2004_11175_Cass. - Occupazione raccolta rifiuti

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2004_11175_Cass. - Occupazione raccolta rifiuti
Corte di Cassazione
Sezione V
SENTENZA CIVILE
Servizio di documentazione tributaria
Sentenza del 11/06/2004 n. 11175 - parte 2
Intitolazione:
TRIBUTI LOCALI
(COMUNALI,
PROVINCIALI,
REGIONALI)
TASSA
DI
OCCUPAZIONE SPAZI ED
AREE PUBBLICHE
- Area del demanio comunale Occupazione
eseguita da
societa'
appaltatrice
del
servizio di
raccolta e smaltimento dei rifiuti - Esenzione
prevista dall'art.49
lettera
a) del
D.Lgs. n.
507/1993 - Esclusione - Fondamento Esenzione
prevista dall'art.
49 lettera e) del D.Lgs. n. 507/1993 Applicabilita' - Condizioni.
Massima:
La societa'
appaltatrice di un comune per il servizio di raccolta e
smaltimento dei
rifiuti
non ha diritto all'esenzione dalla tassa per
l'occupazione di spazi ed aree pubbliche prevista dall'art. 49 lettera a)
del D.Lgs. n. 507 del 1993. Da un canto, infatti, trattandosi non di appalto
d'opera, in cui l'occupazione del suolo pubblico e' temporanea e indotta
dalle esigenze tecnico - operative connesse all'esecuzione dei lavori, ma
dello svolgimento di un servizio pubblico per conto del comune, in cui il
suolo demaniale
non costituisce l'oggetto dell'intervento appaltato, ma
viene occupato in via continuativa con strutture e macchinari, non puo'
sostenersi che l'occupazione sia direttamente riconducibile all'ente locale;
d'altro canto,
poiche', almeno sotto la vigenza dell'ordinamento delle
autonomie locali di cui alla legge n. 142/1990, l'attivita' di raccolta e
smaltimento dei rifiuti e' svolta nell'ambito di un rapporto di concessione
di servizio pubblico formalizzato in un contratto di appalto, l'occupazione
effettuata dalla
societa'
appaltatrice
con
gli "impianti adibiti al
servizio" in questione - il cui concetto e' integrato dal complesso di
attrezzature e
macchine
necessarie
all'impresa
concessionaria per lo
svolgimento dell'attivita' - rientra nella ipotesi esonerativa particolare
contemplata alla lettera e) dell'art. 49, che tuttavia subordina l'esenzione
dalla tassa al caso in cui sia prevista la devoluzione gratuita di detti
impianti al comune al termine del rapporto concessorio.
*Massima tratta dal CED della Cassazione.
Testo:
Fatto
Con contratto di appalto il comune di Cogoleto affido' alla R.V. s.r.l.
il servizio di raccolta differenziata dei rifiuti e relativo trasporto per
la durata di un anno - dal 4 ottobre 1995 - prorogata con successivi
provvedimenti. Nel
1998 la S.C. s.r.l., concessionaria dei servizi di
accertamento e di riscossione del plateatico per conto di quel comune,
notifico' alla impresa appaltatrice avvisi di accertamento della tassa per
l'occupazione di
suolo
pubblico
relativamente
agli
anni
1995-1997,
maggiorata di interessi e sanzioni, per un complessivo importo di lire
9.820.000. La R.V. s.r.l. impugno' detti avvisi, contestando la debenza del
chiesto tributo in quanto l'occupazione di suolo pubblico era la necessaria
conseguenza dell'esecuzione di lavori commissionati in appalto dalla stessa
Amministrazione comunale.
L'adita Commissione provinciale di Genova accolse il ricorso ma, su
appello della
soccombente, la decisione fu ribaltata dalla Commissione
tributaria regionale della Liguria. Secondo la decisione di merito oggetto
della presente impugnazione gli avvisi erano stati redatti in modo chiaro e
analitico, mettendo
la
contribuente
in
condizione
di
adeguatamente
contrastare la
pretesa
fiscale.
Il
tributo
era
stato
richiesto
legittimamente, da un lato, perche' ai sensi dell'art. 38, comma 1, del
D.Lgs. n. 507/1993, vi sono soggette le occupazioni di qualsiasi natura
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effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e,
comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei
comuni e delle province; dall'altro, in quanto, a tenore del successivo art.
49, lettera e), l'esenzione viene consentita per le occupazioni con impianti
adibiti ai servizi pubblici nei casi in cui ne sia prevista, all'atto della
concessione o successivamente, la devoluzione gratuita al comune o alla
provincia al termine della concessione medesima, laddove siffatta clausola
non era stata inserita nel contratto intercorso tra la R.V. s.r.l. e il
comune di Cogoleto. Manifestamente infondata era, infine, l'eccezione di
incostituzionalita' sollevata
dalla
ricorrente
in quanto una cosa e'
l'esenzione di cui gode l'ente pubblico nell'espletamento diretto di un
servizio svolto senza scopo di lucro, altra cosa e' l'attivita' del privato
che e' svolta a fini di lucro.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione la R.V. s.r.l. sulla
base di tre motivi.
Resiste la S.C. s.r.l. con controricorso.
Diritto
In via pregiudiziale va esaminata l'eccezione di inammissibilita' del
ricorso in quanto proposto oltre il termine di cui all'art. 325 del codice
di procedura civile.
L'eccezione e' infondata.
Dall'esame degli atti, direttamente visionabili da questa Corte Suprema
ai fini della delibazione della questione considerata, e' dato evincere che
la sentenza
della Commissione tributaria regionale della Liguria, resa
pubblica in data 26 ottobre 1999, e' stata notificata il successivo 25
novembre a cura della S.C. s.r.l. presso la sede legale della R.V. s.r.l. a
mani dell'impiegato addetto alla ricezione degli atti e che nel pregresso
stadio di merito la R.V. s.r.l. era elettivamente domiciliata presso il
proprio difensore. Ne segue che la notifica e' nulla e inidonea a far
decorrere il termine "breve" per proporre ricorso per cassazione. Ne', in
contrario, puo' invocarsi la disposizione di cui all'art. 17 del D.Lgs.
n.546/1992 che, facendo sempre salva la consegna dell'atto notificando a
mani proprie, sancisce la tendenziale prevalenza, su ogni altra, di siffatta
forma di notifica. Per vero, l'atto e' stato notificato presso la sede
legale della societa' e non in mani proprie del suo legale rappresentante.
La notificazione
della
sentenza
in
un
luogo diverso da quello
prescritto, ma non privo di un astratto collegamento con il destinatario
(sede legale della societa', anziche' domicilio eletto, ai sensi dell'art.
17 del D.Lgs. 546 del 1992), determina la nullita' della notifica e impone
alla parte
che
ha
interesse
a far decorrere il termine breve per
l'impugnazione la
sua
rinnovazione
presso
il
domicilio
eletto del
destinatario, in assenza della quale la tempestivita' o meno del gravame si
misura col parametro temporale di cui all'art. 327, comma 1, la sentenza
della Commissione tributaria regionale, notificato alla S.C. s.r.l. in data
26 agosto 2000, vale a dire entro il termine previsto dall'art. 327, comma
1, del codice di procedura civile, e', quindi, tempestivo e ammissibile.
Puo' pertanto passarsi allo scrutinio dei motivi del ricorso.
Con il primo, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli artt.
38 e 49 D.Lgs. n. 507/1993 nonche' contraddittoria motivazione su punto
decisivo della
controversia,
la R.V. s.r.l. addebita alla Commissione
tributaria regionale di non avere considerato che, come recepito dalla
sentenza di primo grado, nella fattispecie ricorreva l'ipotesi di esenzione
del tributo prevista dalla lettera a) dell'art. 49 del citato decreto
legislativo in quanto l'apprensione temporanea del suolo pubblico con i
contenitori per
la raccolta dei rifiuti si era resa indispensabile e
necessaria proprio per l'esecuzione del servizio svolto su incarico del
comune, cui e' attribuito dalla legge (art. 58, medesimo decreto) in regime
di privativa. In tale situazione l'appaltatore del servizio agisce quale
alter ego del comune, vale a dire fa un uso diretto del bene demaniale. La
Commissione ha
ritenuto insussistente l'esenzione dalla tassa basandosi
esclusivamente sull'art. 49, lett. e), ma tale valutazione - sottolinea la
ricorrente - e' errata e lacunosa dacche' la norma regola la diversa
fattispecie della concessione ed ha diversi presupposti, fra i quali, in
particolare, la devoluzione al comune che riguarda solo impianti fissi o
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condutture.
La censura non e' fondata.
Nel caso in esame, e' pacifico in fatto che si tratta dell'occupazione
di strade e piazze comunali con un certo numero di cassonetti per la
raccolta differenziata
di rifiuti. E' altresi' incontroverso che nella
convenzione stipulata tra le parti, e qualificata come appalto, non e'
prevista la devoluzione gratuita dei materiali utilizzati dall'appaltatore
al comune al termine del servizio.
Orbene, il
D.Lgs.
n.
507/1993
assoggetta
alla
tassa qualsiasi
occupazione di suolo pubblico, da chiunque effettuata, con un sistema di
esenzioni che deve ritenersi tassativo in base al tenore della norma di cui
all'art. 38. Le occupazioni di qualsiasi natura effettuate, anche senza
titolo, sui beni del demanio e del patrimonio indisponibile del comune
scontano la tassa.
L'art. 49 del citato decreto legislativo prevede le esenzioni, ponendosi
come norma eccezionale rispetto alla regola generale della sottoposizione a
tassazione. Riflettendo per l'appunto disposizioni eccezionali, la norma in
parola deve
essere
interpretata
in maniera particolarmente attenta e
rigorosa.
La lettera
a)
dell'articolo
in
questione esenta dalla Tosap le
occupazioni effettuate "dallo Stato, dalle regioni, province, comuni e loro
consorzi, da enti religiosi per l'esercizio di culti ammessi nello Stato, da
enti pubblici di cui all'art. 87, comma 1, lett. c), del testo unico delle
imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, per
finalita' specifiche di assistenza, previdenza, sanita', educazione, cultura
e ricerca scientifica".
Tale disposizione deve essere interpretata nel senso che l'esenzione
dalla Tosap opera: a) per le occupazioni effettuate dallo Stato - e, piu'
precisamente dagli organi e dalle amministrazioni dello Stato, anche ad
ordinamento autonomo
senza limitazione alcuna, qualunque ne sia la
specifica finalita'; b) per le occupazioni effettuate da regioni, province,
comuni e loro consorzi, limitatamente a quelle necessarie, o, comunque,
oggettivamente connesse allo svolgimento di attivita' comprese nella sfera
delle loro rispettive attribuzioni e competenze, quali definite dalla legge,
costituzionale o ordinaria, o da fonti subordinate conformi; c) per le
occupazioni effettuate da enti religiosi, limitatamente a quelle necessarie
o, comunque, oggettivamente connesse all'esercizio di culti ammessi nello
Stato (cfr.
artt. 8 e 19 della Costituzione); d) per le occupazioni
effettuate da
enti
pubblici,
diversi
dalle
societa', residenti nel
territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale
l'esercizio di attivita' commerciali (art. 87, comma 1, lett. c) del D.P.R.
n. 917
del
1986),
limitatamente
a
quelle
necessarie o, comunque,
oggettivamente connesse allo svolgimento di attivita' specificamente volte a
scopi di assistenza, previdenza, sanita', educazione, cultura e ricerca
scientifica.
A siffatto risultato conducono diverse, ma concorrenti, ragioni. In
primo luogo,
il
tenore
letterale
della
disposizione
che scandisce
inequivocabilmente le distinte ipotesi di esenzione dalla tassa nonche' le
condizioni soggettive
e
oggettive cui sono rispettivamente subordinate
("esercizio di culti ammessi nello Stato" per gli enti religiosi; "finalita'
specifiche di' assistenza..." etc. per gli enti pubblici non commerciali).
In secondo luogo, i limiti di esenzione, dianzi individuati, relativamente
alle occupazioni effettuate da regioni, province, comuni e loro consorzi
(riferibili ad ipotesi marginali, se non meramente teoriche) corrispondono
ai limiti
materiali
e territoriali insiti nelle attribuzioni e nelle
competenze di tali enti. In terzo luogo, i limiti di oggetto all'esenzione
dalla Tosap per le occupazioni effettuate dai predetti enti pubblici non
commerciali esprimono una scelta discrezionale del legislatore delegato non
irragionevole, tenuto conto sia della natura degli enti stessi sia della
valorizzazione degli specifici scopi perseguiti con l'occupazione. In quarto
luogo, appare
sufficientemente
chiaro
il
limite
di oggetto per le
occupazioni effettuate da enti religiosi, teso, com'e', a favorire, anche
sul piano tributario, la liberta' di esercitare il culto della propria fede
religiosa, costituzionalmente
garantita
(artt.
19
e
20).
Infine,
relativamente alle occupazioni effettuate dallo Stato e dagli altri pubblici
territoriali (regioni,
province,
comuni
e loro consorzi), la pretesa
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limitazione dell'esenzione a quelle realizzate "per finalita' specifiche di
assistenza, previdenza, sanita', educazione, cultura e ricerca scientifica"
- "letteralmente" riferibili, invece, soltanto a quelle operate dai predetti
enti pubblici non commerciali - e', comunque, impedita dal decisivo rilievo
secondo cui
la
prospettata interpretazione precluderebbe, senza alcuna
plausibile giustificazione, l'esenzione medesima in ipotesi di occupazione
parimenti volte alla realizzazione di indefettibili fini istituzionali loro
propri (si pensi, ad esempio, all'occupazione del demanio comunale da parte
dello Stato per fini di ordine pubblico o da parte del Comune per fini di
igiene o viabilita').
Una volta chiarito, attraverso l'interpretazione complessiva dell'art.
49, lett. a), del D.Lgs. n. 507/1993, che le ipotesi di esenzione dalla
Tosap ivi previste - nel bilanciamento tra l'interesse al prelievo fiscale
per la
sottrazione
di un bene pubblico al godimento della comunita'
(comunale o
provinciale),
e
quello
alla
realizzazione
degli scopi
istituzionali dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali, ovvero
di fini' sociali ritenuti meritevoli di particolare tutela - danno la
prevalenza al secondo; e che, in particolare, le occupazioni effettuate
(direttamente) dallo Stato e dagli altri enti pubblici territoriali sono
totalmente esenti dalla tassa, residua il problema, dibattuto nella presente
sede, dell'eventuale
esenzione
riguardo
all'occupazione
effettuata
dall'impresa appaltatrice del servizio pubblico di raccolta e smaltimento
rifiuti.
La risposta, in proposito, non puo' che essere negativa.
In relazione alla disciplina antecedente l'entrata in vigore del D.Lgs.
n. 507/1993 - e cioe' agli artt. 192 e segg. del testo unico per la finanza
locale (R.D. 14 settembre 1931, n. 1175), cosi' come novellati dalla legge
18 aprile
1962
n.
208 - questa Corte (vedi sentt. nn. 12432/1993,
11665/1995) nego' l'applicabilita' del tributo per difetto di presupposto in
caso di occupazione di suolo pubblico, da parte di un'impresa appaltatrice
di lavori
per
conto
del
comune, limitata al tempo ed allo spazio
strettamente necessari per il compimento dei lavori medesimi, poiche' in
tale ipotesi
l'occupazione
del suolo pubblico costituisce soltanto la
conseguenza degli obblighi contrattuali, rispettivamente, dell'appaltatore
di eseguire
l'appalto e della Amministrazione comunale di consegnargli
l'intera area occorrente per l'esecuzione dell'opera appaltata.
Ed infatti, presupposto per l'applicazione della tassa per l'occupazione
di spazi ed aree pubbliche e' che la sottrazione dello spazio dell'area
all'uso pubblico
possa
farsi risalire alla richiesta o comunque alla
volonta' implicita o esplicita del contribuente. Nell'ipotesi di lavori
eseguiti in
attuazione di un contratto d'appalto con l'amministrazione
comunale, deve escludersi la richiesta del contribuente e, di conseguenza,
l'applicazione del tributo.
La soluzione e' condivisibile e praticabile anche alla luce dell'art.
49, lett. a), della nuova disciplina normativa introdotta dal D.Lgs. n.
507/1993 ove si rifletta che in caso di appalto di opera pubblica la
sottrazione all'uso
pubblico
si
compie
proprio per la realizzazione
dell'opera commissionata dal Comune, titolare di quegli spazi pubblici che
deve mettere a disposizione della controparte per il tempo strettamente
necessario alla realizzazione dei lavori appaltati. Non si tratterebbe di
una interpretazione estensiva o analogica della disposizione agevolativa
che, per essere eccezionale, si sottrae a un tale procedimento euristico, ma
del venir meno dello stesso presupposto impositivo, poiche' l'appaltatore e'
costretto ad
occupare
l'area
pubblica
proprio
per
dare esecuzione
all'obbligazione contrattuale
assunta
nei
confronti
della committente
amministrazione, la quale avrebbe dovuto mettere a disposizione il suolo per
i lavori conferiti in appalto.
Del resto, con specifico riferimento alla nuova disciplina di cui al
decreto legislativo sopra richiamato, questa Corte (vedi sent. n. 7197/2000)
si e' spinta ad equiparare all'utilizzazione diretta del suolo pubblico ad
opera dello Stato, una fattispecie in cui l'appaltatore doveva eseguire
lavori di restauro di un edificio pubblico. Ha affermato che in una tale
ipotesi l'opera doveva considerarsi pur sempre "effettuata dallo Stato" e la
consegna dei lavori presupponeva l'occupazione previamente effettuata da
detto ente.
La presente fattispecie e' certamente diversa da quelle analizzate dai
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richiamati precedenti giurisprudenziali: non si tratta di un rapporto di
appalto di opera in cui l'occupazione del suolo pubblico e' temporanea e
indotta dalle esigenze tecnico-operative connesse all'esecuzione dei lavori;
e' invece in discussione l'esecuzione di un servizio pubblico per conto del
comune, nelle forme dell'appalto, in cui il suolo demaniale non costituisce
l'oggetto dell'intervento appaltato, ma viene occupato in via continuativa
con strutture e impianti. Non puo', quindi, sostenersi in un tale contesto
che si e' di fronte a un'occupazione effettuata direttamente dal Comune.
In conclusione, le occupazioni realizzate dalle societa' appaltatrici di
un pubblico servizio, come quello della raccolta dei rifiuti solidi, sono
soggette alla tassa in discussione, non rientrando nell'ipotesi esonerativa
di cui all'art. 49, lett. a), del D.Lgs. n. 507/1993 riferibile alle
occupazioni direttamente effettuate dai soggetti espressamente individuati
dalla medesima norma.
Ne e' speculare e tranciante riprova la previsione particolare, alla
lettera e) dell'art. 49, quale ulteriore ipotesi esonerativa, dei rapporti
di concessione di pubblici servizi. La situazione revocata in controversia
risulta, infatti, riducibile nel paradigma del "rapporto di concessione (di
servizio pubblico)
formalizzato
in
un contratto di appalto", che e'
situazione ben diversa da quella conseguente all'appalto di opera o di
servizio tout court (vedi Cass., SS.UU., nn. 5244/1994 e 1239/2000).
Di vero, le attivita' inerenti allo smaltimento dei rifiuti urbani definite di
pubblico
interesse dall'allora vigente art. 1, D.P.R. 10
settembre 1982, n. 915, alle cui disposizioni erano sottoposte - competono
obbligatoriamente ai comuni, che le esercitano con diritto di privativa
(artt. 3 del D.P.R. n. 915/1982 e 58 del D.Lgs. n. 507/1993) nelle forme di
cui all'art. 8, D.P.R. n. 915/1982 ossia direttamente o mediante aziende
municipalizzate ovvero mediante concessioni a enti o imprese specializzate
(che, ai sensi dell'art. 6, lett. d), del D.P.R. n. 915/1982, dovevano
essere autorizzate dalla Regione).
La necessita' della concessione nei casi in cui il servizio pubblico non
sia reso direttamente o a mezzo di azienda municipalizzata si desume anche
dall'art. 26, R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578 (Testo Unico delle leggi
sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle
province), che
contempla
il
"contratto
di concessione" per affidare
all'industria privata qualcuno dei servizi indicati nell'art. 1 (tra cui
quello della nettezza pubblica).
L'art. 22 della L. 8 giugno 1990, n. 142 (ordinamento delle autonomie
locali), applicabile ratione temporis, nello stabilire le forme in cui i
comuni e le province possono gestire i servizi pubblici, contempla - oltre
alla gestione dei servizi in economia, a mezzo di azienda speciale, a mezzo
di istituzione e a mezzo di societa' per azioni a prevalente capitale
pubblico locale
la
concessione a terzi, quando sussistano ragioni
tecniche, economiche e di opportunita' sociale. Sicche', ove il servizio di
smaltimento non sia reso direttamente o a mezzo di azienda municipalizzata o
consortile e
sia
attribuito
a soggetti privati, esso e' oggetto di
concessione. Il contratto attuativo, benche' venga nella prassi qualificato
come appalto, accede a una concessione amministrativa e ne costituisce parte
integrante. Nel settore di raccolta e trasporto dei rifiuti, appunto come
concessione va considerato il rapporto de quo, non gia' come appalto (di
servizio).
Eppero' nella specie, non risulta applicabile neanche l'esenzione a
sensi dell'art. 49, lett. e) del piu' volte citato D.Lgs. n. 507/1993 che fa
riferimento alle concessioni di pubblici servizi.
La norma prevede l'esenzione per le occupazioni con impianti adibiti a
servizi pubblici. E' a dubitarsi che un cassonetto per il vetro sia un
impianto, implicando il concetto una fissazione al suolo di una serie di
attrezzature tra loro connesse. D'altro canto, come anche dedotto dalla
ricorrente, potrebbe rivelarsi inesigibile la previsione della devoluzione
al comune dei cassonetti al termine del servizio, trattandosi di beni
amovibili e
soggetti a considerevole degrado. Comunque, anche a voler
affermare, con interpretazione sostanzialmente corretta, che il concetto di'
impianto presente nella norma e' integrato da tutto quel complesso di
attrezzature e
macchine
necessarie
all'impresa
concessionaria per lo
svolgimento dell'attivita',
manca
nella
specie
il
requisito
della
devoluzione gratuita dell'impianto al comune di Cogoleto nei tempi e con le
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modalita' previsti dalla disposizione agevolativa.
Col secondo motivo del ricorso, la R.V. s.r.l. prospetta questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 38 e 49 del D.Lgs. n. 507/1993, per
contrasto con gli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, ove interpretati
in senso a se' sfavorevole. Secondo la ricorrente e' evidente la "distonia
ed irrazionalita' di tale previsione rispetto alla ratio della imposizione
del tributo";
se,
infatti,
"il presupposto dell'imposizione e' l'uso
eccezionale del bene demaniale nel proprio esclusivo interesse da parte
dell'occupante ... non parrebbe dubbio che la mancata previsione della
esenzione in una fattispecie in cui l'occupazione non e' in alcun modo
riconducibile ad un uso eccezionale nel proprio interesse del bene, ma si
risolve in sostanza in una occupazione ai fini e nei limiti resi obbligatori
dal servizio pubblico.... apparirebbe evidentemente distonica rispetto alla
ratio di applicazione del tributo".
La questione
di
illegittimita'
costituzionale
e'
manifestamente
inammissibile in quanto la ricorrente non illustra i termini e i motivi che
dovrebbero indurre
a
dubitare
della
costituzionalita'
delle
norme
denunciate. In particolare, non vengono spiegate le ragioni specifiche in
base alle quali verrebbero concretamente a realizzarsi i lamentati vulnera
ai parametri costituzionali indicati. Essa e' anche manifestamente infondata
con riferimento
all'art.
53
Cost., l'unico precetto la cui asserita
violazione risulta in qualche modo argomentata in seno al motivo in esame.
Invero, la
ricorrente
muove
dal
presupposto
che sia irragionevole,
discriminatorio e
"distonico",
rispetto
al
concetto
di
capacita'
contributiva, sottoporre alla Tosap l'occupazione di aree pubbliche per il
servizio differenziato
di
raccolta
rifiuti, qualificato come servizio
pubblico obbligatorio, e contrappone a tale concetto l'utilizzo "eccezionale
nel proprio interesse", che nella specie non ricorrerebbe. L'affermazione e'
da disattendere per due ragioni. Anzitutto, l'eccezionalita' dell'utilizzo
non costituisce affatto presupposto per l'imposizione. D'altra parte, non
appare seriamente sostenibile che la societa' appaltatrice del servizio
rifiuti agisca esclusivamente per l'interesse pubblico, vale a dire non
abbia un interesse economico concreto alla stipulazione e all'esecuzione del
contratto di appalto.
Con il terzo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 51 del D.Lgs. n. 507/1993, 3 e 7 della L. n.
241/1990, nonche' difetto di motivazione. La legge n. 241/1990 - rileva - ha
introdotto nell'ordinamento
principi
fondamentali
di
trasparenza
e
partecipazione nel procedimento amministrativo. Gli avvisi di accertamento
appaiono privi di garanzie procedimentali e di idonea motivazione.
Il motivo e', all'evidenza, inammissibile.
In esso la societa' ricorrente reitera l'eccezione di nullita' degli
avvisi di accertamento in quanto "privi di idonea motivazione, tanto piu'
necessaria ove si consideri che la societa' ricorrente ha provveduto a
posizionare gli impianti in questione nella qualita' di concessionario del
comune e nello svolgimento di un servizio di pertinenza comunale". Tale
censura, preceduta da una esposizione dei principi informatori della L. n.
241/1990, si appalesa lacunosa e sostanzialmente sprovvista di specifiche (e
valide) argomentazioni, risolvendosi nella apodittica affermazione che gli
avvisi di
accertamento sono "privi di idonea motivazione". Non viene,
infatti, minimamente spiegato perche' sarebbe errato quanto, sul punto,
affermato dalla
Commissione
tributaria
regionale,
essere,
cioe',
i
contestati avvisi "redatti in modo assai chiaro ed analitico, mettendo cosi'
in grado la contribuente di porre in atto ogni azione in opposizione".
Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.
Nella natura delle questioni trattate puo' ravvisarsi la presenza di
giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente
giudizio di legittimita'.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese.
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