Natura Nascosta n° 19 - Gruppo Speleologico Monfalconese

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Natura Nascosta n° 19 - Gruppo Speleologico Monfalconese
Natura Nascosta
Numero 19
Anno 1999
pp. 1 - 7
Figure 10
Il VINO CHE NASCE DAL MARE: I VIGNETI DEI COLLI ORIENTALI
CRESCONO SU DI UN FONDALE MARINO TROPICALE DI 50 MILIONI
DI ANNI FA
A vine born from the sea: the vineyards of the Colli Orientali (Friuli, NE
Italy) grow on a tropical sea bottom 50 millions of years old
Fabio M. Dalla Vecchia
Scritto e dedicato a Raffaele Tomat nel giorno del suo 60° compleanno
Abstract - The Colli Orientali, litterally theEastern Hills, is a part of the Friuli-Venezia
Giulia Region of NE Italy known all over the world for its rare vines (Refosco, Cabernet,
Pinot, Tocai, Picolit etc). The quality of the vines are due to the soil which originated from
marls and sandstones (Flysch) formed in a deep sea basin of Eocene age (about 50 m.y.a.).
The Flysch sometimes contains levels rich in fossils. In particular, the locality of Russiz is
rich of corals and other reef organisms, fallen down the slope of the basin from the margins
of the Friuli carbonate platform where the coral reefs developed.
I Colli Orientali sono una zona del Friuli nota in tutto il mondo per la
produzione di vini pregiati.
Pochi però sanno che la produzione vitivinicola, così importante per l’economia
della zona e per il palato degli intenditori, è strettamente legata alle condizioni
geologiche del suolo ove la vite può crescere.
Questa pianta, infatti, al pari del castagno, vive solo su suoli silicei («acidi»),
cioè cresce e prospera sulla terra derivata da rocce formate da minerali di silicio e
non attecchisce sull’altro grande gruppo di suoli, quelli carbonatici («basici»),
derivati dalle rocce carbonatiche, ricche quindi di carbonato di calcio.
L’Italia del Nord è una delle regioni della Terra più ricche di rocce carbonatiche
(calcari e dolomie), basti pensare alle Dolomiti e, in Friuli, alle Prealpi Carniche,
Carso e colle di Medea.
Tuttavia, i Colli Orientali, ultima propaggine meridionale del sistema montuoso
Alpino-Dinarico prima della Pianura Friulana e del mare Adriatico, sono formati da
rocce a composizione prevalentemente silicea (quindi ottimale per vite e castagno).
Si tratta di alternanze più o meno fitte di strati rocciosi verdi, grigio-piombo,
grigio-azzurro o marroncino (talvolta giallastri sulla superficie) friabili, e strati più
sottili e resistenti, esternamente di colore giallo, marrone o arancione-rossastro (fig.
1). Le rocce che costituiscono gli strati teneri si chiamano marne (dall’omonima
regione della Francia), quelle che formano gli strati duri (noti in friulano con il
nome di saldàn) sono le arenarie ed hanno una struttura più grossolana.
Le alternanze di marne e arenarie che affiorano nei Colli Orientali hanno uno
spessore complessivo di centinaia di metri, continuano quindi in profondità sotto la
superficie topografica. Questo spesso corpo roccioso deriva da fanghi (le marne) e
sabbie (le arenarie) depositati su di un fondale marino circa 55-45 milioni di anni fa
durante l’intervallo del tempo geologico chiamato Eocene. Cinquanta milioni di
anni fa la geografia del Friuli era totalmente diversa da quella attuale. Non c’erano
nè montagne nè colline e il paesaggio era dominato dal mare.
Fig. 1 - Il Flysch, alternanze di marne (tenere) e arenarie (strati più duri).
Tutta una zona a forma di fascia, orientata NNO-SSSE a partire dal Gemonese
per finire sul Carso, era una depressione marina profonda (bacino) (fig. 2). In
questa depressione si depositavano per decantazione i fanghi fini, messi in
sospensione da correnti marine e tempeste o portati dai fiumi.
Ogni tanto, un terremoto o un uragano faceva franare dai margini del bacino
sino sul fondo le sabbie che costituiscono gli strati di arenarie. Talvolta, anche
sedimenti più grossolani come le ghiaie, potevano franare e depositarsi al fondo. Vi
erano inoltre dei delta fluviali che, progradando da NNE verso SSO (fig. 2),
tendevano a colmare il bacino con ghiaie, sabbie e fanghi. Tutti questi sedimenti
provenivano dall’erosione delle Alpi che stavano iniziando a formarsi più a nord e
a est. Durante i maggiori eventi tellurici anche parti dei fianchi del bacino
franavano, formando accumuli -potenti decine di metri - di grandi blocchi rocciosi
che raggiungono anche dimensioni di 40x30 metri. Una di queste megafrane si
osserva nella cava Italcementi di Vernasso, vicino a Cividale del Friuli.
L’accumulo di strati sopra altri strati e la successiva compattazione e
cementazione, ha trasformato i sedimenti in rocce e ha portato - in milioni di anni al colmamento del bacino marino.
Fig. 2 - Schema paleogeografico del Friuli orientale di circa 50 milioni di anni fa.
1) Aree emerse, 2) aree sottomarine direttamente influenzate dai delta fluviali, 3-4) aree
bacinali (4: aree bacinali più profonde), 5) piattaforma carbonatica Friulana. Da PIRINI
RADRIZZANI et al. (1986).
Fig. 3 - Le colline nei dintorni di Russiz superiore, costituite dal Flysch, coltivate a vigneto.
La depressione marina in cui si depositavano fanghi, sabbie e ghiaie era bordata
a sud (in una area che ora è coperta dalla pianura Friulana, formatasi 12.000 anni fa
dallo scioglimento dei ghiacciai, ma questa è un’altra storia...) da un zona piatta di
mare basso, chiamata piattaforma carbonatica Friulana (fig. 2), coperta da scogliere
coralline e più o meno simile alla barriera corallina australiana attuale. Cinquanta
milioni di anni fa la nostra regione si trovava più a sud di adesso e il clima era di
tipo tropicale.
Le potenti successioni di strati rocciosi derivate dal colmamento del bacino
(note col nome di Flysch) vennero successivamente coinvolte nell’innalzamento
della catena montuosa Alpino-Dinarica, causato dallo scontro tra continente
Africano e continente Euroasiatico. Le rocce vennero quindi compresse, piegate,
innalzate, ribaltate a formare le attuali montagne e colline (fig. 3). Dai margini
della piattaforma Friulana, cinti dalle scogliere coralline, franavano giù lungo i
fianchi e sul fondo del bacino anche gli scheletri e i gusci degli organismi che
vivevano nella scogliera. Nei Colli Orientali vi sono località fossilifere classiche,
note sino dal secolo scorso, come Noax, Casali Otellio, Rocca Bernarda, Buttrio e
Russiz. Nelle prime tre località si rinvengono soprattutto resti di conchiglie
(gasteropodi, bivalvi) e coralli. A Buttrio si trovano per lo più ricci di mare. Nelle
colline di Russiz (fig. 3), tra i vigneti, abbondano i resti dei costruttori delle
scogliere: coralli (sclerattinie, ottocoralli, idrozoi, figg. 4-7) e alghe calcaree. Si
osserva persino un enorme blocco calcareo di parecchi metri cubi (si veda
MADDALENI, 1997, fig. 4), incastonato tra le marne e le arenarie, che rappresenta
un pezzo di scogliera franato per centinaia di metri se non chilometri dai bordi del
bacino sul fondo. Tra gli organismi marini che si trovano fossilizzati vi sono inoltre
gasteropodi (fig. 8), bivalvi, resti di ricci di mare, spugne, briozoi, vermi incrostanti
a testimoniare una eccezionale ricchezza di forme di vita. Dappertutto sono comuni
i gusci - a forma di lenticchia o monetina (fig. 9) - di organismi unicellulari
chiamati nummuliti (dal latino nummus, che significa proprio moneta) e tipici di
quell’intervallo di tempo geologico (si estinsero circa 35 milioni di anni fa).
Lo stato di conservazione dei fossili di Russiz è eccezionale: si possono
osservare tutti i dettagli degli scheletri calcarei di organismi vissuti 50 milioni di
anni fa e per un momento, chinandosi a terra per raccogliere questi fossili, si ha la
sensazione di trovarsi in riva ad una spiaggia del Mar Rosso piuttosto che su di una
collina in Friuli.
Quando vi assaporate un Refosco dal Peduncolo Rosso (fig. 10) o un Tocai
Friulano dei Colli Orientali, meditate: quel vino ha una radice vecchia di 50 milioni
di anni.
Fig. 8 - Gasteropodi, Russiz superiore. L'esemplare a sinistra è "incrostato" da un corallo.
Fig. 9 - Nummuliti, Russiz superiore.
Fig. 10 - Una bottiglia di Refosco e un gasteropode di Russiz superiore.
Opere citate
M ADDALENI P. (1997) - I coralli di Russiz nel Collio orientale (Luteziano inferiore,
Gorizia, Italia Nord-orientale). Gortania, v. 19, pp. 61-84.
PIRINI RADRIZZANI C., TUNIS G. & VENTURINI S. (1986) -Biostratigrafia e paleogeografia
dell'area sud-occidentale dell'anticlinale M. Mia - M. Mataiur (Prealpi Giulie.). Riv. It.
Paleont. Strat., v.92(3), pp.327-382.
Natura Nascosta
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Anno 1999
pp. 8 - 9
Figure 1
L’ESPOSIZIONE PALEONTOLOGICA DELLA ROCCA DI
MONFALCONE
Michela Edalucci e Matteo Duca
Si ritiene che la Rocca (fig. 1) sia stata edificata attorno al 490 d.C. con il nome
originario di Verruca Montis Falconis (la traduzione è “sommità del monte
Falcone”). Essa ha resistito fino ai giorni nostri aiutata dal restauro e ora è affidata
dal Comune di Monfalcone alle cure del Gruppo Speleologico Monfalconese
A.d.F. che vi ha allestito al suo interno l’attuale esposizione paleontologica.
La parte espositiva è costituita da due sale: una inferiore e una superiore.
Incominciando dalla prima sala, la vetrina a sinistra (n. 1) fornisce una spiegazione
generale su cosa sono i fossili, come si sono formati e a quali intervalli del tempo
geologico risalgono. La vetrina n° 2 introduce, con raffigurazioni molto semplici e
dirette, il processo di fossilizzazione, sottolineando le continue “metamorfosi”
della crosta terrestre. Il processo di fossilizzazione vero e proprio viene illustrato
nella vetrina n° 3, dove troviamo un’interessante ricostruzione al riguardo. La
vetrina n° 4 fornisce, quindi, una chiara spiegazione del significato e degli scopi
della Paleontologia. Nella vetrina n° 5 troviamo una ricostruzione schematica dei
principali ambienti di sedimentazione e fossilizzazione, effettuata mediante
illustrazioni riassuntive.
Le vetrine successive delle sale 1 e 2 espongono i reperti delle più importanti
località fossilifere del Triveneto e dell’Istria, con ampie testimonianze della flora e
della fauna fossile del Carso e del Friuli.
Come si può dedurre da questa breve guida, il pregio principale dell’esposizione
è la sua semplicità e chiarezza nel descrivere i fenomeni geologici, nello spiegare
che cos’è un fossile e come si è formato e nel fornire una descrizione sintetica dei
fossili esposti, dei quali è riportata la determinazione, la provenienza e l’età.
L’esposizione, inoltre, è ricca di illustrazioni a colori e di fotografie che lo rendono
adatto alla visita dei bambini accompagnati dai genitori. La famiglia può decidere
per una piacevole passeggiata domenicale nel verde del Carso e giungere fino alla
Rocca. Una volta arrivati, oltre a godere del magnifico panorama sulla città di
Monfalcone e sul Golfo di Panzano, si può entrare nella Rocca e vedere
l’esposizione. L’entrata è gratuita, perciò il legame tra utile e dilettevole qui non ha
alcun impedimento (se non vogliamo addentrarci nello spinoso problema delle
barriere architettoniche e di quelle socio-culturali dei visitatori…e dei bagni
evanescenti).
Nonostante ciò i visitatori sono pochi. Per quale motivo?
Durante uno dei turni di apertura dell’esposizione sono state poste ai fruitori
delle domande per tentare di chiarire i motivi della poca affluenza. Dalle risposte è
emerso che la maggior parte di loro non aveva alcuna idea della presenza del
l’esposizione paleontologica allestita all’interno della Rocca. Chi ne era al corrente
invece si lamentava che fosse spesso chiusa. D’altra parte, il Gruppo Speleologico
A.D.F. di Monfalcone opera il possibile per far conoscere il suo impegno culturale
con il programma didattico nelle scuole, con gli stands occasionalmente allestiti e
con il rilascio dei volantini sui quali, per altro, è indicato anche l’orario di apertura
dell’esposizione della Rocca (giorni festivi maggio - luglio 10-12 e 16–19 e
settembre – aprile 10-12 e 14-17), ma evidentemente tutto ciò non basta.
Questo articolo forse non sarà sufficiente, ma è un altro piccolo contributo nel
tentativo di risvegliare l’interesse di un potenziale futuro visitatore.
Infine, un piccolo monito: se egli fosse di nazionalità diversa da quella italiana
potrebbe avere qualche difficoltà a capire le didascalie e gli schemi, riportati solo
in italiano (questo purtroppo è già successo). Speriamo, allora, che prossimamente
ci possa essere un rinnovamento in tal senso e così anche noi avremo fatto un
piccolo passo in avanti nei confronti dei nostri affezionati visitatori stranieri.
Fig. 1 - Veduta della Rocca di Monfalcone, sede espositiva del Museo.
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Figure 13
THE FOSSILS OF THE CRETACEOUS LAGERSTÄTTE OF POLAZZO
(FOGLIANO-REDIPUGLIA, GORIZIA, NE ITALY)
Davide Rigo
Abstract - The fossils of the Lagerstätte of Polazzo (Fogliano-Redipuglia, NE Italy),
represented mainly by fishes, are here briefly described. They are found in the “Calcari di
Aurisina” representing deposition in an inner carbonate platform setting and their
age is early Senonian (Late Cretaceous).
Riassunto - Sono brevemente descritti i fossili, rappresentati principalmente da pesci, del
Lagerstätte di Polazzo (Fogliano-Redipuglia, NE Italy). I livelli fossiliferi, datati al
Senoniano inferiore (Cretaceo superiore) si trovano nei “Calcari di Aurisina”, formatisi
in un ambiente di piattaforma carbonatica interna.
Key words: Lagerstätte, Cretaceous, Fishes, NE Italy.
Introduction
The presence of fossil fishes in the Cretaceous limestones around Polazzo was
firstly reported by STACHE (1889) and D’ERASMO (1912, 1946, 1952) described
remains from this area. During the 70’s the accidental discovery of other fossil
remains awoke the interest on the site and, at the end of the 80’s, led to the
discovery of a relatively rich fossiliferous outcrop (outcrop A). Under the direction
of Prof. Nevio Pugliese (University of Trieste) excavations were made between
1990 and 1993. During this field work more than 750 specimens, mainly fishes,
were collected. Another outcrop (B), placed about 500 metres SW from the first
one, was excavated beginning during 1996-199. Some hundred of specimens were
collected. All the fossils are now deposited at the Museo Paleontologico Cittadino,
Monfalcone (Gorizia).
Site setting
The little village of Polazzo is situated near Fogliano-Redipuglia (Gorizia) in the
southern borders of the Karst. The site is included in the following topographic
maps: Tavoletta 1:25000 40a IV Sud Ovest of the Istituto Geografico Militare and
in the Carta tecnica Regionale, sezione 088100 Sagrado, elemento 088102
Fogliano-Redipuglia. The first outcrop is placed near a forest road that leads to the
village of Doberdò del Lago, 77 m above sea level, near an oil pipeline.
Geological setting and stratigraphy
Recently BERNOULLI et alii (1996) suggested a palogeographic reconstruction
of the Late Cretaceous Periadriatic region as it was constituted by three bahamiantype carbonate platforms, separated by deep basins. Rudist reefs were widespread
on these platforms, giving rise to internal shallow lagoons (TINTORI et alii, 1993).
The main lithology in the Polazzo area consists in limestone rich in rudists and
microfossils, while the Lagerstätte interval is made up of thinly laminated
limestones, light grey-brownish colored with stromatolite-like structures.
According to MARTINIS (1962) the interval is included in “Calcari di M.te
S.Michele” unit (Cenomanian-Maastrichtianian), while TENTOR et alii (1994) set it
in “Calcari di Aurisina” (Turonian-lower Senonian). The presence of the
foraminifer Moncharmontia apenninica just below the fossiliferous interval, and of
Accordiella conica and Sgrossella partenopea at the top of it suggests that this
should be considered as early Senonian in age (TINTORI et alii, 1993).
Fossils
The fossil association is made up of vertebrates (fishes and rare reptiles), rare
benthic invertebrates, algae and land plants.
VERTEBRATES
Osteichthyes
Pycnodontiformes (figs. 1- 2)
Pycnodonts are relatively common in the Polazzo ichthyofauna. They are found
mainly as fragments of jaws with teeth, but at least one well preserved specimen
(fig. 1) is present in the 1990-93 collection from the first site, showing the typical
body shape and teeth. These specimens were provisionally attribuited to the genus
Coelodus, distinguishing a “form A” from a “form B” (RIGO , 1998). During 199899 field work in the site B, many new specimens were found. They suggests that all
the specimens could belong to another genus. Pycnodonts lived along the reef
feeding on corals and calcareous algae that thrived among the rudists (TINTORI et
alii, 1993).
Anguilliformes? (fig. 3)
Part of the body of a possible eel has been found and, if the identification is
correct, it could be the oldest Italian specimen of this kind of fish.
Aulopiformes: Enchodontoidei: Enchodontidae: Enchodus?
Some fragmentary specimens (fig. 4) were provisionally attribuited with doubt
to this large predator.
Aulopiformes: Ichthyotringoidei: Dercetidae: Rhynchodercetis
The elongated rostral region and the double transverse process in dorsal
vertebrae permit an easy identification of this genus (figs. 5- 6). Rhynchodercetis is
the most common fish in the site and specimen of very different size have been
found (see figs. 5- 6). It was a fast predator who swam on the water surface to
capture its preys.
Gonorhynchiformes: Chanoidei: Chanidae: Parachanos?
Some fragmentary specimens (fig. 7) have been provisionally attribuited to
Parachanos but the material is not sufficient to give a certain attribution.
Cypriniformes? (fig. 8)
At least two different forms of little fishes have been found. Gloria Arratia
(Museum of Natural History, University of Kansas; pers. comm.) suggested a
possible attribution of them to the order Cypriniformes. Cypriniformes are usually
considered fresh water fishes.
Beryciformes (fig. 9)
Also in this case two different forms have been distinguished. The specimens
can be identified as different from other small fish of the same group, by the
presence of some spines in the dorsal fin.
Reptiles
Chelonia (fig 10)
The presence of turtles in Polazzo is testified to by scattered fragments of
carapaces and plastrons, appendicular, axial and girdle bones.
Crocodylia
A single tooth has been found in the outcrop A. Two possible crocodile teeth
are found in the site B.
INVERTEBRATES
Arthropoda
Decapoda
A few parts of the abdominal segment of shrimps were found.
Mollusca
Bivalvia:Hippuritacea
Few fragments of rudists were found in the outcrop A.
ALGAE
cfr. Phaeophyta (fig. 11)
Large ramified specimens without any clear structure (e.g. spicules) and possibly
belonging to brown algae were collected in the outcrop A. Some centimeter-long
fragments of undetermined algae are characterized by light alveolar structures on
the thallus.
PLANTS
Gymnosperma
All plant remains are preserved as light marks without any kind of structure.
Branches of Coniferales (cf. Sequoia, fig. 12) and Araucariaceae are found in the
site A.
Possible Dicotyledonae (little oval leaves) are present too.
Fig. 1 - Pycnodont (Coelodus "form A" of RIGO , 1998).
Picnodonte (Coelodus "forma A" di RIGO, 1998).
Fig. 2 - Pycnodonts from the outcrop B.
Picnodonti dell’affioramento B.
Fig. 3 - Possible eel from the outcrop A. Scale bar centimetric.
Possibile anguilla rinvenuta nell’affioramento A. Scala di riferimento centimetrica.
Fig. 4 - Fragmentary specimen of ?Enchodus, site A. Scale bar centimetric.
Esemplare frammentario di ?Enchodus, sito A. Scala di riferimento centimetrica.
Fig. 5 - Rhynhodercetis sp. from the outcrop B.
Rhynhodercetis sp. dall’affioramento B.
Fig. 6 - Rhynchodercetis sp., small, probably juvenile specimens from the outcrop B.
Rhynchodercetis sp., piccoli esemplari, probabilmente giovanili dall’affioramento B.
Fig. 7 - ?Parachanos sp. from the outcrop A.
?Parachanos sp. dall’affioramento A.
Fig. 8 - A possible Cypriniformes from the outcrop A. Scale bar centimetric.
Un possibile Cypriniformes rinvenuto nell’affioramento A. Scala di riferimento
centimetrica
Fig. 9 - Beryciformes from both outcrops.
Beryciformes trovati in entrambi i siti. Scala di riferimento centimetrica.
Fig. 10 - Chelonia, armour plates and humerus, outcrop A. Scale bar centimetric.
Chelonia, piastre del carapace e omero, affioramento A.
Fig. 11 - Probable brown algae (cfr. Phaeophyta), outcrop A.
Probabili alghe brune (cfr. Phaeophyta), affioramento A.
Fig. 12 - A conifer branch (cfr. Sequoia), outcrop A.
Un ramo di conifera (cfr. Sequoia), affioramento A.
Fig. 13 - Strange, net-shaped ichnofossils, putcrop B.
Curiosi icnofossili a forma di rete, affioramento B.
References
BERNOULLI D., A NSELMETTI F.S., EBERLI G.P., M UTTI M., PIGNATTI J.S., SANDERS D.G.K.
& VECSEI A. (1996) - Montagna della Maiella: the sedimentary and sequential evolution of
a bahamian-type carbonate platform of the south-tethyan continental margin. Mem. Soc.
Geol. It., v. 51(3), pp. 7-12.
D’ERASMO G. (1912) - Il Saurorhamphus Freyeri Heckel degli scisti bituminosi cretacei del
Carso triestino (Comen, Malidol e Vucigrad). Boll. Soc. Adriat. Sc. nat. Trieste, v. 36 (I),
pp. 45-88.
D’ERASMO G. (1946) - L’ittiofauna cretacea dei dintorni di Comeno nel Carso Triestino.
Atti R. Acad. Sci. Fis. Mat. Soc. Re. Napoli, II, ser. 3, v. 8, pp. 136.
D’ERASMO G. (1952) - Nuovi Ittioliti cretacei del Carso Triestino. Atti Mus. Civ. Stor. nat.
Trieste, v. 18(4), pp. 81-122.
M ARTINIS B. (1962) - Ricerche geologiche e paleontologiche sulla regione compresa fra il
T. Judrio e il F. Timavo. Riv. It. Paleont. Strat., Mem. 8, pp. 1-200.
RIGO D. (1998) - Il Lagerstätte cretacico di Polazzo (Fogliano-Redipuglia, Gorizia).
Università degli Studi di Trieste, tesi di laurea inedita, pp. 150.
STACHE G. (1889) - Die liburnische Stufe und deren Grenz-Horizonte. Erste Abteilung.
Abh. K. K. Geol.Reich., v. 13, pp. 1-170
TENTOR M., TUNIS G. & VENTURINI S. (1994) - Schema stratigrafico e tettonico del Carso
Isontino Natura Nascosta, v. 9, pp. 32.
TINTORI A., PUGLIESE N. & CALLIGARIS R. (1993) - The Polazzo Locality. In: Fossil fish
localities of Northern Italy, a cura di TINTORI A. & MUSCIO G., Field trip guide book Mesozoic Fishes Symp osium: Systematics and Paleoecology, August 1993, pp. 17-18.
Natura Nascosta
Numero 19
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Figure -
FUNZIONI E CARATTERISTICHE DI UN MODERNO MUSEO
NATURALISTICO
Fabio M. Dalla Vecchia
Le funzioni di un museo moderno sono:
1) Conservazione delle collezioni
2) Ricerca scientifica nel proprio ambito disciplinare
3) Divulgazione
Alla conservazione , per quanto riguarda un museo paleontologico, viene data in
Italia una importanza particolare in quanto i fossili sono beni indisponibili dello
Stato, secondo l’art. 1 della legge 1089/1939. Il Museo è quindi il luogo ufficiale di
deposito e di cura di parte del patrimonio (inventariato) dello Stato. La
conservazione richede, oltre alle norme di protezione e tutela, anche la
numerazione, registrazione, inventariazione ed eventualmente, schedatura dei
reperti. Questo riguarda sia il materiale già presente nelle collezioni al momento di
istituzione del Museo, sia i reperti che entrassero successivamente, per donazioni,
acquisizioni o campagne di scavo. Infatti nell’ambito della conservazione e
collegato con la funzione scientifica del Museo, bisogna considerare anche
l’incremento delle collezioni, secondo un ottica museologica e, quindi, in linea di
massima decisa “a tavolino”. L’incremento delle collezioni può avvenire secondo
acquisizioni tematiche (per esempio, un museo potrebbe mirare a specializzarsi sui
vertebrati quaternari oppure incrementare la collezione didattica) oppure attraverso
campagne di scavo. Quest’ultima soluzione riguarda soprattutto i musei legati ad
un territorio particolarmente ricco e interessante.
I reperti non oggetto di esposizione dovranno essere custoditi in appositi locali e
secondo criteri che ne garantiscano la corretta conservazione, prevedendo in
anticipo l’occupazione di spazio che i futuri incrementi richiederanno.
La seconda funzione riguarda lo studio e valorizzazione scientifica del
patrimonio del Museo o di reperti che abbiano qualche connessione con questo. La
pubblicazione in riviste specializzate dei risultati dei vari argomenti di studio è la
naturale via di espressione di questa funzione. La quantità e qualità delle
pubblicazioni da parte del personale di un Museo è un termometro della sua vitalità
scientifica. I fossili ottenuti nelle campagne di scavo dovranno essere preparati per
lo studio e anche l’esposizione negli appositi laboratori idoneamente attrezzati per
questa funzione. I laboratori saranno allestiti a norma di legge per tutelare la salute
di chi vi lavora. Una biblioteca specialistica, fornita delle opere indispensabili per
la ricerca e sempre incrementata a questo fine, è parte integrante di un Museo.
L’attività scientifica, la responsabilità e la cura delle collezioni dipendono dal
personale scientifico che opera nel Museo. Il buon funzionamento di questo
dipende da loro e dall’operato dell’ente gestore.
Lo “spessore” dell’attività scientifica di una istituzione museale, oltre a dare
prestigio allo stesso, ha una ricaduta sulla terza funzione, la divulgazione.
La divulgazione avviene mediante molteplici veicoli. Il principale, intrinseco al
Museo stesso e spesso confuso con esso, è l’esposizione permanente cioè le sale
espositive. La superficie espositiva e la sua qualità scientifica e museografica
riflettono l’importanza del Museo nonchè le ambizioni e le qualità organizzative
dell’ente gestore. Le sale espositive sono l’aspetto “pubblico”, l’immagine
permanente del Museo e quindi devono essere particolarmente curate, con un
progetto scientifico che parta da presupposti certi e con un “target” ben preciso.
Sarà principalmente l’esposizione permanente che farà dire al contribuente
“almeno i miei soldi sono stati spesi bene”. Seguendo certe tematiche, le sale
espositive possono diventare meta di visita da parte di un numero elevato di
persone ed essere, quindi, oggetto di sviluppo economico, come si dirà oltre. La
maggiore comprensione delle sale espositive potrà essere integrata da visite
guidate, prestazione fornita da personale appositamente istruito. Tuttavia, il Museo
moderno non è più quella pesante ostensione di oggetti tipico degli allestimenti
museali del passato (il “museo” nella sua accezione deteriore e tetra).
L’esposizione del reperto è oggi integrata da didascalie, disegni, fotografie, grafici,
modelli, ricostruzioni e sistemi informatici interattivi in modo da permettere
l’acquisizione del suo significato reale, al di là di quello di estetico “feticcio”.
Un altro veicolo divulgativo sono le pubblicazioni (anche su supporto
magnetico o in rete) atte a far conoscere il Museo, le sue attività e i risultati di tali
attività. A queste si affiancano le conferenze e i corsi, tenuti dal personale del
Museo o da specialiste esterni, che possono interessare il mondo della scuola così
come il semplice cittadino. A tal fine un Museo moderno possiede una capiente
sala conferenze, attrezzata per l’utilizzo di mezzi audiovisivi. Per le scolaresche si
possono attrezzare laboratori didattici, luoghi dove gli scolari imparano a
conoscere gli oggetti del Museo e il loro significato attraverso la manipolazione e
l’esperienza diretta.
Per ultime ma non ultime, ho tenuto le esposizioni temporanee. Esse sono il
modo più efficace per tenere vivo l’interesse della gente (soprattutto in ambito
locale) verso il Museo. Per queste bisogna individuare degli spazi espositivi ad hoc
e idonei allo spessore culturale delle iniziative e alle loro potenzialità di successo.
Le funzioni del Museo identificano da sè le necessità organizzative,
architettoniche e di spazi del Museo stesso. Uno squilibrio di una delle sue
funzioni, oltre a comportare in certi casi complicazioni legali, potrebbe
pregiudicare lo sviluppo delle altre.
Venendo al caso di un Museo Paleontologico a Monfalcone, a mio avviso non
vanno trascurate le potenzialità non solo culturali (che secondo il trend attuale
ricevono ben poca attenzione da parte di tutti e ne riceveranno sempre meno) ma
anche turistiche e di immagine per la Città, di un’esposizione museale ben
congeniata. Questo è stato capito per esempio a Lerici (La Spezia) dove è stato
realizzato una specie di “Parco” con le ricostruzioni dei dinosauri e di altri rettili
preistorici le cui testimonianze sono state rinvenute in Italia. Il “Parco” è allestito
all’interno delle sale di un castello e sono previsti 50.000 visitatori all’anno.
L’allestimento è stato realizzato attingendo ai finanziamenti CEE grazie
all’intraprendenza e perseveranza dei funzionari comunali. Esisteva comunque già
l’esempio di Bolca (VR) dove la presenza del Museo privato di Massimilano
Cerato e delle cave da cui vengono estratti i celeberrimi pesci fossili, attirano
decine di migliaia di visitatori da tutto il mondo e questo ha portato allo sviluppo
turistico di una zona altrimenti depressa e priva di attrattive.
Il Museo di Monfalcone ha a disposizione, per citare le cose più importanti, i
pesci e altri organismi fossili perfettamente conservati del giacimento di Polazzo
(85 milioni di anni), una vera rarità e una peculiarità locale di particolare interesse
scientifico; i resti delle scogliere coralline di 50 milioni di anni fa rinvenuti nel
Colli Orientali del Friuli; ossa dei mammiferi che popolavano il Carso 750.000
anni fa, tra i quali bisonti, rinoceronti, cervi giganti, cavalli, orsi, iene, tigri dai
denti a sciabola e il più antico resto di leone rinvenuto sulla Terra. Inoltre, vi sono i
calchi delle impronte di dinosauro dell’Istria, senza dimenticare che al Villaggio
del Pescatore è stato scoperto un giacimento di ossa di dinosauro che potrebbe
diventare una grande attrattiva.
Per favorire l’afflusso turistico e le visite al Museo si dovrebbe allestire una sala
dedicata ai dinosauri, partendo dallo spunto che i reperti istriani e quelli del
Villaggio del Pescatore ci danno. Quasi tutto il Carso è costituito da rocce che si
sono formate nell’era dei Dinosauri e a Polazzo potremmo trovarne i resti fossili.
Per attirare i visitatori, oltre alle ricostruzioni del Carso di milioni di anni fa e
dell’evoluzione del paesaggio fino ai giorni nostri, si potrebbero esporre le
riproduzioni degli scheletri di alcuni dinosauri e le ricostruzioni di altri. I dinosauri
sono noti a tutti, eccitano la fantasia della gente, soprattutto dei più giovani, e sono
un veicolo di promozione della cultura naturalistica, perchè non sono “fumetti” ma
animali veri e propri vissuti nel passato, testimoni di un passato diverso ed ora
estinti.
Infine, la collocazione di Monfalcone e dell’eventuale edificio museale sono
ideali per l’utilizzo a fini turistici del Museo, considerando la vicinanza della strada
statale - grande via del traffico vacanziero estivo e del fine-settimana,
dell’ampliando polo turistico di Marina Julia, di Grado e di una grande città come
Trieste, abitata da gente curiosa che ama “disperdersi” sul territorio e che risponde
- per tradizione mitteleuropea - alle iniziative culturali.
Natura Nascosta
Numero 19
Anno 1999
pp. 23 - 26
Figure -
PSICOLOGIA APPLICATA ALLE ATTIVITA’ DIDATTICHE
Giorgio Deiuri
Riassunto - L’iniziativa didattica comincia già prima dell’incontro con la classe
quando il conduttore è ancora solo e deve avere già preparato una scaletta di argomenti da
sviluppare e valutato per ogni argomento il livello delle proprie conoscenze. Si parla
quindi dell’arrivo della classe e della predisposizione psicologica positiva. E’ opportuno
valutare anche se la classe è calma o turbolenta adottando le opportune strategie che
verranno mantenute anche durante lo svolgimento dell’attività, cercando nel caso negativo
di riportare l’uditorio a un positivo interesse per l’argomento. L’importanza delle attività
divulgative sull’ambiente è in questi anni è stata ampiamente sottolineata. La divulgazione
viene richiesta anche ai gruppi speleologici soprattutto in merito al Carsismo. Tali attività
quando vengono svolte per le scuole possono essere ripetitive. E’ importante allora il
giudizio positivo o negativo da parte degli insegnanti. Emerge la necessità di avere alcune
conoscenze psicologiche che devono essere tenute sempre in considerazione per evitare il
fallimento dell’iniziativa o comunque un giudizio negativo. Vengono forniti suggerimenti
per operare in questo senso con successo.
I parte: ATTIVITÀ DIDATTICHE IN CAMPAGNA
Prima dell’incontro
I metodi per aumentare le possibilità di successo in un’attività didattica, sono la
valutazione dell’obbiettivo che si vuol raggiungere e la preparazione
dell’intervento. L’obbiettivo deve essere interpretato come la volontà di fare un
qualcosa di positivo, i mezzi per raggiungerlo e la dialettica. In pratica si tratta di
un auspicabile successo per chi lo fa. La preparazione deve contenere un numero di
argomenti adeguati al tempo a disposizione, comprensivo dell’introduzione, di una
sintesi, e del tempo per la merenda. Per quanto riguarda gli argomenti ci si prepara
valutando un argomento alla volta, chiedendosi se si sa svilupparlo bene oppure no.
Se si scopre di non saperlo valutare, allora è meglio lasciar perdere o darsi da fare
per migliorarlo, in quanto non è vero che il pubblico non sarà sufficientemente
maturo, capace di rilevare le vostre gaffes. Poi si passa al secondo argomento e così
via. Se durante la preparazione ci sovviene un nuovo argomento, bisogna valutare
se può essere compreso nella scaletta, altrimenti si rischia di doverlo esporre in
modo troppo conciso e quindi non assimilabile dagli uditori. n pratica la
preparazione equivale alla valutazione dei metodi/tempi.
Quando arriva la classe
Bisogna ignorare tutte le preoccupazioni di casa o del lavoro e concentrarsi
sugli aspetti positivi di ciò che si va a proporre, presentandosi all'appuntamento
sicuri di convincere.
Ad esempio:
•
dimostrare che si stava attendendo con ansia il loro arrivo (perché ciò facilita
l’empatia)
•
presentarsi (perché ciò facilita la sicurezza di sé)
•
sorridere (perché ciò facilita la comunicatività)
•
affermare che sarà una uscita piacevole e intelligente (perché ciò dispone alla
curiosità).
Le prime occhiate all’uditorio
E’ importante comprendere entro i primi 5 minuti il tipo di uditorio che si
deve affrontare, per scegliere la migliore strategia che deve comunque essere
flessibile. Se l’uditorio dimostra già insofferenza si usa una linea piuttosto dura, o
facendo finta di avere un senso di disagio e attendendo in silenzio che il gruppo
taccia (senza però polemizzare), o mettendosi sul fianco destro degli alunni più
indisciplinati e guardandoli (così si crea in loro un senso di soggezione). Poi
gradualmente si porta l’uditorio al coinvolgimento, magari con un sorriso.
L’inizio
Bisogna considerare che si deve coinvolgere il “branco” dapprima con l’offerta
di benefici verbali e poi con la richiesta di azioni verbali o operative. I benefici
verbali sono gratificanti per l’uditorio: ad esempio esponendo i brillanti risultati
ottenuti grazie alla presenza delle scuole (se non ci fossero, queste non si
potrebbero proporre), affermando che per noi e per loro l’uscita sarà anche
divertente oltre che istruttiva: insomma è importante far sentire tutti valorizzati e
contenti.
Il proseguo
Solamente dopo avere accontentato l’uditorio si può passare alle azioni di
richiesta verbali o operative proponendo, ad esempio, delle domande (che siano
naturalmente pertinenti all’argomento che si sta svolgendo) o coinvolgendolo in
brevi esperienze.
Attenzione
benefici
azioni
azioni = coinvolgimento positivo
benefici = coinvolgimento rischioso
Quando il gestore dell’attività parla molto e prende tutte le decisioni da solo, si
ottiene un gruppo gerarchizzato. In questo caso non è possibile ricevere una
comunicazione di ritorno da parte degli altri. E’ una situazione da evitare perché le
idee positive altrui vengono soffocate. Se ci si accorge di aver superato alcuni
minuti di questo atteggiamento è ora di cambiare..…e passare ad un tipo di
gestione collaborativa in cui il coordinatore potrebbe al limite solo indirizzare
l’attenzione della classe sugli argomenti che intende proporre e sorvegliare ciò che
gli altri fanno, operando come un punto di riferimento per domande e risposte.
Attenzione:
•
non dire cose per le quali mancano prove adeguate,
•
non farsi coinvolgere in domande che nulla hanno a che fare con l’argomento
in corso (per non deviare l’interesse),
•
cambiare spesso il tono della voce: forte e deciso per le cose importanti (i gesti
aumentano notevolmente l’efficacia di quanto si sta dicendo), seguìto da alcuni
istanti di silenzio per permettere agli altri di memorizzare, poi proseguire con
un tono più blando per le cose meno importanti,
•
c’è sempre chi fa domande più degli altri. Non bisogna attaccarsi a lui e
ignorare il resto del gruppo.
La conclusione
Se avanza tempo e se il gruppo è interessato, è utile concludere con una
breve sintesi. Se non c’è tempo o il gruppo dà sintomi di impazienza, è il caso di
evitare la conclusione, ma al momento del commiato è utile ringraziare, dire
sorridendo “mi auguro che sia stata un’esperienza piacevole ma soprattutto
intelligente……o no?” guardando dritto negli occhi e attendendo una risposta
II parte: LE PROIEZIONI
Ovviamente si tratta di un argomento più semplice da trattare (e anche più
veloce) per cui il coinvolgimento sarà sicuramente inferiore, però bisogna
comunque sempre ben disporsi.
Prima dell’incontro
Dopo essersi presentato, bisogna informare l’insegnante che si ha la necessità di
montare i proiettori, di provare la distanza di proiezione, di oscurare la sala e
quindi di attendere qualche minuto prima di presentare la classe (ciò vi offre una
buona occasione per non affannarvi inutilmente).
Quando arriva la classe
Vale quanto detto nella prima parte riservata alle uscite in campagna. Infatti,
non c’è alcuna differenza nell’atteggiamento positivo con cui uno deve presentarsi.
Prima della proie zione
Se l’insegnante non ha preparato la classe sull’argomento che dovrete
trattare (capita!), dovrete giocoforza farlo voi con delle sommarie spiegazioni
(preparatevi già un breve schema al riguardo). Comunque è utile esporre i tempi di
proiezione e anche comunicare che alla fine ci sarà il tempo per le discussioni, per
cui è utile annotarsi tutte le domande che man mano emergeranno ed è meglio
concentrarle alla fine.
La conclusione
Bisogna far passare qualche decina di secondi dalla fine della proiezione,
impegnandosi in una breve sintesi su ciò che si è mostrato e chiedendo alla fine le
osservazioni sul filmato (e non sulle situazioni personali perché ciò distoglierebbe
l’attenzione dall’argomento che si sta trattando). Sempre col viso rivolto alla
curiosità, se non ci sono domande (capita più frequentemente di quanto si possa
pensare) bisogna stimolare i ragazzi con domande del tipo “vediamo chi sa
rispondere, perché……….” e spaziare lo sguardo a destra e a sinistra. Per questo
bisogna avere già alcune domande pronte (avremo già preparato 2 o 3 domande).
Quando si raggiungerà il coinvolgimento non bisogna, comunque, privilegiare le
domande sempre degli stessi alunni perché si rischia di avere un rapporto
biunivoco, ingenerando una specie di sofferenza/antipatia verso gli altri alunni. Si
deve invece essere disponibili alle domande di tutti. Quando un occhiata
all’orologio ci fa capire che il tempo programmato sta scadendo, bisogna attendere
un momento di “stanchezza” nella classe e poi dire : “beh….spero con questo di
aver soddisfatto a tutte le vostre domande “ e cominciare (dopo alcuni secondi) a
muoversi verso i proiettori .
Ringraziamenti
Un sentito ringraziamento va alla dott. Simona Nardone per la lettura critica
del testo.
Bibliografia di riferimento
A LBERONI F. (1998) - Abbiate coraggio. Rizzoli, pp. XX, Milano.
BERTOLINO F. (1994) - Saper parlare in pubblico. De Vecchi, pp. XX, Milano.
CEPPELLINI S. (1991) - Ansia e stress . De Vecchi. pp XX,Milano.
POLMONARI A. (1995) - Processi simbolici e dinamiche sociali. Il Mulino, pp. XX,
Bologna.
REED S.K. (1989) - Psicologia cognitiva. Il Mulino, pp. XX, Bologna.
VIANELLO R. (1995) - Psicologia dello sviluppo. Junior, pp.XX, Bergamo.
A NONIMO (1980) - Come ottenere il consenso. Varriale Formazione s.r.l., pp. XX, Milano.
Natura Nascosta
Numero 19
Anno 1999
pp. 27 - 33
Figure 5
NUOVE ESPLORAZIONI ALL'INGHIOTTITOIO DI MINERES (422 FR)
Alessandro Zoff
Premessa
La Val d'Arzino è una realtà naturalistica posta pochi chilometri a nord del
comune di Clauzetto (PN). A questa valle, in un contesto molto selvaggio e intriso
di rigoglioso verde, fa da cornice lo svettare delle cime dei monti Pala (m 1231),
Cuar (m 1478) e Taiet (m 1369).
La piovosità media durante l'anno è molto elevata, l'umidità del luogo è molto
alta e abbondano i corsi d'acqua a regime torrentizio che a seconda del periodo
possono sparire o essere consistenti.
Questo contesto meteo-morfologico, abbinato a un terreno calcareo posto nella
parte altimetricamente più depressa della vallata, ha portato alla formazione
dell'inghiottitoio di Mineres: in pratica un grosso imbuto naturale creato dall'acqua
stessa erodendo la roccia, nel quale convergono gran parte dei torrentelli che
scendono dai monti circostanti.
Qui abbiamo deciso di allargare il nostro mondo conosciuto, il limite oltre al
quale c'è l'ignoto.
Per la maggior parte delle persone conoscere, vedere quello che nessuno ha mai
visto, non provoca nulla, non è un'emozione che vale la pena di essere vissuta. Per
noi "speleo" questa emozione racchiude l'essenza principale, la motivazione
magica e spronante dell'attività sotterranea.
Nuove vie verso l'alto
Sono passati ormai un paio d’anni da quando siamo andati la prima volta
assieme al Gruppo Triestino Speleologi all’inghiottitoio di Mineres (figg. 1-2). Da
quella prima volta ci siamo tornati spesso (l’ultima volta nel dicembre del 1998)
per completare l’esplorazione e il rilievo di nuovi rami trovati con l’impiego di
tecniche di risalita in artificiale (fig. 3).
Un torrente quasi invisibile che scendendo dal versante nord del monte Pala
nella stupenda Val d’Arzino, in prossimità dell’abitato (in verità molto poco abitato
visto che di solito non c’è anima viva) di Zattes, si “inabissa” in un bancone
calcareo andando a formare una serie di pozzi fino alla profondità massima di 76
metri.
In questo inghiottitoio abbiamo incominciato a lavorare unendo le nostre forze
con quelle del G.T.S. Le prosecuzioni erano sicure ed evidenti, bastava la volontà e
la disponibilità a passare qualche domenica a stretto contatto con l’acqua gelida.
Soprattutto nella parte più profonda della cavità le risalite da poter effettuare erano
potenzialmente interessanti.
Scesi due primi pozzi molto larghi e ancora raggiunti dalla luce esterna,
profondi uno 11 e l’altro 12 metri, si segue il corso dell’acqua in una bassa e stretta
galleria piena per quasi metà altezza: già qui (e siamo solo all’inizio) l’acqua gelida
che ti entra negli stivali ti inibisce il cervello e incominci a rimpiangere il tepore
dell’alcova casalinga da poco abbandonata.
Dopo circa 60 metri si arriva nel punto forse più critico della progressione: qui
il torrente occlude totalmente la galleria che stiamo percorrendo, l’unico passaggio
è una fessura alta pochi centimetri posta sopra il percorso dell’acqua. In questo
punto in caso di piena improvvisa dovuta, per esempio, a temporali, credo che il
passaggio diventi impraticabile. Sbuffando, soffiando, sillabando frasi sconnesse e
poco decorose e invidiando chi passa senza gemere affatto (per le stazze robustine)
si prosegue. In breve si arriva al terzo pozzo (profondo 11 metri) della sequenza fin
qui seguita. La partenza di questo terzo salto è disassata rispetto la verticale della
discesa per cui mettendosi in sicura bisogna, in contrapposizione fra le pareti,
spostarsi verso l’attacco della verticale del pozzo. La discesa, fatta il più
velocemente possibile, avviene sotto lo scarico continuo d’acqua.
Alla base di questo salto, dietro la modesta cascata che l’acqua forma cadendo
dall’alto, la grotta prosegue formando un meandro zigzagante abbastanza agevole
fino a raggiungere gli ultimi due consecutivi salti che portano al punto più
profondo di tutto il sistema ipogeo. Qui stiamo sempre seguendo il torrente artefice
della creazione dell’inghiottitoio. L’acqua nel suo percorso raggiungendo il ciglio
di questi ultimi pozzi forma delle vaschette di contenimento dalle quali
costantemente un rivolo d’acqua precipita in basso sul groppone dell’impavido
esploratore di turno che scende in corda: a pensarci bene, svuotarle il più possibile
dall’acqua, con i piedi protetti dagli stivali, prima di partire per la discesa sarebbe
una cosa intelligente!
Chissà perchè certi lampi di genio vengono solo quando si è fuori?!
...Forse l’acqua e il freddo intirizziscono anche il cervello.
Adesso si è nel punto più profondo della cavità conosciuta, siamo in una saletta
allungata dal fondo fangoso nella quale le acque si insinuano fino al sifone finale
per il momento impercorribile. Due pareti alte e levigate dall’acqua delimitano
questo nebbioso e umidissimo ambiente dantesco, davanti a noi dalla parte opposta
del rivolo d’acqua dal quale siamo discesi le pareti di roccia si restringono e si
inerpicano verso l’ignoto.
La debole luce del nostro acetilene fende a malapena l’eterea cortina d’acqua
sospesa nell’aria. Incomincia l’assunzione della droga di cui fa spesso uso lo
“speleo”: l’esplorazione!
La prima risalita risulta abbastanza agevole (figg. 4-5), le pareti sono larghe e non
ostacolano il lento procedere della “punta” - quello che arma in risalita la roccia dopo 11 metri verso l’alto il meandro diventa per poco orizzontale, fino ad arrivare
ad un’altro camino che punta deciso e invitante verso l’oscuro soffitto. Due risalite,
rispettivamente di 5 e 8 metri, interrotte da un breve ripiano, portano all’inizio di
uno stretto e ostico meandro lungo una ventina di metri. Dopo essersi abrasi nel
meandro, sulle ruvide pareti calcaree segnate dallo scorrimento millenario
Fig. 1 - Pianta della grotta.
Fig. 2 - Spaccato della grotta.
Fig. 3 - Si preparano i fix per la risalita.
Fig. 4 - Piccola pausa durante la R.11.
dell’acqua, si arriva, superata un’altra piccola e tecnicamente non impegnativa
risalita di 5 metri, alla sala finale molto vicina alla superfiice esterna.
Ci siamo fermati qui. In questa fradicia saletta si arriva al termine
dell’avventura.
Siamo molto vicini alla superficie e le pur numerose fessure che puntano verso
l’alto dal soffitto si estinguono dopo pochi metri.
E’ una grotta secondo me particolare, visto l’ambiente nel quale si effettua la
progressione, forse anello di congiunzione fra speleologia e torrentismo. Bisogna
procedere con circospezione e molta tecnica se si vuole uscire - dopo il paio d’ore
necessarie alla visita completa - abbastanza asciutti e non compromessi nella salute
dall’acqua gelida. Seguire il corso dell’acqua nel suo procedere sottoterra implica
la possibilità di bagnarsi in qualsiasi momento, perciò è d’obbligo avere degli
indumenti di ricambio, se non addirittura al seguito in grotta in un contenitore
isolante, per lo meno fuori in macchina da usarli quando si esce.
Scheda d’armo:
P11 - Utilizzando l’accesso da est della voragine d’ingresso si parte dall’albero in
alto sulla destra, di seguito spuntone di roccia al suolo e quindi frazionamento a
circa metà pozzo sempre su spuntone roccioso.
P12 - Vari spit sulla parete sinistra di cui uno avanzato ottimale per la discesa.
Frazionamento artificiale circa a metà pozzo. Con una corda da 50 metri è possibile
armare il precedente pozzo e questo.
P11 - Ancoraggio naturale sulla destra ad un paio di metri dal bordo e spit avanzato
in alto a destra. Per raggiungere la verticale del pozzo bisogna fare un traverso a
cui prestare attenzione. La discesa avviene sotto scarico di acqua. Corda m 20.
P6 - Ancoraggio naturale su concrezione a sinistra e spit a destra sul bordo.
P6,50 - Concrezione in alto sulla destra. Corda di 30 metri per questi ultimi due
pozzi.
Risalite: Le prime risalite (R11, R5, R8) sono state lasciate armate. Assicurarsi
comunque dell’affidabilità delle corde.
Dati catastali:
Nome: Inghiottitoio di Mineres
Numero catastale: 950/422 FR
Comune: Clauzetto
Località: Mineres
C.T.R. : 1:5000 n. 048112
Posizione: 12°54’44”- 46°19’39,5”
Quota ingresso: 581 m
Sviluppo planimetrico: 620 m
Dislivello: 76 m
Pozzo ingresso: 11 m
Pozzi interni: 12/11/6/6,50/+11/+5/+8/+5 m
Rilievo: Gruppo Triestino Speleologi, 1994; Gruppo Triestino Speleologi e Gruppo
Speleologico Monfalconese A.D.F., 1997
Fig. 5 - Progressione su R.11.
Bibliografia consultata
BENEDETTI G e CIARABELLINI M. (in stampa) - Aggiornamenti esplorativi all’inghiottitoio
di Mineres (Prealpi Carniche). Atti del VIII Convegno Regionale di Speleologia del Friuli
Venezia-Giulia.
BONE N. (1989) - Attività della "C.G.E.B." nell'anno 1988. Alpi Giulie, v. 83 (1), p. 60.
CARACCI P., MUSCIO G. & SELLO U (1986) - Carsismo e idrologia sotterranea. In: Guida
del Friuli, VI. S.A.F., pp. 67-81, Udine.
GASPARO F. (1978) - Ricerche speleologiche nel Canale di Vito. Progressione 2, v. 1(2),
pp. 17-18.
GASPARO F. (1979) - Attività nelle Prealpi Carniche. Progressione 4, v. 2 (2), p. 10.
GUIDI P. (1972) - Ricerche speleologiche in Val d'Arzino. Rassegna Spel. It., v. 24(4), p.
402.
PITACCO D. (1995) - L'inghiottitoio di Mineres - 422 Fr. Boll. Gruppo Triestino Spel., v.
14, pp. 33-38.
Natura Nascosta
Numero 19
Anno 1999
pp. 34 - 36
Figure -
BREVISSIMA STORIA DELLA PALEONTOLOGIA
Fabio M. Dalla Vecchia
La Paleontologia è la disciplina scientifica che tratta lo studio della Vita nel
passato. E' una scienza storica che si inserisce nell'ambito delle scienze storiche
naturali, con metodologie diverse ma non meno valide di quelle utilizzate dalle
Scienze con la esse maiuscola, cioè le scienze sperimentali (Fisica, Chimica ecc)
quelle che praticandole si può vincere il premio Nobel. Un paleontologo non
potrebbe mai vincere un premio Nobel.
Sono stati trovati fossili in caverne abitate da uomini preistorici. In una caverna
francese (20.000 anni) è stato rinvenuto un trilobite proveniente dalla
Cecoslovacchia. Gli uomini preistorici dunque si scambiavano i fossili, che
consideravano amuleti od ornamenti (praticamente delle rocce già scolpite) oppure,
come nel caso delle conchiglie fossili isolate, non li distinguevano dai resti degli
organismi moderni. Anche nelle tombe egiziane sono stati rinvenuti fossili, in
particolare ricci di mare di 30 milioni di anni fa, uno dei quali è custodito al Museo
di Storia Naturale di Udine. Sempre in una tomba etrusca nei pressi di Marzabotto
è stato scoperto il tronco di una pianta mesozoica di provenienza locale.
Il filosofo greco Senofane (576-480 a.C.) attribuì resti fossili di pesci e di foglie
raccolti nell'isola di Paro e nei dintorni di Siracusa a organismi reali, un tempo
viventi, così come fece lo storico Erodoto (484-425 a.C.) che affermò che il mare
un tempo aveva ricoperto l'Egitto lasciando a testimonianza conchiglie pietrificate.
Tuttavia nel IV secolo a.C. il maggiore dei filosofi greci, Aristotele, diede una
interpretazione dei fossili che, sebbene ignorata dai contemporanei, pesò
notevolmente sulle interpretazioni successive, per più di 2.000 anni. Aristotele, per
spiegare la natura di alcuni pesci fossili, affermò che potevano essersi formati
direttamente nel fango per opera di una "forza formativa", non meglio definita, da
uova di pesci marini dispersi durante il diluvio di Deucalione e Pirra.
I romani meno avvezzi a disquisizioni filosofiche e più pratici, interpretarono i
fossili per lo più correttamente. Cenni a terre nate dalle acque e a conchiglie marine
trovate lontane dal mare si trovano, ad esempio nelle Metamorfosi di Ovidio.
L'Alto Medioevo fu un periodo buio per l'interpretazione dei fossili. La fiorente
cultura araba si interessò dell'argomento con il famoso medico e naturalista
Avicenna (980-1037). Seguendo le orme di Aristotele, Avicenna affermò che i
fossili devono la loro origine a una particolare "forza plastica" (vis plastica) capace
di plasmare la materia in varie forme, animali e vegetali per esempio, senza essere
in grado di dare vita alle sue creazioni che restano, quindi, pietrificate nella roccia.
Durante tutto il medioevo per quanto riguarda le scienze naturali regnò la legge
dell’"ipse dixit". Chiaramente una società fondata sui testi sacri non poteva che
basare il proprio sapere naturalistico sui testi sacri naturalistici che erano le opere
di Aristotele. Poichè Aristotele e Avicenna non erano stati molto chiari nel definire
le loro forze creative, fiorirono pedanti e fantastiche disquisizioni sull'argomento.
Si trovò la causa nell'influsso degli astri, nell'intervento di spiriti sotterranei (del
resto i fossili si trovano nel sottosuolo!), chiaramente cattivi, e in divertimenti della
natura (ludum naturae) che imitava nel mondo minerale le strutture viventi.
Nel Rinascimento si diffuse l'opinione, per lo meno più logica a rigore della
cultura dominante, che i fossili fossero tracce del diluvio di cui parla la Bibbia. La
loro diffusione si spiegava con l'universalità del Diluvio. Naturalmente questo si
scontrò a lungo con le idee aristotelicoidi, dure ad essere abbandonate, ma del resto
la cosa si ripete ai giorni nostri e sembra una costante dell'umanità quella di restare
attaccata a idee obsolete e superate.
Tuttavia talvolta si trova nei libri qualche interpretazione corretta dei fossili,
come per esempio in un'opera del Boccaccio - dove le conchiglie fossili presenti
sulle colline di Firenze vengono prese a prova di un'antica invasione del mare - e
negli scritti di quel grande pensatore che fu Leonardo da Vinci, il quale affermò
chiaramente queste idee nel codice di Leicester (1503-1508). All’inizio del 1500
venne usata per la prima volta, dal tedesco Giorgio Bauer noto col nome di
Agricola, la parola "fossile" (dal latino foedere=scavare). Essa venne utilizzata per
identificare tutto ciò che era estratto dal suolo. Secondo Bauer alcuni fossili erano
stati creati da una "materia grassa" contenuta nell'acqua.
Le interpretazioni fantasiose continuavano a fiorire: c'era chi parlava di
vegetazione dei sassi, chi sosteneva che le pietre avessero sessi e fossero in grado
di partorire, altri immaginavano che dal mare si levassero vapori carichi di seme
capaci di generare organismi fossili penetrando nelle rocce. Denti di squalo erano
interpretati come lingue di pietra (glossopetre), le conchiglie spiralate di ammoniti
erano considerate serpenti arrotolati pietrificati, i rostri delle belemniti, che
possiamo assimilare agli ossi di seppia, l'effetto dei fulmini sulle rocce (folgoriti).
Ora non bisogna ridere di queste interpretazioni, perchè se le conoscenze a livello
di èlites culturali sono molto progredite, a livello popolare (anche in strati sociali
insospettabili) oggi troviamo ancora un grado di conoscenza seicentesco.
Le cose cambiarono nel 18° secolo grazie alla grande rivoluzione culturale nota
con il nome di Illuminismo, che ha cambiato radicalmente la struttura della società
occidentale. Alla corretta comprensione dei fossili contribuì notevolmente anche la
moda settecentesca delle grandi collezioni di antichità varie, che comprendevano
anche minerali e ... fossili. Naturalmente idee progressiste e idee conservatrici
coesistettero anche nel 18° secolo. Nel 1726 il medico svizzero Johan J.
Scheuchzer descrisse un fossile proveniente dal lago di Costanza, attribuendolo a
un "Homo diluvii testis", un uomo testimone del Diluvio. Si trattava in realtà dello
scheletro incompleto di una salamandra gigante. In questo modo venivano
interpretati i fossili prima che il confronto tra cose che realmente esistono si
sostituisse alle fantasticherie metafisiche (sempre però a livello di èlites culturali).
Tuttavia, alla fine del 18° secolo i fossili erano ormai considerati da tutti gli
studiosi per quello che sono: resti di antichi organismi.
Mentre alla fine del 1700 divene chiara l'origine biologica dei fossili, nella
prima metà del secolo successivo iniziò il confronto tra le forme passate e gli
organismi viventi. Ci si accorse che nel passato erano vissuti animali molto diversi
dagli attuali, si cercò di confrontare e trovare affinità tra gli animali attuali e quelli
estinti. Autorità indiscussa in questo campo fu il barone “Georges” Cuvier,
"inventore" dell'anatomia comparata. Si osservò inoltre che nei vari corpi rocciosi
che si sovrappongono si trovano animali e, soprattutto, associazioni di animali
diversi. Queste osservazioni fecero nascere la teoria, attribuita a Cuvier, che nella
storia della Terra ci fossero state ripetute catastrofi che avevano portato alla
scomparsa delle associazioni fino allora dominanti. Ci si accorse che a causa di
queste associazioni diverse si potevano dividere i corpi rocciosi in unità
identificabili mediante i fossili stessi, in modo da poter datare in senso relativo tutti
gli affioramenti rocciosi. Nacque la suddivisione dei corpi rocciosi in Primario,
Secondario e Terziario e vennero istituiti i vari periodi geologici (Triassico,
Giurassico ecc).
A partire dalla seconda metà del secolo venne formulata e si diffuse la teoria
evoluzionistica di Darwin (L’origine della Specie, 1859). L'estinzione degli
organismi non venne più vista come l'effetto di catastrofi, ma come il risultato di
lenti cambiamenti graduali e della selezione naturale. I lenti cambiamenti graduali
portavano al passaggio da una forma (specie) a un altra, la selezione naturale
eliminava i meno adatti alla sopravvivenza. Grande aiuto all'affermazione della
teoria darwiniana fu dato dai fossili, soprattutto da un fossile, l'Archaeopteryx
litographica, che presenta caratteri misti di rettile e di uccello (ha i denti, una coda
ossea e le dita della mano sono provviste di unghie ma ha anche le penne).
Scoperto nel 1861, venne considerato subito la tipica forma di transizione prevista
dalla teoria darwiniana. Negli ultimi 40 anni del secolo scorso, la teoria
evoluzionistica portò ad accesi scontri e dibattiti e divise in due schieramenti i
paleontologi e i naturalisti di tutto il mondo. All'inizio del 20° secolo però, la teoria
darwiniana era quasi universalmente accettata.
Dopo un secolo di raccolta di fossili per fini stratigrafici o per ricostruire grandi
organismi, si iniziò ad utilizzarli anche per ricostruire gli ambienti del passato, si
cominciò a ricostruire in modo analitico i loro modi di vita e le loro interrelazioni:
nacque la Paleoecologia . Quella del paleontologo divenne una professione, dopo
che per gran parte dell'800 era stata un'attività quasi esclusiva di uomini ricchi o
sostenuta da ricchi mecenati. A partire dagli anni '30 si iniziò lo studio intensivo
dei microfossili (i fossili di dimensioni non risolvibili ad occhio nudo) al fine di
datare i campioni di roccia di ridotte dimensioni ottenuti nelle ricerche petrolifere.
Dagli anni '60, con l'accettazione della tettonica a zolle, provata da numerose
evidenze indipendenti, i fossili vennero utilizzati come indicatori dei collegamenti
tra le varie masse continentali nei diversi intervalli di tempo della storia della
Terra.
Natura Nascosta
Numero 19
Anno 1999
pp. 37 - 46
Figure -
APPUNTI SULLA PALEOGEOGRAFIA DEL GIURASSICO-CRETACICO
DEL FRIULI-VENEZIA GIULIA. RELAZIONI CON L’ASSETTO
LITOSTRATIGRAFICO
A short note about the paleogeography of Jurassic and Cretaceous of FriuliVenezia Giulia (NE Italy). Relationships with the lithostratigraphic structure
Sandro Venturini
“Riuscire a porsi un interrogativo ben congegnato per sintesi
e scelta di parole è già metà della risposta che si cerca.”
- A LDO BUSI , Vita standard di un venditore provvisorio di collant
Abstract - The paleogeographic evolution of the Friuli-Venezia Giulia Region
(northeastern Italy) during the Jurassic and the Cretaceous is herein briefly described.
Some important biologic and tectonic events can give a support for the realization of a
systematic stratigraphic framework.
Riassunto - Viene brevemente tracciata l’evoluzione paleogeografica dei depositi
giurassico-cretacici affioranti nel Friuli-Venezia Giulia. I principali eventi biologici e
tettonici che hanno segnato questa evoluzione possono essere utilizzati per la costruzione di
un più organico quadro litostratigrafico.
Key words: Paleogeography, Jurassic, Cretaceous, NE Italy.
Introduzione
Nel corso della stesura del capitolo riguardante la successione giurassicocretacica per la “Guida geologica del Friuli-Venezia Giulia” (in stampa), ci si è
trovati di fronte a un quadro litostratigrafico per certi versi farraginoso (oltre 70
unità riportate in bibliografia). Al fine di delineare un assetto stratigrafico più
organico, omogeneo, sintetico (e, auspicabilmente, meno soggettivo), si è ritenuto
opportuno utilizzare come elementi di definizione e suddivisione litostratigrafica,
oltre che le caratteristiche litologiche, anche i principali contesti paleoambientali
(piattaforma, scarpata, bacino) e soprattutto i principali eventi tettonici, eustatici e
biologici che hanno controllato l’evoluzione paleogeografica.
Va sottolineato che nel lungo intervallo di tempo considerato si sono deposte
essenzialmente facies calcaree apparentemente monotone, se si escludono la locale
presenza di selce e gli apporti terrigeni nel Cretacico sommitale. Quindi, pur nel
rispetto della tradizione e delle priorità, sono state scelte, e talora parzialmente
“emendate”, alcune unità litostratigrafiche che apparentemente testimoniavano le
fasi principali dell’evoluzione della Piattaforma Friulana e dei bacini circostanti.
I limiti di competenza e di spazio, le finalità del lavoro, la sede di pubblicazione
non hanno consentito di approfondire i motivi e i criteri di tali scelte: un serio
lavoro di revisione avrebbe richiesto tempi e spazi ben più ampi.
Di conseguenza, la sintesi stratigrafica riportata nella “Guida” non può e non
vuole rappresentare un punto di arrivo, bensì una base di discussione sulle lineaguida sugli scopi delle indagini stratigrafiche nelle Prealpi e nel Carso.
Come iniziale contributo alla discussione, in questa sede vengono brevemente
descritti i principali eventi che hanno caratterizzato l’area della Regione durante il
Giurassico-Cretacico, i loro effetti sulla deposizione dei carbonati e il loro impatto
sul quadro litostratigrafico.
Evoluzione paleogeografica
Al passaggio Triassico-Giurassico, l'area dell'attuale Friuli-Venezia Giulia era
un'estesa piattaforma carbonatica peritidale, ad eccezione del versante meridionale
dell' alta Val Tagliamento dove proseguiva la sedimentazione di calcari selciferi in
un bacino relativamente profondo già presente nel Triassico superiore.
Durante il Lias, vaste aree di piattaforma sono sprofondate e si sono così
individuati due domini paleogeografici principali: la Piattaforma Friulana nelle
Prealpi meridionali e nel Carso, bordata a settentrione da una fascia di mare
profondo, in particolare verso NO (Bacino di Belluno) e verso NE (Bacino di
Tolmino). Nelle aree più settentrionali, la distribuzione a"macchia di leopardo"
delle successioni condensate suggerisce maggiormente l'esistenza di alti relativi
locali piuttosto che di un vero e proprio plateau. Ciò sembra confermato dalla
presenza di risedimentazioni provenienti dalla piattaforma.
Questo assetto paleogeografico è stato determinato da una fase tettonica
distensiva, che ha dato origine a un sistema di faglie orientate NO-SE (listriche) e
SO-NE (probabilmente trascorrenti). Il bordo della piattaforma ha così assunto il
caratteristico andamento a zig-zag riconoscibile in particolare nel sottosuolo della
pianura. Il margine settentrionale attualmente affiora lungo la fascia meridionale
delle Prealpi (Cansiglio, Val Cellina, M. Ciaurlec, M. Prat, Bernadia, Val Iudrio,
M. Sabotino) ed è stato ampiamente coinvolto nella strutturazione alpina. La
paleogeografia della regione è rimasta sostanzialmente immutata durante il
Giurassico-Cretacico. Il dominio di ambiente neritico rappresenta la parte più
settentrionale del vasto complesso di piattaforma dinarico-adriatico.
La successione liassica della Piattaforma Friulana è dominata da calcari a grana
fine, depostisi generalmente in lagune, con subordinate intercalazioni di calcari
bioclastici e oolitici (Calcari Grigi). Si osservano comunque condizioni di
maggiore circolazione marina o di minore aridità rispetto al Trias superiore: le
facies dolomitizzate e stromatolitiche risultano infatti drasticamente ridotte. In
alcune zone (Valli del Natisone e gruppo del M. Verzegnis), nel Lias inferiore lo
smembramento della piattaforma ha determinato anche prolungate emersioni, con
sviluppo di significativi fenomeni paleocarsici. Contemporaneamente, nella
depressione delle Prealpi settentrionali si andava sviluppando una rampa ooliticobioclastica (Calcari oolitici di Stolaz e "Calcari a Crinoidi"). Lo sviluppo di queste
facies era consentito dalla profondità limitata di questo "Solco Prealpino". Verso
occidente, invece, il marcato dislivello creato dalle faglie bordanti il Bacino di
Belluno ha impedito la progradazione delle facies di rampa e ha dato luogo alla
deposizione di calcari selciferi, talora dolomitizzati, con frequenti intercalazioni
torbiditiche contenenti elementi di piattaforma e con sporadici livelletti marnosi
(Formazione di Soverzene). Questa unità affiora tra la Valle del Vajont e l'alta Val
Cellina; a essa sembrano riferibili i Calcari selciferi di Val Lavaruzza, che
sovrastano i Calcari Grigi precocemente “annegati” del "solco Prealpino" nelle
Prealpi Giulie settentrionali, e le facies selcifere liassiche di C. Naiarda e del
gruppo del M. Verzegnis (Prealpi Carniche settentrionali).
Alla fine del Lias (Toarciano) nelle aree bacinali si assiste allo sviluppo di
facies calcareo-marnose, talora di tipo nodulare ad ammoniti (Formazione di Igne).
Sugli alti strutturali si sono deposti prevalentemente calcari nodulari a bivalvi
pelagici. La locale presenza, alla base dell'unità, di marne nerastre ricche di materia
organica consente di riconoscere l'evento anossico toarciano.
Tra il Toarciano e il Dogger inferiore si è verificata una nuova importante fase
tettonica che ha determinato lo sprofondamento della fascia di margine della
piattaforma, interrompendo la sedimentazione dei Calcari Grigi e producendo frane
intraformazionali nella Formazione di Igne. Contemporaneamente, a occidente del
Bacino di Belluno è annegata la Piattaforma di Trento. Il riarrangiamento
paleogeografico ha trasformato la Piattaforma Friulana in un'attiva area dl
produzione di sabbie oolitiche. I depositi di piattaforma del Dogger attualmente
affioranti sono limitati ai calcari oolitici, apparentemente di rampa, dei monti Pala
e Prat (Prealpi Carniche meridionali). La quasi totalità delle ooliti risulta invece
risedimentata nelle aree più profonde attraverso flussi torbiditici (Calcare del
Vajont). L'enorme quantità di torbiditi oolitiche giunte nel Bacino di Belluno
rispetto al Bacino di Tolmino potrebbe essere legata alla diversa posizione del
margine rispetto alle correnti marine e atmosferiche. Il contesto bacinale del
Calcare del Vajont è testimoniato in particolare dalle intercalazioni di calcari a
grana fine, contenenti microorganismi pelagici, e dalla gradazione di alcuni
orizzonti, con brecce alla base passanti a calcari oolitici verso l'alto. Sporadiche
“passate” oolitiche hanno raggiunto anche le Prealpi Carniche nordorientali,
intercalandosi a facies condensate di tipo "Rosso Ammonitico" e si sarebbero
spinte a NE fino al Gruppo del Mangart nel Tarvisiano.
Tra la fine del Dogger e l'inizio del Malm le risedimentazioni oolitiche sono
sostanzialmente cessate, probabilmente per cause climatico-biologiche: dal
Giurassico superiore in poi il margine della Piattaforma Friulana ha prodotto quasi
esclusivamente tritume bioclastico. In questo quadro si inserisce un evento a scala
globale che, nel Giurassico superiore, e più precisamente nell'OxfordianoKimmeridgiano, ha dato origine ad importanti scogliere a idrozoi e coralli lungo i
margini di piattaforma delle fasce tropicali. In Friuli, queste antiche biocostruzioni
coralline sono attualmente esposte sul versante orientale del Cansiglio e al M. Prat,
e sono note come Calcari ad Ellipsactinia (o Calcari di Polcenigo). Questa unità
rappresenta l'unica vera e propria scogliera nella storia della Piattaforma Friulana.
Contemporaneamente, nelle aree interne della piattaforma sì è sviluppato un
sistema di lagune dove si sedimentavano fanghi carbonatici che hanno dato origine
ai Calcari di Cellina. Ai Calcari di Cellina viene riferita la quasi totalità delle facies
di piattaforma del Giurassico superiore e del Cretacico inferiore affioranti, oltre che
lungo la valle omonima, sul versante orientale del Cansiglio-M.Cavallo, e lungo la
pedemontana, sui monti Ciaurlec, Prat e Bemadia. Verso oriente si rinvengono
lungo la valle dello Iudrio, al M. Sabotino e infine in limitate aree dei Carso. Si
tratta prevalentemente di calcari ben stratificati di ambiente lagunare e di piana di
'
marea, con scarsi macrofossili e con frequenti episodi di emersione. L’ alternanza
degli ambienti ha dato luogo a una caratteristica ciclicità di questi depositi. Lo
spessore complessivo dovrebbe aggirarsi sul migliaio di metri.
Durante il Kimmeridgiano la scogliera corallina è progradata verso i quadranti
settentrionali, andando a coprire con corpi bioclastici e brecce di scarpata il bordo
dell'antistante bacino: ciò è riscontrabile per esempio sull'altipiano del M. Prat,
dove i calcari e le brecce a idrozoi poggiano su calcari selciferi a cefalopodi. Simili
calcari selciferi sono ben sviluppati nel bacino delle Prealpi Carniche centrosettentrionali e sono correlabili con la Formazione di Fonzaso (OxfordianoKimmeridgiano inf.) del Bacino di Belluno. Questa formazione, oltre agli
abbondanti livelli a radiolari, presenta frequenti intercalazioni torbiditiche
calcarenitiche e bioclastiche. Verso l'alto i depositi risedimentati si riducono
progressivamente e il colore dei calcari a grana fine assume talora variegature
rossastre e verdastre: ciò marca il passaggio al Rosso Ammonitico superiore
(Kimmeridgiano sup. - Titoniano inf.). Nel Rosso Ammonitico gli apporti
torbiditici sono sostanzialmente scomparsi, mentre i calcari, talora selciferi,
mostrano localmente il tipico aspetto nodulare con colori variabili dal grigio al
rossastro. L'assenza di risedimentazioni suggerisce una temporanea crisi di
produttività della Piattaforma Friulana, forse legata a una prolungata fase di
emersione. Sul margine della piattaforma, in effetti, il reef ad Ellipsactinia si è
estinto e nella vicina Slovenia, poco a nord di Gorizia, il tetto di questa scogliera è
interessato da intensi fenomeni paleocarsici. Dopo questo evento regressivo, in
Friuli, sopra il reef si è formato un orizzonte trasgressivo a molluschi (tra i quali
sono comuni le nerinee), coperto a sua volta dai Calcari di Cellina che, a partire
dalla fine del Malm hanno occupato anche le fasce di margine.
Contemporaneamente nel bacino lo sviluppo esplosivo di minutissimi organismi
planctonici (nannoplancton) ha dato inizio alla sedimentazione di calcari biancastri
a grana finissima, con noduli e liste di selce (Maiolica). Nell'area friulana e
bellunese, la prossimità della piattaforma ha comunque dato luogo alle consuete
intercalazioni torbiditiche che si discostano dalla tipica facies di questa unità
(Calcare di Soccher).
All'inizio del Cretacico, durante parte del Berriasiano-Valanginiano, in
corrispondenza delle aree di margine si sono formati dei cunei bioclastici di
scarpata, la cui esistenza è stata registrata anche ai bordi del bacino, nelle Valli del
Natisone ("Calcareniti di Linder"). In Val Iudrio, il più recente di questi corpi
marginali, del Valanginiano inferiore, è nuovamente coperto dalle facies
prevalentemente fangose e a bassa energia ambientale dei Calcari di Cellina.
L'apparente monotonia di questi depositi è interrotta da un'importante fase
trasgressiva-regressiva al passaggio Hauteriviano-Barremiano che ha dapprima
creato spazio per livelli con Requienidae (rudiste s.l.) e successivamente ha dato
luogo a una lunga emersione, con formazione di profonde "tasche" riempite da
marne verdastre. In alcune zone del margine (per esempio nella Bernadia), gli
apporti continentali d'acqua dolce e di terrigeno fine legati a questa emersione
hanno causato la formazione di calcari argillosi scuri, a volte bituminosi. In bacino
è proseguita la sedimentazione della Maiolica, che contiene livelli di calcareniti e
brecce in particolare nel segmento di età valanginiana. Le caratteristiche e la
distribuzione dei depositi valanginiani sul margine e in bacino indicherebbero un
controllo di tipo tettonico. Successivamente, fino all'Aptiano inferiore, le
risedimentazioni torbiditiche si sono drasticamente ridotte , a significare che la
piattaforma non era più in grado di generare abbondante materiale bioclastico. In
questo periodo le aree di margine sono anch'esse coperte da fanghi carbonatici
intrappolati da "tappeti" di alghe unicellulari che hanno generato le tipiche
laminazioni stromatolitiche e hanno impedito consistenti asporti di carbonati verso
il mare aperto.
Nell' Aptiano inferiore, un nuovo evento trasgressivo ha ricoperto gran parte
della piattaforma con un importante orizzonte a rudiste. Questo orizzonte è
riconoscibile per l'abbondanza di bivalvi e per la presenza di un foraminifero
bentonico (Palorbitolina) che ha dato il nome al livello stesso. Una superficie
paleocarsica è localmente riconoscibile alla sommità del livello a Palorbitolina.
Numerosi episodi di emersione, con brecce e argille residuali, sono osservabili
anche nella sovrastante successione aptiano-albiana. In alcune aree del margine,
risulta
particolarmente
ampia
la
lacuna
dell'Albiano
inferiore.
Contemporaneamente, imponenti corpi di calciruditi e brecce sono giunti nella
scarpata e in bacino, intercalandosi a facies marnose e calcaree fini di colore grigio,
verdastro e rossastro, spesso riportate sotto il nome di Scaglia Variegata e che
trovano corrispondenza con l'evento che ha generato le Marne a Fucoidi
dell'Appennino. I marcati cambiamenti litologici e sedimentotogici, le emersioni
sul margine e la formazione di prismi sedimentari sulla scarpata sono connessi ad
una fase tettonica di particolare significato.
Alla fine dell'Albiano, una lenta fase trasgressiva ha ricreato normali condizioni
marine su vaste aree della piattaforma. Una maggiore circolazione è registrata
anche nelle aree più interne. L'“apertura” ambientale è maggiormente apprezzabile
nel Cenomaniano inferiore-medio, quando nelle fasce di margine si sono sviluppati
imponenti corpi bioclastici con intercalati sottili orizzonti a foraminiferi
planctonici. Contemporaneamente, in alcune aree interne, quali il Carso, la fase
tettonica che ha determinato la rapida subsidenza del margine è invece testimoniata
da una prolungata emersione che ha dato origine a fenomeni carsici e a brecce
dolomitiche. I sostanziali cambiamenti paleogeografici, con lo sviluppo di una
rampa nelle aree esterne della piattaforma e ampie emersioni nelle zone interne,
consentono di distinguere un nuovo ciclo sedimentario e una nuova unità
litostratigrafica, i Calcari di M. Cavallo, costituiti da depositi prevalentemente
bioclastici, di solito mal stratificati e spesso ricchi di rudiste. Numerosi generi e
specie di questi molluschi sono stati istituiti su esemplari provenienti dai vari
giacimenti fossiliferi del Friuli-Venezia Giulia.
Nel Cenomaniano medio p.p.-superiore, il depocentro carbonatico si è trasferito
nelle aree interne della piattaforma, dove si osservano alternanze di facies ad alta
energia, in cui domina il bivalve Chondrodonta, e facies lagunari localmente
dolomitizzate e relativamente protette, talora con scarsa ossigenazione al fondo
("Scisti di Comeno"). L'insieme di questi depositi è storicamente riferito alla
Formazione di Monrupino. L’unità, delimitata alla base dall'ampia lacuna citata in
precedenza, è superiormente interrotta dal temporaneo "annegamento" della
piattaforma verificatosi al passaggio Cenomaniano-Turoniano. Lo sprofondamento,
di origine prevalentemente eustatica, ha consentito l'ingresso di organismi
planctonici in vaste aree della piattaforma interna, mentre nelle aree esterne la
sedimentazione, già decisamente ridotta nel Cenomaniano superiore, si è arrestata.
Durante il Turoniano e soprattutto nel Senoniano inferiore, si sono ripristinate
normali condizioni di piattaforma carbonatica che è via via progradata fino a
raggiungere, nel Santoniano, le aree del precedente margine. La progradazione si è
attuata in più cicli, con orizzonti di calcari a rudiste a stratificazione mal visibile (i
tipici "marmi" del Carso) che interrompono una successione ben stratificata di
calcari a grana fine con frequenti episodi di emersione. Tra gli episodi di
emersione, sono da sottolineare le fasi tettoniche santoniane e del Campaniano
basale, che hanno dato origine, nel Carso Triestino, alle brecce di Slivia, del
Villaggio del Pescatore e alla "Breccia bianco-rosea". L'emersione campaniana,
connessa con lo sviluppo del bacino del Flysch nelle Prealpi Giulie, ha chiuso il
grande ciclo dei calcari a rudiste del Turoniano-Senoniano inferiore (noti come
Calcari di Aurisina). Nel Maastrichtiano, nelle depressioni del Carso Triestino
meridionale e Goriziano settentrionale, si sono deposte alternanze di facies
dulcicole, salmastre e marine, di colore scuro, degli "Strati di Vreme" (Gruppo
Liburnico). I macrofossili sono rappresentati da rari bivalvi, mentre alla sommità
dell'unità, al passaggio Cretacico-Terziario, sono segnalati importanti fenomeni
paleocarsici e localmente un importante orizzonte di breccia.
Nelle aree di rampa, dopo la lacuna del Turoniano e di parte del Senoniano
inferiore, la sedimentazione è ripresa con flussi bioclastici, talora con organismi
planctonici, e successivamente con facies detritiche a rudiste, di età SantonianoCampaniano p.p.. Questi calcari a rudiste, affioranti in Val Iudrio e al M. Jouf,
sono correlabili con i Calcari di Aurisina e sono progradati su depositi di maggiore
profondità, riferiti al Calcare di M. Cavallo s.1.. Infine, in concomitanza con le
estese emersioni campaniano-maastrichtiane, un ulteriore sprofondamento di
blocchi tettonici lungo il margine ha creato spazio per facies ad alta energia con
Orbitoides (grandi foraminiferi bentonici), in gran parte risedimentate in bacino.
Lungo le scarpate a maggiore acclività, la sedimentazione risulta notevolmente
ridotta, anche a causa di movimenti tettonici che hanno determinato scivolamenti e
nicchie di distacco.
Le zone bacinali, durante il Cretacico superiore, sono caratterizzate dalla
sedimentazione di fanghi carbonatici a foraminiferi planctonici. Per il tipo di
fratturazione delle superfici alterate, questi sedimenti vengono usualmente
denominati "Scaglia". Nel Cenomaniano-Turoniano si osservano calcari argillosi
verdastri, rossastri e grigi, spesso con selce. In varie zone di alto relativo e di
scarpata vi sono ampie lacune oppure si osservano facies di tipo nodulare. Nel
Senoniano inferiore-Campaniano prevalgono invece le tonalità sul grigio. Infine,
nel Campaniano superiore-Maastrichtiano sono giunti in bacino apprezzabili
quantità di terrigeno fine, che assieme ai fanghi pelagici ha dato origine alla
"Scaglia Rossa", costituita principalmente da marne rossastre e talora grigie. Tra i
materiali provenienti dalla piattaforma sono da segnalare, oltre alla parte distale dei
cunei bioclastici marginali del Cenomaniano inferiore-medio, i grossi sistemi
torbiditici del Senoniano che vengono talora distinti dalla Scaglia con i termini di
Calcare di Volzana (Prealpi Giulie) o Calcare del Fadalto. Nel Maastrichtiano
invece prevalgono le intercalazioni di breccia, legate a intense pulsazioni tettoniche
in particolare nelle Prealpi Giulie.
In quest'ultima area, nel tardo Campaniano ha avuto inizio la sedimentazione di
torbiditi silicoclastiche. L’avvento del Flysch segna l’inizio di un lungo ciclo
sedimentario che porterà a drastici cambiamenti paleogeografici, con migrazione
del bacino verso SO e annegamento e parziale smantellamento della Piattaforma
Friulana. Questi Flysch hanno registrato sia l’evoluzione paleotettonicapaleogeografica, sia le oscillazioni eustatiche, attraverso consistenti variazioni
negli apporti terrigeni (di provenienza settentrionale) e carbonatici, questi ultimi
costituiti da brecce e calcareniti bioclastiche, provenienti dalla piattaforma posta a
meridione. Queste variazioni degli apporti, associate alle caratteristiche
sedimentologiche, sono state utilizzate per la distinzione di alcune unità
stratigrafiche di età campaniano-maastrichtiana (Unità di Drenchia, Flysch di
Clodig, Flysch dello Judrio, Flysch di M. Brieka).
Discussione metodologica
Rispetto alla litostratigrafia classica, alcuni criteri di scelta e suddivisione
adottati nella Guida prevedono il riconoscimento di discontinuità, di fasi
trasgressive, di variazioni ecologiche, di fasi tettoniche con significato a scala
regionale. Per l’applicazione organica di tali criteri è necessaria la costruzione di
un dettagliato quadro bio-cronostratigrafico a scala quanto meno regionale. Infatti,
nonostante l’inevitabile e gravoso impegno dal punto di vista metodologico e
operativo, una moderna stratigrafia è imprescindibile da un’accurata tracciatura
delle linee-tempo, da una precisa definizione dei rapporti laterali e verticali, da una
per quanto possibile corretta ricostruzione geometrica dei corpi sedimentari e dei
relativi ambienti deposizionali. Tutti questi elementi sono riassunti nelle unità
litostratigrafiche, che sono quindi entità di valore geologico fondamentale.
In quest’ottica, è opportuno, per quanto possibile, evitare di utilizzare unità
litostratigrafiche con top e bottom che taglino le linee-tempo. I passaggi laterali (le
eteropie ) sono altrettanto critici, e andrebbero definiti mediante significative
variazioni di sistema deposizionale. Spesso, analisi di dettaglio hanno evidenziato
che le eteropie sono in realtà delle vere e proprie discontinuità, con sedimentazione
di corpi sedimentari eterocroni (classici esempi sono noti sui margini delle
piattaforme carbonatiche). In sintesi, le formazioni che attraversano le linee-tempo
o che si sono deposte in più ambienti hanno un modesto significato geologico.
Un esempio di criticità legata all’eterocronia dei limiti è rappresentato dalla
base dei Calcari Grigi. Il passaggio alle sottostanti unità (Dolomia Principale,
Calcare del Dachstein ecc.) viene solitamente collocato in corrispondenza della
scomparsa degli orizzonti con laminazioni stromatolitiche o dei livelli
dolomitizzati. Chiunque, sulla base di questi criteri, abbia avuto la ventura di
rilevare e cartografare questo limite anche a scala locale nelle nostre Prealpi sa con
quanti problemi si è scontrato e su quanti dubbi ha dovuto sorvolare. Se sussistono
dubbi anche a scala locale, che significato geologico ha tale limite? Una soluzione
pragmatica, ma che presenta anche interessanti risvolti teorici, è data dal
riconoscimento di un importante evento globale, rappresentato dalla crisi biologica
verificatasi al passaggio Trias-Lias. Questa crisi è riconoscibile da un drastico
cambiamento delle associazioni di piattaforma, con scomparsa delle tipiche
microfaune e flore triassiche: alla base del Lias sono infatti presenti solo piccoli
foraminiferi agglutinanti “sopravvissuti”. Un simile criterio “cronostratigrafico”,
per quanto possa far storcere il naso ai puristi delle litostratigrafia, sembra, al
momento, l’unico coerentemente praticabile per la definizione dei Calcari Grigi, a
meno di vasti fenomeni di dolomitizzazione, ed è in sintonia con il significato
storico di tale limite.
Un ulteriore esempio di eterocronia dei limiti è dato dalla sommità del
Biancone, unità che viene utilizzata per comprendere gran parte delle facies
bacinali cretaciche. Il passaggio alla sovrastante Scaglia Rossa viene spesso legato
a cambiamenti di colore, che in questo caso hanno scarso significato
litostratigrafico, essendo fortemente influenzati dai contesti locali. Un maggiore
rigore caratterizza il limite superiore della Maiolica, che coincide con l’avvento di
apporti terrigeni fini, sostanzialmente a partire dalla base dell’Aptiano. Questo
terrigeno ha dato origine alle Marne a Fucoidi (la “Scaglia variegata” delle Prealpi
orientali). Nella Guida si è quindi optato per questa seconda soluzione.
Analogamente, il passaggio tra “Scaglia variegata” e “Scaglia selcifera” e tra
“Scaglia selcifera” e Scaglia Rossa sono stati fatti provvisoriamente coincidere con
la scomparsa e la ricomparsa di consistenti apporti argillosi, rispettivamente
nell’Albiano sommitale e nel Campaniano superiore. Questi materiali terrigeni
sono il sintomo di fasi erosive in aree orogene settentrionali, e hanno
verosimilmente subito una distribuzione a vastissimo raggio.
Un problema litostratigrafico legato a un passaggio orizzontale è costituito dalla
distinzione, nel Cretacico superiore, tra le unità di margine e quelle “interne” della
Piattaforma Friulana. Se tale distinzione può avere fondamento almeno per quanto
riguarda il Cenomaniano (si veda il capitolo paleogeografico), una separazione
litostratigrafica risulta più ambigua nel Turoniano-Senoniano, almeno sulla base
delle attuali conoscenze. Inoltre una certa confusione terminologica e la non
continuità degli affioramenti tra Carso e Prealpi non aiutano a dirimere la
questione. Per quanto le facies di margine risultino statisticamente più “aperte”, la
presenza ubiquitaria di caratteristici bio-orizzonti, quali per esempio il livello a
Keramosphaerina tergestina, e di facies di tipo “foramol” anche in aree molto
interne fanno pensare a importanti fasi trasgressivo-regressive, che hanno dato
origine a un complesso sistema deposizionale.
Se i rapporti Prealpi-Carso sono ancora da precisare, non sussistono analoghi
problemi tra Carso Triestino, Carso Goriziano e Carso sloveno. Per quanto riguarda
il Carso, non sembra “elegante” che vi siano almeno tre litostratigrafie in uso,
trattandosi della medesima serie. Nel tentativo di semplificare il quadro
litostratigrafico, nella Guida si è proposto il ripristino della classica nomenclatura
di STACHE (1889, 1920), ripresa da D’AMBROSI (1960) e da P LENICAR (1960).
Questa scelta presenta alcune problematiche, in quanto necessita di parziali
semplificazioni ed emendamenti, ma risolve i problemi di priorità e ha comunque
seri fondamenti geologici (TENTOR et al., 1994).
Considerazioni finali
La litostratigrafia classica punta prevalentemente sulle caratteristiche
litologiche, spesso generando una discreta confusione anche a livello cartografico.
Per contro, l’allostratigrafia attualmente in voga presenta seri problemi di
applicazione pratica, in assenza di affioramenti davvero spettacolari o di linee
sismiche calibrate. Una soluzione a questi problemi è rappresentata da un
ragionevole compromesso tra litostratigrafia tradizionale e allostratigrafia, dando
maggiore peso ai rapporti spazio-temporali dei corpi sedimentari rispetto alle pure
caratteristiche di litofacies. In sostanza, le unità litostratigrafiche dovrebbero
rappresentare degli insiemi di litofacies deposti in un certo intervallo di tempo e in
un certo luogo. Ciò è valido in particolare nelle imponenti ma relativamente
monotone successioni del Giurassico-Cretacico esaminate, e nei Flysch senonianopaleogenici.
In conclusione, eventuali formalizzazioni di unità litostratigrafiche del FriuliVenezia Giulia sono da operarsi nell’ambito di adeguate conoscenze stratigrafiche
a scala regionale e con una visione unitaria dei problemi geologici. Sono ben
conscio, infatti, di aver contribuito ad aumentare la confusione terminologica nella
fase iniziale degli studi sui Flysch delle Prealpi Giulie, e di quanto sia costato e
costi tutt’ora diradare in qualche maniera il “polverone” creato. A tale riguardo, è
in corso un tentativo di formalizzazione litostratigrafica di alcune unità della
Regione da parte dell’Università di Milano (coordinatrice M.B. Cita). Questa
operazione sarà tanto più lodevole quanto più attuerà una catalogazione dei più
significativi dati a disposizione, e non una vera e propria formalizzazione, in
quanto il quadro stratigrafico-paleogeografico del Mesozoico e del Cenozoico
inferiore presenta ancora molti lati oscuri.
Ringraziamenti
Questa nota sarebbe rimasta nel cassetto senza lo sprone e la collaborazione di
Giorgio Tunis e Maurizio Tentor.
Bibliografia
D’A MBROSI C. (1960) - Sviluppo e caratteristiche geologiche della serie stratigrafica del
Carso di Trieste. Boll. Soc. Adriatica Sc., v. 51, pp. 39-58.
PLENICAR M. (1960) - Stratigrafski razvoj Krednih plasti na juznem Primorskem in
Notranjskem. Geologija, v. 6, pp. 22-145.
STACHE G. (1889) - Die Liburnische Stufe und deren Grenz-Horizonte. Erste Abteilung.
Abh. K.K. Geol. Reich., v. 13, pp. 1-170.
STACHE G. (1920) - Görz und Gradisca Geol. Spezial Karte der in Reichsrate vertreten
Konigreiche und Lander Osterreichisch-Ungarischen Monarchie. Geol. Bund..
TENTOR M., TUNIS G. e VENTURINI S. (1994) - Schema stratigrafico e tettonico del Carso
isontino. Natura Nascosta, v. 9, pp. 1-32.
TUNIS G e VENTURINI S. (in stampa) - La successione giurassico-cretacica e paleogenica.
In: Guide Geologiche regionali. Friuli-Venezia Giulia. A cura della Società Geologica
Italiana.
Natura Nascosta
Numero 19
Anno 1999
pp. 47 - 54
Figure 7
ALCUNE GROTTE SCOPERTE E RILEVATE NEGLI ANNI '90
Maurizio Tentor
Riassunto - Vengono presentati e descritti i rilievi di alcune cavità scoperte negli anni '90
dal Gruppo Speleologico Monfalconese A.d.F.
Introduzione
Dopo diversi numeri di Natura Nascosta senza lavori speleologici a carattere
esplorativo e di ricerca, mi sento in dovere di rendere note alcune delle cavità
scoperte e rilevate negli ultimi anni.
Grotta Marisa II (VG. 5736)
La cavità (fig. 1) rilevata nel 1992 si apre sulla parete di una dolina fra le
imboccature di due gallerie militari. La grotta è stata scoperta durante una
prospezione geologica. Un colpo di martello per il prelievo di un campione
roccioso metteva alla luce un piccolissimo foro dal quale fuoriusciva una notevole
corrente d'aria.
Un successivo impegnativo lavoro di disostruzione ha permesso di accedere a
un pozzo di 12 metri che termina in una sala del diametro di circa 15 metri,
riccamente concrezionata.
Nella parte terminale di questa sala, un'altra strettoia aperta dopo disostruzione
ci ha permesso di accedere ad un secondo pozzo di 12,4 metri alla fine del quale si
trova una seconda sala di 10 per 24 metri anche questa riccamente e variatamente
concrezionata.
Attualmente la grotta è chiusa e le chiavi sono disponibile presso il nostro
Gruppo.
Fig. 1 - Rilievo della grotta Marisa II.
Pozzetto I a N.E. della grotta Marisa II (VG. 5815)
Si tratta di una piccola cavità (fig. 2) aperta nel 1995, ad andamento verticale
con profondità di 6 metri, aperta dopo un breve lavoro di disostruzione. Sul fondo
del pozzo si trova una piccola nicchia che probabilmente da accesso ad altri vani.
Dopo un tentativo di rimuovere la frana che incombe sulla nicchia, si è dovuto
rinunciare a causa del rischio.
La grotta dopo essere stata rilevata è stata richiusa con dei massi.
Fig. 2 - Rilievo del pozzetto I a N.E. della grotta Marisa II.
Grotta del Clandestino (VG. 5994)
L'ingresso della grotta (fig. 3), scoperta nel 1996, è costituito da un pozzetto di
10 metri. La breve galleria sotto il pozzo impostata su frana è leggermente in
pendenza positiva. Seguendo in discesa la galleria, dopo circa 6 metri si trova un
gradino che risale per circa 2 metri e immette nella parte finale, riccamente
concrezionata.
Fig. 3 - Rilievo della grotta del Clandestino.
Pozzetto del Finanziere (VG. 5995)
L'ingresso, scoperto nel 1996 (fig. 4), si trova in una fessura della roccia. Il
pozzo d'accesso è di 3,3 metri. Sul fondo, superata una strettoia, si entra in una
saletta molto ricca di concrezioni.
Fig. 4 - Rilievo del pozzetto del Finanziere.
Grotta Nonno Pian (VG. 6025)
L'ingresso trovato e disostruito nel 1996 (fig. 5), è costituito da un scivolo molto
inclinato che termina con un pozzetto di circa 7 metri, superato il quale si prosegue
in leggera pendenza fino a una strettoia che immette in un pozzo di 13 metri. A lato
della base di quest'ultimo, si trova un'ulteriore pozzo di 23 metri che in caso di
pioggia è soggetto ad intenso stillicidio. Il fondo, di forma pressoché circolare, è
riempito da detriti. La grotta termina con una galleria lunga circa 10 metri.
Dopo aver eseguito il rilievo, la cavità è stata richiusa con massi in quanto
pericolosa trovandosi sul bordo di un sentiero.
Fig. 5 - Rilievo della grotta Nonno Pian.
Grotta Staige (VG. 6035)
Scoperta nel 1997 (fig. 6), questa cavità inizia con un pozzetto di 6 metri.
Arrivati sul fondo, si segue un ramo piuttosto angusto e in discesa alla fine del
quale scendendo un'altro pozzetto si accede a una piccola sala dove sono presenti
alcune concrezioni.
Fig. 6 - Rilievo della grotta Staige.
Pozzo presso il valico di S. Pelagio (VG. 6036)
Questa cavità, scoperta nel 1997 (fig. 7), si apre su una frattura con direzione NS e il suo ingresso misura 1 per 0,50 metri ed è costituita solamente da un pozzo di
11,5 metri. Non presenta segni di prosecuzione.
Fig. 7 - Rilievo del pozzo presso il valico di S. Pelagio.
Bibliografia di riferimento
GUIDI P. (1996) - Toponomastica delle grotte della Venezia Giulia. Quaderni del Catasto
Regionale delle grotte del Friuli-Venezia Giulia, p. 78.
GUIDI P. (1999) - Nuove grotte della Venezia Giulia anni 1992-1997. Quaderni del Catasto
Regionale delle grotte del Friuli-Venezia Giulia, pp. 17, 42, 79, 95, 100.
INDICE
IL VINO CHE NASCE DAL MARE: I VIGNETI DEI COLLI
ORIENTALI CRESCONO SU DI UN FONDALE MARINO
TROPICALE DI 50 MILIONI DI ANNI FA
Fabio M. Dalla Vecchia
pag. 1
L’ESPOSIZIONE PALEONTOLOGICA DELLA ROCCA
DI MONFALCONE
M. Edalucci e M. Duca
pag. 8
THE FOSSILS OF THE CRETACEOUS LAGERSTÄTTE OF
POLAZZO (FOGLIANO-REDIPUGLIA, GORIZIA, NE ITALY)
D. Rigo
pag. 10
FUNZIONI E CARATTERISTICHE DI UN MODERNO
MUSEO NATURALISTICO
F. M. Dalla Vecchia
pag. 20
PSICOLOGIA APPLICATA ALLE ATTIVITÀ DIDATTICHE
G. Deiuri
pag. 23
NUOVE ESPLORAZIONI ALL'INGHIOTTITOIO DI
MINERES (422 FR)
A. Zoff
pag. 27
BREVISSIMA STORIA DELLA PALEONTOLOGIA
F. M. Dalla Vecchia
pag. 34
APPUNTI SULLA PALEOGEOGRAFIA DEL GIURASSICOCRETACICO DEL FRIULI-VENEZIA GIULIA.
RELAZIONI CON L’ASSETTO LITOSTRATIGRAFICO
S. Venturini
pag. 37
ALCUNE GROTTE SCOPERTE E RILEVATE NEGLI ANNI '90
M. Tentor
pag. 47