Destinazione o destino

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Destinazione o destino
DESTINAZIONE O DESTINO?
Catanzaro 25.07.1991 ore 12.30
Era dalle 9.00 che provavo a comporre ossessivamente quel numero. Sempre occupato.
Sicuramente in centosettanta stavamo telefonando contemporaneamente all’ufficio personale
del Ministero dell’Interno al Viminale di Roma. Una telefonata importante che avrebbe
cambiato la vita di ognuno di noi. L’ufficio doveva comunicarci la destinazione definitiva, la
nostra futura sede lavorativa presso uno dei comandi dei Vigili del Fuoco.
I comandi provinciali sono sparsi su tutto il territorio nazionale, uno per ogni provincia, e
pertanto la nostra destinazione avrebbe potuto essere ovunque in Italia. Vivevo una certa
apprensione, quasi una sensazione di angoscia nell’attesa di sapere se fossi stato accontentato
nelle mie richieste. Quanto diversa sarebbe stata la mia vita se mi avessero mandato a Oristano
oppure ad Aosta se non a Palermo! Ero in balia degli eventi. In centosettanta avevamo finito da
dieci giorni il corso di formazione e gli esami finali. Eravamo pronti per essere tutti inviati nei
vari capoluoghi, in tutte le sedi.
Finalmente, all’ennesimo tentativo il segnale di linea libera.
<Buon giorno, sono l’ingegner Sia, Antonio Sia… trentanovesimo corso ispettori per
ingegneri… telefono per…>
All’altro capo del filo l’impiegato mi aveva bruscamente interrotto. <Un attimo di
pazienza, controllo il tabulato delle destinazioni… resti in attesa per favore.>.
<Certamente, non mi muovo>.
In quella trepidante attesa mi passarono davanti agli occhi tutti i sei mesi trascorsi con i
neo colleghi. Sei mesi trascorsi in diverse aule tra i banchi e sul campo nelle varie sedi di
formazione per i Vigili del Fuoco. Sei mesi in cui si sono condivise le difficoltà e la durezza
del corso, vissuti a stretto contatto e durante i quali ho conosciuto tutti, frequentato tanti e
diventato amico fraterno di alcuni.
Un’esperienza nata così, quasi per gioco.
<Dai Antò, andiamo a provare ‘sto concorso nei pompieri, male che va ci siamo fatti una
bella gita a Roma>. Enzo, mio collega d’università, mio amico e che più avanti sarebbe
diventato anche mio cognato, mi aveva così convito a partecipare a quel concorso. Fino allora
non sapevo nulla dei Vigili del Fuoco, che in quel corpo lavorassero anche gli ingegneri, di
cosa si occupassero, che prospettive di carriera avessero. Per me era tutto un mondo da
scoprire.
A fine corso eravamo stati sottoposti a un duro esame e ora aspettavamo di sapere dove ci
avrebbero destinato. A ognuno di noi era stato chiesto di compilare un elenco di sedi ove
avremmo avuto piacere di andare a lavorare, sempre se ci fosse stata disponibilità di posto.
Non so se qualcuno di noi sia stato accontentato. Ho sempre avuto il sospetto che quegli
elenchi non siano mai stati presi minimamente in considerazione.
Io, in ogni caso avevo scelto città importanti collegate direttamente sull’asse ferroviario
nord-sud con la mia Calabria. Roma in primis, Firenze, Bologna, Venezia e, in ultimo, anche
Milano. Volevo poter tornare a casa con un treno diretto, magari notturno e senza attese per le
coincidenze, qualora ne avessi sentita la nostalgia. Non sapevo ancora che la mia casa sarebbe
stata altrove.
Finalmente l’impiegato riprende la conversazione distogliendomi dai miei pensieri.
<Allora… ingegnere Sia Antonio, Catanzaro 26.10.1962?>
<Sì, > annuisco.
<Il primo agosto a Trieste!>
Restai senza parole con la cornetta all’orecchio. La conversazione era stata interrotta e il
tipico segnale telefonico mi aveva quasi ipnotizzato. Non lo ascoltavo quasi più assorto nei
pensieri che mi giravano in testa.“Trieste, è in Friuli Venezia Giulia, sì, questo lo so, ma dove
cavolo si trova esattamente? Dove cazzo mi hanno sbattuto!”
Di Trieste sapevo solo che si trovava in Friuli Venezia Giulia in un posto per me
imprecisato del nord est e che a Trieste c’è il castello di Miramare e soffia la famigerata bora.
Mi sfuggiva l’esatta dislocazione sulla cartina geografica. “Il posto più sperduto e lontano
dove potessero mandare un calabrese. La città più lontana d’Italia.”
Dovevo comunque venire a vedere e tastare di persona che aria tirasse da queste parti. Il 31
di luglio mi misi in viaggio con la mia auto. Avevo avvertito il Comando che sarei arrivato in
serata. La mia telefonata era attesa perché preceduta da un telefax ministeriale con cui avevano
comunicato il mio imminente arrivo. Fui colpito, già al telefono, dell’estrema cordialità con
cui mi accolsero. Mi avevano comunicato che avevano già provveduto a prepararmi una
cameretta nel distaccamento portuale e che avrei potuto alloggiare lì senza alcun problema
fintantoché non avessi trovato una sistemazione più confacente.
Dopo un viaggio interminabile durato undici ore e un’ultima sosta ristoratrice all’autogrill
di Duino, imboccai la strada costiera che corre alta rispetto al mare in leggero declivio verso la
città, costeggiata dalle rocce del carso a monte e il panorama sul golfo di Trieste a valle.
Non potei fare a meno di fermarmi nuovamente, nonostante la sosta appena effettuata, in
una delle piazzole che si trovano lungo il percorso per ammirare la bellezza della costa a picco
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sul mare. Il panorama è di quelli mozzafiato. La città, in tutto il suo splendore che s’intuisce
subito, è visibile dall’alto.
Si riconoscono le rive, una striscia di terra che separa gli splendidi palazzi monumentali dal
mare, i moli che si allungano come dita che aggrappano la terra all’acqua, il porto, la punta
sottile, ultimo sperone di terra italica a est prima del confine.
Spaziando con lo sguardo, da un lato oltre i confini nazionali, si ammira la penisola
Istriana fino alla Croazia e dall’altro verso le famose spiagge d’oro di Lignano e quelle di
Grado cui fanno da sfondo le maestose cime delle Alpi Giulie.
Dal posto dove mi ero fermato, un ripido sentiero, a tratti scalinato, porta a livello del mare
per raggiungere alcune deliziose spiaggette. L’attenzione viene catturata dal morbido disegno
della costa che su Trieste traccia un golfo su cui l'orizzonte del mare si distende con la sua
linea pulita attirando lo sguardo verso l'infinito.
Più avanti, percorrendo la strada, sulla destra il bivio per il famoso castello di Miramare,
poi il lungomare, subito dopo la pineta di Barcola che si sporge fin sul mare, poi l’entrata sulle
rive dopo aver ammirato l’entrata monumentale del vecchio porto in auge sin dai tempi di
Maria Teresa d’Austria, poi ancora la piazza dell’Unità d’Italia che si tuffa in acqua.
Estasiato, non ammiravo il paesaggio selezionandone i particolari in base a parametri
precostruiti, ma al contatto con questo, avvertivo il prorompere di intense emozioni.
Mi sentivo frastornato e allo stesso tempo eccitato nella consapevolezza di essere capitato
in un posto magico.
La stanza che mi avevano preparato era quella d’angolo al primo piano del distaccamento
portuale sito in testa al molo terzo. Fui rapito dalla bellezza della città che mi offriva il suo lato
migliore, il suo salotto buono, ammirato da una prospettiva che neanche i triestini stessi
potevano godere. Mi sembrava di essere a bordo di una nave. La foresteria affacciava con due
ampie vetrate sul mare dal lato in cui facevano bella mostra di sé i palazzi storici sulle rive, il
teatro Verdi, il palazzo del Lloyd, oggi sede della giunta regionale, il palazzo del Governo e la
splendida e unica piazza dell’Unità d’Italia...
Lo sciabordio delle onde sul molo, la luce soffusa del tramonto, i riflessi dorati sulla
superficie del mare, tutto contribuiva a regalare all’ambiente un’atmosfera magica.
Chi è sensibile al fascino della bellezza, non può non provare un’attrazione irresistibile che
irretisce inesorabilmente. La stessa attrazione che mi ha indotto a scegliere questa città, anche
se la più lontana d’Italia, come la mia città.
E sono ancora qui.
Fine
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