Lezione 2 Studio ecografico aterosclerosi preclinica - SIEC

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Lezione 2 Studio ecografico aterosclerosi preclinica - SIEC
Lezione 2
Studio ecografico aterosclerosi preclinica
Introduzione
Negli ultimi anni lo studio del processo aterosclerotico ha portato a una conoscenza sempre più approfondita dei
meccanismi di sviluppo dell'aterosclerosi e delle manifestazioni cliniche ad essa correlate.
Il termine "arteriosclerosi" fu usato per la prima volta circa 160 anni fa, quando Lobstein, nel suo Trattato di Anatomia
Patologica, descrisse le arteriopatie caratterizzate da un indurimento della parete arteriosa. Successivamente, nel 1904,
Marchand coniò il termine di aterosclerosi, che deriva dal greco "athera" (pappa o poltiglia), descrivendo un processo che
interessava le arterie sia di tipo elastico che di tipo muscolare con la formazione di placche intimali.
L'aterosclerosi è un processo patologico lentamente progressivo che interessa l'intima e la media delle arterie di grosso e
medio calibro, con formazione di lesioni focali contenenti tessuto fibroso e materiale lipidico che non producono particolare
ostruzione al flusso ematico fino a che non intervengono fenomeni trombotici in grado di alterare la circolazione e portare
a una condizione ischemica del distretto irrorato dall'arteria interessata (1, 2). Un'autorevole classificazione delle lesioni
arteriose è quella proposta da Stary (2) che identifica:
a) cellule schiumose isolate;
b) strie lipidiche;
c) preateromi;
d) ateromi;
e) fibroateroma.
Le cellule schiumose isolate non sono visibili microscopicamente, ma rappresentano una modalità di accumulo lipidico di
piccola entità e localizzato solo all'interno delle cellule (3). Le strie lipidiche sono costituite da strati di cellule con inclusioni
lipidiche; minima è la quantità di lipidi a localizzazione extracellulare. Le cellule contenenti lipidi sono soprattutto i macrofagi e, in
numero minore, le cellule muscolari lisce.Vi sono anche accumuli lipidici extracellulari derivati dalla necrosi di cellule ripiene di
materiale lipidico.
Il preateroma è la lesione di transizione tra la stria lipidica e l'ateroma propriamente detto. La caratteristica di questa lesione
è il cospicuo accumulo lipidico extracellulare, che avviene in forma di particelle che distruggono la coesione strutturale delle
cellule muscolari lisce. In questa fase, malgrado il cospicuo ispessimento della parete (ispessimento mio intimale), non si ha
riduzione del lume arterioso.
L'ateroma è la lesione più tipica, caratterizzata dalla fusione delle particelle lipidiche extracellulari in un grosso nucleo. Il
nucleo lipidico dell'ateroma contiene rare cellule muscolari lisce disperse e sparpagliate; i macrofagi, di cui già diversi
andati incontro a necrosi, non sono presenti in questo nucleo, ma piuttosto lo circondano all'esterno.
La caratteristica principale della lesione più avanzata, il fibroateroma, è la presenza di un cappuccio fibroso che riveste la
lesione sul suo versante luminale. Il cappuccio fibroso è costituito da cellule muscolari lisce all'interno di una densa matrice
contenente collagene e capillari. Emorragie microscopiche sono talora presenti in corrispondenza delle aree
neovascolarizzate. Il fibroateroma cresce di dimensioni lentamente, è una lesione instabile che può complicarsi con
emorragia intraplacca, rottura e trombosi sovrapposta (4).
È in questo stadio che le lesioni aterosclerotiche diventano sintomatiche, in quanto si realizza un'ostruzione del flusso
ematico con produzione di ischemia. Il complicarsi delle lesioni arteriose costituisce il principale meccanismo responsabile
dell'infarto miocardico, cerebrale e delle arteriopatie obliteranti degli arti inferiori. Mentre i macrofagi isolati o le strie lipidiche
sono dimostrabili fin dai primi anni di vita, l'ateroma fa la sua comparsa nell'epoca della pubertà. Il fibroateroma, invece, è
identificabile a partire dalla terza decade di vita. Un'ulteriore classificazione è quella proposta più recentemente da Libby et
al. (5) che distinguono 7 tappe fondamentali:
1) arteria normale;
2) accumulo di linfociti T, monociti e lipidi;
3) formazione della placca fibrolipidica;
4) placca vulnerabile;
5) rottura del cappuccio fibroso;
6) placca fibrocalcifica;
7) erosione dell'intima.
II concetto di vulnerabilità della placca è molto importante e descrive un tipo di placca, spesso eccentrica, non stenotica, con
cappuccio fibroso sottile, con grande core lipi-dico, ricca di cellule infiammatorie e muscolari, che facilmente va incontro a
erosione. Il processo aterosclerotico rappresenta quindi una lesione dovuta a un insulto di tipo anche immunitario ed
infiammatorio (6-9).
Numerosi studi di fisiopatologia, effettuati sia su animali che nell'uomo, hanno portato alla formulazione della teoria, inizialmente
enunciata da Ross, che vede come principale meccanismo per la formazione della placca aterosclerotica la risposta cellulare a
diversi insulti (6); la più recente versione di questa ipotesi mette in risalto il ruolo della disfunzione endoteliale. Questa teoria
sottolinea l'importante funzione svolta dall'endotelio nel mantenere l'integrità vascolare; in condizioni normali, infatti, favorisce
la vasodilatazione, contrasta l'adesione dei monociti e presenta caratteristiche antitrombotiche e fibrinolitiche. In alcuni tratti
del ramo arterioso, danni cronici dell'endotelio possono portare a un'aumentata assunzione di LDL (low density lipoproteins)
e a una maggiore adesione dei monociti sulla parete arteriosa, eventi che danno inizio al processo aterosclerotico (10).
La disfunzione endoteliale è il risultato degli insulti subiti dall'endotelio stesso che si traduce in una risposta compensatoria
che altera le normali proprietà emostatiche dell'organismo. Il risultato finale è un aumento della permeabilità vasale nei
confronti dei costituenti plasmatici e un'aumentata adesione di piastrine e monociti all'endotelio leso. L'insulto, quindi, induce
l'endotelio a perdere le sue capacità anticoagulanti e ad acquisirne di procoagulanti; inoltre, sono prodotte molecole
vasoattive, citochine e fattori di crescita che amplificano il processo. Questa condizione può continuare fino ad arrivare a un
ispessimento della parete con rimodellamento. fenomeno per cui può esserci una graduale dilatazione compensato-ria della
parete che permette al lume di rimanere inalterato, pur essendo sede di una placca aterosclerotica (11).
Ruolo degli ultrasuoni nella diagnosi di aterosclerosi
La possibilità di utilizzare metodiche diagnostiche non invasive e ripetibili nel tempo ha modificato negli ultimi anni l'approccio
al paziente con malattia aterosclerotica ed oggi risulta possibile elaborare una definizione più precisa della presenza e
dell'estensione della malattia già in una fase precoce del processo (1, 2).
L'aterosclerosi è un processo flogistico cronico che interessa la parete dei vasi arteriosi determinando una trasformazione
strutturale che si sviluppa attraverso la successione di differenti fasi evolutive. Sebbene il processo possa interessare
contemporaneamente diversi distretti vascolari, si tratta di una flogosi sistemica il cui sviluppo sembra ben interpretabile dal
punto di vista patogenetico e quindi, per certi versi, prevedibile, soprattutto riguardo alle prime sedi di sviluppo della malattia (24). Le tappe iniziali identificano una condizione nota come "Aterosclerosi preclinica" ovvero una fase in cui la flogosi di
parete, pur alterando l'anatomia complessiva del vaso, non ne compromette la funzionalità al punto da rimanere
clinicamente silente. La conoscenza della storia naturale della malattia aiuta a capire che l'Aterosclerosi preclinica è solo
una fase iniziale che, se lasciata alla sua naturale evoluzione, nel tempo svilupperà manifestazioni cliniche specifiche (2-5).
Questo ben chiaro quadro patogenetico spiega perché, nell'approccio al paziente con malattia aterosclerotica, è importante
indagare proprio queste prime fasi della malattia che diventano, in ambito clinico, il target fondamentale per una diagnosi
precoce e per il raggiungimento di migliori risultati in ambito prognostico.
L'aterosclerosi preclinica oggi può essere indagata mediante approcci differenti:
• lo studio ultrasonografico con ecocolorDoppler delle arterie carotidi che permette l'identificazione di alterazioni specifiche
di parete quali l'aumento dello spessore medio-intimale (Intima-MediaThickness, IMT) o la presenza di placca asintoma-tica
carotidea (PCA);
• la valutazione non invasiva della funzione endoteliale, intesa come risposta di vasodilatazione ad una condizione di
iperafflusso post-ischemico o (flow-mediated diiatation, FMD) (Fig. 10 e 11):
•
IVUS
Studio dello spessore medio-intimale (IMT) e della placca carotidea sintomatica (PCA)
L’aterosclerosi è una malattia che progredisce in maniera silente per molti anni determinando poi eventi clinici che possono
risultare anche fatali a carico del sistema cardiovascolare, come infarto ed ictus. La possibilità di individuare delle alterazioni
vascolari precoci in grado di predire l’evoluzione della malattia aterosclerotica, e quindi ridurre gli eventi fatali, ha portato nel
corso degli ultimi anni, alla possibilità di sfruttare l’ultrasonografia B-mode per la valutazione del lume e delle pareti della
arterie carotidi extracraniche, al fine di individuare l’ispessimento delle tonache intima-media, e di utilizzare questo
paramentro come marker di rischio cardiovascolare. L’esame ultrasonografico è particolarmente utile nell’identificare
alterazioni vascolari iniziali, come appunto l’aumento dello spessore delle tonache intima-media, ma anche la presenza di
placche emodinamicamente non significative, soprattutto in pazienti asintomatici o in campioni di popolazione generale.
Numerosi studi nel corso degli anni hanno confermato la predittività e la validità di questo marker, legato anche e
soprattutto al fatto che l’esame ultrasonografico è una metodica non invasiva, sicura, facilmente ripetibile e poco costosa. Si
è visto, ad esempio, che l’aumento dello spessore medio-intimale correla in maniera molto stretta con l’umento dei valori
pressori, ma anche con altri fattori di rischio quali l’età, il sesso, il fumo, la dislipidemia, il diabete, l’obesità. Tre importanti
studi prospettici (CHS, Rotterdam e Aric) hanno dimostrato un’associazione tra l’incremento dell’IMT carotideo e la
comparsa di eventi cerebro e cardiovascolari, soprattutto nei soggetti ipertesi. Nello studio CHS (Cardiovascular Health
study) si è visto come lo spessore dell’IMT a livello della carotide interna, rappresenta un fattore predittivo di cardiopatia
ischemica o di malattia aterosclerotica in soggetti apparentemente sani con età superiore a 65 anni (1).
Nello Studio di Rotterdam, in un’ampia coorte di 7983 soggetti di età superiore a 55 anni, l’aumento dell’IMT nella carotide
comune era associato ad un aumento di rischio di ictus e di infarto acuto del miocardio (2). Nello studio ARIC ( Atherosclerotic Risk in The Communities) in cui sono stati arruolati 7865 donne e 6349 uomini di età compresa tra i 45 e i 65 anni,
l’aumento di spessore medio-intimale, era associato ad una aumentata incidenza di ictus (3).
Pertanto la valutazione ultrasonografica delle arterie carotidi, integrata dalla valutazione dello spessore medio-intimale, è
in grado di predire l’incidenza di ictus ed infarto miocardio. Sulla scorta di questi dati emersi dai numerosi studi, le
società europee di cardiologia e dell’ipertensione (ESC-ESH), hanno inserito nelle lineee guida la valutazione dello
spessore medio-intimale come marker di danno d’organo (4). Il valore soglia di questo spessore è stato identificato < 0,9
mm, limite oltre il quale si definisce patologico. La valutazione ultrasonografica del danno vascolare viene ormai limitata,
per semplicità, allo studio della solo carotide comune. Però nella esecuzione di un esame dei tronchi sovraortici deve
essere comunque effettuta una valutazione completa non solo della carotide comune, ma soprattutto della sua biforcazione
e di entrambe le carotidi, in particolare dell’interna, perché spesso si evidenziano placche ateromasiche in questi distretti,
pur in presenza di un IMT che può risultare normale. Il riscontro di uno spessore medio-intimale superiore a 1,3 mm
predispone alla presenza di placche carotidee.
Anatomia
La parete vasale appare anatomicamente composta tra tre strati (Fig. 1):
– strato esterno: avventizia;
– strato medio: media o strato muscolare;
– strato interno: intima o strato endoteliare.
Una tipica immagine ultrasonografica della parete arteriosa a livello del
complesso intima-media, risulta caratterizzata dalla presenza di una coppia di
linee iperecogene parallele che delimitano uno spazio anecogeno. Le due linee
iperecogenee rappresentano lo strato esterno, l’avventizia, e lo strato interno, cioè
complesso intima-media. La sottile linea ipo-anecogena tra questi due strati,
rappresenta lo strato medio, ossia la lamina elastica esterna. (Fig. 2).
il
Come si misura
La misurazione dell’IMT presenta alcuni problemi di ordine tecnico, così come
definito nelle linee guida delle società di diagnostica vascolare (SIDV-GIUV). Il
primo problema è dovuto alla differenza di spessore medio-intimale tra le due
carotidi comuni, rilevata da diversi studi, che documentano un IMT maggiore a
sinistra, se misurato sulla parete posteriore della carotide comune rispetto a
quello della carotide comune destra, dove prevale lo spessore della parete
anteriore. Anche la variabilità nella misurazione tra operatori diversi è minore nella
valutazione della parete posteriore a sn. Pertanto le linee guida della SIDV- GIUV
(5) consigliano di:
• misurare l’IMT sulla parete posteriore della ACC ad 1 cm dalla biforcazione, in
un segmento di circa 1 cm, prendendo la misura sulla parete posteriore in almeno
2-3 proiezioni e segnalando il valore minimo e massimo (Fig. 3);
• utilizzare immagini zoommate ed eventualmente software dedicati (Fig. 4-5);
• fare misurazioni ripetute e di far eseguire le misurazioni da operatori
indipendenti;
• segnalare la misura dell’IMT separatamente nelle due ACC;
• segnalare sul referto se è valore medio o massimo.
Quali pazienti sottoporre allo
studio dei tronchi sovraortici?
I pazienti che devono essere sottoposti allo studio dei tronchi sovraortici sono:
• soggetti con età > 65 anni e con fattori di rischio multipli (ipertensione, diabete, dislipidemia,
fumo ecc.);
• in tutte le vasculopatie giovanili;
• pazienti candidati ad interventi di chirurgia cardiovascolare maggiore;
• screening per il rischio cardiovascolare nei pazienti ipertesi e/o diabetici;
• pazienti con stenosi carotidea nota;
• pazienti con pregressa endoarteriectomia o angioplastica carotidea;
• pazienti con ostruzione controlaterale dell’arteria carotide interna;
• pazienti con segni clinici e/o sintomi riferibili a ischemia cerebro-vascolare.
Da queste indicazioni si evince che l’esame ecocolordoppler dei tronchi sovraortici risulta ancora poco utilizzato soprattutto
nei soggetti asintomatici che sono a rischio per la presenta di fattori predisponenti. Le elevate potenzialità diagnostiche
della metodica, unite alla semplicità di esecuzione e alla non invasività, fanno sperare in un maggior utilizzo di questo
esame per il futuro.
Conclusioni
La misurazione ultrasonografica dell’IMT è un indicatore valido e riproducibile di malattia
aterosclerotica. Un aumento dell’IMT in soggetti giovani ed adulti con fattori di rischio
cardiovascolari, si associa a lesioni aterosclerotiche in altri distretti , ed è predittore
indipendente di eventi cardio e cerobrovascolari.
Appare pertanto consigliabile sempre, in uno studio dei tronchi sovraortici, valutare ed
indicare il valore dell’IMT, che risulterà patologico se superiore a 0,9 mm, evitando di
limitarsi alla sola descrizione delle placche.
Fig. 6
II rimodellamento che caratterizza il coinvolgimento aterosclerotico della struttura vascolare può essere messo facilmente in evidenza
grazie all'indagine ultrasonografica. L'esame ecografico, in questo specifico contesto, consente la visualizzazione delle strutture
vascolari e, con l'ausilio della tecnica Doppler, in particolare, rileva alterazioni velocimetriche di flusso che confermano o meno la
presenza della stenosi aiutando, in tal caso, a quantificarne la severità. È una metodica a basso costo, non invasiva e facilmente
riproducibile, sebbene sia, come tutte le indagine ecografiche. anche operatore dipendente. La sonda emana un fascio di
ultrasuoni (US) che, attraversando i vari tessuti, viene da questi riflesso in relazione alla resistenza specifica che essi offrono, diretta
espressione delle loro proprietà strutturali. Gli echi riflessi e ricevuti da un sistema elettronico vengono da questo rielaborati e quindi
visualizzati al monitor in base alle diverse tonalità di gradazione del grigio che diventano così un'espressione sommaria del grado di
resistenza specifico offerto da ogni singolo tessuto e permettono, altresì, un rapido confronto: a titolo di esempio, si passa da
componenti fluide totalmente anecogene (es. sangue) a strutture compatte iperecogene (es. calcio}. La struttura vascolare
presenta, in sezione longitudinale, un aspetto caratterìstico "a binario": l'anecogenicità della corrente ematica spicca tra due linee
parallele dall'eco-genicità variabile rappresentate dai versanti opposti della parete; ciascuno di essi è, poi ulteriormente suddivisibile
in lamine parallele di ecogenicità differente che riflettono l'ordinata ripartizione in tuniche parietali. Lo "spessore intima-media" è lo
spazio compreso tra le interfacce ad ecogenicità maggiore media-avventizia e lume-intima; esso corrisponde, dunque, per
definizione, al versante più interno della parete vascolare ed è quello che per primo va incontro ad ispessimento qualora venga
interessato dal processo aterosclerotico.
Il rimodellamento strutturale può essere seguito in successive fasi di progressione fino alla formazione della placca
ateromasica vera e propria. In pratica, nonostante queste trasformazioni di parete possano coinvolgere qualsiasi struttura vascolare
arteriosa dell'organismo, il distretto carotideo presenta livelli tali di sensibilità/specificità e facilità di accesso e misurazione da
essere considerato un attendibile parametro di monitoraggio (6-24). In accordo alle Linee Guida ESH-ESC (European Society
Hypertension-European Society of Cardiology) del 2007 sulla gestione del paziente con Ipertensione Arteriosa (25), lo spessore
Ìntima media è normale se inferiore a 0,9 mm; tra 0,9 e 1,5 mm si considera come IMT aumentato, se superiore a 1,5 mm
identifica una PCA. Un'acquisizione accurata e un'analisi affidabile della immagini carotidee sono requisiti importanti per potere
confrontare i risultati dei vari studi epidemiologi e clinici nel mondo. La Consensus Conference di Mannheim sull'ictus (20042006) ha preso in considerazione la standardizzazione delle tecniche di misurazione dei parametri ultrasonografici carotidei (26).
La standardizzazione di tali metodologia è, del resto, un requisito fondamentale per studiare validamente l'impatto dei fattoti di
rischio (FR) e migliora il potere degli studi clinici randomizzati potendo favorire la realizzazione di un completo database per indagini
statistiche più complesse come le metanalisi (26, 27). Ovviamente, trattandosi di una metodica operatore dipendente, come tutte
le metodiche che adoperano gli ultrasuoni, è di grande importanza che l'operatore che esegue l'esame ecocolorDoppler
abbia avuto un training adeguato in un Centro di riconosciuta competenza. Riguardo alla prevalenza di IMT nella popolazione e
alle differenze che possono esistere a proposito per diverse categorie di soggetti, è interessante il lavoro di Howard e coli, che, nel
1993 analizzando la coorte dello studio ARIC (Atherosclerosis Risk in Communities), hanno notato come l'ispessimento parietale
medio risultava compreso tra 0.5 e 1 mm in tutte le età, mentre poco meno del 5% dei partecipanti allo studio presentava valori
oltre i 2 mm. Quest'ultimo gruppo di soggetti presentava un maggiore ispessimento parietale a livello della biforcazione
carotidea piuttosto che a livello della carotide comune (ACC). I valori riscontrati a livello dell'ACC erano più variabili. La proporzione
di individui con maggiore ispessimento parietale era più grande alla biforcazione e più piccola all’ ACC e gli uomini avevano
maggiore ispessimento rispetto alle donne. L'incremento correlato all'età dell'lMT medio era maggiore alla biforcazione per
entrambi i generi, maggiore per gli uomini nell'arteria carotide interna (ACI) e simile in entrambi i sessi a livello dell'ACC. Da queste
stime fornite per i percentili di ispessimento parietale gli autori pensano di potere ricavare utili normogrammi per età, razza e genere
(28).
Con l'età, il normale aspetto ecografico della parata arteriosa si modifica e si verifica un ispessimento uniforme, soprattutto nei
segmenti vascolari rettilinei. In queste circostanze, l'ordinata organizzazione in tuniche parietali è alterata da processi di proliferazione
cellulare che vanno meglio definiti sotto il nome di Arteriosclerosi. A queste modificazioni, frutto del fisiologico invecchiamento vascolare,
può sovrapporsi la malattia aterosclerotica con le trasformazioni strutturali specifiche che essa determina. In quest'ottica, l'IMT
acquisisce, allora, un significato specifico perché rappresenta la manifestazione "anatomica" diretta di un cambiamento vascolare
che, se correttamente interpretato, diventa spia precoce di danno aterosclerotico. Da una sintesi attenta e ragionata nasce
allora la corretta interpretazione del dato che diventa, per il medico, "arma vincente" con cui combattere la malattia. Se l'immagine
ecografica è la visualizzazione diretta della parete del vaso, l'IMT è il segno che "qualcosa comincia a cambiare" nelle sue normali
caratteristiche e l'aspetto più interessante è che tutto questo significa potere intervenire in una fase iniziale della malattia e
potere raggiungere uno degli obiettivi prioritari della medicina di oggi ovvero la precocità della diagnosi e quindi la prevenzione degli
eventi cardiovascolari.
L'indagine ultrasonografica dell'arteria carotide prevede la visualizzazione della carotide comune (ACC), della sua biforcazione e
dell'ACI e dell'arteria carotide esterna (ACE). Le tecniche ultrasonografiche impiegate sono in continua evoluzione e forniscono,
oggi, risoluzioni spaziali sempre migliori. Sebbene oggi si discuta sulla superiorità dell'immagine tridimensionale rispetto a quella
bidimensionale e si disponga di tecnologie assolutamente all'avanguardia è superfluo ricordare che una corretta esecuzione tecnica
è fondamentale in qualunque tipo di approccio ecografico. La misurazione dell'IMT è ottenuta con maggiore facilità in un'area libera
da eventuali placche dove è più semplice individuare l'aspetto "a doppia linea" della parete vascolare. Questo tipo di approccio rende
le misurazioni più facili, più accurate e riproducibili e può essere standardizzato da analisi computerizzate. Le lesioni ateromasiche
più avanzate (placca, stenosi, occlusione) presentano caratteristiche ultrasonografiche specifiche che ne consentono una rapida
identificazione a prescindere dalla coesistenza o meno di ispessimento parietale.
Tuttavia, esistono condizioni intermedie tra IMT aumentato e formazione della placca vera e propria che non sempre risultano di
facile identificazione all'indagine ultrasonografica. Tali condizioni sono comuni in corrispondenza di sedi precise come la
biforcazione dell'ACC e l'origine dell'ACI, mentre solo occasionalmente si osservano nell'ACC. Importanti evidenze
epidemìologiche hanno mostrato che sebbene sia l'IMT che la PCA siano correlati entrambi ai comuni FR, la storia naturale e il
significato prognostico sono differenti. Gli autori del documento di consenso raccomandano le seguenti definizioni per la
caratterizzazione ultrasonografica dell'IMT e della PCA (26):
• IMT è ecograficamente caratterizzato da un pattern a doppia linea per entrambe le pareti dell'arteria carotide comune in
sezione longitudinale. Ciascuna parete arteriosa è formata da due linee parallele formate dalla maggiore ecogenicità delle due
barriere anatomiche: l'interfaccia lume-intima e quella media-avventizia.
• La placca è una lesione focale che protrude verso il lume vascolare per almeno 1,5 mm o per oltre il 50% del restante spessore
parietale, o ancora, che dimostra un ispessimento >1,5 mm tra l'interfaccia lume-intima e quella media-avventizia.
Secondo numerosi studi l'IMT correla con l'età e la sua progressione è accelerata dalla presenza degli stessi FR noti per la malattia
aterosclerotica. Nel nostro studio sull'invecchiamento cardiovascolare (MURST-GESCO-CIFTI-4) abbiamo confermato queste
osservazioni (18) dimostrando una netta correlazione tra l'aterosclerosi carotidea e i FR, in particolare, l'ipertensione arteriosa, il
diabete mellito, il fumo di sigaretta, la dislipidernia. i fattori genetici ereditari (18). L'IMT, dunque, può essere certamente espressione
diretta dei cambiamenti relativi all'invecchiamento fisiologico ma anche di specifiche condizioni patologiche, come, nel caso
specifico, di manifestazione aterosclerotica. Un'enorme conferma scientifica proviene dagli studi epidemiologici, sia trasversali, sia
longitudinali, con follow-up di durata variabile, che hanno valutato, su ampie popolazioni, proprio la relazione esistente tra i singoli
parametri ecografìci di aterosclerosi carotidea e la presenza di FR cardiovascolari (29, 30). Mackinnon et al. (30) hanno analizzato
nel dettaglio, su 3.383 pazienti, la correlazione esistente tra i FR per l'aterosclerosi e la localizzazione delle lesioni correlate. Questo
gruppo di ricercatori ha dimostrato una progressione dell'lMT medio superiore a livello dell'ACI (0.032±0,109 mm/anno) rispetto a
quella della biforcazione (0.023±0,10S mm/anno) e dell'ACC (0,001+0,040 min/anno} (p <0,001) affermando, infine, che soltanto
la progressione dell'ACI-IMT risultava significativamente correlata con i FR in condizioni basali (età. genere maschile, ipertensione.
DM e fumo). In particolare, il tasso di progressione a livello dell'ACI piuttosto che dell'ACC esprimeva i maggiori cambiamenti di IMT e
le migliori correlazioni con i FR cardiovascolari. Le misure quantitative dell'IMT realizzate a livello dei segmenti più distali dell'ACC.
proprio in vicinanza del bulbo, oggi sono messe in relazione alla presenza di aterosclerosi, principalmente perché sono più spesso
associate alle manifestazioni cliniche della malattia (31-40). In altri termini, un incremento dell'IMT in questo segmento dell'ACC è
considerato indicatore di aterosclerosi nonostante esso sia ben distinto dalla PCA asintomatica che più spesso si forma in una
zona differente ovvero nel segmento prossimale dell'ACI (31).
Non c'è evidenza diretta che l'ispessimento parietale nell'ACC si sviluppi contemporaneamente alla PCA a livello dell'ACI.
Quest'ultima è legata ad un maggiore accumulo lipidico e può andare incontro più frequentemente a complicanze in fase avanzata
come erosioni, rotture ed emorragie intraplacca (41-44). Questi fenomeni possono essere fonte di ateroembolismo. responsabile
di un'elevata quota di Ictus silenti o sintomatici. Le trasformazioni osservabili a livello dell'ACC presentano invece un destino differente:
questa è la sede tipica di un ispessimento diffuso dovuto alla proliferazione delle fibrocellule muscolari lisce e all'accumulo di diverse
molecole circolanti anche a causa di alterazioni emodinamiche (45-47).
Queste due manifestazioni hanno un significato differente nel processo aterosclerotico e sicuramente non sono interscambiabili.
In un recente editoriale, Crouse ha commentato che: "alcuni degli aspetti che concorrono a definire il ruolo dell'ultrasonografia
B-mode pongono nuovi quesiti riguardo la definizione dell'aterosclerosi, la quantificazione di alcuni outcomes, le differenze
esistenti riguardo a misurazioni effettuate a livelli differenti dell'arteria carotide, il ruolo conferito per discriminare le differenze
esistenti tra i diversi campioni clinici, la distinzione precisa tra ispessimento parietale e diametro luminale e l'uso della parete arteriosa
carotidea come surrogato per malattia coronarica" (46-48).
La disfunzione endoteliale
Oggi risulta pienamente affermato il concetto che l'endotelio svolge un ruolo di protagonista indiscusso nell'omeostasi del sistema
vascolare, e una perdita o un'alterazione della sua attività si traduce in un disordine funzionale capace, in un lasso di tempo
relativamente breve, di determinare un totale sconvolgimento della struttura e della funzionalità del sistema arterioso: maggiore
permeabilità alle lipoproteine plasma-tiche, iperadesività dei leucociti del sangue, squilibri tra fattori prò e antitrombotici locali,
ridotta sintesi di fattori vasodilatori, espressione di molecole proinfiammatorie, di sostanze prò-ossidanti e di segnali di proliferazione,
etc., tutte manifestazioni riunite sotto il nome di "disfunzione endoteliale" (DE), ritenuta oggi il primum movens nella patogenesi
dell'aterosclerosi. Dal punto di vista clinico. la DE equivale alla mancata vasodilatazione ossido nitrico (NO) dipendente ed è
associata alla presenza dei classici FR per la cardiopatia ischemica sia nella microcircolazione che in arterie apparentemente
resistenti all'aterosclerosi come quella brachiale (Fig. 12). In passato, una valutazione della DE è stata ottenuta analizzando
"l'anomala" risposta vasocostrittrice alla somministrazione di acetilcolina (Ach) mediante puntura intrarteriosa diretta o durante le
procedure di angiografia coronarica. L'Ach è un importante stimolo diretto alla vasodilatazione, in presenza di una normale funzionalità
vascolare, perché essa induce il rilascio endoteliale di NO che è un potente agente vasodilatante. Viceversa, la presenza di
vasocostrizione immediatamente successiva alla somministrazione di Ach denota uno stato di alterata funzionalità endoteliale.
Recentemente è stata introdotta una tecnica di valutazione ultrasonografica, non invasiva. che valuta la dilatazione flusso-mediata
{FMD) a livello dell'arteria brachiale. Utilizzando una tradizionale sonda ad ultrasuoni (US) è valutato il diametro dell'arteria brachiale
in condizioni basali e subito dopo avere indotto una condizione di ischemia transitoria di 5 minuti dei tessuti dell'avambraccio,
mediante l'impiego di un bracciale pneumatico gonfiato ad una contropressione di 250 mm Hg, posto circa due centimetri sopra la
piega antecubitale. La differenza tra i diametri misurati dopo e prima l'induzione dell'ischemia fornisce una stima attendibile della
vasodilatazione endotelio dipendente innescata soprattutto dal rilascio di NO successivo allo stress indotto.
Una delle considerazioni più importanti da fare sulla DE riguarda la correlazione che sembra esistere con i tradizionali FR della
malattia aterosclerotica. È stata da tempo descritta una progressiva riduzione della funzionalità endoteliale con il progredire dell'età
(55-57); il meccanismo che ne sta alla base rimane sconosciuto, ma può essere relazionabile alla maggiore produzione di specie
reattive dell'ossigeno (ROS) che si osserva come fenomeno età-correlato (55). Nelle donne è, inoltre, specificatamente dimostrato un
declino della funzionalità endoteliale con l'età, specialmente dopo la menopausa (56).
Una condizione di ipertensione arteriosa sostenuta nel tempo riduce la FMD a livello periferico (58) e dei vasi coronarici (56, 57). Il
grado di DE dipende dalla severità e dalla durata dell'ipertensione arteriosa come indicato dal grado di ipertrofia ventricolare sinistra
(58-60). La relazione patogenetica tra disfunzione endoteliale ed ipertensione arteriosa non è chiara in ogni suo aspetto. Ci sono
evidenze che la DE possa anticipare e possibilmente contribuire a sviluppare ipertensione essenziale (59-63). Anche le analisi
condotte sulla coorte dello studio Framingham non hanno spiegato meglio se la DE sia una causa piuttosto che una conseguenza
dell'ipertensione o se. alternativamente, la FMD e i valori di pressione arteriosa sistolica siano associati ad un altro fattore come,
per esempio la rigidità arteriosa (64).
Nei pazienti affetti da diabete mellito è dimostrata una DE mediata da elevati livelli di glucosio. Meccanismi potenziali per spiegare
questo fenomeno includono la ridotta biodisponibilità di NO causata dal maggiore rilascio di ROS (65), fenomeni di autossidazione glucosio-mediati (66), attivazione della chinasi C (67, 68), formazione di prodotti terminali di glicosilazione avanzata
(69), riduzione dell'espressione di attività enzirnatiche come la NO sintetasi (70) e l'inattivazione chimica diretta dell'NO operata
proprio dal glucosio (71). Lo stress ossidativo a breve termine possibilmente gioca un ruolo nella DE glucosio-mediata. Infatti, il
pretrattamento con vitamine antiossidanti può correggere la compromissione della funzionalità endoteliale indotta
dall'iperglicemia (72-74).
Una compromissione della FMD può essere causata anche da condizioni di iperco-lesterolemia mentre non esistono
evidenze convincenti che attribuiscano un significato nocivo anche ad elevati livelli plasmatici dei trigliceridi (75-77). In
condizioni di ipercolesterolemia l'alterata risposta vasodilatante può derivare da un'inattivazione di NO mediata dai ROS
generati dalla presenza di lipoproteine a bassa densità (LDL) o particelle Lp (a) nello spazio subendoteliale e ridotta
produzione di NO limitata dalla carenza di substrati, etc.
La FMD è stata correlata anche al riscontro di obesità (78). La relazione patogenetica è sicuramente multifattoriale: include la
dislipidemia, elevati regimi pressori, presenza di infiammazione, stress ossidativo e variazioni nel metabolismo glucidico. La
conferma a tutte queste ipotesi patogenetiche è fornita dalla semplice osservazione che la riduzione del peso, associata ad
un'alimentazione corretta dal punto di vista qualitativo e quantitativo, migliora la FMD nei soggetti obesi. Tale miglioramento è
associato ad una riduzione delle concentrazioni plasmatiche di glucosio suggerendo che l'iperglice-mia anche in questo
contesto possa svolgere un certo ruolo patogenetico (79). Anche l'iperomocisteinemia è associata ad un'importante
compromissione della FMD. Sembra essere presente, in queste condizioni, una maggiore inattivazione di tipo ossidativo
di NO da parte dei ROS che si sono originati dall'auto-ossidazione dell'omocisteina e/o accumulati come conseguenza
dell'inattivazione mediata proprio dall'omocisteina degli enzimi antiossidanti o da una maggiore sintesi endoteliale di inibitori
endogeni di NO sintetasi.
In soggetti sani e senza FR per atcrosclerosi ma con condizioni lievi di iperomocistei-nemia (ad esempio >13 umol/L), l'acido
folico sembrerebbe ridurre le concentrazioni plasmatiche di omocisteina e migliorare la FMD. È stato scientificamente
dimostrato che pazienti con angina instabile presentano una ridotta FMD e il trattamento immediato della sindrome coronarica
acuta è seguito da una rapida riduzione della compromissione endoteliale (80-82). In pazienti con coronaropatia stabile, i livelli
di PCR sono correlati alla FMD nel senso che uno stato infiammatorio è associato ad una compromissione della integrità
endoteliale (83).
La FMD è influenzata anche da fattori ormonali come i livelli circolanti di estrogeni, progesterone e catecolamine. Sembra
anche che la privazione di sonno (84), lo stress mentale con aumento dei livelli circolanti di catecolamine (85), alcune fasi
specifiche del ciclo mestruale delle donne, possano compromettere la FMD (86). Recenti lavori hanno preso in considerazione
l'esistenza di un possibile ritmo circadiano della funzione endoteliale; Etsuda et al. (87) e Otto et al. (88) hanno dimostrato una
ben precisa variazione diurna della funzionalità endoteliale in giovani sani: (FMD: 8:00 am, 4,0%; 12:00 pm, 5,3%; 5:00 pm,
9,7%; 9:00 pm, 6.9%) conferendo notevole importanza alle considerazioni di chi si fa sostenitore, in letteratura, di una
standardizzazione dei tempi di misurazione. Per aggiungere altre informazioni, Title et al (89) e successivamente Plotnick et al
(90) hanno dimostrato un'attenuazione della FMD dopo carico di glucosio o grassi, fino a 3 e 4 ore rispettivamente. Anche
queste osservazioni confermano l'importanza di una corretta tecnica di misurazione: la dieta può compromettere l'attendibilità
della vantazione eseguita a breve distanza dal pasto. Un test eseguito in condizioni ottimali dovrebbe essere effettuato al mattino
(entro le 10) e ad almeno otto ore di digiuno. Per non compromettere l'attendibilità del test i pazienti dovrebbero evitare, nelle otto
ore precedenti la misurazione, l'assunzione di caffeina o altre sostanze stimolanti contenute negli alimenti e per le stesse motivazioni
non dovrebbero compiere sforzi fisici, non dovrebbero fumare e dovrebbero interrompere se possibile l'assunzione di tutte le
sostanze farmacologiche ad azione vasoattiva per un periodo di tempo sufficiente ad escludere la loro presenza nel sangue. La
misurazione dovrebbe essere eseguita in condizioni di massima tranquillità, al mattino e in ambienti con temperatura controllata di
22° C.
Non esistono differenze razziali riguardo le misurazioni della FMD (91). 11 basso peso alla nascita, viceversa, è associato ad una
compromissione della FMD che può spiegare una certa accelerazione del processo aterogenetico (92). Giovani adulti con
anamnesi familiare positiva per malattia coronarica aterosclerotica hanno una FMD compromessa anche in assenza di altri fattori
di rìschio (93) ed è dimostrato che questa alterazione è associata e correla con un maggiore ispessimento medio-intimale a livello
dell'ACC indicando precoci cambiamenti di ordine funzionale e strutturale a carico dell'endotelio proprio nella progenie dei pazienti
con aterosclerosi coronarica in giovane età (93. 94). Risultati simili sono stati osservati in relativi di primo grado di pazienti con Diabete
Mellìto di II tipo (95).
Anche fattori ambientali e il fumo passivo risultano correlati ad una compromissione della FMD.
Da quanto detto, una ridotta FMD risulta correlata alla presenza dei FR tradizionali per le malattie cardiovascolari nonché alla
malattia aterosclerotica a livello coronarico e periferico; quindi, può essere considerata un indicatore di aterosclerosi multifocale e di
estensione di malattia coronarica. Pazienti con dimostrazione di ridotta vasodilatazione flusso mediata dell'arteria brachiale
sviluppano un numero di eventi CV maggiore a lungo termine se paragonato a quello riscontrato in soggetti con normale
funzionalità endoteliale.
Queste considerazioni sono state ampiamente validate in soggetti appartenenti a categorie di rischio alto mentre evidenze
sempre più numerose lo propongono come strumento di valutazione attendibile anche nella popolazione a rischio intermedio.
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