LE CHIMERE
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LE CHIMERE
Antalya tra chimere, tartarughe e paradisi di schiuma Reportage Il fragile equilibrio tra natura e uomo, là dove prepotente arriva il turismo Markus Zohner* Avevo i miei dubbi, prima di partire. «Antalya» mi dicevo, «è una città turistica. Settevirgolatre milioni di turisti all’anno, soprattutto russi e tedeschi. Non ci sarà un buon hammam (ndr: bagno turco)». Ero, però, già stato in Turchia, e le visite ai Bagni, a Trabzon, sul Mar Nero, o ad Adana, nella zona meridionale del Tauro, erano state un elemento irrinunciabile dei miei viaggi. Così, nonostante le mie supposizioni, inizio a chiedere informazioni. Alla fine, nella piccola pensione in cui alloggio il piccolo ricezionista mi rivela la strada. Non mi è difficile trovare l’edificio bianco con la grande insegna che invita gli ospiti, in russo e in tedesco, a entrare nei «più antichi Bagni di Antalya», ovvero nel «Paradiso della schiuma». Mi accoglie un bagnino gentile, con i baffi arricciati all’insù, e presto mi ritrovo circondato da un gruppo di uomini che cercano di vendermi i più svariati «pacchetti bagno». Mi sembra di essere davanti a un autolavaggio, indeciso verso quale programma mandare il mio veicolo. «Scelga il programma completo: massaggio con schiuma, rilassamento, tè, e massaggio finale con olio. Ci sono delle bellissime massaggiatrici dalle mani delicate». «?». Solitamente nei bagni turchi la separazione dei sessi è rigorosa. L’accesso per uomini e donne è strettamente distinto secondo i giorni: nessuna donna entra nell’hammam in un giorno riservato agli uomini, e men che meno viceversa. Mi decido quindi per il pacchetto base «massaggio con schiuma senza donne» da 25 euro, anche se Tahir, che ha lavorato per trent’anni in una nota casa automobilistica di Monaco e parla un bavarese colorito, mi raccomanda ancora le delicate mani oliate delle ragazze. La mezz’ora concordata del massaggio con schiuma si consuma in soli quindici minuti, e la definizione stessa di «massaggio» assume connotazioni enfatiche rispetto a quanto realmente viene offerto. Tutt’altra cosa rispetto a Trabzon o Adana, dove tentarono persino di spezzare alcune delle ossa del mio corpo che fino a quel momento mi erano persino del tutto sconosciute. Bekir, il nano tarchiato dagli occhi furbi capo massaggiatore dell’hammam, il cui nome significa «Colui che si alza presto», fa tanta scena con una federa bagnata; la immerge più volte nella saponata, la riempie di aria come una manica a vento e poi la sgonfia, producendo una montagna di schiuma con cui poi ricopre il mio corpo disteso sul marmo caldo. Un po’ di impastature qui, un po’ di pizzicamenti lì, altri due abracadabra con la federa che si gonfia e si sgonfia producendo masse di schiuma, e per il rimanente quarto d’ora dei miei 30 minuti mi dovrei riposare sotto la montagna bianca. La spiaggia di Çıralı. (Markus Zohner) Segue la pausa tè, durante la quale Tahir mi racconta dei suoi anni felici a Monaco e mi fa domande su mille temi interessanti, si informa sul mio stato civile e chiede se viaggio da solo, e come in una squallida versione delle Mille e una Notte entrano adesso Leyla, Eda e Fatima, si siedono sui divani e si mettono a fare cruciverba e a laccarsi le unghie. Sembrano straordinariamente affascinate dallo svizzero straordinariamente affascinante che indossa soltanto un asciugamano avvolto attorno ai fianchi e si rilassa sorseggiando un tè. «Guarda quanto sono belle!», esclama Tahir entusiasta. «E le loro agili dita sono esperte…» Fulmino Tahir con lo sguardo. Poso la mia tazza sul tavolino, passo davanti alle signorine ammutolite e vado nello spogliatoio a rivestirmi. Un attimo dopo mi ritrovo fuori, nella via soleggiata, con un gusto amaro in bocca, un misto di delusione, vergogna e rabbia, di fronte al più antico Bagno di Antalya, che il turismo ha trasformato in un bordello. Prendo il bus per Çıralı. Il velocissimo e moderno tram, con i suoi distributori di biglietti futuristici, mi ha portato alla stazione degli autobus silenziosamente e con la velocità di un soffio di vento. Il bus di linea viaggia per un’ora verso sud, lungo la costa, mantenendosi sempre alla sua destra. Il simpatico autista mi scarica a una fermata invisibile e mi dice di salire sul Minivan in attesa che mi porta poi, lungo una strada di ghiaia, giù fino al mare. Non è solo il mondo che cambia, quando si cambia luogo. La stessa anima si trasforma. Con l’arrivo a Çıralı, divento un altro. Lascio quello che ero, un uomo annodato, che inciampava confuso nelle strade di Antalya, che sostava stremato in caffè chiassosi, che la sera mangiava in piedi nei vicoli, nervosamente, polpette d’agnello piccanti con cipolle crude, e divento uno che esiste, al centro del mondo. Uno che ha con sé soltanto il suo zaino, che si installa in un piccolo bungalow sulla spiaggia, che si getta sul letto e guarda il soffitto per un tempo infinito – finché si smaterializza – e che infine spacchetta i suoi libri e li porta tutti con sé in spiaggia. Un dio che finalmente è arrivato in paradiso e beve una limonata fresca sotto un ombrellone; un sognatore che, leggendo L’interpretazione dei sogni di Freud con gli occhi socchiusi, si dissolve tra il mare, il sole e il cielo. E che poi solleva lo sguardo verso le sempre ammiccanti, attraenti e urlanti chimere (ndr.: fiamme eterne e naturali generanti dalla roccia) che, adesso, siccome il mondo si è fermato, si staccano dall’immenso blu piagnucolando lamentose, planano in grandi cerchi, e infine atterrano in silenzio sulla spiaggia e sulle rocce tutt’attorno, quietate. Çıralı dev’essere la spiaggia più bella di tutta la Turchia. Mentre nel resto del Paese, grandi investitori hanno riempito di enormi complessi alberghieri persino le baie più pittoresche, Çıralı resiste ancora alla speculazione edilizia. Il suo mare cristallino e la suggestiva striscia di sabbia lunga chilometri, orlata da vecchie pinete dietro cui si ergono montagne scoscese, devono la loro salvezza a una creatura rara: ottanta esemplari della tartaruga marina gigante Caretta caretta giungono qui, ogni anno, per deporre fino a centoventi uova in buche profonde scavate nella sabbia. Dopo cinquanta giorni, i giovani animali escono dalle uova e strisciano di nuovo fino al mare, per ritornare nello stesso posto a deporre le uova venticinque anni più tardi. Grazie alle tartarughe, la baia di Çıralı è zona protetta. Negli anni Ottanta alcune famiglie cominciarono ad aprire qua e là, nel paesaggio di dune, piccole pensioni costruite secondo criteri ecologici, e così pian piano crebbe un piccolo villaggio con possibilità di alloggio, botteghe, caffè e ristoranti. Tutto al limite della legalità, non veramente autorizzato, ma finora tollerato. Un progetto di turismo alternativo degli abitanti di Çıralı, in collaborazione con il World Wildlife Fund (WWF) che sostiene l’agricoltura biologica, non permette la costruzione di grandi edifici, proibisce i rumori molesti, vieta le discoteche e la musica ad alto volume, e limita all’indispensabile le emissioni di luce notturna. A partire da giugno, quando le tartarughe strisciano sulla spiaggia per deporre le uova, un gruppo di volontari si occupa della loro protezione e di quella delle covate. Quando circa due mesi dopo i minuscoli animaletti sgusciano fuori dalle uova e iniziano il loro faticoso percorso verso il mare, che è la loro salvezza, turisti e autoctoni si riuniscono sulla spiaggia per contemplare lo spettacolo fragile di queste minuscole creature, comprendendo attraverso di esse quanto indifeso sia l’ambiente in realtà, e come la minima disattenzione possa distruggere il magico decorso della natura, come il ciclo di vita di questi esseri provenienti da un’altra epoca. Questo è il loro periodo, e tutta Çıralı attende con impazienza l’arrivo della Caretta caretta. Le fiamme si agitano sulla montagna. Ovunque, mostruose creature con la testa di leone, una testa di capra sulla schiena e la coda di serpente. Chimere. Esseri ibridi omerici. Creazioni della fantasia, che appaiono e scompaiono così come sono arrivate. Idee, speranze, paure, ricerche confuse, stati febbrili, spettri della mente, allucinazioni. Le fiamme del mostro, che qui a Khimaira, soltanto a un’ora e mezza di cammino da Çıralı, scaturiscono dalle rocce e avvampano in alto sopra alla baia marina. Già ai tempi di Omero guidavano i navigatori e mettevano le ali alla fantasia dell’uomo e del poeta. Fu Bellerofonte, nipote di Sisifo, che riuscì col suo cavallo alato Pegaso a uccidere lo spaventoso essere sputafuoco. Colpì dall’alto, brandendo una lancia dalla punta di piombo. Con il calore delle fiamme che usciva dalle narici della bestia, il piombo si fuse e colò direttamente nella sua gola facendola soffocare. Così oggi restano solo le sue fiamme, che da allora, alte sopra al Mar Mediterraneo, ardono incessantemente sulle rocce, sopra le quali adesso i turisti tedeschi arrostiscono i loro bratwurst e i turisti russi grigliano i loro marshmallows rosa. Mi siedo sul roccione e guardo giù dalla montagna verso il mare aperto su cui già Serse e Omero navigarono, guidati dai fuochi perpetui. Gli stessi che mi scaldano adesso – mentre cala la sera e si smorza l’afa di questo giorno di inizio estate – e che mi fanno scivolare in fantasticherie infinite. È certamente vero, mi dico, che non esiste un inizio e non esiste una fine. Che finché l’uomo pensa, il fuoco non si estingue. E che lo stesso fuoco che indicò la via a Ulisse, e che adesso mi dona chiarezza, fiammeggerà sulla nuda roccia per i nostri figli e per i nostri nipoti. E sarà sempre nostro compito cercarlo. E trovarlo. Mi risveglio quando in alto sopra alla terra, da miliardi di anni, una miriade di stelle invia la sua fredda luce. I turisti hanno lasciato Khimaira da un pezzo. Da qualche parte, una coppia si stringe in un sacco a pelo vicino a una fiamma guizzante. Mi alzo rabbrividito e resto a lungo in piedi a scrutare, oltre le luci fiammeggianti, il mare nero come la pece e il cielo luccicante infinito. Poi lentamente scendo dal roccione, come un nottambulo, e attraverso una selva di fuochi ardenti. Quando due ore più tardi arrivo a Çıralı, tutto dorme. Le luci sono spente. Solo il cielo trapuntato di stelle dà un’idea di luce e di eternità. Ignoro la piccola biforcazione che porta al mio bungalow, inciampo, indugio, poi lentamente scendo alla spiaggia. Mi siedo su una grande roccia e guardo il mare scuro, con le sue sottili increspature bianche e il suo respiro infinito. All’improvviso, qualcosa cambia nel suono leggero e ritmico dello sciabordìo delle onde. Una piccola rottura, un ritardo, un’interruzione quasi impercettibile dello svanire delle creste. Per un bel po’ i miei occhi non riescono a vedere, finché lentamente, adagio adagio, spinti da una forza di origini remote, si delineano gli enormi, scuri e lucenti corpi delle tartarughe, che emergendo dalle oscurità preistoriche del pianeta strisciano silenziosamente verso la terra. * Traduzione di Rachele Facchinetti Le chimere, ovvero i fuochi perpetui. (Markus Zohner) Una barca diretta al porto di Antalya. (Markus Zohner)