Benozzo G. e il cammino dei Magi (2° parte)

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Benozzo G. e il cammino dei Magi (2° parte)
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Benozzo Gozzoli e il cammino dei Magi
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(seconda parte)
Come il Sole dalle prime luci dell’alba
riprende il suo itinerario nel cielo, così i
tre Re Magi dipinti da Benozzo Gozzoli,
nella piccola Cappella di Palazzo Medici
Riccardi, riprendono il loro cammino.
Dalla parete Est ci spostiamo alla parete
Sud, che corrisponde al momento in cui
l’astro solare è alla Zenit ed elargisce luce
e calore in abbondanza.
Questa volta è il Re Mago Baldassarre a
condurre il corteo e a dare l’impronta a
quella parete.
Baldassarre, nella tradizione solare zendica è considerato il “custode” della
saggezza e prende il nome di “Protetto del Signore”.
La sua veste è verde smeraldo e oro - simbolo di
“rinnovamento”- e il dono che lui porta è l’
“incenso”, emblema di Sacerdozio eterno e di
Alleanza tra l’uomo e Dio.
La corona che poggia sul capo di Baldassare ha lo
stesso numero di sottili triangoli incastonati di perle
e pietre preziose come quella di Gasparre, ma con
l’aggiunta di fitte piume avvolgenti, nei simbolici tre
colori rosso, bianco e verde. Nella tradizione
ermetica la piuma riconduce sia all’idea di preghiera
ascensionale, che
ad un aspetto di
rigenerazione e
crescita legata anche al mondo vegetale,
all’anima bio-energetica, e ai tre colori
che trovano analogia con le tre opere
alchemiche.
“Come incenso salga a te la mia
preghiera” - troviamo scritto nel Salmo
141 - ed anche la natura sembra seguire
quel medesimo innalzamento.
Quando avviene quest’alleanza tra
l’umano e il divino, tutto rinasce, prende
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ordine e vita. Le strade irte si
spianano, gli speroni rocciosi
diventano morbidi colli e
nasce una gamma di verdi che
va dai toni pastello dei prati
coltivati, al verde scuro delle
siepi e degli alberi e al verde
argenteo degli olivi. In
lontananza appaiono borghi
turriti, castelli, ponti e case di
lavoratori: un paesaggio
sapientemente ripartito, dove
rari cavalieri a passo lento
fanno la loro comparsa e dove gli alberi
cominciano ad assumere forme geometriche “a
gradoni”, che mettono in evidenza l’innalzamento
dell’anima verso il Divino.
Dall’alto fa la sua comparsa un grosso fagiano
che, ad ali spiegate, si sta dirigendo verso un
rigoglioso albero, di cui sembra volersi nutrire.
In Oriente il fagiano era considerato il simbolo di
luce e di prosperità e in America centrale le sue
lunghe piume servivano come ornamento ai re ed
ai dignitari. Gli ermetisti tenevano in molta
considerazione questo volatile dal portamento
regale e lo chiamavano il “fagiano di Ermete” o
“ m e rc u r i o
dei saggi” avvicinandolo, per i colori
delle sue piume, ai colori differenti che
assume la materia nel corso delle
operazioni alchemiche.
Guardando l’ornamento della corona
di Baldassarre e la prosperità di quella
vasta collina, possiamo intuire che
l’intento del Gozzoli era di far riflettere
a quale benefico effetto l’ “amicizia”
con Dio può portare.
Ma il cammino mistico-iniziatico
procede a tappe e quando il nostro sguardo si sposta ad osservare la parete
successiva, posizionata ad Ovest, la scena cambia nuovamente. L’occidente
rappresenta il momento in cui il Sole pian piano cede il passo alla notte
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entrando nella fase di occultamento e di
apparente “morte”, per poi rinascere alle
prime luci dell’alba: tema di fondo che il
Gozzoli ha saputo, su quella parete,
allegoricamente raffigurare.
Il passaggio dalla parete meridionale a quella
occidentale viene introdotto dalla presenza di
arcieri che, con arco e frecce, si stanno
preparando all’azione.
Nella tradizione ermetica l’arco e la freccia
assumono un significato che poco ha a che
vedere con una normale battuta di caccia.
L’arco ben teso trova relazione con la volontà
ferrea, ben puntata verso l’obbiettivo, e la
freccia con la forza e la concentrazione che occorre per centrarlo. Quindi
quell’atto preliminare, compiuto dagli arcieri, ci dà subito l’idea del valore
del Re Mago Melchiorre che introdurrà il suo
corteo verso la meta prefissata.
Melchiorre nella tradizione solare zendica è
chiamato il “Re della Luce” ed il dono che porta è
l’“oro”, simbolo di regalità iniziatica e di
abbondanza divina.
Il volto di Melchiorre è solenne, ma lo sguardo è
vigile e arguto ed il
s u o i n c e d e r e, s u
quella mula adorna
di ricchi finimenti,
denota prudenza e maestosità. Il
raggiungimento di un tale stato interiore lo si
può conquistare solo con una mente
concentrata, una volontà ben allenata ed un
cuore ardente.
La corona che indossa ripete la forma delle
precedenti, ma questa volta calza su un
copricapo porpora trapuntato d’oro. Il
porpora è il colore dominante di tutti gli
ornamenti del Sacerdote e del Re e quella sua
veste purpurea fregiata d’oro, mette ancora
più in evidenza la regalità della sua persona.
Dietro la figura di Melchiorre l’ambiente
assume nuove forme.
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Le colline si fanno appuntite e su un irto
ed impervio sperone roccioso appare in
trasparenza un misterioso borgo, fitto di
torri, mentre in lontananza si apre uno
scenario di montagne sulla cui sommità
l’occhio a mala pena distingue isolati ed
inaccessibili castelli.
Sullo sfondo, dove campeggiano alberi da
frutto e boschetti ombrosi, si stagliano
decisi due cipressi che per la loro
spropositata altezza sembrano voler
bucare il cielo. Accanto vi è un albero a
“gradoni”, ancora più alto dei precedenti,
che troneggia con grande maestà su
quell’insolito paesaggio.
Dietro a Melchiorre, un leopardo ed un ghepardo si muovono con agilità
insidiando la loro preda, mentre altri due, immobili, quasi statuari, stanziano
davanti a lui.
Il ghepardo, chiamato anche “ghepardo del
re”, fin da tempi antichissimi fu utilizzato,
per la velocità con cui sa individuare e
neutralizzare la preda, come guardiano del
territorio, capace di affrontare qualsiasi tipo
di pericolo. Destrezza, forza, astuzia e
coraggio sono le sue qualità ecco perché,
secondo un’usanza orientale, veniva
addestrato alla caccia.
Affine al ghepardo è il leopardo la cui
presenza è attestata nei Misteri egizi del dio
Osiride. Con la pelle di leopardo veniva coperto il neofita e a quell’atto
seguivano una serie di segrete
ritualità collegate all’idea di
“morte” e di “rinascita”.
Il concetto di “morte”, anche se in
maniera allegorica, è evidenziato
da quel falco, posto al centro della
parete, che tiene tra i suoi artigli
una lepre. La lepre e il coniglio
sono mammiferi strettamente
legati alle acque e alla Luna e quindi a tutti quegli aspetti di emotività e di
sentimentalismo a cui l’astro lunare solitamente predispone. Un’antica
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tradizione orientale afferma che la lepre,
come la Luna, muore per rinascere: nota che
carica di un particolare significato quella
cruda scena raffigurata. L’imperturbabilità
del falco davanti a quella preda dal ventre
lacerato, fa intendere a quale doloroso
intimo lavoro l’uomo e la donna sono
chiamati per condurre alla meta il percorso
che da mistico-iniziatico si sta facendo
iniziatico-regale.
In un angolo, in disparte, una scimmia dal volto
pensoso e dallo sguardo quasi umano, sembra
estraniarsi dalla scena nella quale è stata
volutamente immortalata. La scimmia, secondo
annose credenze tibetane, è la compagna ideale
per un viaggio di ricerca della sapienza. In
India, come in Estremo Oriente, si venerava una
scimmia regale, simbolo di saggezza e di
distacco dai sensi, e le si attribuiva qualità legate
all’Iniziazione.
Q u e l l a s c i m m i a l ì i m m o b i l e, s t at i c a ,
perfettamente compenetrata nel suo ruolo,
mostra di aver ben capito l’essenza del viaggio
che i tre Re Magi e le loro corti si apprestano a
condurre al termine.
Dietro alla sua figura, un nutrito gruppo di personaggi, assiepati ai piedi di
un aspro sentiero rupestre, sembra
a s p e t t a re at t o n i t o l ’ a r r i vo d e l
venerando Re Mago, mentre un lento
e ordinato corteo di cavalli da soma,
muli e dromedari si è già inerpicato
per quella sassosa ascesa.
Il mulo, come il dromedario e il
cammello simboleggiano la
temperanza e l’umiltà: due virtù
fondamentali senza le quali è
impossibile intraprendere e portare a
compimento quell’ardito cammino.
Due cani, simboli di fedeltà e di
guardia, seguono la fila mentre un
altro sta inseguendo la sua preda.
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Nella parte alta della salita un gruppo di cavalieri
sta per entrare in un fitto di alberi rigogliosi e tra
loro appaiono tre donne nelle quali gli storici
hanno riconosciuto l’anziana moglie di Cosimo
il Vecchio e le due giovani nuore Lucrezia e
Ginevra.
L’aspetto femminile riveste un ruolo molto
importante in un cammino spirituale interiore.
La donna, come evidenziano le Sacre Scritture, è
capace di capire certe sottigliezze teologiche che
non subito sono comprensibili all’uomo. Anche
E r m e t e Tr i s m e g i s t o , n e l s u o C o r p u s
Hermeticum, si sofferma su questo aspetto
affermando che “grazie alla reciproca unione, la donna acquisisce la forza
dell’uomo e l’uomo si rilascia in un languore femminile” e quando questo
scambio avviene, si generano “mistiche nozze”.
Nella Divina Commedia fu Beatrice ad accompagnare Dante nel Paradiso,
ed anche qui, nel dipinto del Gozzoli, sembra che spetti alla donna condurre
verso un nuovo mistico scenario.
Come il Sole, al tramonto, va a sparire sotto la linea
dell’orizzonte, così quel nutrito corteo scompare
dietro alla collina. Gli egiziani identificarono quel
momento di trapasso nelle “porte di Aker”,
personaggio mitologico che personificava il misterioso
“passaggio”dell’astro solare nel mondo della notte.
Immediatamente anche la scenografia impressa su
quelle pareti cambia.
I toni si fanno spenti e sommessi e nell’aria si avverte
lo stato di quiete e di attesa
che precede quell’istante.
Nelle due fasce laterali,che
accompagnano verso la
parete Nord, quattro pastori
immersi in un paesaggio agreste di “pacato
lirismo”, vivono in uno stato di silente e saggia
riflessione la straordinarietà dell’evento che si sta
preparando.
Tutto tace: l’allegorico corteo e le scene pastorali
spariscono dal nostro campo visivo, per fare
spazio a un panorama nuovo.
Il fastoso corteo, condotto dai tre Re Magi,
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doveva passare da quell’intimo
misterioso “occultamento”paragonato alla notte e alla morte per giungere, in un giubilo di Angeli,
Arcangeli, Serafini e Cherubini
davanti alla Natività.
Dalla parete occidentale lo sguardo
scorre alla parete Nord, al cui centro
troneggia il dipinto de l’“Adorazione
del Bambino” della scuola di Filippo
Lippi.
Dall’oscurità si ritorna alla luce e dalla
morte alla “nuova vita” e la scena, ai
lati di quella Santa Natività, si tinge di
tutti i colori dell’iride.
Sul fianco sinistro una decina di
Arcangeli veglia dall’alto volgendo lo
sguardo verso il Bambino Divino. Un
Cherubino si affaccia su quel cielo color
lapislazzulo, mentre due Serafini
occhieggiano tra soffici nuvole rosate.
In basso un nutrito coro di presenze
angeliche anima un ambiente
paradisiaco dove roseti e fiori di
melograno crescono copiosi. Le loro ali
sono costellate di occhi come la coda di
quel maestoso pavone che sembra
osservare la scena. Un leggero graticcio
di giunchi separa il gruppo di Angeli in
preghiera da quelli che stanno
raccogliendo fresche corolle di rose. Dietro a loro si apre un panorama
collinare e, tra alberi di ogni specie, si staglia netta una città fortezza che
tanto ricorda Firenze, ma anche la
Gerusalemme Celeste.
Sul fianco destro della Natività, si ripete
uno spettacolo similare.
Due Serafini intervengono sulla scena
dall’alto, mentre un nutrito gruppo di
Arcangeli si confonde tra le nuvole rosate
del cielo. In basso di nuovo creature
angeliche genuflesse in preghiera ed altre
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in piedi che si preparano al canto.
Tra queste divine presenze, due Angeli si
differenziano per la particolarità della loro
veste: il primo indossa un abito talare che lo
identifica in un officiante solista del coro, il
secondo invece ha la veste trapuntata di piccole
lucenti stelle che tanto lo avvicinano a
quell’Angelo-Stella che i tre Re Magi videro
apparire nel cielo.
Dietro ai Cantori, si muovono altre presenze
angeliche, che vanno ad intessere delicate e
soffici ghirlande, emblemi di virtù acquisite.
Nel paesaggio, che si apre su quello sfondo,
colpisce una piccola chiesa isolata, quasi
inaccessibile, posta su un’aspra altura.
Quella semplice costruzione, ben
protetta dalla roccia, ricorda la Chiesa
di Cristo la cui sacralità deve essere
difesa e custodita.
La Chiesa è la “casa regale di Dio” e
tradizionalmente viene messa in
relazione alla Nave-Tempio che,
orientata verso Est, naviga sulle acque
del Mondo in direzione del sorgere
del Sole, per portare i fedeli verso
Gesù Cristo.
Se guardiamo con attenzione la scena
che si apre dietro a quel pinnacolo
roccioso,
ci accorgiamo che su un mare celeste pastello,
che sembra fondersi con l’azzurro del cielo, una
piccola imbarcazione si affaccia all’orizzonte.
La sua vela è gonfia e procede verso est, ma a
sospingerla non è solo il vento quanto l’opera
laboriosa di coloro che muovono quei numerosi
remi.
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Quasi a voler custodire quell’impercettibile
fondale, altri Angeli si muovono tra alberi da
frutto, rose e ghirlande, dando vita ad un
paesaggio paradisiaco dove colori ed armonia si
fondono con la bellezza dello scenario.
Tradizionalmente i tre Re Magi, aiutati da
quelle vigili presenze angeliche, giungeranno con i loro doni - nel luogo dove si è compiuta la
Santa Nascita.
Gli storici hanno riconosciuto in Gasparre,
Baldassarre e Melchiorre, il giovane Lorenzo il
Magnifico, l’Imperatore Giovanni VIII il
Paleologo ed il saggio Patriarca Giuseppe, le tre
personalità alle quali, in quel preciso momento
storico, venivano affidate le sorti di tutta la
cristianità, ma ormai abbiamo intuito che il messaggio che Benozzo Gozzoli
ha voluto tramandare su quelle quattro pareti è molto più intimo e profondo.
Il percorso che il Gozzoli ideò all’interno di quella piccola Cappella, non è
altro che l’allegoria del cammino che l’uomo e la donna devono compiere
per far nascere il Bambino Divino dentro il loro cuore.
“Senza di me non potete fare nulla” dice Gesù Cristo nel Vangelo di
Giovanni (15:5) e questa frase ci fa capire che è solo Lui che ci può condurre.
In Gasparre, Baldassarre e Melchiorre possiamo adesso riconoscere i tre stati
di coscienza che l’uomo e la donna, iniziati ai misteri divini, dovranno
realizzare.
Anche i tre doni che i Re Magi portano con loro si collegano a questo
significato. La “mirra” ricorda il sacrificio, l’ “incenso” l’aspetto sacerdotale e
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l’ “oro” la regalità acquisita: tre qualità che adesso possiamo ravvisare nel
Re-Sacerdote-Sacrificatore, l’eroe spirituale, per il quale il Figlio di Dio ha
preparato il Regno. Il ciclo quaternario è compiuto.
“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò
da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio” (Ap.2,7).
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“Adorazione del Bambino”
scuola di Filippo Lippi, Cappella dei Magi
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