TESTI Prosa Azeb Lucà Trombetta Fu una mattina di

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TESTI Prosa Azeb Lucà Trombetta Fu una mattina di
TESTI
Prosa
Azeb Lucà Trombetta
Fu una mattina di tanti anni fa, quasi una vita da quel giorno.
La luce penetrava dalla porta.
Uno sportello che come una palpebra si chiudeva per fare spazio al buio.
Un aereo che dalla vita mi portava al dubbio.
Un nemico di nascita che diventava la mia rinascita.
Strappata dalle braccia della mia terra, che quel giorno piangeva con me, lasciavo per sempre le mie speranze
di ritrovare chi avevo perso.
Non ricordo mi abbiano chiesto cosa desiderassi; non ricordo nessun accenno ai miei sogni e ai più intimi
dolori, nessuna preoccupazione per la mia rabbia né per la mia voglia di Essere.
Ero un piccolo pacco di ossa lanciato nel cielo per poi atterrare in una giungla di macchine e aria pesante.
I bei vestiti non ricoprirono mai la nudità.
Le carezze non rimarginarono mai le ferite.
Il crescere faceva a pugni con lo specchio: chi sono? A chi somiglio?
L’orizzonte teneva in gabbia la mia vista.
Cercavo i ricordi che però affondavano lì, in quella linea maledetta dove il nulla trovava rifugio.
Chiamami “mamma”, chiamami “papà”.
Ancora non capivo chi fossero e chi fossi per loro.
I sensi di colpa li affogavo nelle pagine bianche dei quaderni.
Il nascondermi dietro un muro allontanava chi, con sforzi inumani, cercava di guardarmi.
Solo amandomi ho capito il loro amore, solo amandosi possono capire il mio
A voi che pensate di adottare un bambino, a voi che avete il cuore pieno di amore da dare, a voi che un figlio
desiderate tanto: vi chiedo di adottare prima di tutto voi stessi; vi chiedo di amare l’ignoto, di appassionarvi al
gioco della fuga, di non pretendere mai di capire, ma di diventare amici della vostra incapacità di comprendere.
Solo così salverete l’anima a cui avete aperto le porte. Solo così potrete convivere con le sue paure e la
sua rabbia. Solo così potrete coccolare la violenza dei suoi pensieri, medicare i suoi ricordi perennemente
sanguinanti. Confondervi, qualche volta, con la luna che ogni notte è l’unica ad essere chiamata mamma.
Elisabetta Grimoldi
Pepè cerca Pepè
Elisa Cappelli
Non ho niente contro le rumene che ci rubano il lavoro
Lei sul tavolo ha apparecchiato un maxi tovagliolo di carta.
Sotto tiene le ginocchia unite, che si toccano.
Ha qualcosa che riesce a far sembrare elegante il bicchierino di carta dentro cui c’è il caffè fumante.
C’è una specie di eco diffuso, è Let’s dance di David Bowie, ma non si riconosce facilmente, è un suono
ovattato, potrebbe benissimo sembrare una canzone di Elvis.
Lei, col piedino, discreta, batte il tempo contro il pavimento.
Non di certo quello della canzone, è un altro tempo, vai a capire quale.
Forse, visto che è stata sbattuta tutta la notte da 6 uomini diversi,
forse batte il controtempo dell’amore. Batte euro e sudore.
Qualcuno, non molto tempo fa, mi raccontava di una tipa che si era fatta sbattere per 4 ore.
Senza battere ciglio, anzi, dicono che intanto si limasse le unghie.
Ora, sembran proprio quelle cose che si dicono per dire, no? Però, pensiamoci un attimo.
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4 ore filate. Vuol dire che finisci come dopo i tappetini molleggiati dei luna park.
C’è da capire quanti ti sono venuti dentro e quante volte.
Magari 4 ore, un solo uomo (cui vanno i nostri omaggi).
C’è solo da capire se alterni fori o ci vai dritta di un buon star sotto per sano tempo continuativo.
Lei si pulisce gli angoli della bocca con dovizia. Sono le due, gli altri attorno pranzano, lei smollica il cornetto.
Forse ripieno, forse no. Lo zuccherino glassato sul dorso del cornetto, esteticissimo.
Quando si accorge che la guardi, si mette a fissare gli oggetti. O a smollicare il cornetto.
Forse ripieno, forse no.
Penne Erotiche
“E allora?”
“Niente” disse Chéri “ora so quello che volevo sapere.”
Ella arrossì umiliata, e si difese abilmente:
“Che cosa sai? Che la tua bocca mi piace? Povero piccolo. Ne ho baciate di più brutte…Cosa ti prova tutto
ciò?
Credi forse che io debba cadere ai tuoi piedi, implorando: Prendimi! Ma tu allora hai conosciuto solo delle
giovanette?
Pensare che debba perdere la testa per un bacio…”
Parlando si era calmata e voleva mostrargli il suo sanguefreddo. “Di’, piccolo” insisté piegandosi sopra di lui
“credi dunque che sia qualche cosa di raro nei miei ricordi, una bella bocca?”
Gli sorrideva guardandolo dall’alto, sicura di se stessa, ma non sapeva che qualcosa era rimasto sul suo
volto, come una specie di leggero turbamento, di attraente dolore e che il suo sorriso assomigliava a quello
che ricompare sulle labbra dopo una crisi di pianto.
“Io sono tranquillissima” continuò “quando anche dovessi nuovamente baciarti…quando anche noi…”
Da Chéri
(Edizione Arnoldo Mondadori, 1949, traduzione dal francese di Lina Leva)
Dessertatrici come noi
In forma di braccia sembrerebbe avere un prolungamento molto utile, quello del cuore.
La sera prima ha riversato grande stress sui figli e la sera dopo ha mangiato biscotti, 8 tutti assieme, per
fermentare amore.
La sera dopo ancora ha provato a farsi bella per lui allo specchio. Il rossetto era vecchio.
Qualche sorrisino inattivo, qualche ciocca rimandata indietro.
Qualche strap di pelo.
Ma non c’è riuscita, nulla da fare.
Poi la mostra, la foto, la mostra, il muratore che la fischia e il nervoso si fa sentire di meno.
Come ci vuole l’ironia (10 minuti al giorno, dosi a salire quando arriva l’inverno),
l’atarassia (esercizi in serie, specie di fronte ad atti di prepotenza).
Appunti per il futuro:
PREPARARE UNA TORTA DI MELE AL PRINCIPE AZZURRO.
Spargerci sopra non alchermes ma gocce di mestruo,
non zucchero velato ma perle di sudore,
non gocce di cioccolato fondente, ma pallettine metafisiche delle volte in cui avresti voluto, ma qualcosa ti ha
bloccata.
I gradi di cottura saranno la somma degli orari in cui l’aereo arrivava e lui non c’era.
Il tempo di cottura lo daranno le durate degli abbracci repressi. A segnalarlo, gli allarmi di sveglie volutamente
ignorate.
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Andrà disposta su un centrino ricamato da mani che hanno pianto sul viso.
Il piatto sottostante sarà rigido come certe porte in faccia.
Come strumenti di lavoro sulla torta,
avrai un vibratore e aogni vrr vrrr riporrai sull’impasto il tuo stupore.
Sarai un aperfetta massaia coreografata dalla Bausch,
colorata da Gaudì,
vestita da Coco.
Un bel pezzo di donna ai fornelli, altroché.
La torta sarà avvelenata q.b. per sciogliere il mito dell’amorefeliciecontenti.
Mai misurare gli ingredienti con la bilancia, ma a colpo d’occhio, come a colpo d’occhio ti hanno catturato
spalle mani e occhi dell’uomo che passava per strada.
Assolutamente vietato sbattere le uova senza mandare un pensiero a quando il lui che hai amato ti stava
dentro, e tu gli hai chiesto di spingerlo tutto, senza sapere che stava arrivando l’orgasmo o giù di lì.
Spremere bene il limone sulle ferite, specie quelle dello spirito.
Azioni da fare con il pensiero, intanto, mentre la torta cresce nel forno:
RIDIMENSIONARE L’AMORE.
L’AMORE E’ UN BACIO DATO PIANO, UN ESERCIZIO DI ANIME CHE COZZANO,
UNO SPAGHETTO CONDITO D’ASSURDO,
DOVREBBE ESSERE COME QUANDO ANNUSI IL LIBRO E TI PIACE.
NON E’ ALTRO.
Non frasi sottese, non e-mail lette perché “era lì e proprio non avrei potuto fare altrimenti”, non psicorobe
represse.
La torta, torniamo alla torta.
La crema, per non farla impazzire, mentre la girate, mandate a memoria qualche battuta da “Donne sull’orlo
di una crisi di nervi” o canticchiate La vie en rose.
Se non si arriva allo scaffale degli altri ingredienti, prego, creare una pila di frasi fatte e sovrapporla a quella
degli inutili “bene, grazie” dopo i facili “come stai?”.
La torta c’è da dividerla in 4 grandi spicchi, nel nome delle frazioni che vi riuscivano più o meno bene:
1 fetta per l’ultima storia vissuta
1 fetta per tutti i panni stesi dopo la lavatrice
1 fetta per l’altalenante autostima
1 fetta per le risate e il caffé al mattino
Da servire calda.
E se l’avvelenato ancora respira,
prego, procedere con trielina.
E dopo tutto sarà bianco, neutrale, stanco e pronto.
Tutto sarà pronto. Per essere vissuto.
Silvia Storelli
La lacerante verità
Fu una mattina di tanti anni fa, quasi una vita da quel giorno.
La luce penetrava dalla porta.
Uno sportello che come una palpebra si chiudeva per fare spazio al buio.
Un aereo che dalla vita mi portava al dubbio.
Un nemico di nascita che diventava la mia rinascita.
Strappata dalle braccia della mia terra, che quel giorno piangeva con me, lasciavo per sempre le mie speranze
di ritrovare chi avevo perso.
Non ricordo mi abbiano chiesto cosa desiderassi; non ricordo nessun accenno ai miei sogni e ai più intimi
dolori, nessuna preoccupazione per la mia rabbia né per la mia voglia di Essere.
Ero un piccolo pacco di ossa lanciato nel cielo per poi atterrare in una giungla di macchine e aria pesante.
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I bei vestiti non ricoprirono mai la nudità.
Le carezze non rimarginarono mai le ferite.
Il crescere faceva a pugni con lo specchio: chi sono? A chi somiglio?
L’orizzonte teneva in gabbia la mia vista.
Cercavo i ricordi che però affondavano lì, in quella linea maledetta dove il nulla trovava rifugio.
Chiamami “mamma”, chiamami “papà”.
Ancora non capivo chi fossero e chi fossi per loro.
I sensi di colpa li affogavo nelle pagine bianche dei quaderni.
Il nascondermi dietro un muro allontanava chi, con sforzi inumani, cercava di guardarmi.
Solo amandomi ho capito il loro amore, solo amandosi possono capire il mio.
A voi che pensate di adottare un bambino, a voi che avete il cuore pieno di amore da dare, a voi che un figlio
desiderate tanto: vi chiedo di adottare prima di tutto voi stessi; vi chiedo di amare l’ignoto, di appassionarvi al
gioco della fuga, di non pretendere mai di capire, ma di diventare amici della vostra incapacità di comprendere.
Solo così salverete l’anima a cui avete aperto le porte. Solo così potrete convivere con le sue paure e la
sua rabbia. Solo così potrete coccolare la violenza dei suoi pensieri, medicare i suoi ricordi perennemente
sanguinanti. Confondervi, qualche volta, con la luna che ogni notte è l’unica ad essere chiamata mamma.
Nonne
Ricordo bene la mia nonna. Le sue mani, la sua bocca, i suoi occhi sempre perfettamente truccati, con
delicatezza ed eleganza. Il suo modo di mettersi la crema e di bere il canarino dopo pranzo. Il suo modo di
guardare le persone intorno, il suo adorato “Amore”. Il suo modo di affacciarsi alla finestra, godere della luce
e dell’aria. Il suo guardare me, la piccola selvaggia che di stare seduta composta e vestire di velluto non ne
voleva sentire.
Fu un giorno di tanti anni fa che mi resi conto di quanto questa fragile donna avesse un potere immenso sulle
anime che le respiravano intorno. Fu quando vidi i suoi occhi riprodotti su tela e appesi in un punto strategico
della stanza di una piccola anima che moriva al pensiero di non incrociare più quegli occhi.
Nonna ci lasciò presto, almeno per me. Ci lasciò con le nostre paure e fragilità. Ci lasciò vivere la vita senza
la sua guida, senza le sue carezze, i suoi rimproveri e i suoi consigli. Ognuno di noi porta dentro un pezzo,
una frase, un dettaglio.
Ma lei, la piccola anima, viveva del suo respiro, amava con il suo cuore, voleva ancora i suoi occhi.
Nonna le chiedeva spesso: “Ci sono novità? C’è qualcuno nella tua vita?” E la piccola anima rispondeva:
“Nonna, come posso avere qualcuno se tu occupi tutta la mia vita. Ho dato a te il mio amore”.
Credo che fosse proprio così; la piccola anima diede alla sua nonna tutto il suo amore e non c’era posto per
altri nella sua vita.
Rifletto su cosa significhi per una persona la sua nonna: è colei che sa svegliarti; è colei che sa come
prenderti; è colei a cui affidi i più intimi segreti; è colei a cui daresti il tuo ultimo respiro affinché possa vivere
ancora; è colei che va via troppo presto, prima che tu possa darle l’ultimo abbraccio; è colei a cui pensi nei
momenti di sconforto e a cui chiedi ancora dei consigli e ti senti persa perché non senti più la sua voce.
Nei miei ricordi esistono solo quegli occhi riprodotti su tela: lì la magia, lì l’eleganza, lì l’eterno amore di una
donna, lì i miei ricordi più belli e i miei rimpianti più dolorosi.A tutte le piccole anime che portano dentro il
ricordo.
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4
Giovanna Mangiaracina
Bea: l’invisibile college
Bea cammina con passo leggero sollevando un lembo della sua lunga gonna per non inciampare e con l’altra
stringe forte a sé il mio braccio. Il tintinnio di campanelline dei suoi bracciali la segue ovunque facendo da
colonna sonora sul nostro cammino. Nella mia, la sua mano delicata e sottile per farle sentire il mio desiderio
di proteggerla dai rischi metaforici e reali di una caduta. La trovo sempre bella, accattivante nel suo incedere,
materna e allo stesso tempo così seducente.
Passeggiando in silenzio, i nostri cuori si fondono in un unico battito, come ali maestose di uno stesso essere
e volano lontano. Poi con morbida e melodiosa voce Bea mi suggerisce mille ricordi. Perfetta magia adesso,
ancora insieme, con la sensazione di rubare un altro momento esclusivo allo scorrere precipitoso delle nostre
vite. Il suo sguardo d’oriente si posa su di me incontrandomi nel volto protetto dall’oscurità degli occhiali
da sole. E’ una fotografia dei nostri momenti più belli, nell’incanto che ci ha unite tanti anni e si ripropone a
dispetto di ogni evento, dei luoghi che ci dividono e dell’età che ci fa mature, consapevoli e sagge.
E’ facile per me dirle tutto, è semplice per noi parlare il linguaggio dell’amore, senza stancarci mai, farci
sedurre dalle nostre voci come onde di un mare calmo che s’infrangono nel silenzio e nel buio della notte. Da
tempo cercavamo di trascorrere un pomeriggio a parlare, trastullandoci in passi leggeri, con il nostro modo di
guardare il mondo, ridere, soprattutto di noi stesse.
Sa benissimo Bea, di farmi piacere mentre mi chiede di me.
“Dì la verità… da quanto tempo non lo vedi più?”
“Tantissimo, te lo giuro! non ho neanche più sue notizie, non so che fine ha fatto, davvero…”
Mento oppure no. Mi richiama all’ordine, alla sincerità che di me conosce, al rigore che i più mi rimproverano,
non sopporta bugie in questo momento e non le importa se la farò soffrire. Non ha mai compreso le ragioni
della mia solitudine e rifiuta di immaginarmi vivere da sola.
“Non è possibile che nessuno ti abbia mai amato...”, mi guarda dolcemente: “Come si può non amare una
persona come te.”
All’improvviso una coccinella si posa sulla sua mano, Bea vuole passarla sulle mie dita, ma l’insetto spaventato
vola via. E’ contrariata, ma la prendo in giro distraendola e ridiamo. Abbiamo attraversato decenni con la
rapidità di una semplice carezza. Ci siamo confidate i segreti più nascosti senza mai distogliere lo sguardo,
sprofondando nei sorriso dei nostri occhi. Facciamo finta che non sia vero, ma sappiamo bene che non ci
vedremo mai più. Ci siamo sostenute con dedizione, rimproverate con amore, divertite con magnificenza, ci
siamo raccontate l’inimmaginabile, amate con pudore estremo.
Cala la sera, la Luna è congiunta a Venere, una virgola e un punto nel cielo limpido punteggiato da miriadi di
lucciole che danzano armoniose sul bordo della strada rendendo la montagna simile ad un presepe.
Nell’aria il profumo dolcissimo e penetrante dei gelsomini.
“Lasciami qui!”
No! non voglio… ti accompagno!”
“Lasciami qui!” sussurr perentoria aprendo le braccia.
Mi tuffo nel suo abbraccio e la stringo forte a me per molti lunghissimi minuti.Respiriamo la fragranza dei
nostri corpi cercando di fonderci nella vita che abbiamo vissuto e nel desiderio di viverla ancora, per sempre.
Il 25 maggio Bea si è svegliata finalmente allegra ed ha chiesto ai suoi genitori se poteva morire lì, a casa
loro, e in poco tempo se n’è andata. Nello stesso istante e a molti chilometri di distanza sono entrata nella mia
auto. Nel mettere distrattamente in moto vedo qualcosa sul parabrezza, una stupefacente sorpresa mi lascia
a bocca aperta: decine e decine di coccinelle festose colorano di rosso la mia strada.
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Lionò Cipo
Il corpo delle donne
“C’è una ruga che parte dalla mia tempia e termina sotto l’occhio destro. Esita, vacillando lievemente, incerta
su dove vuole arrivare. È la strada che percorremmo un giorno in Provenza, quando si era fatto tardi ed
avevamo fame e voglia di fare l’amore e non si trovava un albergo, e questa strada continuava tra i campi di
lavanda e io sudavo e tu non ti perdevi d’animo, e infine arrivammo.
Poi c’è una ruga, piccola ma profonda, tra le sopracciglia. Breve come la telefonata che veniva da lontano a
farmi piangere, come la notte passata ad aspettare notizie, come un’inutile preghiera.
“Ci sono due rughe sottili agli angoli della mia bocca. Quelle sono le risate convulse tra i banchi di scuola,
all’ultima ora del venerdì, o ai funerali, quando non si dovrebbe ridere ma non si riesce a smettere, o nella
penombra di un cinema, o le risate per i comici di piazza nelle sere morbide d’estate quando avevamo un po’
bevuto.
Il ventaglio di segni intorno ai miei occhi, invece, sono giornate di sole accecante sul mare, gite in barca tra
le isole greche col salmastro che brucia la pelle e vino bianco nei calici verdi e parole leggere come il vento.
E svolte improvvise, pianti immotivati, litigi, letture notturne fino alle ore piccole senza poter posare il libro,
sorprese, delusioni, innamoramenti.
Le rughe sulla mia fronte sono come le onde del mare, come l’orizzonte di colline del mio paese, come i
capelli di mia figlia quando si scioglie le trecce. Sono la mia storia e la nostra, si intrecciano ad altre rughe
nella rete infinita di attese e ricordi che mi rende ciò che sono.”
A capo
Cinzia Marini
Poesia
Giorgia Vezzoli
Poiché sono donna, nessuno, più di me,
conosce il silenzio del tempo che muta,
le parole del conforto, il dolore dell’abbandono.
So della caducità della vita e dell’illusione dell’apparenza,
ma intuisco più di altri l’eternità
di un gesto compiuto nella bellezza.
Poiché sono donna,
porto su di me il peso dei reietti,
e di tutti coloro che in ogni epoca furono emarginati.
Sul mio viso si scorgono ancora
le sofferenze delle donne che mi hanno preceduto.
Nel mio grembo, la pienezza di tutte coloro che hanno procreato.
Poiché sono donna, so cos’è il dono.
E ho imparato, nel tempo, a vivere nella sua dimensione.
Raramente sono stata ascoltata, più spesso osservata
con brama, con sospetto, con disprezzo,
con risoluta indifferenza.
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6
La mia voce dice di voci mai considerate.
La mia penna di menti che, per loro natura e per la propria diversità,
non sono state comprese.
Poiché sono donna sogno,
e sognando sperimento l’esistere di differenti creazioni.
Nella mia complessità nutro in silenzio
il seme del caos da cui proveniamo
e che non potrò mai, poiché sono una donna,
fingere di non aver mai avvertito.
Io non ci sto
alla dittatura televisiva dell’avvenenza,
che mi fa esistere solo se bella o appetibile,
barattando il mio pensiero in nome di una magra
visibilità.
Io non ci sto
ad essere solo corpo.
Da guardare,
da toccare,
da giudicare,
da mercificare.
Io non ci sto
poiché conosco
cosa genera l’offerta della mia carne
sugli sguardi inconsapevoli.
Io non ci sto
e pretendo rispetto
e che si dia spazio a tutte le mie
diversità.
La mia rivoluzione comincia con il rifiuto
dell’immaginario imposto
per mutare nel respiro di una nuova dignità.
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7
Maria Teresa Salerno
Essere belle per Audrey Hepburn
1. Per avere labbra attraenti, pronuncia parole gentili.
2. Per avere uno sguardo amorevole, cerca il buono nelle persone.
3. Per avere un aspetto più magro, condividi il tuo cibo con l’affamato.
4. Per avere capelli bellissimi, lascia che un bimbo li attraversi con le proprie dita una volta... al giorno.
5. Per avere un bel portamento, cammina con la consapevolezza che non camminerai mai da sola.
6. Le persone, persino più delle cose, devono essere rinfrancate, risvegliate, corrette e redente; non respingere
mai nessuno!
7. Ricorda, se varai bisogno di una mano, le troverai alla fine di entrambe le tue braccia. Quando diventerai
anziana scoprirai di avere due mani, una per aiutare te stessa, la seconda per aiutare gli altri.
8. La bellezza di una donna non consiste nel vestito che indossa, nell’aspetto che possiede o nel modo di
pettinarsi. La bellezza di una donna la si deve percepire come proveniente dai propri occhi, perchè quella è
laporta del suo cuore, ilposto nel quale risiede l’amore.
9. La belezza di una donna non risiede nell’estetica, ma la bellezza di una donna è riflessa nella propia anima.
E’ la preoccupazione di donare con amore, la passione che essa mostra.
10. La bellezza di una donna aumenta con l’aumentare degli anni.
Alma Mahler
C’era una volta una storia,
non è una storia proprio lieta:
comincia quella storia con un re ebreo.
Lulinke ,mio uccellino,
Lulinke,mio bambino.
Un amore perduto
E mi fa così male,così male.
C’era una volta un re,
che aveva una regina,
e la regina una vigna,
aveva una sua vigna.
Lulinke,mio uccellino,
Lulinke,mio bambino.
Un amore ho perduto
E mi fa così male,così male.
Nella vigna c’era un alberello
E questo aveva un piccolo rametto,
sul rametto un nido c’era
e dentro il nido un uccellino.
Lulinke,mio uccellino,
Lulinke,mio bambino,
un amore ho perduto
E mi fa così male,così male.
Dove prendere una scala
Lunga mille e mille braccia,
e dove un saggio prendere che contar sappia le stelle?
Lulinke,mio uccellino,
Lulinke ,mio bambino,
un amore ho perduto
E mi fa così male,così male.
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8
Un uomo dove prenderlo
per contar le mie ferite?
E dove,dove un dottore
Che guarir sappia il mio cuore?
Lulinke,mio uccellino,
Lulinke,mio bambino
Un amore perduto
E mi fa così male,così male.
LIED AUS DEM GHETTO,in ‘ Il manoscritto di Lòds’.
Alda Merini
A tutte le donne
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.
Edoardo Salguineti
La ballata delle donne
Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.
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9
Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l’umano
la mia compagna, ti prendo per mano.
Pedro Salinas
Tu
Tu vivi sempre nei tuoi atti.
Con la punta delle dita
sfiori il mondo, gli strappi
...aurore,trionfi, colori, allegrie:
è la tua musica.
La vita è ciò che tu suoni.
Dai tuoi occhi solamente
emana la luce che guida
i tuoi passi.
Cammini fra ciò che vedi.
Soltanto.
E se un dubbio ti fa cenno
a diecimila chilometri,
abbandoni tutto, ti lanci
su prore, su ali, sei subito lì;
con i baci, coi denti lo laceri:
non è più dubbio.
Tu mai puoi dubitare.
Perché tu hai capovolto i misteri.
E i tuoi enigmi, ciò che mai potrai capire,
sono le cose più chiare:
la sabbia dove ti stendi,
il battito del tuo orologio
e il tenero corpo rosato
che nel tuo specchio ritrovi
ogni giorno al risveglio, ed è il tuo.
I prodigi che sono già decifrati.
E mai ti sei sbagliata,
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10
solo una volta,
una notte che t’invaghisti di un’ombra
-l’unica che ti è piaciutaun’ombra pareva.
E volesti abbracciarla.
Ed ero io.
Charles Baudelaire
Ad una passante
La via assordante strepitava intorno a me.
Una donna alta, sottile, a lutto, in un dolore
immenso, passò sollevando e agitando
...con mano fastosa il pizzo e l’orlo della gonna,
agile e nobile con la sua gamba di statua.
Ed io, proteso come folle, bevevo
la dolcezza affascinante e il piacere che uccide
nel suo occhio, livido cielo dove cova l’uragano.
Un lampo... poi la notte! - Bellezza fuggitiva
dallo sguardo che m’ha fatto subito rinascere,
ti rivedrò solo nell’eternità?
Altrove, assai lontano di qui! Troppo tardi! Forse mai!
Perché ignoro dove fuggi, né tu sai dove vado,
tu che avrei amata, tu che lo sapevi!
La Macedonia di Mary
La mia macedonia
Mirtilli, dal colore scuro e indefinibile come il mio futuro
Albicocche, dalla forma piccola e simpatica come le mie magliette
Ciliegie, sempre in coppia come i miei genitori
...E ancora
Datteri, dal sapore dolcissimo come quel lato del mio carattere che non conosco
Oreficeria di frutti preziosi
Natura della mia
Identità
Assemblata
Agnese Gatto
Penelope
Ti aspetto e ti aspetterò
tessendo con fedeltà
...il
bianco tessuto
del nostro empio talamo.
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11
Di lei,la
donna del verde,
si dice del suo silenzio.
Senza congetture
l’attesa va oltre gli equinozii
chè lei non
conosce
stanchezza ma fedeltà,Sì,
d’amore al suo amato
lontano
quanto la punta
del suo greco nasino.
Li separa il
mare,
che lei ha sempre cercato,
disperatamente.
Ma
sa che lui é lì che sta.
Per questo lì é che lo cerca.
Aspettando.
Aspettandolo.
Oltre
il tempo
che non è una retta linea.
Oltre se stessa,
di cui lei non sa.
Alma Mahler
(verso 31 della sura XXIV)
« E di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non
quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai
loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti,... ai loro fratelli, ai figli dei loro
fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno
desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i
piedi, sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate
prosperare. »
Caro amore Antico
Diceva un giorno per la prima volta una giovane fanciulla ,un po’
...sognatrice , sì , questa forse ai nostri potrebbe essere la
caratteristica saliente che parla di una giovane donna di non so quale
luogo o quale tempo , che si ritrovò ad avere la mente e il pensiero
pervaso da quelle parole ,
come se volesse – Alice – sempre dire ,
ma lasciare volutamente inespresso.
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12
Era di fatto curiosa dell’accadere , che conosceva bene , ma che non
voleva vedere prima del suo accadere, e per questo aspettava, aspettava ,
con solo quelle parole , tre , in testa , che sciogliessero da sole il
gioco delle parti che lei , ridacchiando , aspettava solo di dargli un
corpo , una materia , poiché l’essenza ,di per sé sintetica , già la
conosceva .
“E da tempo , da molto tempo. “
Alice , spesso , si trovava a riposare , poiché , nel sogno ,
spesso sapeva vedere la verità delle cose che succedono.
E quando in qualsiasi momento della sua vita avesse cercato o volesse
con tutta se stessa la verità, si trovava a doversi addormentare in
qualsiasi circostanza si trovasse , per strada , su un prato , in
macchina , o nel suo coloratissimo letto.Perfino dentro la lavatrice.
Poi si diceva : “ bene , ora ci dormo sopra , e poi saprò se la cosa è
seria oppure no , insomma se mi devo preoccupare , diamine! , oppure no.
“ Ma in genere si svegliava sempre serena ,” in fondo non tutto viene
per nuocere , e tutto ha una soluzione.”
E il riposo le giovava , sempre.
Altre volte , solo se riusciva a calarsi nel buio profondo del suo mondo
onirico ,sapeva vedere cose come dettagli , che sapeva poi sicuramente
reincontrare nelle spessissime circostanze della storia e del vissuto
del suo sogno .Reincontrava tutto,quelle cose e quelle persone.
Ecco perché Alicetta , così qualcuno sovente la chiamava , aveva quasi
sempre un sonno molto leggero :
“ in fin dei conti “ , diceva tra sé e sé ,” non si può sempre vivere
nel confronto con l’essenza delle cose , sarebbe da perderci la testa ! “
e allora fingeva
di non ricordare ,
o di non sapere ,
o di dimenticare
a patto che volesse conservare sembianze e fattezze femminili.
E così Alice fece , costruendo nel suo piccolo mondo un minuscolo
puzzle da dove lei volutamente toglieva di nascosto ora un tassello ora
un altro che avrebbe disegnato la misura in modo perfetto. E , proprio
per questo , sembrava vivesse in un anomalo disordine , forse imperfetto
, ma esageratamente simmetrico , speculare ad una sembianza che,a prima
vista, poteva apparire caos , rappresentandosi come stanza del
labirinto segreto del piccolo mondo colorato e antico
del sogno di Alice.
Alice viveva qui , ora in una stanzetta , ora in un’altra, e a seconda
dell’umore lei era solita recarsi in un luogo o in un altro ,
semplicemente per poter avere la possibilità di cambiare punto di vista,
di vedere le cose al microscopio o sotto la lente d’ingrandimento.
Spesso le pareti delle sue stanzette erano al buio , e allora lei si
trovava ad avere l’esigenza di colorarle con dei disegni , dei murales ,
molto infantili , solo per avere la gioia dell’ essenza del colore , la
cosa che più di ogni altra insufflava soffi di vita aerea al suo
trovarsi inanimata e trasparente :
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praticamente invisibile ai più,così appariva a cose e persone Alice.
Circostanza vitale che qualche volta le aveva tanto fatto comodo, in
quanto, curiosa com’era, poteva ficcare il suo nasino nelle vite delle
persone che la circondavano,
ma dalla stessasua stessa trasparenza era rimastasovente imprigionata,
avendo poi, perso l’allenamento, dimenticato come effettivamente si
potesse tornare a quelle fattezze femminili e umane nelle quali gli
altri la riconoscevano e che per questo alla fine ci si riconosceva pure
lei :
Alice, Alicetta, dagli occhi di giada e dalla bocca di petalo di rosa ,
dalla pelle profumata di muschio bianco e dal nasino a patatina.
Caro amore antico.
Diceva un giorno..
ma in realtà era un pesce, certo, veloce,
un pesce del Mediterraneo a sud di nessun nord
e lì sì che si trovava a suo agio,perfettamente, avendo creato quelle
buone circostanze atte a farla riapparire in femminee sembianze..ma
priva del suono della voce....
non conosceva le parole, Alice...
per un patto da onorare fatto con il Diavolo.
Entrò con prepotenza
Entrò con prepotenza
nella sua coscienza
il sonno spezzato,
...
un improvviso caso fortunato.
Così lei si prese
un poco di se stessa,
per lavorar ad un creato,
un picciol mosaico
da un sol tassello
del suo mondo dato.
Lei sogna,sì,ma non ricorda:
una maledizione divina
non saper punto dell’altra.
Mai,ricorda,e sogna tanto,
un’occasione unica quella,
diceva,
una soltanto.
Così scrisse col suo tracciato
una beata curva,
un’ ellisse del passato.
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Citazioni
Maya Deren
“La sensibilità artistica, singolare, della Deren, le permise di esprimere un cinema efebico, androgino, quasi
diafano, che riusciva a coniugare sullo schermo (con una certa ricchezza espressiva) il banale e il magico.”
Emily Dickinson
“The heart asks pleasure first,
And then, excuse from pain;
And then, those little anodynes
That deaden suffering, And then, to go to sleep;
...And then, if it should be
The will of its Inquisitor,
The liberty to die.”
Barbara McLintock
“La cosa importante è sviluppare la capacità di osservare che un seme è diverso dagli altri, capire perchè è
diverso e in che cosa consiste questa diversità. Se qualcosa non torna c’è una ragione e si tratta di scoprirla.”
Margherita Hack
“Se un vostro articolo dovesse violare la legge, pubblicatelo pure con il mio nome”
“La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che
regolano l’universo, la terra, il proprio corpo, di rifiutare l’insegnamento calato dall’alto, in una parola Eva
rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede...”
Elizabeth, the Golden Age
“... Non ho uno sposo
Non ho un signore
Non ho figli
Sono madre del mio popolo
Dio mi dia la forza di sopportare questa immensa libertà
...Sono la vostra regina sono me stessa”
Simone de Beauvoir
Non si nasce donne: si diventa.
La verginità ha questa attrattiva erotica solo in quanto va unita alla giovinezza; altrimenti torna ad essere un
inquietante mistero.
Non sono gli individui ad essere responsabili del fallimento del matrimonio: è la ...sua stessa istituzione ad
essere originariamente perversa.
Una donna può dedicarsi alle donne perché l’uomo l’ha delusa, ma talvolta l’uomo la delude perché essa
cercava in lui una donna.
Ciò che dà alle donne chiuse nell’omosessualità un carattere virile non è la loro vita erotica, che, al contrario,
le confina in un universo femminile: è l’insieme delle responsabilità che sono costrette ad assumere in quanto
fanno a meno degli uomini.
Frasi tratte da: Per una morale dell’ambiguità Pour une morale de l’ambiguïté, 1947
È il desiderio che crea ciò che è desiderabile, è il progetto che pone il fine.
“Una donna libera è il contrario di una donna leggera.”
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Eleanor Roosvelt
“Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”
Isabelle Allende
“Il miglior afrodisiaco per una donna sono le parole. Il punto G è nelle orecchie.”
Maria Montessori
“Insegnare i dettagli significa portare confusione. Stabilire la relazione tra le cose significa portare la
conoscenza“
Dorothy Parker
“La cura per la noia è la curiosità. Non c’è cura per la curiosità.”
Virginia Woolf
“Una donna deve avere soldi e una stanza suoi propri se vuole scrivere romanzi.”
“A quarant’anni comincio ad imparare il meccanismo del mio cervello”
“Nessun bisogno di affrettarsi. Nessun bisogno di mandare scintille. Nessun bisogno di essere altri che se
stessi“
Rita Levi Montalcini
“Oggi ritengo di avere più possibilità di quando avevo 20 anni, per profondità di pensiero e di intuito, creatività
e fantasia.“
Sophie Scholl
“Ciò che noi abbiamo detto e scritto, molti lo pensano. Ma non hanno il coraggio di esprimerlo”
Marguerite Duras
“Se non restassi fedele a me stessa a chi mai dovrei esserlo?”
Sylvia Plath
“Forse non sarò mai felice...ma stasera sono contenta. Mi basta la casa vuota, un caldo, vago senso di
stanchezza fisica per aver lavorato tutto il giorno al sole a piantare fragole rampicanti, un bicchiere di latte
freddo zuccherato, una ciotola di mirtilli affogati nella panna (...) in momenti come questi sarei una stupida a
chiedere di più.”
William Shakespeare
“Dagli occhi delle donne derivo la mia dottrina: essi brillano ancora del vero fuoco di Prometeo, sono i libri, le
arti, le accademie, che mostrano, contengono e nutrono il mondo.”
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