Documento - Noi di Santa Monica
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EZECHIELE E DANIELE Il profeta Ezechiele Ezechiele nacque verso la fine del regno di Giuda, forse attorno al 620 A.C. Apparteneva a una famiglia sacerdotale, ma ricevette da Dio la vocazione di profeta. Fu deportato in Babilonia nel 597 A.C. assieme al re Ioiachin e si stabilì nel villaggio di TelAviv sul fiume Chebar. Cinque anni più tardi ricevette la chiamata formale alla missione di profeta per rincuorare i Giudei in esilio e quelli rimasti a Gerusalemme, anche se non potè mai più visitare la città. Non sappiamo a che età morì, ma solo che era vivo 22 anni più tardi (29,17). Dapprima il messaggio di Ezechiele fu respinto, ma quando giunse la notizia che Gerusalemme era caduta, il popolo cominciò ad ascoltarlo: le profezie di Ezechiele si erano avverate (33,21). Quindi si dedicò a predicare la futura restaurazione, come prima aveva predetto l'imminente castigo di Dio sulla nazione. Ezechiele era una personalità straordinaria almeno per tre aspetti. Primo, era dotato di una fervida fantasia, evidente nella descrizione che fa di esseri celesti e dell'era che verrà. Secondo, possedeva doni soprannaturali che gli consentivano di vedere in dettaglio gli eventi che si verificavano a Gerusalemme, distante quasi 2.000 Km. Terzo, era un uomo di grande coraggio e determinazione. Non si scoraggiò al vedere che il suo messaggio non veniva recepito, ma continuò a predicare la verità. Quando alla fine i fatti gli diedero ragione, non ne provò soddisfazione, ma continuò a svolgere la missione affidatagli da Dio. Come profeta della nazione, Ezechiele scelse un compito particolare: vedeva se stesso come pastore, guardiano e difensore di Dio. Nella veste di pastore il suo compito era quello di vegliare sul popolo, guidandolo dall'interno. Vedeva se stesso come simbolo del Grande Pastore che doveva venire, il Messia, Gesù Cristo. Come guardiano doveva avvertire il popolo dell'imminente giudizio di Dio. Come la sentinella scruta nella notte per avvertire dell'avvicinarsi del nemico, così Ezechiele scrutava nel buio dei tempi e lanciava l'allarme dell'incombente castigo di Dio. In qualità di difensore di Dio, egli sosteneva che la nazione era caduta non perchè Dio fosse debole, ma a causa dei peccati del popolo. Al centro del messaggio di Ezechiele c'è la trascendenza di Dio. La visione introduttiva del profeta, con la sua ricchezza di strane immagini e figure, sottolinea questo concetto. Dio è talmente al di sopra delle sue creature che le parole non bastano a descriverlo adeguatamente. Perciò sono necessarie strane figure retoriche per far capire che Dio è superiore a tutto il creato. Ezechiele ha dato fondo ai suoi poteri descrittivi per spiegare chi è Dio. E' interessante notare che al termine della sua magnifica visione nel capitolo introduttivo, si prostrò con la faccia a terra davanti al Signore in adorazione. Ezechiele sottolinea inoltre lo Spirito di Dio. Gli altri profeti, per far risaltare la presenza e l'attività di Dio, usano l'espressione "la parola del Signore". Ezechiele dice che è lo Spirito di Dio che lo guida. E lo Spirito guida Ezechiele perchè egli trasmetta al popolo un messaggio che lo porterà a Dio. Il loro problema, infatti, era quello di aver perso i contatti con Dio, di non conoscere più Dio. Non è che non ne avessero sentito parlare, ma non lo conoscevano più personalmente. Conoscere Dio in questo senso significa riconoscere la sovranità di Dio sulla storia e su noi stessi: Dio deve essere riconosciuto come nostro Dio. Ezechiele porta anche un messaggio di giudizio. Poichè Giuda ha peccato contro Dio, il castigo di Dio non può essere differito. Giuda aveva disobbedito alle leggi di Dio, profanato il Tempio, trascurato il Sabato, accettato l'impurità e la contaminazione, stretto alleanze con popoli stranieri. Per questo doveva essere punito. Infine Ezechiele porta un messaggio di speranza. La nazione si sarebbe risollevata dalle ceneri della sua distruzione come un morto risuscita dalla tomba. Questa speranza è vividamente raffigurata nella visione delle ossa aride (c.37). E' in arrivo una nuova era, nella quale Dio regnerà sovrano. Lo schema del libro di Ezechiele è il seguente: 1) Profezie di distruzione per Giuda e Gerusalemme 1,1-24,27 2) Messaggi alle nazioni straniere 25,1-32,32 3) Rinascita della vita e l'era ideale 33,1-39,29 4) Il nuovo Tempio e la nuova era 40,1-48,35 Di particolare interesse sono i seguenti passi: il racconto di vocazione (2,1-21), profezie in azione (4,1-5,6; 12,1-20); l'allegoria del Buon Pastore (34,11-31): Dio si preoccupa del suo popolo come un pastore del suo gregge; l'allegoria delle ossa aride (37,1-14), risurrezione simbolica di Israele. Ezechiele è stato il più grande profeta dello Spirito nell'Antico Testamento. Lo Spirito lo "solleva" e lo "trasporta", come faceva per Elia, senonchè in Ezechiele questo antico linguaggio carismatico si riferisce a una esperienza spirituale molto meglio precisata, cioè alla visione (cf. 8,3; 11,11; 40,1-2)... dove questo vedere "al di là delle cose", al di là del presente, questo sguardo sull'invisibile è attribuito a un'operazione dello Spirito. La visione teologicamente più complessa ed elaborata, più affascinante e misteriosa, è senza dubbio quella inaugurale, cioè la visione del carro del Signore. Vediamo di che si tratta. Ezechiele vede anzitutto quattro "esseri viventi". Di essi il cherubino è un'astrazione, una fantasia, un ideale che assomma il massimo delle energie vitali: l'intelligenza dell'uomo, la rapidità dell'aquila, il coraggio del leone, la forza del toro. I quattro esseri viventi che vede Ezechiele sono, più o meno, dello stesso tipo: hanno mani d'uomo, ali di aquila e zoccoli di vitello. Quanto alla faccia, ne hanno quattro: una di uomo, una di leone, una di toro e una di aquila, di modo che ogni faccia è rivolta verso una diversa direzione. Questo conferisce loro una straordinaria mobilità, perche' possono andare dovunque li porti lo Spirito, senza bisogno di voltarsi (cf. Ez 1,12). Anche il resto del carro è animato e dotato di estrema rapidità. Fuori di metafora il messaggio è che Dio, viaggiando su questo carro, è Onnipresente in ogni istante (1,20-21; cf. 10,17). Quello che Ezechiele descrive in realtà non è altro che un movimento spirituale. Il profeta non ci sta parlando di esseri mostruosi o fantasmagorici: ci descrive il "carro", che rappresenta il trono mobile di Dio, e quindi ci introduce nel mistero di Dio. Ezechiele ci sta parlando della vita divina e del principio che la anima, e questo è lo Spirito che dà la vita, il "soffio vivificante". Il dono di un cuore nuovo è un'operazione dello Spirito di Dio (36,26ss): il dono dello Spirito che purifica come l'acqua, che rimette i peccati, che istruisce l'uomo nei comandi di Dio, che lo fa vivere secondo la sua volontà. Geremia aveva già detto, più o meno, queste stesse cose, profetizzando il dono di una nuova alleanza. Ma Geremia non aveva ancora esplicitato quale fosse il principio teologico di questo rinnovamento: lo Spirito vivificante. E' quello che invece ha fatto Ezechiele non solo nella visione inaugurale del suo ministero, della sua vocazione (Ez 1), ma ancora di più nella più famosa delle sue visioni: quella delle ossa aride, o della risurrezione. Qui, di nuovo, riconosciamo quello Spirito datore di vita che Ezechiele ha contemplato fin dall'inizio. Ezechiele è dunque il profeta che ha posto il vero fondamento di una teologia spirituale, o di una vita secondo lo Spirito. Il libro di Daniele Il nome Daniele significa "Dio è il mio giudice". Era di discendenza regale, forse apparteneva a una famiglia nobile di Gerusalemme. Fu deportato in Babilonia da Nabucodonosor durante il regno di Ioakim, perciò prima della caduta di Gerusalemme nel 587 A.C. Essendo stato riconosciuto come un giovane promettente, fu educato alla corte babilonese assieme agli altri giovani cortigiani. Il suo corso di studi comprendeva lingue e scienze, probabilmente in preparazione alla carica di funzionario del regno. Durante il periodo di preparazione gli fu concesso di seguire una dieta vegetariana e bere acqua anzichè servirsi della mensa reale con cibi ricchi e vino. L'impegno dimostrato da Daniele lo rese ben presto migliore dei suoi condiscepoli babilonesi. Nel secondo anno del suo regno Nabucodonosor ebbe un sogno che solo Daniele fu in grado di interpretare. Grazie a ciò fu nominato capo degli scienziati babilonesi (maghi). Dopo la morte di Nabucodonosor (562 A.C.) sembra che Daniele abbia perso il suo posto a causa del cambiamento di governo. Durante il regno di Baldassar, tuttavia, troviamo di nuovo Daniele nella carica di Terzo Governatore, in seguito all'interpretazione di alcune scritte misteriose apparse sulla parete durante un banchetto. Daniele rimase poi in carica anche durante i successivi regni di Dario e di Ciro di Persia. Era evidentemente una persona intelligente e retta, stimata anche dai regnanti pagani. Era protetto da Dio in modo miracoloso, e perciò fu in grado di scrivere un libro come questo. Dei suoi ultimi anni e della sua morte non sappiamo nulla. Se si considera il suo contenuto, il libro di Daniele si divide in due parti. I capitoli 1-6 sono racconti: Daniele e i suoi tre compagni al servizio di Nabucodonosor (c.1); il sogno di Nabucodonosor: la statua (c.2); l'adorazione della statua d'oro e i tre compagni di Daniele nella fornace (c.3); la follia di Nabucodonosor (c.4); il banchetto di Baldassar (c.5); Daniele nella fossa dei leoni (c.6). In tutti questi casi, Daniele o i suoi compagni escono trionfanti da una prova dalla quale dipende la loro vita, o almeno la loro reputazione, e i pagani glorificano Dio che li ha salvati. Le scene avvengono in Babilonia sotto i regni di Nabucodonosor, di suo figlio Baldassar e del successore di questi, Dario il Medo. I cc. 7-12 sono visioni, di cui Daniele è il beneficiario: le quattro bestie (c.7); il capro e il montone (c.8); le quaranta settimane (c.9); la grande visione del tempo della collera e del tempo della fine (cc.10-12). Esse sono datate dai regni di Baldassar, di Dario il Medo e di Ciro re di Persia. Il libro è destinato a sostenere la fede e la speranza dei giudei perseguitati da Antioco Epifane. Daniele e i suoi compagni vengono sottoposti alle stesse prove, ma ne escono vincitori e gli antichi persecutori devono riconoscere la potenza del vero Dio. Lo schema del libro è il seguente: 1) Vita in Babilonia 1,1-21 2) Prime visioni in Babilonia 2,1-6,29 3) Visioni di Daniele relative agli imperi del mondo 7,1-8,27 4) Visioni di Daniele relative alla storia e alla salvezza 9,1-12,13 Il libro di Daniele consiste principalmente in una serie di sogni profetici e di visioni. Vi si trova anche materiale storico, ma solo come sfondo. Daniele interpretò il primo sogno di Nabucodonosor (2,1-49) nel senso della caduta di quattro grandi regni. Il secondo sogno di Nabucodonosor (4,1-37) mette in evidenza la vanità e l'orgoglio di questo re. Il sogno di Daniele (7,1-28) richiama il primo sogno di Nabucodonosor, con la differenza che i quattro regni del mondo sono rappresentati da bestie fantastiche anzichè dai diversi metalli che componevano la gigantesca statua. In questo sogno compare per la prima volta una figura chiamata "figlio dell'uomo" (7,13). Nel Nuovo Testamento Gesù usa questa espressione riferendola a se stesso. Daniele ebbe un'altra visione (9,24-27), forse la più importante di tutto il libro, che parla di un tempo in cui l'opera di Dio sarà completata. Molti vedono questa profezia avverata in Cristo, colui che ha espiato per le nostre iniquità e porterà giustizia eterna. Daniele ebbe altre visioni (8,1-27; 11,2-20; 11,21-12,3), anch'esse profetiche, che riguardano gli avvenimenti della storia del mondo. Il messaggio di Daniele è la lotta tra Dio e il male nell'opposizione degli imperi al popolo eletto. Tutta una lunga successione di fronteggiamenti, che la storia aveva simbolizzato o descritto dalle origini di Adamo fino alle invasioni di Assiria e Babilonia. Risuonano ancora le parole dei profeti: le nazioni pagane, anche quando Dio le utilizza per castigare il suo popolo, sono destinate alla rovina mentre Israele viene salvato (cf. Am 1-2; Is 14,24-27; Sof 1-2; Ger 12,14; Ez 25-32; Gl 4,1-17). La risurrezione dei morti (Dn 12,2) era stata confusamente evocata nell'apocalisse di Isaia (26,19) e di Ezechiele (34,11-14). La parola "apocalisse" significa rivelazione (cf. Apocalisse di San Giovanni, l'ultimo libro della Bibbia). Anche i simboli così familiari a Daniele, grande albero abbattuto, leoni, leopardi, capri, arieti hanno riferimento a testi più antichi dei profeti. E il roccione da cui si stacca la pietra che butta giù la statua (Dn 2,44-45) non sarebbe altro che quello di Isaia 17,10 e del Deuteronomio 32,4-15, cioè Dio stesso. Tutti questi contributi del passato sono stati raccolti, sfruttati, valorizzati da parte dell'autore di Daniele. La sintesi che ne risulta è l'opera di uno scrittore fortemente originale. E tale è la ricchezza concentrata in questo blocco di storia profetica, in cui la situazione presente si aggancia a tanti fatti anteriori, che non si esita a intravvedere l'avvenire. La lotta tra il bene e il male continuerà di secolo in secolo fra la città di Dio in costruzione e la città del diavolo destinata alla distruzione. L'Apocalisse di San Giovanni, rifacendosi a Daniele, ci presenta una visione delle prove che la chiesa primitiva ha sopportato. Ma non si può dubitare del trionfo finale di Dio su tutte le potenze del male. Importanti in Daniele anche alcuni riferimenti messianici: 7,13-14 (cf. Mt 8,20). Il Messia di Dio, Gesù, fa parte essenziale del piano di salvezza per l'umanità: Daniele ebbe un presentimento di questo mistero di redenzione.