere considerate: • la corretta separazione di funzioni e compiti, sulla base delle attività operative svolte, del personale addetto e della tecnologia applicata; • il controllo sull’integrità dei flussi informativi necessari alla corretta esecuzione dei controlli, sia specifici che di monitoraggio. Per la valutazione dell’efficacia dei controlli di monitoraggio, infine, le variabili oggetto di analisi e valutazione sono: • l’integrazione delle procedure di monitoraggio con le attività operative dell’azienda, con particolare riferimento ai controlli specifici; • l’integrità dei flussi informativi utilizzati nell’attività di monitoraggio (con riferimento ai controlli pervasivi di cui sopra); • le iniziative da assumere in caso di lacune od inefficienze dei processi di monitoraggio. 7. Conclusioni Il sistema di controllo interno, pur potendosi articolare organizzativa- 35 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 mente in diversi assetti, modulati sulla realtà di ciascuna società, dovrebbe sempre basarsi sui seguenti principi cardine: • il controllo è parte integrante delle procedure operative quotidiane dell’azienda; • i responsabili dei singoli processi/attività svolgono un monitoraggio delle attività sottostanti di cui hanno la responsabilità; • l’azienda garantisce, tramite una funzione indipendente da quelle operative, che tale sistema sia efficiente ed efficace. Alla luce di quanto detto, la predisposizione di un adeguato sistema di controllo richiede che: • Le imprese favoriscano la diffusione della “cultura del controllo” in modo che il personale, a qualsiasi livello e funzione, sia sensibilizzato sulla necessità e sull’utilità dei controlli, conosca il proprio ruolo e le proprie responsabilità e sia effettivamente impegnato nello svolgimento dei controlli stessi. Si definiscano direttive e procedure coerenti con gli obiettivi aziendali e tali da consentire la rilevazione o la limitazione dei rischi che possono minacciare il corretto funzionamento dell’impresa. • Le imprese sviluppino processi funzionali alla definizione di controlli idonei a ridurre i rischi ad un livello ritenuto accettabile. • Le imprese si dotino di procedure per verificare l’applicazione delle direttive impartite dal vertice. • All’interno delle imprese siano garantiti i flussi informativi che consentano a ciascuno di disporre degli elementi di conoscenza idonei allo svolgimento dei propri compiti. Le informazioni dovranno essere complete, tempestive ed affidabili. Alberto Carnevale Partner Andersen S.p.A. Silvia Sgalla Manager IL GIORNALE DEL REVISORE IL COLLEGIO SINDACALE E LA SUA FUNZIONE “SOCIALE” a l momento sembra accantonata l’ipotesi, ventilata nelle delega al Governo per la riforma del diritto societario, di affidare di fatto agli stessi amministratori il controllo dei conti delle società. Sarebbe stato davvero singolare demandare il controllo agli stessi soggetti controllati, ossia a coloro che sono responsabili dei conti e che, materialmente, hanno la facoltà di far redigere le scritture contabili da soggetti loro subordinati. I riflessi negativi di tale “deregulation” non avrebbero tardato a manifestarsi. Infatti, le esperienze italiane e occidentali in generale hanno ampiamente dimostrato la necessità di mantenere in funzione organismi di controllo composti da soggetti terzi, cioè da professionisti il più possibile estranei e neutrali rispetto alle strutture societarie esecutive (consiglio di amministrazione, amministratori unici) o volitive (assemblea degli azionisti o dei soci). Ogni anno in Italia i collegi sindacali, composti ormai da professionisti revisori contabili, adottano decine di migliaia di provvedimenti di censura o addirittura bloccano atti amministrativi societari non in linea con le norme generali o settoriali. Ciò perché il controllo legale spazia da tempo su una molteplicità di materie cardine quali il diritto socie- IL GIORNALE DEL REVISORE Il Collegio sindacale assolve una funzione pubblica di garanzia tario e fiscale e nel più ampio spettro delle norme amministrative generali. Responsabili in prima persona di un così ampio carico, i revisori spesso si scontrano con provvedimenti contrari alla legge, posti in essere quasi sempre in buona fede per superficiale conoscenza del disposto legislativo. Altre volte devono misurarsi duramente con atteggiamenti consapevoli di aggiramento o elusione delle norme fiscali o di sopruso verso i diritti delle minoranze societarie. Insomma, appare evidente che il collegio sindacale, lungi dall’essere sorpassato nelle sue attuali strutture e funzioni, assolve invece un compito pubblico di garanzia, indispensabile soprattutto in una fase storica che vede le tradizionali strutture statali sempre più deboli in conseguenza dell’arretramento liberista dello Stato da settori sui quali in passato esercitava una presenza fin troppo asfissiante. Un controllo di terzietà che è garanzia collettiva, ancor più indispensabile quando appunto il sistema pubblico di controllo, in Italia come in tutto l’Occidente, appare in affanno di fronte alle nuove tecnologie in- 36 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 formatiche e alle involuzioni del libero mercato, che rendono l’economia volatile, eterea, fino a rendere sempre più “invisibili” i fenomeni economici. I progressi di questi anni rendono immediati i trasferimenti di ingenti masse finanziarie da un continente all’altro, così come il liberismo consente una maggiore flessibilità nei cambiamenti del management aziendale, della proprietà capitalista, della delocalizzazione delle produzioni, vera fonte di accumulazione del reddito, il quale con rinnovato vigore tende a sfuggire a ogni imposizione legislativa, specie se di natura fiscale. Lo Stato, in questa fase di continua evoluzione economica e sociale, potrà pur sempre emanare norme impositive nel tentativo di indirizzare le scelte economiche private verso più ampi fini pubblici, quali la certezza del diritto, l’alimentazione indispensabile dell’erario statale, la tutela delle fasce deboli e il mantenimento di quelle provvidenze di welfare che ritiene di dover far sopravvivere. Ma tutto ciò servirebbe a ben poco se, sulla prima linea dell’economia, venissero a mancare proprio quegli strumenti, i collegi sindacali esterni, che finora hanno assicurato allo Stato la salvaguardia dell’irrinunciabile interesse collettivo. Ernesto Curreli L E T T E R E a cura della redazione Risposta del Presidente alla lettera di un Revisore “curioso”. Egregio Collega, ho letto e riletto la tua lettera più volte non tanto per l’eccezionalità dei contenuti, ma per due principali motivi: a) come tu possa essere venuto in possesso di una notizia in poco più di 48 ore dal suo verificarsi, resterà per me curiosità inappagata; b) l’inguaribile scibile umano sempre pronto a vedere il male anche laddove non c’è, ma soprattutto l’invalso ricorso a maliziose interpretazioni dei più semplici e lapalissiani rapporti umani. Il nostro Istituto decise a suo tempo di entrare a far parte della FITA nell’intento di difendere la figura istituzionale del Revisore Contabile, osteggiata proprio dalle categorie professionali consorelle, ed anche le professioni economico - amministrative stesse destinate al macero non solo dal governo del nostro Paese, ma da una legislazione comunitaria che non riconosce strutture obsolete esistenti solo in casa nostra. Dopo ripetuti tentativi ci siamo accorti di essere perdenti e come tutte le persone serie ci siamo guardati in faccia riconoscendo di esserci sbagliati. Ciò posto, da persone serie e responsabili, abbiamo riconosciuto la non lieta esperienza deliberandone la fine. Vorrei ricordarti, anche a nome di tutti i componenti il consiglio, che noi non ci consideriamo appartenenti alla categoria dei “mortali infallibili”, per cui non arrossiamo in volto nel riconoscere le nostre limitazioni. Non ci illudiamo con ciò di averti convertito alla nostra filosofia (lo riteniamo un atto di presunzione), certo è che noi continueremo ad applicarla. Con viva cordialità. I1 Presidente Modesto Bertolli ASSICURAZIONI L'Istituto Nazionale Revisori Contabili nel ricordare la validissima convezione per i rischi professionali con i LLOYD'S stipulata tramite il BROKER B&S (i cui riferimenti sono in calce) è lieto di comunicare la nuova convenzione per l'ASSICURAZIONE RC AUTO e rischi accessori (incendio, furto, eventi speciali e kasko) predisposta sempre dal BROKER B&S, in collaborazione con l'Istituto, in esclusiva per i revisori contabili, a condizioni vantaggiosissime. La convenzione, relativa all'assicurazione di veicoli in genere, ciclomotori, motocicli e natanti di proprietà o nella disponibilità esclusiva, è riservata ai "revisori in attività ed in pensione, loro coniugi e figli, dipendenti/collaboratori coordinati e continuativi e/o parasubordinati in genere dello studio". La convenzione è stata stipulata con AZZURRA ASSICURAZIONI, la compagnia del GRUPPO SAI dedicata a target specifici e qualificati di clientela. Le tariffe applicate sono estremamente competitive e saranno offerte in esclusiva ai revisori contabili. Caratteristica del servizio sarà l'operatività attraverso sistemi tecnologici di avanguardia, ciascun revisore potrà rivolgersi ad un call center telefonico con numero verde dedicato, attraverso il quale potrà effettuare tutte le operazioni assicurative con un effettivo risparmio in termini di costi e di tempo. Sarà anche disponibile, un sito internet nel quale sarà riservata ai revisori un'area specifica dove ottenere ogni genere di informazione, richiedere i preventivi, denunciare e seguire i sinistri. Gli uffici del GRUPPO B&S saranno a disposizione a partire dal prossimo 19 novembre 2001 per fornire a tutti i revisori il numero verde dedicato alla convenzione. UFFICI DEL GRUPPO B&S IN ITALIA MILANO Via Turati, 38 20121 Tel. 02.65 55 754 Fax 02.65 99 941 e-mail: [email protected] PADOVA P.zza De Gasperi, 12 35131 Tel. 049.87 50 990 Fax 049.87 50 974 e-mail: [email protected] GENOVA Via S. Luca,12/54 16124 Tel. 010.24 72 488 Fax 010.24 72 514 e-mail: [email protected] UDINE Via Maniago, 2 33100 Tel. 0432.47 04 57 Fax 0432.56 25 28 e-mail: [email protected] UFFICIO CORRISPONDENTE MARINA DI CARRARA V.le da Verrazzano,13 54036 Tel. 0585.63 11 14 Fax 0585.63 41 21 e-mail: [email protected] ROMA Via F. Mengotti, 45 00191 Tel. 06.32 97 654 Fax 06.32 97 769 e-mail: [email protected] BROLO (Me) - 98061 Via Mazzini, 4 Tel. 0941.56 25 27 Fax 0941.56 25 28 e-mail: [email protected] 37 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 IL GIORNALE DEL REVISORE I L P A R E R E D E L L ’ E S P E I quesiti dei lettori ATTIVITÀ DI CONSULENZA DEL LAVORO In riferimento “Chiarimento in merito alle attività” di cui alla rubrica “i quesiti dei lettori” pubblicata dal Vs. Il Giornale del Revisore n. 2 Marzo/Aprile 2001, relativamente allo svolgimento della attività di consulenza del lavoro, faccio presente di essere iscritto al Registro dei Revisori Contabili con D.M. del 12.04.1995 e di essere iscritto al Vs. Istituto. Poiché avrei intenzione di intraprendere l’attività di consulenza del lavoro ho contattato il locale Ispettorato del Lavoro e mi è stato riferito che i soggetti abilitati sono quelli indicati nella Legge n. 12/1979 e D.M. 3 agosto 1979 (Avvocati, Procuratori Legali, Dottori commercialisti e Ragionieri) dove ovviamente non figurano i Revisori contabili. Potete fornirmi qualche chiarimento in merito? Nel ringraziarVi porgo cordiali saluti. Gian Piero Bascherini RISPOSTA I revisori contabili possono esercitare l’attività di consulenza del lavoro. La norma citata che risale all’agosto del 1979 non poteva elencare i revisori contabili nati nel 1992 con il D.L. 27 gennaio 1992 n. 88. Unico chiarimento pretendere il riconoscimento ed in caso di rifiuto avvertirci tempestivamente. Per avere una risposta nella rubrica “I quesiti dei lettori” inviate le vostre domande a: [email protected] Riportando sempre il numero della tessera di iscrizione all’Istituto. IL GIORNALE DEL REVISORE CHIARIMENTI IN MERITO ALL’ISCRIZIONE ALL’ALBO DEI REVISORI Sono un giovane laureato in economia e commercio, vorrei proporre un quesito: l’iscrizione all’albo dei dottori commercialisti comporta automaticamente anche l’iscrizione all’albo dei revisori contabili? In caso contrario prego mandare documentazione relativa alla stessa. Distinti saluti. Francesco Rinaldi RISPOSTA Secondo la vigente normativa l’iscrizione all’ordine dei dottori è titolo per l’automatica iscrizione al registro dei revisori contabili a condizione che si sia esperito il tirocinio a norma del DPR 6 marzo 1998 n° 99 integrato dal DPR 12 luglio 2000 n° 233. R T O a cura dell’I.N.R.C. CHIARIMENTI SULL’AUTENTICA DELLA FIRMA Spett.le Segreteria, avrei bisogno di una risposta sul tema esposto di seguito. É concesso ai revisori rappresentare ed assistere i contribuenti ai sensi e per gli effetti dell’art. 63 del DPR 600/73? In modo particolare è concesso ai revisori di autenticare la firma del contribuente sulla delega da presentare all’Agenzia delle Entrate? Ringrazio sin da ora per la cortese collaborazione. Cordialità. Luigino Petris RISPOSTA Risposta positiva in ambo e due i casi. Ci segnali eventuali dinieghi ed i motivi che li hanno originati. C O M U N I C ATO ■ Riceviamo centinaia di lettere con le più disparate richieste di informazioni da parte di Revisori Contabili che pure essendo tali non risultano iscritti al nostro Istituto. Per ragioni ovvie, oltre che statutarie, non ci è possibile soddisfare tali richieste per cui ci scusiamo con i nostri interlocutori. Vorremmo anche ricordare loro che essi ricevono gratuitamente la nostra rivista “Il Giornale del Revisore” contenente una rubrica “i quesiti dei lettori” in cui vengono trattati argomenti della natura dei quesiti pervenuti. Ci teniamo ad informare però che da tempo forniamo invece consigli ed informazioni a coloro che intendono diventare Revisore Contabile per facilitarli nel compimento del lungo iter da seguire. Infine rivolgiamo a tutti il cortese invito di riportare sempre il numero di tessera di iscrizione all’Istituto e il numero di telefono, mezzo che, oltre a permettere il migliore approfondimento del quesito, ci evita l’onere della risposta scritta imposta da altri sistemi. 38 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 E N T I L O C A L I Un nuovo modello organizzativo UN NUOVO, MODERNO SISTEMA ORGANIZZATIVO NEGLI ENTI LOCALI L’ORGANIZZAZIONE DELL’ENTE LOCALE CENTRATA SULLA PROGRAMMAZIONE E SUL CONTROLLO DEI RISULTATI È IN GRADO DI SODDISFARE Il sistema organizzativo in termiMAGGIORMENTE LA DOMANDA TERRITORIALE ni funzionali degli enti locali stenta a decollare per ragioni di ordine politico miranti ad avere La gestione in economia è un modo reun controllo diretto nella gestione dei siduale cui si ricorre quando per le moservizi. deste dimensioni o per le caratteristiche D’altro canto il capo VII della legge n° del servizio non sia possibile ricercare 142 del 1990 contiene disposizioni gealtre forme gestionali. neriche e si inserisce in un quadro norÈ evidente come entrambi i presupposti mativo complesso e articolato per cui la ma soprattutto il secondo siano suscetsua portata innovativa richiede tempi tibili di una interpretazione assai lata. lunghi di attuazione tanto più che la L’art. 113 del D. Leg.vo 267 del 2000 dottrina ha giudicato programmatiche ha aggiunto un’altra forma gestionale e e non immediatamente precettive alcucioè a mezzo di società senza vincolo ne disposizioni del suddetto capo. della proprietà pubblica maggioritaria. L’art. 22 della legge 142 codifica alcuni L’attuazione incompleta della legge sulmodi di esercizio dei pubblici servizi le autonomie locali condiziona l’applideterminando un rafforzamento delcabilità dell’ordinamento economicol’autonomia che si trova nella scelta delfinanziario di cui al D. Leg.vo 77 del le opzioni che di volta in volta si rende1995 modificato dal D. Leg.vo 267 del ranno più opportune; scelte motivate e 2000 in quanto una normativa contabicoerenti con la natura del servizio e con le di tipo aziendalistico difficilmente i principi di efficienza ed economicità potrà realizzarsi in un sistema organiznel rispetto delle norme statutarie. zativo di servizi gestiti in economia diL’unico criterio determinato è quello versi per natura, scopi e fattori produtche sta a fondamento della distinzione tivi; sistema appesantito, tra l’altro, dalfra servizi di rilevanza imprenditoriale e l’iter burocratico. non; quest’ultimi possono essere gestiti I tentativi di calare il nuovo ordinatramite “istituzione”, rilevando tuttavia mento contabile e finanziario nelle geche non esiste in natura una attività che stioni in economia ha fornito input sia o non sia ontologicamente imprenparziali delle singole gestioni dei servizi ditoriale in quanto dipende da criteri erogati. gestionali. La contabilità finanziaria è la sola diIl legislatore ha ravvisato alcune forme sciplinata dalla normativa che lascia ai gestionali demandando la scelte all’ente singoli enti piena discrezionalità per locale e palesando che la forma che la l’applicazione del sistema delle rilevalegge preferisce è quella più consona alzioni economiche. Il principio unitale caratteristiche del servizio da esercitario di bilancio sposta le rilevazioni ecore in vista della realizzazione dei princinomiche sui singoli piani esecutivi di pi di efficienza e di economicità. 39 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 Giacomo Bertocchini gestione che spesso non contengono tutti i fattori produttivi inerenti a un dato servizio per cui il conto economico riferito al PEG non rispecchia il risultato gestionale del servizio medesimo. L’implicazione è dovuta al fatto che le attività dei singoli servizi gestiti in economia sono frantumate in settori o comparti strutturali spesso non comunicanti tra loro. Lo stesso servizio finanziario dell’ente difficilmente potrà svolgere le funzioni di rilevazione finanziaria - economica sia di bilancio che dei singoli servizi in tempi reali, tanto che il legislatore affida al responsabile del servizio finanziario la sola gestione di bilancio. Le rilevazioni in tempi reali sono estremamente necessarie per sapere cogliere le disfunzioni che si manifestano nei singoli servizi in relazione agli indirizzi programmatici. Un primo modello organizzativo parte dall’analisi dei servizi resi direttamente alla collettività (servizi sociali, della pubblica istruzione, servizio demografico, cultura, sport, del territorio, del commercio, ecc.) distinguendoli dalle strutture di supporto (amministrativo, legale, ragioneria, economato, ecc.). Tali strutture devono essere articolate in unità operative i cui contenuti sono le relative funzioni a favore di uno o più servizi. Tale modello organizzativo comporta costi amministrativi generali elevati e non facilmente controllabili perché generati al di fuori della struttura del servizio la quale è strettamente interdipendente con la combinazione dei fattori produttivi programmati per raggiungere un determinato risultato. IL GIORNALE DEL REVISORE E N I principi dettati dal legislatore non si conciliano né con i vincoli amministrativi e burocratici, né con una struttura nella quale le funzioni dei singoli servizi sono trasversali, né con la carenza del fattore imprenditoriale per cui le gestioni in economia difficilmente potranno raggiungere il massimo grado di efficienza ed efficacia. Un secondo modello organizzativo parte dalla concezione che l’ente locale deve assumere come ruolo prioritario quello di indirizzo e di programmazione nei servizi da erogare alla collettività amministrata. In altre parole l’ente locale deve spogliarsi di gran parte delle funzioni gestionali incentrando l’attività nelle scelte, nella programmazione e nel controllo degli obiettivi. T I L O C A Nel panorama dei molteplici servizi locali, fatti salvi alcuni il cui carattere pubblico è insito nella loro natura per cui la gestione in economia è propria istituzionalmente (anagrafe, urbanistica, toponomastica, commercio, ecc.) per tutti gli altri servizi vanno ricercate forme gestionali con criteri imprenditoriali, diverse da quelle in economia (società, fondazioni, cooperative). Il controllo si esplica attraverso la verifica degli obiettivi programmati e trova la sua ragione d’essere nel rapporto tra i risultati e gli obiettivi e cioè la verifica del soddisfacimento della domanda in rapporto alle risorse assegnate. Il medesimo elefantiaco apparato tecnico che ha elevati costi gestionali che vanno dalla progettualità alla direzione L I dei lavori, all’iter amministrativo e contabile potrebbe essere snellito attraverso il ricorso ad altri strumenti quali quello del project financing, dell’affidamento chiavi in mano, dell’istituto della concessione, dando così certezza ai tempi di esecuzione delle opere pubbliche e conseguente economicità di bilancio con una inversione di tendenza nel rapporto tra spese correnti e spese di investimento, e quindi una qualificazione nelle spese correnti e una quantificazione maggiore nelle spese di investimento. L’organizzazione dell’ente locale incentrandosi sulla programmazione e sul controllo dei risultati è in grado di dare risposte concrete ai cittadini con un maggiore grado di soddisfacimento della domanda territoriale. Il sistema di valutazione del personale 1.1 PREMESSA dal contratto di lavoro degli enti locali del 31.03.99; consente massimamente il riconoscimento di progressioni economiche e di carriera dei dipendenti stessi attraverso il processo di ottimizzazione delle risorse umane. Già l’art. 41 del D.Lgs. 77/95 contemplava l’istituzione di servizi di controllo interno, altrimenti definiti “nuclei di valutazione” con il compito precipuo di verificare, attraverso apprezzamenti comparativi dei costi e rendimenti, la concretizzazione degli obiettivi, la correttezza della gestione economica. Tali nuclei sono preposti alla formulazione di parametri di riferimento afferenti il controllo o meglio la valutazione. L’organismo opera in condizioni di mera autonomia rispondendo LA VALUTAZIONE SI CONCRETIZZERÀ CON PARAMETRI Questo organismo rappresenta sicuramente, oggi, la più signifiE CRITERI OGGETTIVI PER LA VALORIZZAZIONE cativa ed efficace reazione codifiDELLA QUALITÀ E LA QUANTIFICAZIONE DEI cata ai mali strutturali ancorché RISULTATI operativi dell’organizzazione del personale dipendente degli enti locali, che introduce una metointerazioni tra organi di comando e apdologia di valutazione irrefragabile delparato dirigenziale. le prestazioni e dei risultati, anzi costiLa “cultura della valutazione” negli enti tuisce uno stimolo al processo maieutilocali si configura come uno strumento co delle potenzialità e delle azioni degli essenziale e idoneo di gestione del peroperatori in grado di esaltare le indivisonale che lo assimila sempre più alle dualità al fine di ridestare la coscienza tecniche assolutamente privilegiate delverso un nuovo impegno che sottende i l’imprenditoria privata. processi di cambiamento culturale in atto nell’epoca attuale. La normativa di riferimento enuncia il 1.2 LA PRASSI OPERATIVA lodevole pregio di individuazione dei corretti principi del controllo interno, Il sistema di valutazione delle attività e evidenziando i protagonisti basilari e le dei risultati dei dipendenti è previsto IL GIORNALE DEL REVISORE 40 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 Attilio Zifaro E del suo operato ai soli organi di direzione politica. Ha libero accesso ai documenti amministrativi e relaziona trimestralmente agli organi generali di direzione sulle acquisizioni attinenti alla indagine preordinata. Il nucleo di valutazione si occupa fondamentalmente dell’elaborazione dei parametri atti a valutare i responsabili e l’intera compagine amministrativa. Tale struttura si compone di persone prevalentemente esterne altamente qualificate, con una molteplicità di compiti ricongiungibili, tuttavia, alla valutazione dei dirigenti e dei responsabili nella generalità con l’obbligo perentorio di non poter svolgere altre attività di controllo. Recentemente l’art. 147 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n° 267 sui controlli interni così novella: “Gli enti locali nell’ambito della loro autonomia normativa e organizzativa individuano strumenti e metodologie adeguati a: … c) valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale”; e ancora: “5. … sono istituite apposite strutture di consulenza e supporto, delle quali possono avvalersi gli enti locali per l’esercizio dei controlli previsti dal decreto legislativo 30 luglio 1999 n° 286. A tal fine, i predetti comitati possono essere integrati con esperti nelle materie di pertinenza”. Sostanzialmente il disposto normativo ricalca la procedura di valutazione prevista dagli artt. 20 e 21 del D.Lgs. 29/93 relativa a tutti gli enti locali dotati di staff dirigenziale. La valutazione della dirigenza discende, altresì, dall’art. 5 del D.Lgs. 286/99 che ne prevede una cadenza annuale. Tale istituto appare, tuttavia, di difficile realizzazione negli enti locali di piccole e medie dimensioni, che si possono consorziare o istituire forme di collaborazione diverse, e comunque di irrefutabile utilità per la trasparenza e il buon andamento della gestione talché la sua istituzione si assimila ai sistemi operativi di “corporate governance”, N T I L O C A tipici delle aziende private, costituendo un segno tangibile e netto di avvicinamento a tale modus operandi. La valutazione promana dagli obiettivi e finalità che l’amministrazione accuratamente avrà programmato e si concretizzerà attraverso la predisposizione di parametri e criteri oggettivi con l’individuazione della qualità delle prestazioni e la quantificazione dei risultati conseguiti dalle singole strutture, formalizzate a fine anno nei modi preordinati dal nucleo di valutazione. Il nucleo di valutazione mira essenzialmente a ottimizzare il perseguimento delle finalità istituzionali e a esaltare la capacità operativa della struttura e l’organizzazione logistica del lavoro. La definizione e implementazione del sistema di valutazione dovrà favorire l’accostamento con la cultura e la mentalità del nostro tempo assicurando primariamente: - la discussione e il confronto sulle prospettive operative; - l’analisi dei rilievi e suggerimenti emergenti da eventuali e possibili contrasti culturali; - il dialogo e conseguenti decisioni sulle azioni propositive; - la prospettiva dei traguardi di sviluppo e programmi dell’ente; - la contribuzione di ogni dipendente alla realizzazione di obiettivi mirati. I criteri di valutazione ai quali far riferimento si sostanziano in: - definizione degli obiettivi; - specificazione dei parametri qualiquantificativi; - determinazione della tempistica in ordine alla realizzazione della progettualità; - acquisizione delle tecniche procedimentali correlate alla realizzazione di attività produttive; - conoscenza dei costi dei servizi offerti; - analisi delle varie fasi della produzione; - valutazione di eventuali errori in corso d’opera; 41 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 L I - studio delle possibilità migliorative del servizio; - attivazione di processi lavorativi per progetti e per gruppi. L’oggetto della valutazione afferisce essenzialmente a: - la posizione, cioè la esplicitazione di una funzione o mansione in seno alla struttura; - i risultati relazionati agli obiettivi; - le caratteristiche qualitative delle prestazioni individuali. Perciò è necessario ricorrere a determinate tecniche e predisporre opportunamente le misure idonee e individuare taluni termini di identificazione come: - parametri, ossia elementi significativi e pertinenti alla collocazione nella struttura; - fattori, ossia elementi di chiarificazione della qualità; - variabili, ossia elementi caratterizzanti parametri, risultati e fattori; - indicatori, ossia elementi che illustrano le variabili. Concretamente, il nucleo di valutazione utilizzerà un sistema di rilevazione con delle schede e tabelle a doppia entrata che sintetizzano le attività, le competenze, le conoscenze e relative responsabilità. L’anamnesi degli elementi essenziali conduce a un sistema di punteggio basato su indicatori valoriali. La valutazione dei risultati sarà parametrata agli obiettivi individuati nei PEG che consentirà di verificare proficuamente: - l’ottenimento di economie; - la razionalizzazione del lavoro in relazione al tempo; - la metamorfosi in senso migliorativo dell’organizzazione; - il conseguimento della fattiva collaborazione tra i dipendenti. Infine non trascurabile è il percorso di formazione manageriale, per l’Alta Direzione, e di formazione permanente per i funzionari, per la acquisizione della “cultura della responsabilità e del risultato” al fine di mugliorare la qualità e la competitività dei processi.Così la realizzazione IL GIORNALE DEL REVISORE E del sistema di valutazione si estrinsicherà in una atmosfera di collaborazione e di dialettico confronto con i diversi protagonisti talché lo strumento di valutazione finale raffigurerà le linee guida della gestione e l’aggiornamento costante della posizione della struttura in ordine alle capacità e potenzialità. È opportuno prevedere un congruo numero di colloqui di valutazione per legittimare i risultati conseguiti dal nucleo di valutazione e per penetrare a fondo la problematica degli addetti in fase operativa e per far emergere il loro fermento nascosto. 1.3 CONCLUSIONE La valutazione consiste nella formulazione di un giudizio sul variegato apporto professionale degli operatori concretizzantesi nel complesso di regole, processi e strumenti. L’obiettivo del sistema di valutazione s’impernia sulla capacità di integrare le potenzialità professionali delle persone alle istanze dell’ente. N T I L O C A Gli obiettivi attengono strettamente ai risultati perseguiti e consentono segnatamente di: - individuare la progettualità dell’ente; - predisporre adeguati percorsi formativi; - attivare metodologie collegate pervicacemente al sistema di valutazione delle performance; - garantire la trasparenza del sistema valutativo. Infine il nucleo di valutazione attraverso la sua azione pregnante può implementare sinergie nell’ambito dell’azione amministrativa in grado di: - avvicinare empaticamente la politica alla tecnocrazia negli indirizzi e strategie gestionali; - stimolare la partecipazione attiva ai processi di mutamento e miglioramento in modo da innalzare il livello di competitività; - sollecitare l’avvaloramento delle varie professionalità inerenti alle singole caratteristiche e potenzialità del fattore umano operante nell’ente; - incoraggiare la valorizzazione dei risul- L I tati migliorativi dei servizi sia sotto il profilo economico che della soddisfazione dell’utenza; - spronare la gestione efficace ed efficiente delle risorse dell’ente. La valutazione dei risultati e della qualità delle prestazioni è suffragata anche dalla conferenza dei dirigenti e dalla conferenza di servizio come strumenti strategici di comunicazione e di coinvolgimento emozionale. Il nucleo di valutazione deve operare con un alto grado di consenso instaurando una sorta di autorità carismatica che riposa sulla devozione alla capacità specifica ed eccezionale nonché sul carattere esemplare del modello normativo di riferimento. Con un certo azzardo si potrebbe accostare il sistema di valutazione a un “… processo di valorizzazione: quest’ultimo non è altro che un processo di creazione di valore prolungato al di là di un certo punto” (K. Marx “Il capitale Processo di valorizzazione”, Editori Riuniti, 1994, Roma). ICI e finzione di “non edificabilità” Efficacia retroattiva dell’agevolazione Francesco Arcadio Sono considerati, tuttavia (e qui la “finzione giuridica”), non fabCON CIRCOLARE N. 193/E DEL 1999 IL MINISTERO bricabili i terreni posseduti e In questi ultimi tempi sono sorHA FORNITO CHIARIMENTI IN MERITO ALLE condotti dai soggetti indicati nel te problematiche relative a cittaCONDIZIONI DI APPLICABILITÀ DELLA FINZIONE comma 1 dell’art. 9 sui quali dini aventi la qualifica di coltivapersiste l’utilizzazione agro-silvotori diretti e imprenditori agricoGIURIDICA DI NON EDIFICABILITÀ DEI SUOLI pastorale mediante l’esercizio di li a titolo principale e la “finzioattività dirette alla coltivazione ne” di non edificabilità di terredel fondo, alla silvicoltura, alla no o area, classificati quali aree funghicoltura e all’allevamento di anizabile a scopo edificatorio in base agli edificabili, in base a strumenti urbanimali. strumenti urbanistici generali o attuatistici generali o attuativi. Il Comune, su richiesta del contribuenvi ovvero in base alle possibilità di edifiIn particolare l’art. 2, comma 1, lett. b) te, attesta se l’area sita nel proprio terricazione effettive, determinate secondo i del Decreto Legislativo 30 dicembre torio è fabbricabile in base ai criteri stacriteri previsti agli effetti dell’indennità 1992 n. 504 testualmente recita che per biliti dalla presente lettera. di espropriazione per pubblica utilità. area fabbricabile si intende l’area utiliz- IL GIORNALE DEL REVISORE 42 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 E L’art. 9, comma 1 del D.Lgs. n. 504/1992 precisa che i terreni agricoli, posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, purché dai medesimi condotti, sono soggetti all’imposta (I.C.I.), limitatamente alla parte di valore eccedente Lire 50.000.000 e con le seguenti riduzioni: a) del 70% dell’imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti 50.000.000 di Lire e fino a 120.000.000 di Lire; b) del 50% di quella gravante sulla parte di valore eccedente 120.000.000 di Lire e fino a 200.000.000 di Lire; c) del 25% di quella gravante sulla parte di valore eccedente 200.000.000 di Lire e fino a 250.000.000 di Lire. L’art. 8, comma secondo, del D.Lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, recita che agli effetti dell’applicazione dell’art. 9 del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, relativo alle modalità di applicazione dell’imposta (I.C.I.) sui terreni agricoli, si considerano coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo principale, le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi comunali, previsti dall’art. 11 della Legge 9 gennaio 1963, n. 9, e soggette al corrispondente obbligo dell’assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia; la cancellazione dei predetti elenchi ha effetto a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo. A tal riguardo, con risoluzione n. 139/3E, resa dal Ministero delle Finanze in data 25 agosto 1999 lo stesso Dicastero ebbe a precisare che con il successivo comma 2 sono individuati i soggetti coltivatori diretti o imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, agli effetti dell’applicazione delle disposizioni agevolative, recate dall’art. 9 e di riflesso dalla lett. b) del comma 1 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992. La disposizione, prosegue la risoluzione ministeriale, ha carattere interpretativo, ricavandosi già dall’attuale formulazione del primo comma del predetto art. 9 la N T I L O C A necessità, per riconoscimento della particolare qualifica, dell’iscrizione negli appositi elenchi dei coltivatori diretti ed imprenditori agricoli a titolo principale di cui all’art. 11 della Legge 9 gennaio 1963 n. 9 e dell’assoggettamento al corrispondente obbligo dell’assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia. Siffatta natura interpretativa del secondo comma dell’art. 58, comma 2 del D.Lgs. n. 446/1997 è stata poi ribadita dal citato Dicastero, il quale già nell’appendice /5 alle istruzioni per il versamento I.C.I. 1998 ha espresso l’avviso che: La predetta definizione normativa ha carattere interpretativo, con efficacia quindi anche per il passato e vale non soltanto agli effetti dell’applicazione delle agevolazioni recate dall’art. 9 del D.Lgs. n. 504 del 1992, ma altresì agli effetti della “finzione giuridica” di non edificabilità dei suoli (vedasi l’art. 2, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 504/92 e sopra riportato). L I Per quanto concerne le sanzioni per le annualità di imposta (I.C.I.) antecedenti al 1998, ad avviso del Ministero delle Finanze, è invocabile l’applicazione dell’art. 6 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, con conseguente disapplicazione delle sanzioni, potendosi ravvisare, nella fattispecie in commento, la sussistenza di condizioni di incertezza sull’esatta portata dell’originario primo comma dell’art. 9, comma 1 del D.Lgs. n. 504/1992. Per completezza di discorso viene riportato l’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 che testualmente recita: “non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento”. L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA TRIBUTARIO ITALIANO lectio brevis 1861-2000 Storia, anomalie, prospettive di Giancarlo Ferretti Gianni Bizzocchi Editore - Reggio Emilia - P. za Vallieneri 3 a tel. 0522/431252 - fax 0522/403294 Prezzo di copertina L. 25.000 - pagg. 160 In questo interessante volume si traccia il profilo evolutivo del fisco italiano affrontando il complesso argomento con innovativo metodo interdisciplinare. Infatti la storia economica, e talvolta persino la letteratura, arricchiscono l’efficace e coerente esposizione che risulta sempre gradevole ed avvincente, superando l’aridità della normativa tributaria. L’autore, laureato in economia a Parma, già docente di ragioneria negli Istituti Tecnici commerciali, ragioniere commercialista e revisore contabile, cultore di storia economica, mette in evidenza anche le principali anomalie del fisco italiano e confronta efficacemente la pressione tributaria dei vari Paesi. La sua lectio brevis è davvero originale e convincente: essa parte dai modelli “piemontesi” per giungere gradualmente a quelli della globalizzazione, osservando i grandi avvenimenti con rigorosa imparzialità. Il libro è stato presentato il 28 aprile corrente anno dall’Università di Modena e Reggio Emilia e dall’Istituto Tecnico Commerciale “Scaruffi -Levi” di Reggio Emilia ed ha riscosso lusinghieri commenti. Gli antichi documenti e le rare illustrazioni riprodotte completano l’opera che, partendo dal passato, analizza sinteticamente, ma con riconosciuta lucidità, i problemi e le prospettive del presente. 43 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 IL GIORNALE DEL REVISORE I L R E V I S O R E N E G L I E N T I L O C A L I A CURA DEL CENTRO STUDI ENTI LOCALI* L’INTRODUZIONE DEFINITIVA DELL’EURO DEGLI ENTI LOCALI UNA CHECK-LIST PER I REVISORI CONTABILI di Alberto Cioni RUBRICA SPECIALISTICA SUGLI ASPETTI AMMINISTRATIVOCONTABILI, FISCALI E LEGALI CHE ATTENGONO AL RUOLO DI REVISORE NEGLI ENTI LOCALI *Centro Studi Enti Locali® S.r.l. Servizi informativi, formativi e consulenziali agli Enti Locali IL GIORNALE DEL REVISORE Nonostante le rassicuranti dichiarazioni di molti “addetti ai lavori” (non ultima la recente audizione del vice presidente vicario dell’Anci, Michela Sironi Mariotti, alla Commissione Bilancio e Finanze della Camera) l’impressione che si ha, frequentando per ragioni di lavoro Comuni di diversa importanza e dimensioni, è che nella maggioranza degli Enti si stia complessivamente sottovalutando la portata e la ricaduta che l’introduzione dell’Euro avrà in tutta una serie di operazioni gestionali, con il rischio che, se non si interviene rapidamente, a partire dal prossimo 1° gennaio si determinino situazioni diffuse di malfunzionamento e di inefficienza. Ritenendo che rientri appieno tra i compiti del Revisore di un Ente Locale l’adoperarsi, attraverso idenei controlli preventivi, per evitare che ciò si verifichi, presentiamo di seguito una sintetica check-list di alcune delle principali verifiche da fare negli Enti in vista dell’ormai imminentissimo passaggio definitivo all’Euro (rinviando per un più adeguato approfondimento di molte delle questioni trattate, all’apposita rubrica “speciale Euro” della Circolare di aggiornamento e approfondimento professionale per gli operatori degli Enti Locali, settimanale edita dal Centro Studi Enti Locali). Prima però riteniamo opportuno chiarire bene (non fosse altro per correggere alcuni equivoci di una inesatta, almeno finora, campagna televisiva d’informazione) la reale funzione del periodo di doppia circolazione Lira/Euro prevista dal 1° gennaio fino al 28 febbraio 2002. 44 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 In molti Enti si è creata infatti l’errata convinzione che ci sia tempo fino a quest’ultima data per completare l’adeguamento di tutti i propri strumenti gestionali alla nuova moneta. Così non è, anzi, un simile comportamento rischia di determinare, fin dai primi giorni del prossimo anno, situazioni di malfunzionamento generale e soprattutto di disagio (se non addirittura di disservizio) per i cittadini/utenti. Il periodo di doppia circolazione ha infatti l’unico scopo di favorire l’automatico ricambio, nelle tasche degli italiani, di un circolante quasi esclusivamente in Lire (al 1° gennaio) in un circolante quasi esclusivamente in Euro (al 28 febbraio). Se si fa mente locale ai tempi ordinari di circolazione del circolante (ci si passi il bisticcio di parole) e si escludono situazioni particolari di giacenze inutilizzate, ci si renderà conto che già nel giro delle prime settimane di gennaio nelle nostre tasche avremo sempre più Euro che Lire. Questo significa che quindi rischia di essere solo teorica la possibilità di continuare fino al 28 febbraio ad effettuare pagamenti e riscossioni nella moneta nazionale e che, qualora continuassero in quel periodo a trovarsi davanti prezzi, tariffe, importi da pagare, ecc. espressi unicamente in Lire, le difficoltà in cui rischierebbero di trovarsi soprattutto le fasce sociali più deboli sarebbero davvero notevoli. Inoltre la possibilità di effettuare pagamenti e riscossioni in Lire riguarda solo le transazioni in contanti, mentre tutte le altre devono essere effettuate, fin dal 1° gennaio, in Euro. Ebbene, le transazioni in contanti che effettua un ente locale sono pochissime; non solo, ma già dall’inizio dell’anno tutti gli atti contabili dovranno contenere importi espressi unicamente in Euro. Da qui allora la necessità (per non dire l’obbligo) che già dal 1° gennaio l’atti- I L R E V I S O R E N E G L I E N vità di tutti gli uffici ed i servizi di un Comune sia “euroconforme”. L’elencazione che segue ha appunto questa finalità: verificare preventivamente se si sta operando perché ciò si verifichi. emessi da qui alla fine dell’anno contengano la doppia indicazione monetaria (al fine di evitare problemi o contestazioni qualora al pagamento o alla riscossione venga provveduto, in Euro, dopo il 1° gennaio). Deliberazioni e determinazioni Contabilità del personale Dal momento che molte di quelle che verranno adottate d’ora in avanti finiranno di dispiegare i propri effetti nel nuovo esercizio, verificare se in tali atti tutti gli importi monetari sono espressi nella doppia valuta (anche come preparazione a quando, dopo il 1° gennaio, questi dovranno essere espressi unicamente in Euro). Accertare che, oltre ad essere pronti per tenere ale contabilità in Euro dal 1° gennaio, gli uffici stiano provvedendo alla convensione documentale dei dati storici da utilizzare per futuri conteggi inerenti il personale (liquidazione di emolumenti pregressi, ricostruzioni di carriera, pratiche di pensionamento, ecc.) da effettuare obbligatoriamente nella nuova moneta. Regolamenti Verificare se è stato effettuato un accurato censimento di tutti quelli in vigore nell’Ente, al fine di provvedere alla conversione documentale degli importi in Lire in essi contenuti (al fine di evitare fastidiose operazioni di conversione manuale degli stessi dopo il 1° gennaio). Contratti e appalti Verificare se nel periodo transitorio i valori monetari sono sempre stati espressi nella doppia valuta. In caso contrario richiedere che venga provveduto tempestivamente alla conversione documentale degli importi in Lire, al fine di valutare altresì l’opportunità di: - applicare quanto previsto per i c.d. calcoli intermedi per la conversione in Euro dei valori unitari presenti nei capitolati di appalto o di fornitura espressi in centinaia o decine di Lire; - provvedere alla ridenominazione dei valori in Lire in forma concordata con le controparti. Pagamenti e riscossioni Verificare se tutti gli avvisi di pagamento o di riscossione (e atti similari) Adempimenti del Comune come sostituto o soggetto passivo d’imposta Se è vero che tutte le dichiarazioni fiscali inerenti l’anno 2001 potranno essere redatte in Lire, è altrettanto vero che tutti i versamenti di carattere fiscale (a partire da quelli da effettuare entro il 15 gennaio) potranno essere fatti unicamente in Euro (dal momento che un Comune non può assolutamente effettuarli in contanti). Verificare quindi che gli uffici si stiano attrezzando a ciò. Tariffe e tributi locali Verificare se gli amministratori comunali si stanno ponendo il problema di quali dei relativi valori monetari lasciare alla conversione automatica e per quali invece provvedere alla loro rideterminazione e/o rideliberazione (tenendo presente la quasi contestualità delle scelte da operare, in questa materia, in sede di predisposizione del bilancio preventivo 2002). T I L O C A L I Atti di bilancio Tenendo presente il principio in base al quale “per la P.A. il passaggio all’Euro non è legato all’anno solare, ma all’esercizio finanziario”, accertarsi che ci si stia attrezzando per: - convertire in Euro i valori finali, in Lire, dell’esercizio 2001 che dovranno essere riportati nei documenti contabili del 2002 (residui, accertamenti e previsioni definitive degli esercizi precedenti, valori iniziali del conto economico e del conto del patrimonio, ecc.); - gestire, in Euro, la comparazione di dati afferenti l’esercizio 2002 con quelli degli esercizi pregressi; - provvedere al c.d. “ribaltamento” in Euro, delle previsione definitive, in Lire, dell’esercizio in corso, in caso di gestione provvisoria, anche per un breve periodo, del bilancio 2002. Modulistica Tenuto conto che i simboli Lit. e ¤ sono tutt’altro che equivalenti, accertarsi che, a partire dal 1° gennaio, tutta la modulistica in uso nell’Ente sia “euroconforme”. Strumenti informatici Se è vero che quasi tutti i Comuni hanno provveduto per tempo ad adeguare i programmi riguardanti la contabilità, i tributi, ecc., non sempre lo stesso è stato fatto per quei programmi gestionali che gestiscono solo marginalmente valori (ad es. il programma di gestione dell’anagrafe che gestisce spesso anche la contabilità dei relativi diritti, il programma di gestione delle concessioni edilizie che gestisce anche la contabilizzazione degli oneri di urbanizzazione, ecc.). Verificare altresì se i listini prezzi o gli altri atti d’informazione per gli utenti sono “euroconformi”. 45 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 IL GIORNALE DEL REVISORE I L R E V I S O ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA LEGITTIMITÀ DELLE RITENUTE SUGLI INTERESSI E SUI REDDITI DI CAPITALE DEGLI ENTI LOCALI ALLA LUCE DI DUE RECENTI PRONUNCIAMENTI DELLA CONSULTA di Francesco Vegni Sul problema della legittimità costituzionale dell’applicazione delle ritenute d’imposta sugli interessi e sui redditi di capitale percepiti da soggetti esclusi dall’Irpeg, tra cui gli Enti Locali, si sono espressi numerosi organi giurisdizionali con pronunciamenti diversi e spesso profondamente discordanti. Prima di entrare nel merito della questione, è opportuno ricordare che, per quanto concerne i soggetti esclusi dall’Irpeg, con effetto dal 1° gennaio 1991, l’art. 88 del Dpr. n. 917/86 (Tuir), è stato integrato dall’art. 4, comma 3-bis), del Dl. n. 310/90, convertito con modificazioni nella Legge n. 403/90. Per effetto di tale integrazione, nella nuova formulazione l’art. 88 ricomprende, tra gli enti non assoggettati all’Irpeg, anche “i Comuni, le Comunità montane, le Province e le Regioni”. Riguardo invece al problema delle ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale, l’art. 14 della Legge n. 28/1999, recante “Interpretazione autentica della disciplina concernente le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale”, ha chiarito che le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale “sono applicate a titolo d’imposta nei confronti dei soggetti esenti dall’Irpeg ed in ogni altro caso”. Alla luce di tale interpretazione sono stati sollevati diversi dubbi sia riguardo al fatto se risulti costituzionalmente legittimo comprendere in tale disposizione, oltre ai soggetti esenti dall’Ir- IL GIORNALE DEL REVISORE R E N E G L I E N peg, anche i soggetti esclusi da tale tributo, compresi quindi gli Enti Locali, sia in merito alla correttezza e l’appropriatezza della medesima interpretazione da un punto di vista prettamente tributario. Per quanto concerne la prima questione, solo pochi mesi fa (Ordinanza n. 174 del 31 maggio 2001) la Corte Costituzionale ha nuovamente affermato che la predetta interpretazione autentica non appare costituzionalmente illegittima, in quanto la tassazione di redditi prodotti da coloro che sono dichiarati non soggetti ad imposta non determina affatto la lesione del principio costituzionale di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, dal momento che il presupposto impositivo, da individuarsi nella percezione di redditi di capitale, quali sono gli interessi attivi di conto corrente, risulta pienamente realizzato. Sia l’esclusione che l’esenzione da imposta, ha infatti ribadito la Corte Costituzionale, non costituiscono affatto sinonimo di assenza di capacità contributiva: l’esenzione tributaria, risolvendosi in una agevolazione concessa a soggetti che in difetto di essa sarebbero sottoposti alla obbligazione tributaria, lungi dal poter negare una capacità contributiva, addirittura la presuppone, mentre l’esclusione tributaria, che consiste in una delimitazione negativa della sfera di applicazione del tributo, si fonda pur sempre su una valutazione discrezionale del legislatore, volta ad escludere l’attitudine di un dato soggetto al pagamento di un tributo, che non appare né irragionevole, né irrispettosa dei principi costituzionali sanciti in materia. Per quanto riguarda invece la correttezza e l’appropriatezza dell’interpretazione fornita dall’art. 14 della Legge n. 28/99 da un punto di vista prettamente tributario, la perplessità maggiore deriva dal fatto che il ragionamento fatto dalla Corte potrebbe apparire del 46 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 T I L O C A L I tutto lineare solo se la ritenuta in questione non fosse ex lege qualificata e considerata come una imposta sostitutiva. Secondo le nozioni basilari del diritto tributario, infatti, la ritenuta d’imposta non è un’imposizione fine a se stessa, ma una tassazione sostitutiva di quella ordinaria per finalità di carattere agevolativo e, dunque, riesce piuttosto difficile capire come la prima possa essere giuridicamente configurabile in difetto della seconda. I dubbi in merito alla legittimità costituzionale ed alla correttezza dal punto di vista tributario dell’interpretazione in oggetto, non sono stati completamente fugati neppure da una ancor più recente Sentenza della stessa Corte Costituzionale (la n. 208 del 6 giugno 2001, depositata in Cancelleria il 26 giugno scorso), con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità, in linea con l’Ordinanza n. 174, di alcuni giudizi di legittimità costituzionale inerenti il richiamato art. 14 della Legge n. 28/99, promossi con ricorsi delle Regioni Piemonte, Veneto e Lombardia. Nei tre ricorsi, poi riuniti dalla Corte giudicante, la questione di legittimità costituzionale era stata sollevata eccependo che l’impugnato articolo sarebbe andato contro: - ai principi di eguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva, di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal momento che l’art. 88, comma 1, del Tuir, esclude gli Enti territoriali dall’assoggettabilità all’Irpeg e quindi risulterebbe contraddittorio prevederne allo stesso tempo la loro sottoposizione a ritenuta d’imposta; - all’art. 76, dal momento che la denunciata disposizione legislativa dovrebbe essere interpretata alla luce della Legge n. 825/71, di delega per la riforma tributaria, la quale, nel prevedere la ritenuta (a titolo d’acconto o d’imposta) sui redditi di capitale corrisposti esclusivamente a I L R E V I S O soggetti Irpeg o a soggetti esenti, avrebbe dimostrato la chiara intenzione di non assoggettare al prelievo alla fonte i soggetti esclusi dal tributo; - all’art. 97, considerato l’impatto sfavorevole che la disciplina impugnata avrebbe sul piano dell’attività amministrativa e finanziaria; - all’art. 101, in quanto l’impugnato articolo sarebbe frutto di un uso distorto e arbitrario della legge interpretativa, col quale, attraverso la manipolazione artificiosa del sistema creato con l’art. 88 del Tuir, si sarebbe cercato di bloccare le numerose richieste di rimborso avanzate dagli Enti territoriali a seguito dell’esclusione degli stessi dall’applicazione dell’Irpeg, disposta a partire dal 1° gennaio 1991 (art. 4, comma 3, del Dl. n. 310/90, convertito nella Legge n. 403/90), incidendo allo stesso tempo sui giudizi in corso; - infine, al principio di autonomia finanziaria ed allo status costituzionale delle Regioni, di cui agli artt. 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione medesima, dal momento che risulterebbe contraddittorio sottoporre a ritenuta le disponibilità costitutive dell’autonomia finanziaria delle Regioni, dopo averle escluse, con il richiamato art. 88, comma 1, del Tuir, dall’area di assoggettabilità dell’Irpeg. Al riguardo, la Corte Costituzionale ha dichiarato tutte le questioni sopra enunciate inammissibili, dal punto di vista della legittimità costituzionale, in base alle seguenti considerazioni: - in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, la questione è stata giudicata tale in quanto le Regioni agiscono, in tale frangente, “come contribuenti” e sarebbe pertanto inammissibile che ogni questione nella quale le Regioni si configurano come debitori rilevasse sul piano costituzionale; R E N E G L I E N - riguardo all’art. 97, la questione, peraltro formulata in termini meramente assertivi, è risultata allo stesso modo inammissibile in quanto la disciplina impugnata non può essere considerata menomazione di attribuzioni regionali; - riguardo invece all’art. 76, la questione è stata giudicata inammissibile in quanto la disposizione impugnata è stata introdotta con Legge ordinaria e non già con Legge delegata; - in riferimento poi all’art. 101, il giudizio di inammissibilità è derivato dal fatto che un’ipotetica lesione del principio contenuto in detto articolo non può di per sé tradursi in una menomazione di competenze regionali; - riguardo infine agli artt. 114, 115, 117, 118 e 119, la questione è risultata parimenti inammissibile in quanto la Costituzione non definisce e garantisce alle Regioni un’autonomia finanziaria in termini quantitativi, ma solo il diritto a disporre di risorse finanziarie che risultino complessivamente adeguate ai compiti loro attribuiti, affinché non sia impedito loro il normale espletamento delle loro funzioni. Per quanto riguarda invece la correttezza dell’interpretazione fornita dall’art. 14 della Legge n. 28/99 dal punto di vista fiscale, particolare rilievo assume l’osservazione, richiamata dalla stessa Sentenza, formulata dall’Avvocatura Generale dello Stato in merito all’inquadramento tecnico delle ritenute d’imposta di cui in oggetto. A parere dei difensori dell’Erario tali ritenute risultano essere imposizioni reali distinte dalle imposizioni personali sul reddito, cosicché non vi può essere contraddizione tra non soggezione all’Irpeg e soggezione a ritenuta. Tale motivazione, seppur asserita all’interno di un pronunciamento di legittimità costituzionale – e non nel- 47 Anno XXV - Numero 4/5 - Luglio/Ottobre 2001 T I L O C A L I l’ambito di un contenzioso tributario – costituisce probabilmente, ad oggi, la giustificazione maggiormente plausibile, dal punto di vista fiscale, della validità del contenuto dell’art. 14 della Legge n. 28/99 e quindi, indirettamente, dell’art. 26, comma 4, del Dpr n. 600/73. Tuttavia, come già ribadito in precedenza, almeno sotto quest’ultimo aspetto la questione appare ancora tutt’altro che definitivamente chiarita. Come era stato evidenziato dalle Regioni ricorrenti, la Legge n. 28/99 appare introdotta nel nostro ordinamento al solo scopo di manipolare il sistema statuito dall’art. 88 del Tuir, in modo da legittimare, con Legge ordinaria di carattere interpretativo, il blocco delle richieste di rimborso da parte degli Enti Locali e territoriali, forzando, in modo quanto mai evidente, il significato della locuzione “in ogni altro caso”, contenuta nell’art. 26, comma 4, del Dpr. n. 600/73, anche ai soggetti esclusi dall’Irpeg. Tutto ciò al di fuori di quello che inizialmente costituiva il reale intento della Legge delega di riforma del sistema tributario (la citata Legge n. 825/71), ossia comprendere nell’applicazione della ritenuta i soli soggetti esenti e non anche quelli esclusi, dal momento che nel periodo di stesura della norma in questione non potevano prevedersi ipotesi successive di non soggettività passiva. In conclusione dunque, nonostante che i richiamati pronunciamenti della Consulta abbiano chiarito, anche se con motivazioni non proprio ineccepibili, la legittimità costituzionale dell’art. 14 della Legge n. 28/99, lo stesso non può dirsi, almeno per il momento ed in attesa di necessari approfondimenti futuri, riguardo alla coerenza di tale norma con l’insieme del nostro ordinamento tributario. IL GIORNALE DEL REVISORE ® Centro Studi Enti Locali s.r.l. Sede amministrativa, operativa e commerciale: Via della Costituente, 15 - loc. Ponte a Egola 56024 - San Miniato (PI) E-Mail: [email protected] - Tel. 0571/469222 - 0571/469230 - Fax 0571/469237 Sede legale: E. Fermi, 11 - 37135 Verona Il Centro Studi Enti Locali S.r.l. fornisce prodotti e servizi destinati specificatamente al vasto mondo degli operatori degli Enti Locali ed in particolare: • la “Circolare di aggiornamento e approfondimento professionale per gli operatori degli Enti Locali”, nata per consentire a chi opera nelle Amministrazioni locali di essere costantemente aggiornato su tutte le novità normative ed interpretative che possono riguardare il proprio lavoro, senza dover impiegare per questo un tempo eccessivo (per gli iscritti all’Istituto Nazionale Revisori Contabili il costo dell’abbonamento annuo alla Circolare è di lire 280.000 + Iva, in caso di invio e-mail e di lire 360.000 + Iva, in caso di invio per fax). • i “Seminari di approfondimento per gli operatori degli Enti Locali”, che si prefiggono di abbinare ad un esame capillare degli aspetti normativi ed interpretativi un’ampia sezione dedicata alla risoluzione delle problematiche operative che gli operatori incontrano quotidianamente nello svolgimento del loro lavoro; • i “Corsi di formazione” in-house per gli enti interessati al processo di progressiva crescita del proprio personale; • l’attività editoriale specializzata, con la pubblicazione di opere specialistiche, di impostazione marcatamente pratico-operativa. I volumi finora pubblicati sono: - “Guida pratica per l’applicazione dell’Irap negli Enti Locali e nelle pubbliche amministrazioni” - “L’Iva applicata agli Enti Locali” Coupon per ricevere in omaggio un numero della Circolare da inviare tramite servizio postale o via fax o e-mail al Centro Studi Enti Locali Via della Costituente, 15 - loc. Ponte a Egola - 56024 - San Miniato (PI) Fax 0571/469237 - E-Mail: [email protected] Centro Studi Enti Locali Ente/Studio _________________________________________ Via _______________________________________________ CAP_________ Loc. __________________________________ Prov. _____ Fax ________________ Tel. __________________ E-mail _____________________________________________ ‚ –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Via della Costituente 10 - loc. Ponte a Egola 56024 – San Miniato (Pi) E-Mail: [email protected] Tel. 0571/469222 – 0571/469230 - Fax 0571/469237 CIRCOLARE SETTIMANALE n. 25/2001 di aggiornamento e approfondimento professionale per gli operatori degli Enti Locali Mercoledì 20 giugno 2001 In questo numero: Flash sulle principali novità normative ed interpretative Pag. 2 Il notiziario: Proroga in vista per il Mod. 770/2001 “autonomo” ? Comunità montane e Unioni di comuni: in arrivo i trasferimenti Aran: una precisazione sulle procedure di raffreddamento dei conflitti Euro: un progetto per informare le popolazione dei Comuni minori Scuola dell’obbligo: entro il 7 luglio le richieste per gli arredi LL.PP.: Determinazione dell’Autority su forniture con posa in opera LL.PP.: un chiarimento in materia di barriere stradali di sicurezza Compatibile con la privacy la trasparenza sugli stipendi pubblici Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Gli approfondimenti: Il Testo Unico sugli espropri per pubblica utilità Pag. 8 I documenti: Le risposte dell’Aran in materiale di personale degli Enti Locali Pag. 12 La giurisprudenza: Via libera alla professione di avv. per i dip. pubblici a part-time Segretario di C.M. può essere Sindaco di un Comune che la compone Pag. 17 Pag. 17 I quesiti: Il credito d’imposta sugli utili su ex aziende municipalizzate Pag. 19 Lo scadenzario Pag. 21 La Circolare si compone di n. 22 pagine 3 3 3 4 4 5 6 7 (firma) ___________________________ “Progetto formativo enti locali” MASTER BASE PER REVISORI ENTI LOCALI Napoli - Bari - Pescara Dicembre 2001 - aprile 2002 Il Centro Studi Enti Locali, in collaborazione con la Grant Thornthon Enti Pubblici Srl, ha in programma di organizzare una seconda edizione del Master base per i Revisori degli Enti Locali destinata ai professionisti che risiedono nelle Regioni meridionali. Anche al fine di verificare il reale interesse verso una simile iniziativa finalizzata a mettere in condizione i Revisori di svolgere, con ancora maggiore competenza ed efficacia, il proprio lavoro, i professionisti interessati a parteciparvi sono invitati a comunicarci la loro disponibilità al seguente indirizzo: Tel. 0571/469222 – Fax 0571/469237 - E-mail [email protected] Quanti effettueranno la pre-iscrizione entro il 15 novembre potranno usufruire di uno sconto aggiuntivo sul costo del Master.