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Commenti sul look e insulti sessisti, storia del maschilismo
in politica
Dalla prima alla seconda repubblica, Filippo Maria Battaglia ha raccolto il peggio del maschilismo della politica italiana nel suo
“Stai zitta e va’ in cucina”
(Getty Images/Giorgio Cosulich/Stringer)
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Lidia Baratta
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Il didietro del ministro Maria Elena Boschi sotto il tailleur blu elettrico. I tacchi a spillo
di Daniela Santanchè. I capelli corti di Mara Carfagna. L’ossessione per il look delle
donne in politica, i commenti sulle acconciature e le forme, e gli insulti sessisti contro
deputate e senatrici non sono nati oggi. Il giornalista Filippo Maria Battaglia li ha raccolti
tutti in un saggio, Stai zitta e va’ in cucina – breve storia del maschilismo in politica da
Togliatti a Grillo (Bollati Boringhieri).
Dalla prima alla seconda repubblica fino alla recente espulsione dei senatori verdiniani
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D’Anna e Barani per aver mimato del sesso orale all’indirizzo di una collega, poco o nulla
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sembra essere cambiato. “Vacca”, “sciampista”, “gallina”, “puttane”, “esaltate” sono
commenti trasversali nel tempo e tra i banchi del Parlamento. Al giudizio maschilista non
si è sottratto nessun giornale e nessun politico, dal Partito comunista ai grillini. Con
un’unica eccezione: l’austero governo dei tecnici guidato da Mario Monti. Rimasto però
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nella memoria per le lacrime della ministra Elsa Fornero.
Nella raccolta di citazioni e ritagli di giornale di Stai zitta e va’ in cucina ce n’è di tutti i
colori. Da quando nei racconti satirici pubblicati durante la campagna elettorale per la
Costituente del 1946 alla domanda «che colore politico preferisci?» le candidate erano
pronte a rispondere «uno che doni al biondo». Con il solito classico «interesse per le più
carine», sulle quali, come raccontava la comunista Teresa Mattei (prima donna madre in
Parlamento), era «tutto un chiedere con chi erano state a letto per essersi potute
guadagnare quel posto».
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“Vacca”, “sciampista”, “gallina”, “puttane”, “esaltate” sono commenti trasversali nel tempo e tra i
banchi del Parlamento. Al giudizio maschilista non si è sottratto nessun giornale e nessun politico, dal
Partito comunista ai grillini
Vestiti e acconciature delle elette, racconta Filippo Maria Battaglia, catalizzano sin da
subito l’attenzione, non solo tra i colleghi. Nei mesi caldi della prima estate repubblicana,
quotidiani e settimanali si soffermano con precisione quasi maniacale sulle «complicate
pettinature», i «tailleur di shantung beige», i «capelli fluenti e sciolti sulle spalle». E
non si tratta solo di un’ossessione legata alla novità del sesso femminile in Parlamento. Il
vizietto continua nei decenni, fino al “caso” del vestito blu elettrico indossato da Maria
Elena Boschi durante il suo giuramento al Quirinale. Gli scatti che fotografano la
neoministra mentre si china per firmare l’atto di nomina finiscono sulle prime pagine dei
giornali e producono commenti in punta di penna sulla forma fisica della neoministra,
prima di essere usati in un fotomontaggio che la ritrae in perizoma.
Dalla bellezza all’ossessione per la bruttezza, la comunista Teresa Noce già negli anni
Quaranta era stata ribattezzata «miss racchia». Era il 1947 quando un collega le si
avvicinò dicendole «Teré, tu sei bella come un fiore». «Come un fiore di Rafflesia»,
spiegando che la “Rafflesia di Sumatra” è un fiore che pesa sette chili e puzza di carne
putrefatta. Il principale bersaglio della seconda repubblica è invece Rosy Bindi. Di lei
l’allora governatore del Lazio Francesco Storace disse: «Non è neppure una donna». Poi
toccò a Beppe Grillo: «Problemi di convivenza con il vero amore non ne ha mai avuti». E
Silvio Berlusconi in diretta televisiva chiuse il cerchio: «È sempre più bella che
Il principale bersaglio della seconda repubblica è Rosy Bindi. Di lei l’allora governatore del Lazio
Francesco Storace disse: «Non è neppure una donna». E Silvio Berlusconi in diretta televisiva: «È sempre
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intelligente».
più bella che intelligente»
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Ma è con Silvio Berlusconi che il giudizio estetico sulle donne in politica viene
sdoganato. «Sono il primo», disse il Cavaliere nel 2005, «a volere la presenza delle donne,
carine e anche brave in Parlamento». E alla stessa Boschi ha ripetuto più volte: «Lei è
troppo bella per essere comunista». Gli incontri del premier oltreconfine sono destinati a
restare alle cronache: «Ho dovuto riesumare le mie doti di playboy e fare la corte alla
presidente finlandese Tarija Halonen per portare da Helsinki a Parma l’agenzia
alimentare europea», raccontò di ritorno da un summit internazionale. A proposito di
Angela Merkel coniò il famoso «culona inchiavabile». E a un’impiegata di un’azienda di
Mirano chiese: «Lei viene? Ma quante volte viene? E a quale distanza temporale una volta
dall’altra?». Poi la invitò a girarsi per guardarle il fondoschiena, tra gli sghignazzi dei
dirigenti della società.
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È con Silvio Berlusconi che il giudizio estetico sulle donne in politica viene sdoganato. A un’impiegata di
un’azienda di Mirano chiese: «Lei viene? Ma quante volte viene? E a quale distanza temporale una volta
dall’altra?». Poi la invitò a girarsi per guardarle il fondoschiena
Anche la “rivoluzione” cinquestelle non si è sottratta al maschilismo. Il senatore Nicola
Morra twittò: «Con queste copertine, la Boschi sarà ricordata più per le forme o per le
riforme?». Di «donne usate a fini di marketing» parlò invece Beppe Grillo, quando
nell’aprile 2014 paragona le candidate capolista del Pd alle Europee a «quattro veline».
Fino al deputato M5s Massimo De Rosa che, rivolgendosi alle colleghe Pd dice: «Voi siete
qui solo perché siete brave a fare pompini».
Lo specchio di tanta “galanteria”, è inutile dirlo, sono le classifiche internazionali sulla
partecipazione delle donne in politica: l’Italia è al 37esimo posto, dietro Paesi come
Bangladesh, Mozambico, Bulgaria e Costarica. A buon intenditor, poche parole (senza
insulti).
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