inter, sampdoria, torino e fiorentina ok ma solo la fulgor gli

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inter, sampdoria, torino e fiorentina ok ma solo la fulgor gli
numero 10 estate 2010
INTER, SAMPDORIA, TORINO
E FIORENTINA OK
MA SOLO LA FULGOR GLI È
RIMASTA NEL CUORE
Cara Val Stirone ha incontrato a Vergaio, in Toscana,
dove abita, Eugenio Bersellini, una vita sui campi di calcio. Prima come giocatore (“il Suarez della serie B”) e poi
come grande allenatore.
A renderlo tale anche uno
scudetto e una Coppa Italia
con una squadra-operaia e
tutta italiana, quella nerazzurra. Borgotarese di nascita
è però fidentino doc calcisticamente parlando: della
Fulgor e dell’A.C. Fidenza le
sue prime maglie ufficiali. Del
professor Luigi Pratizzoli, suo
primo maestro di sport e di
vita, dice: «É stato per me un
secondo padre»
VERGAIO DI PRATO
- C’è una differenza tra
moda e mito. La prima
regala emozioni, poi se ne va. Il mito rimane. E
POCO importa se il grande “circo” mediatico,
sottraendosi con pervicacia agli isterismi degli
straripanti “processi” al dio pallone. Eugenio Bersellini, inutile dirlo. ha tutte le carte in regola per
entrare nella leggenda del calcio. Un dignitoso
passato sul rettangolo di gioco, ma soprattutto
una panchina nobilitata da tre Coppe Italia e uno
scudetto con (‘Inter più operaia che si ricordi. rigorosamente
made
in
Italy.
D’accordo,
“Spillo”
Altobelli,
Beccalossi e Oriali,
ma
anche
Canuti, Bini,
Pancheri,
A m b u ,
A destra Bersellini, sopra la Fulgor Fidenza, anno 1952. Da sinistra il prof. Pratizzoli, Zappieri, Sirelli, Pizzi, Faroldi, Brunetti, Capanni, Costa, Bersellini, Pinardi, Pratizzoli e Concari.
Caso, Muraro, Occhipinti e Cipollini.
Per il popolo dei calciofili, anche un paio di dettagli non banali: non ha mai fallito un calcio di rigore, nel 1980 ha vinto il “Guerìn d’oro” per la categoria allenatori, insieme ad Agnolin, fra gli arbitri
e Luciano Castellini fra i calciatori. Esplosivo talvolta, effervescente da sempre. In qualche modo
precursore degli eventi, in quel suo saper essere
“speciale” già in tempi calcistici non sospetti (
la discussa “vasca del fango” di cui parleremo).
«Mourinho? Un tecnico bravissimo» - ammette. Dieci in diplomazia. Zero entrate a gamba tesa, per dirla alla “Mou”.
E d’altronde Eugenio Bersellini ha sem-
pre giocato di “fino”. Sui campi della serie cadetta ,col pallone tra i piedi, è
stato un intelligente organizzatore di gioco, capace come pochi di inventare l’ultimo passaggio.
Gli cucirono addosso un’etichetta che, a quei tempi, suonava come una sorta di laurea ad honorem
del pallone: il Suarez della serie B. Glielo ricordo
lavorare, lavorare, lavorare. In due parole, anzi
in tre, c’è tutta la filosofia di Eugenio Bersellini
da Borgotaro, tipo tosto, capace di mettere tutti
sull’attenti.In coppia con Armando Onesti, suo
fidato preparatore atletico, inflessibile fustigatore di smidollati e “tiratardi” della tavola imbandita. Regole severe, metodi di allenamento ferrei.
e sorride: «Anche raggio di luna della B» -aggiunge. Citazione questa riconducibile a Selmosson,
svedese della Roma anni sessanta. Per capirci, un
altro marchio di qualità. Con la regia nel “dienneà” e un’eccezionale visione di gioco, sembra
scontato
il passaggio di Bersellini dal
c a m p o
alla panchina,
a
soli trentadue anni.
Esigente,
sanguigno, pragmatico,
assertore
maniacale
delletreelle:
Non a caso “ il sergente di ferro”.«Fu Giancarlo
Beltrami, Direttore Sportivo del Como, a definirmi così ...». Mi mostra l’indice della mano destra:
porta ancora i segni di un impatto devastante.
- «Ad Avellino, dopo l’esonero di Vinicio, (8
partite, due punti), ero riuscito a risollevare la
squadra. La sconfitta con (‘Inter all’ultima giornata, ci costò la retrocessione. Sfondai la porta
dello spogliatoio di San Siro con un pugno...».
Il colloquio con Eugenio Bersellini è un tranquillo rituale che si consuma nella saletta, a noi riservata, del Bar Pasticceria “La Vita è Bella”, sulla
via Tobbianese, in quel di Vergaio, frazione di
Prato. Beh, c’è una spiegazione. Un giorno, a due
passi da qui, mise su casa un toscanaccio verace di nome Roberto Benigni. Non uno qualsiasi.
«Da tempo non si fa vedere, forse è troppo
indaffarato ..» osserva la ragazza del bar, che
aggiunge: «Qui abita ancora la sorella...». Poi arrivò
Eugenio Bersellini, che col sublime “mostro” del
cinema nulla aveva da spartire. Niente villa,
ma alloggio dignitoso all’ultimo piano di una
palazzina come tante.Esistenza normale, investimenti oculati. Bersellini non ha l’aria di chi
avrebbe voluto comprare il Colosseo. Fuori dalla mischia, i toni sono pacati, le parole misurate,
il sorriso solare. - «Qui mi trovo benissimo. C’è
un bel clima. Da quelle colline, d’estate, arriva
un’aria davvero speciale. Poi qui ci conosciamo
tutti...». In effetti, per la gente del posto, Eugenio
Bersellini
accosciato
bianconera
del
Fidenza
a
destra
.
Onesti
con
a
la
sinistra
maglia
in
piedi
è confidenzialmente “il mister”, oggetto della discreta deferenza che si riserva a chi, in qualche
modo, ha saputo ritagliarsi un passato illustre.
Giusto il tempo dei convenevoli e Bersellini
piazza l’assist. E’ una vecchia fotografia ingiallita della Fulgor Fidenza, anno 1952. Lui c’è,
reso riconoscibile da una crocetta scritta con la
biro. Sorprende che quasi sessant’anni dopo,
quel “ reperto “ sia ancora tra le sue mani.
«Fidenza mi è rimasta nel cuore...» - -- ammette. Per
quelle casualità che a volte segnano il destino
di una persona, Mario Spigaroli, fidentino doc
in vacanza a Borgotaro, vede giocare questo ragazzino “dal fisico esile ma dai piedi sopraffini”.
Parte la segnalazione al prof. Pratizzoli, che
lo vuole alla mitica Fulgor Fidenza. Qui comincia la storia, bella, limpida, a lieto fine.
«Il professore è stato per me un secondo padre....»
-dice-. Ha una breve pausa ; pochi secondi per una
sorta di introspezione che gli consente di riordinare
le pagine virtuali degli amarcord.«Arrivai all›Oratorio
Don Bosco e trovai subito Zappieri, bravissimo al ping pong. Poi tutti gli altri, Capanni,
Concari, Primo Pratizzoli, Brunetti. Costa, ...
Ricordo il debutto sul campo di Fiorenzuola.
Entrai nel secondo tempo, con la squadra che
stava perdendo. Il Professore mi affidò il centrocampo. Se va male, pensai, mi prenderanno
a giocare a pallacanestro. Vincemmo la,partita».
.
Torniamo alla Fulgor...
«Eravamo una bella squadra di giovani. Dopo aver
vinto il nostro campionato ci invitarono a Ferrara,
per un›amichevole contro la rappresentativa locale.
Giocammo prima della partita tra la Spal e il Milan.
Finì 4 a zero per noi».
Con Onesti che sfruttò da par suo gli assist di
Bersellini e segnò quattro gol...
Sorride. «Poi venni a sapere che Nordhal, rivolto al suo compagno di squadra Liedholm, disse:
ma hai visto come giocavano quei due?».
Dalla Fulgor al Fidenza Calcio, in Quarta Serie...
»Due anni di utile esperienza. Ricordo con nostalgia
compagni come Lori, Cinel, Pinco-lini, Gatti, Rossi, Fontana, Spigaroli , Laucello e naturalmente
Onesti».
Fidenza fu in qualche modo il suo il trampolino
di lancio. Nel 1956 ,appena ventenne, Eugenio
Bersellini si ritrovò a Brescia, in serie B, regista di
un reparto di giovani promesse: Sacchella, Favini, Nova, Bersellini, Fraschini, Gasparini.
«A Brescia - racconta - cercai di sdebitarmi con Mario
Spigaroli che giudicavo un bravo giocatore. Così
lo segnalai alla dirigenza. Fu messo alla prova.
Ma in partita, forse tradito dall’emozione, non
toccò palla...Mi dissero: ma chi ci hai portato? Da
allora ho chiuso con le raccomandazioni ...».
Mister, noblesse oblige, cominciamo dall’Inter. Giuseppe Bergomi , terzino della nazionale
campione del mondo, una volta disse: Bersellini fa parte dei miei ricordi più belli.
«Giocatore straordinario, serio, di poche parole, di
quelli che piacevano a me. Non mi stancavo mai di
ripeterlo: il lavoro paga...».
A piedi da Milano a Fontanellato
Il suo scudetto con l’Inter: in testa dalla prima
all’ultima giornata...
Quel riferimento alla pallacanestro non è ca- «E› il mio ricordo più bello. Era una squadra tutta
italiana, con ragazzi che arrivavano dalla serie B e
suale....
dal settore giovanile. Fui io a suggerire a Beltrami
«Ho giocato nella Borgotaro Basket allenata da l›acquisto di Altobelli dal Brescia...».
Quarantelli, un’altra persona molto importante
per me. Ricordo che una domenica mattina di- Il suo passaggio alla panchina dell’Inter non fu
sputai una gara di campionato a Parma. Il po- così scontato; aleggiava un certo clima di sfidumeriggio, scesi in campo col Fidenza calcio, in cia...
serie D».
«E› vero. Anche il presidente Fraizzoli non era
convinto. Ad Appiano Gentile, alla conferenza
stampa di presentazione, si alza Piero Sessarego di Tuttosport e mi dice: -Visto che è arrivato
all’Inter , ci spiega come farà giocare la squadra?
Giocherà a rombo e a romboide, risposi un po’
stizzito. Insomma, un inizio difficile, ma poi capirono con chi avevano a che fare. Quando decisi di lasciare (‘Inter, Fraizzoli mi chiese di rimanere...».
A quel tempo, la pagina sportiva del Corriere
di Informazione uscì con questo titolo: - Come
si rovinano i giocatori dell’ Inter!
«Era chiaro il riferimento alla vasca del fango. Avevo
fatto arare un pezzo di terra e lo facevo bagnare tutti
i giorni. Lì, agli ordini del preparatore atletico Onesti,
si facevano sedute molto pesanti per rinforzare
la muscolatura dei giocatori. I risultati mi diedero
ragione, ma Armando si guadagnò l›appellativo di
killer...».
Soprattutto da Beccalossi
«Era un ottimo giocatore, tecnicamente molto
dotato. Ma non rispettava le regole fuori dal campo
e, men che meno, a tavola. Andava matto per i
pasticcini. La società mi invita a tenerlo a regime e
così io lo spedisco per dieci giorni in «clausura» alla
Pinetina, affidato alle “cure” di Onesti. Spremuto a dovere, rientrò contro la Juve. Zero a zero al
termine del primo tempo. Rientrai nello spogliatoio e dissi feroce: la Juve non ne ha più, adesso
la facciamo fuori. E così fu. Beccalossi salta Furino e pennella l’assist per Muraro, che segna. Finisce uno a zero per noi. Entro nello spogliatoio
e urlo : visto che avevo ragione io? Poi, rivolto
a Beccalossi: sei un asino, hai visto come si fa?».
Ovvio,a questo punto, che il discorso scivoli su
Armando Onesti, suo ex compagno di squadra
nel Fidenza ( 1953 / 1955).
Ci può ricordare lo “storico” incontro che segnò
l’inizio di una collaborazione durata 11 anni?
carmi e spiego: ti devo parlare...Onesti capisce e
si precipita in stazione».
Dunque, inizia l’avventura nel Como...
«Si. La storia poi finì senza alcun litigio. Dopo l›ultima
di campionato, a Roma, decisi di lasciare (‹Inter.
Informai Onesti. Ma lui preferì rimanere col mio
successore, Rino Marchesi».
Dal 1982 al 1984 lei siede sulla panchina del
Toro...
«A Torino ebbi qualche problema. Mi azzopparono
Zaccarelli e le cose si complicarono. Eppure eravamo
partiti bene. Coi granata, mi tolsi lo sfizio di battere
la Juve, in un derby memorabile e spettacolare. Da
bambino tifavo per il Toro». Si salta di palo in frasca,
seguendo consolidate gerarchie che un secolo di
pallone hanno reso inossidabili come l›acciaio. Certo,
è esercizio complicato riavvolgere il filo cronologico
del vissuto sportivo di un simile personaggio.
Il suo curriculum è davvero straordinario: sei
squadre da calciatore, 19 da allenatore. Un percorso che spazia dalla Serie C alla serie A, dalla
quarta serie alla Nazionale libica. Bersellini, il
sergente che piace al Colonnello, titolò nel 2000
II Corriere della Sera. Non senza ragione. L’anno
successivo, il mister di Borgotaro vinse il campionato libico sulla panchina dell’ Al- Ittihad di
Tripoli, la squadra che schierava tra le sue file il
figlio minore del colonnello, Al Sa’Adi Gheddafi.
«Venivo da due esperienze in serie B non proprio
positive. Anzi,direi che Modena e Bologna furono un mezzo disastro. Senza particolari gratificazioni le esperienze in C1 col Pisa e il Saronno.
Ma è stata la mia fortuna. Sono un uomo di fede
e credo nella provvidenza. E’ saltata fuori la Libia...Cinque anni - racconta - in cui ho fatto di
tutto: l’allenatore, il preparatore atletico e persino il ... dietologo. Andavamo in ritiro a Malta.
Clima meraviglioso...».
Un po’ come a Lecce...
«Dal ‹66 al› 68 due anni da calciatore. Mi chiamò una
«Conclusa la prima fase della preparazione pre- mattina il presidente del Lecce, mentre mi allenavo
campionato sulla panchina del Como, sto rientrando col Brescia, pur non facendone parte. Il Brescia mi
a Borgotaro per qualche giorno di riposo. A Fi- aveva addirittura offerto un posto di lavoro alla
denza, in attesa del treno, chiamo Armando: Chiari & Forti, ma io volevo giocare ancora qualche
sono Eugenio, sono qui in stazione... Onesti, anno. Accettai l›offerta del Lecce dopo un colloquio.
mezzo assonnato, pensa che sia l’amico Eugenio Pugliese, che mi voleva al Foggia, non mi perdonò lo
Ghiozzi (a quel tempo, non ancora Gene Gnocchi sgarbo. Quando mi capitava di giocare contro la sua
n.d.r.). così mi interrompe: ci sentiamo più tardi. squadra, mi sottoponeva a cure ....speciali».
E riattacca. Rifaccio il numero, riesco a qualifi-
Lecce rappresentò il suo debutto ufficiale sulla Ci racconti un episodio legato a lui...
panchina.
«Nel 1988, ad Ascoli, dopo un inizio difficile, arrivò
«Dopo oltre due anni, per quanto fossi legatissimo Giordano e la squadra si riprese. Ci salvammo
a questa meravigliosa città, avevo deciso ad nell›ultima partita, grazie alla vittoria sul Napoli
andarmene. Il Presidente mi voleva invece sulla e ai...buoni uffici di Giordano, che la settimana
panchina e insisteva affinché rimanessi. Ne parlai precedente, al matrimonio di Ciro Ferrara, aveva
con i miei compagni di squadra. Allora - risposero - chiesto agli ex compagni Careca, Bagni e Renica
la dovremo chiamare mister? Dopo quelle parole, di non... giocare proprio alla morte...Tutto però,
non potevo più dire di no. Presi in mano la squadra avvenne senza che Diego lo sapesse. Il grande
nelle ultime nove gare. Nove vittorie e significativo “Capo” infatti non ci stava mai a perdere...».
salto in classifica: dal quart›ultimo posto, al quarto.
Edmondo Fabbri disse: il Lecce di Bersellini gioca Chi è oggi il migliore allenatore?
benissimo. Davvero un’esperienza indimentica- «Fabio Capello, non c›è dubbio».
bile».
Marcello Lippi un giorno disse: il migliore alFerzan Ozpetek, regista di “Mine vaganti”, lenatore é Eugenio Bersellini.
disse: - «Mi sono perdutamente innamorato di
Lecce, dei suoi vicoli profumati di zagare e gel- «Lippi lo ebbi alla Samp come giocatore. Il primo
somini...il Salento è una terra dove vivi un’at- anno era un po› troppo lezioso, ma l›anno dopo
mosfera irreale, come se il tempo fosse sospe- capii che lui era tagliato per fare l›allenatore. Chiesi
so...»
di affidargli subito la squadra Primavera. Non mi ero
sbagliato...».
«E› vero. Dovrò scrivere un libro per raccontare gli
anni vissuti in quella città meravigliosa. Considero Un apprezzamento che le ha fatto piacere?
Lecce la mia casa».
«Le parole di Fulvio Bernardini, quando allenavo il
Ma Firenze non è da meno...
Cesena. Dopo una partita contro la Juve , disse che
sembravamo l›Aiax. A Cesena ho avuto un›altra
«Alla Fiorentina non mi sono trovato benissimo, soddisfazione. Fui io a volere Cera, un elemento
meglio alla Samp, l›anno prima. Mi volle sulla ritenuto un po› matto. lo però avevo capito che
panchina dei viola Pier Cesare Baretti (ex Direttore giocatore fosse. E’ poi diventato il libero del
di Tuttosport, perito tragicamente in un inciden- Cagliari di Gigi Riva e della Nazionale. Ma mi
te aereo - n.d.r.). A Firenze feci debuttare Berti, gratificarono anche le parole di Souness, ai temma c’era soprattutto Roberto Baggio. Purtrop- pi della Samp. Era un giocatore bravissimo ma
po gli infortuni ne limitarono le presenze in tatticamente poco disciplinato. A fatica riuscii
campo. Ma giocò proprio contro la Sampdoria. a convincerlo ad occupare una certa zona della
Vincemmo con due gol di Diaz, che seppe capi- metà campo. Alla fine mi disse: un allenatore
talizzare due splendidi assist di Roberto».
come te non l’ho mai visto».
Grande giocatore Baggio...
«Talento puro. Nato per giocare a calcio. Da
avversario, ho sempre ordinato a miei giocatori di
non fargli male...».
Qualcuno ricorda ancora il famoso raid podistico Bersellini - Onesti, da Milano a Fontanellato...
»Dopo lo scudetto con l›Inter, all›inizio dell›estate
del 1980, andai in pellegrinaggio al Santuario. Più di
E Maradona?
100 km. di camminata. Con me, oltre ad Armando,
«Giocatore di un altro pianeta. Una volta, mentre altri due amici: Luigi Negretti e Lamberto Ferrari.
scambiavo due parole con lui, mi accorsi che, nel Quest›ultimo aveva il compito di seguirci in auto con
frattempo, stava palleggiando col tacco, dietro la i mezzi di sussistenza. All›arrivo, consegnai ai frati
schiena, senza neppure guardare. Lo rividi anni dopo domenicani la maglia di Altobelli. Dopo trent›anni,
in Libia: grasso e ansimante. Seduto in panchina, credo che sia ancora là».
sembrava un re. Gli portavano in continuazione
Due parole su Roberto Mancini...
aranciate e Coca Cola».
«Appena lo vidi giocare dissi: è bravo perché sa anche
attaccare il difensore avversario. Aveva un carattere
difficile e qualche volta lo lasciavo fuori. Poi cݏ stata
la storia di quel libro, scritto a quattro mani con Piero
Sessarego. Quegli insulti non mi sono andati giù. Ma preferisco lasciar perdere...».
Sì, lasciamo perdere. S’è fatto tardi. E intanto squilla il cellulare del mister. Una telefonata. «La solita», ammette. E il tempo di scoprire che, da qualche parte, c’è ancora una panchina che lo reclama.
Che sia la nazionale del Marocco, come si sussurra, conta poco. Contano gli scenari, che in
fondo sono sempre gli stessi: un pallone che gira
e la voglia matta di rimettersi in gioco. Forse a
caccia di gloria. O di guai?
LA SCHEDA
TRICOLORE CON INTER E SAMP
CHI È - Eugenio Bersellini nasce a Borgotaro il 10 giugno 1936. E’ allenatore ed è stato un valido centrocampista.
CARRIERA - Inizia la carriera da calciatore nella Fulgor Fidenza
(1952), a 16 anni.
Dal 1953 al 1955
milita nel Fidenza
Calcio, in serie D.
Passa poi al Brescia (1955/1960) , al
Monza (1960 / 1962),
in prestito alla Pro
Patria (1962/1963),
nuovamente
al
Monza (1963/1966)
e chiude la sua
carriera nel Lecce (1966/1968). Come allenatore, vanta un lungo elenco di squadre: Lecce (1968/1971), Como (1971/1973), Cesena
(1973/1975), Sampdoria ( 1975/1977), Inter
(1977/1982), Torino(1982/1984), di nuovo alla
Sampdoria ( 1984/1986), Fiorentina (1986/1987),
Avellino (1987/1988), Ascoli (1988/1989),
Como( 1990/1991), Modena(1991/1992), Bologna (1992/1993), Pisa ( 1993/1994), Saronno
(1995/1997). Dal 1998 al 1999 è chiamato alla guida della Nazionale libica, poi nel 2001 allena I’ AlAlhy di Tripoli e, nel 2002, I’ Al-Ittihad, sempre
di Tripoli. Nel 2006 gli viene affidato il compito
di salvare la Lavagnese, in serie D; missione compiuta: nei play-out contro la Narnese vittoria per 5
a 1, dopo una poco incoraggiante sconfitta all’andata per 3 a O - 2006/2007 Direttore Sportivo del
Sestri Levante. In totale, conta 490 panchine in
serie A (148 vittorie, 197 pareggi e 145 sconfitte).
VITTORIE - Da allenatore conquista un Campionato italiano con l’Inter (1979/1980), tre edizioni della Coppa Italia, due volte con l’Inter
(1977/1978 e 1981/1982) e una con la Sampdoria
(1984/1985). Nel 2002, con l’AI-Ittihad di Tripoli, vince il Campionato Libico.
Achille Concari ha giocato con Bersellini nella Fulgor
“MA EUGENIO ERA DI
UN’ALTRA CATEGORIA”
Achille Concari, per i fidentini “Cilíèn”, classe
1937, un decina di partite in Serie D col Fidenza
calcio e un passato sportivo diviso tra pallacanestro, calcio e pallavolo. «Ho scelto il pallone
- dice - e le mie prime scarpe da calcio, comprate
da Alaimo, costavano 200 lire ed erano usate».
Durante una partita di campionato col Fidenza, sul campo della Sarom Ravenna, marcò in modo spietato un certo Marconí, originario di Parma. Questi, alla fine,
esasperato sbottò: «Ma sit sempòr chi?».
Nella mitica Fulgor del professor Pratìzzoli,
Cilièn è stato compagno di squadra di Eugenio Bersellini, quasi sessantanni fa. «Era dotato - ricorda - di un eccezionale senso della posizione. Senza essere spettacolare come lo era
stato ad esempio Del Grosso, aveva una innata
visione di gioco. II classico uomo squadra. Si
capiva già allora che era di un’altra categoria».
Concari, che a soli vent’anni decise di chiudere
con il calcio: anche da giovane, Eugenio aveva
un carattere serio, molto responsabile e posato. «Ricordo che alla fine di una partita giocata
a Ferrara con la Fulgor anteprima di Spal - Milan, il presidente Spallino Mazza si interessò a
4 di noi per un provino: io, Onesti, Giublesi e
Bersellini. Ma poi non se ne fece niente». Cilièn
svela infine una curiosità:
«Sono rimasto in contatto
con Eugenio. A volte, d’estate, lo andavo a trovare
nel ritiro in montagna con
la squadra che allenava.
Ma quando gli telefonavo
rispondeva soltanto se dicevo che la chiamata arrivava da Borgotaro».
PENNE ALLA„, BUSSETANA
Numerosi i giornalisti di Busseto diventati famosi per il
loro talento.
Da Giovannino Guareschi a Lino Rizzi (ha diretto Il Giorno, Il Giornale di Sicilia e Avvenire).
Da Umberto Brindani (neo direttore di Oggi) a Vittorio
Testa (conduttore di Loggione su Canale 5).
Senza dimenticare Enrico Giuffredi e Carlo Donati
Hanno cambiato città, giornali, tivù e settimanali. Ma più che il destino, la qualità e lo spessore
professionale hanno giocato un ruolo determinante. E oggi, non a caso, sono protagonisti di
prestigio nell’ampio panorama dei mass media
italiani. Umberto Brindani e Vittorio Testa (in
ordine alfabetico,please) sono le “ penne” di cui
stiamo parlando. Fresco direttore del settimanale “Oggi” il primo, attuale curatore e conduttore
di “Loggione”, programma di Canale 5 dedicato alla lirica il secondo, hanno una comune genesi: Busseto. Seimilacinquecento anime, più o
meno, e un sigillo di garanzia che il mondo ci
invidia: il Maestro Giuseppe Verdi, il genio riconosciuto in grado di fare la differenza. L’accostamento non sembri irriverente, ma prendendo
a prestito una fra le tante , lapidarie sentenze
che lo strano mondo del calcio sa esprimere,
l’illustre roncolese sarebbe il classico fuoriclasse. Troppo grande. Come Pelè, come Maradona. Punto e fine della metafora. Senza offesa
(la sua permalosità è proverbiale), se in queste
note del Cigno di Busseto non si parlerà più.
Subito a ruota viene Giovannino Guareschi, un
altro grande. Lui, a differenza di tutti gli altri,
rivendica natali a Fontanelle di Roccabianca.
Appena dietro l’angolo, è vero, ma sufficiente perché il dialetto assuma inflessioni diverse
- “In Via bèssa” direbbero da quelle parti e già
questo potrebbe bastare per escluderlo dall’elenco degli aventi diritto al marchio doc. Ma
Guareschi è Guareschi, uno che ha amato Busseto, la sua nebbia, i portici e la cartoleria di
Secchi, col pavimento di legno che ad ogni passo cigolava come una vecchia carriola e quella “caricatura” un po’ burbera dietro al banco,
baffuta e originale almeno quanto lui. Virtuoso
della penna e signore come pochi, negli anni ‘66
e ‘67, Guareschi trovò persino il tempo di scrivere due pezzi inediti per il Biscioneide, numero unico di taglio satirico umoristico, entrato
in qualche modo nella storia e nelle tradizioni
di Busseto, come il grande Corso Mascherato.
Uno che, appena gli era possibile, scappava
come un missile dai ritmi insopportabili della
grande città e si calava nel suo eremo di Roncole, tra cortine di nebbia e vicende di uomini
semplici. Un pieno di rimodellare l’espediente narrativo della sua ennesima “ incursione”,
a colpi di penna, dalle colonne di “Candido”.
Tutto questo per dire che Busseto, patria della
grande Musica (con la emme maiuscola), può
vantare anche una tradizione giornalistica davvero unica.Non è chiara l’origine di questo singolare dienneà, è certo però che questa sorta di
vocazione prende corpo già negli anni Cinquanta
col primo della serie: quel Lino Rizzi che approdò al quotidiano milanese La Notte baipassando “l’apprendistato” della Gazzetta di Parma.
La Notte andava in edicola nel primo pomeriggio e sparava le ultimissime della notte (appunto), con le colonne che profumavano di
inchiostro, come pane appena sfornato. Lino
Rizzi, che da quelle pagine inizierà a scalare i
vertici del giornalismo scritto, raccontava con
aria divertita di quel suo amico che veniva ad
aspettarlo in redazione, con l’intento di tirare poi a sera con lui, coi piedi sotto la tavola.
Quel signore, per ingannare il tempo , si dilettava a correggere le bozze ma soprattutto
rivelava grande talento nel confezionare titoli ad hoc. Una opportunità davvero unica per
un quotidiano votato, per sua natura, a cavalcare “la notizia dell’ultima ora”, enfatizzando l’evento. Quell’amico si chiamava Felice
Bolzoni ed era, manco a dirlo, un... bussetano.
A decenni di distanza , sarà l’aria o chissà che
cosa, Busseto ha mantenuto salda la tradizione.
Umberto Brindani (il suo ricco curriculum lo
leggete a parte), succeduto ad Andrea Monti
alla direzione di “Oggi”, rappresenta il classico
esempio di chi, per meriti professionali, ha saputo in poco tempo scalare i vertici della carta
stampata. Non di meno Vittorio Testa, un ricco
passato su testate di prestigio, attuale curatore
e conduttore, su Canale 5, di “Loggione”, programma dedicato alla musica lirica che si ripropone ogni sabato mattina, da ben cinque anni.
Potete leggere a parte la simpatica “lettera aperta” che il giornalista di Mediaset ha indirizzato a chi scrive queste note.
Sono racconti di gioventù, di vecchie amicizie, episodi di vita, curiosità inedite legate alla
sua brillante ascesa sul piano professionale.
Un flash back brillante e gustoso, indice di
una cifra giornalistica di assoluto rilievo.
A titolo statistico, mi pare significativa
un fatto: Umberto Brindani e Vittorio Testa non vantano trascorsi in “Gazzetta”.
Qualche occasionale collaborazione, ma nulla più. Veniva dalla Gazzetta di Parma, invece, Carlo Donati, ventottenne giornalista, scomparso prematuramente allo scadere
dell’anno duemila. Laureato in Lettere pres
so l’Università Cattolica di Milano, nel 1999 si
iscrisse alla Scuola di Giornalismo di Bologna.
Carlo Donati è stato per tre anni corrispondente
da Busseto della “Gazzetta” e, per alcuni mesi,
stagista presso il quotidiano Libertà di Piacenza.
La capacità di scrittura e la bona-
ria ironia con la quale sapeva accostarsi all’evento o al personaggio, fecero di Carlo Donati una sicura promessa della scarta stampata.
La vena mass mediatica di Busseto non si esaurisce qui. A cavallo degli anni Sessanta/ Settanta il bussetano Enrico Giuffredi , per gli
amici semplicemente “Enrì”, dal suo ufficio
parigino della Rizzoli, affacciato sui Champs
Elisées, ci raccontava dalle pagine in bianconero di “Oggi” le storie e il gossip del mondo dello spettacolo, di sovrani in esilio, regine in disarmo e principessine innamorate.
A Busseto, le vecchie generazioni ricordano ancora il padre di Enrico, noto per
il suo laboratorio fotografico in via Vitali.
Le “foto Giuffredi”, di colore marroncino, erano un marchio di garanzia.
Chiudo con una breve nota: per tutti i personaggi citati, Busseto è sempre stata, e
per qualcuno tuttora rimane, un riferimento imprescindibile della propria esistenza .
Perché, come si suole dire, va bene tutto,
Milano,
Roma,
Palermo,
Parigi,
giornali,
televisioni
e
settimanali.
Insomma tutto quel che volete, ma alla
fine si trova sempre il pretesto per una
veloce
rimpatriata
dai
vecchi
amici.
Anche questo è un segno che la classe non è acqua.
Penne alla...Bussetana. Gustosa lettera del giornalista e
conduttore televisivo Vittorio Testa
MIA LA PRIMA INTERVISTA
A BERLUSCONI, NEO PREMER
Per averla lo tampinò giorno e
notte per alcune settimane.
L’offerta, che non potè accettare,
del principe del giornalismo
Indro Montanelli perchè si Trasferisse a “Il Giornale”
Il giornalista bussetano Vittorio
Testa ha inviato all’amico Ascanio
Casali, suo concittadino e collaboratore di Cara Val Stirone, una
gustosissima lettera nella quale
rievoca, fra l’altro, la sua lunga e
brillante carriera.
Testa paparazzato mentre saluta e bacia Veronica Lario
Caro Ascanio, la tua richiesta
di notizie Ln autobiografiche
mi suscita piacevoli ricordi,
fin dai tempi in cui tu avevi
formato una squadretta di
calcio insieme a Giorgio Cro-
sali (sbaglio?): si chiamava la Sant’Agostino, se
ben ricordo, e ogni settimana davate vita a furibondissime nonché polverose partite sul campo
dell’oratorio (al camp di prett), davanti, tra gli
altri, a noi più giovani di due o tre anni (io sono
del 49)che ‘sgo’osavamo’ le vostre gesta atletiche
che ci sembravano fenomenali. Sempre per restare in tema calcistico, ricordo anche il tuo esordio,
diciassettenne, nel Busseto di Adriano Rossi, Seconda categoria. Eravamo venuti tutti alla partita
a vedere la grande promessa (`zoega `Scanio, zoega `Scanio!) in maglia giallo-canarino e pantaloncini blu a macinare kilometri a centrocampo:
zona strategica nella quale, parecchi anni dopo,
ci trovammo a contrasto (un tèkel!) nel corso di
un Busseto-Pieveottoville di Terza categoria: tu
non più velocissimo regista della squadra più
bassaiola, dal punto di vista della latitudine padana (`pasa la bela ad proema!’ ti gridavano i
pieveottovillini dalla tribuna lignea del vecchio
campo sportivo bussetano); io sfiatato mediano
dal ritmo non vertiginoso. Insomma un bel siparietto, degno del famoso calembour: ‘Lenti a contatto’.
Ed eccoci al giornalismo, al
quale approdai proprio su
istigazione di Lino Rizzi,
allora direttore de Il Giorno
il quale, letti un paio di pezzi per il Biscioneide - dove,
caro Ascanio diventammo
compagni di penna- mi presentò al mitico Baldassarre
Molossi, il totemico direttore della Ga77etta di Parma.
Il primo pezzo - tremila e
trecento lire il compenso fu sulla Villa Pallavicino di
Busseto che, ovviamente,
paragonai, c’erano dubbi sulla mia fantasia? a
una ‘vecchia signora pur sempre fascinosa’: castronata di luogo comune che per fortuna sfuggì
al Molossi, ben impressionato invece dalla successiva immagine... batrocomiocomica con la
quale avevo descritto la villa assediata da un lato
dalle maleolenti zaffate di allevamenti suini ma
felicitata dal lato peschiera dai ‘gracidanti madrigali’ (proprio così! E arrossisco anche ora...) a lei
dedicati da migliaia di poetiche rane e raganelle.
Poi, caro Ascanio, la mia truffaldina attività letteraria ampliò gli orizzonti: e in pochi anni eccomi
a Milano, Palermo, Padova, di nuovo a Milano.
Ho fatto il cronista, il capocronista e l’inviato.
Ho lavorato al Giornale di Sicilia (1976) al Mattino di Padova (1978), a Repubblica (1980-86 poi
1988-2000) e al Giorno (1986-88). Dal 2000 sono a
Mediaset, dapprima come vicedirettore a Milano
del TG5, da cinque anni e mezzo come curatore
e conduttore di Loggione, programma dedicato
alla lirica, il sabato alle 8,50 (guardatelo!). Insomma sono riuscito a raggirare fior di giornalisti,
addirittura ‘mostri sacri’, i quali, con mia grande
sorpresa, mi hanno fatto lavorare con loro, addirittura affidandomi compiti di responsabilità.
L’elenco delle mie vittime illustri è lungo: direttori come Lino Rizzi (al quale - gli sia lieve la
terra, come diceva Gianni Brera traducendo dal
latino - devo tutto), Giovanni Valentini, Eugenio
Scalfari, Ezio Mauro, Enrico Mentana; compagni
(?!) di lavoro come Bocca, Pansa, Vergani, Rocca, e tanti altri. Le soddisfazioni più gratificanti?
Tre: la prima l’aver lavorato con Lino Rizzi (“Sei
bravino”, mi diceva nella sua sconfinata generosità, ripetendomi un consiglio nella nostra lingua madre: “Ma ad ghè da stè tent a fè mia al
cujòn!”). La seconda: mi ero
dimesso da Repubblica per
contrasti con un mio capo,
due giorni dopo mi telefonò
Indro Montanelli. Credevo
fosse Paolo Guzzanti, collega di Repubblica, e imitatore straordinario. Invece era
proprio il Mito Montanelli in
persona: «Senta - disse a me
allochito e incredulo - qui al
Giornale abbiamo seguito il
suo buon lavoro da capocronista, ma non è per questo
che la chiamo: capocronisti
se ne trovano. Quello che mi
piace è che lei ha dato le dimissioni da Repubblica, il giornale di maggior
successo, senza contrattare, senza mercanteggiare. Non ce n’è più di pazzi simili in circolazione: pertanto io vorrei che lei venisse a lavorare
al Giornale». Non andò in porto per via di Lino
Rizzi, un fratello maggiore, un uomo straordinario, che mi chiamò al Giorno. L’ultima, e poi
chiudiamo, amico Ascanio: da inviato a Repubblica, Scalfari mi incaricò di seguire Berlusconi
nella famosa discesa in campo e poi nell’avventura politica. Diventato il cavaliere presidente
del Consiglio, Scalfari mi convocò e mi disse:
«Senti, è un compito difficile: ma proprio perché noi siamo il giornale nemico di Berlusconi
dobbiamo avere per primi la sua prima intervista da premier: datti da fare e non deludermi».
Furono giorni nei quali sarei scomparso volatilizzato molto volentieri, arrivai ad augurarmi
un’influenza perniciosa e paralizzante. Ricordavo ancora il primo tentativo di intervista a Berlusconi nel giorno in cui Scalfari gli aveva dedicato
un fondo dal titolo: «Arriva il Ragazzo Coccodè». Ero andato a bussare ad Arcore, il Cavaliere si era affacciato, aveva sgranato gli occhi al
sentire la richiesta e poi mi aveva risposto: «Ma
come faccio a farla entrare? Non me la sento di
umiliarla nel farla accomodare in un ...pollaio!».
Bene, facciamola breve: mi butto in maniera
maniacale a tempestare di richieste Berlusconi, a seguirlo in ogni dove a qualsiasi ora. Dieci
giorni di ‘pressing asfissiante’, durante i quali
tormento il premier giorno e notte. Finché una
mattina, alle otto, Berlusconi mi vede appostato
sotto casa sua in via dell’Anima a Roma, quasi nella stessa posizione in cui l’avevo aspettato la sera prima; e scoppia a ridere fragorosissimamente, aggiungendo: “Senta, io non ne
posso più, risolviamo questa faccenda: se lei mi
giura di dedicare un po’ più di tempo alla sua
famiglia e di non molestare più la mia nonché
tutti i miei collaboratori, e giura di non telefonarmi più nelle ore notturne, ebbene facciamo
questa benedetta intervista, e poi non si faccia
più vedere almeno per una giornata intera”
Fu così che, Ah maledetta Vanità!, ebbi l’onore
di essere elogiato nel fondo di Scalfari accanto
all’intervista a Berlusconi.
LA SCHEDA
di UMBERTO BRINDANI
Nato
nel
1958
a
Busseto.
Laureato a Bologna in Filosofia nel 1982.
Prima di essere selezionato dall’Istituto per la
Formazione al Giornalismo di Milano, nel 1984,
collabora con la “Gazzetta di Parma” e pubblica due brevi saggi sul “Mulino”, oltre a tradurre
testi di economia, sempre per la casa editrice II
Mulino di Bologna. Prima assunzione, nel 1984,
al mensile di economia “Espansione” (Mondadori). Successivamente partecipa alla fondazione del quotidiano “ItaliaOggi”. Nel 1987 viene
assunto a “Panorama”, dove lavora per 17 anni.
Prima alla sezione economia poi come inviato
speciale e in seguito come caporedattore dell’Attualità. Nel 1997 diventa vicedirettore (con Giuliano Ferrara) e nel 2000 condirettore (con Carlo
Rossella).
Nel 2004 è chiamato da Hachette-Rusconi a dirigere il settimanale “Gente”, che ridisegna come “newsmagazine familiare”.
Nel giugno 2005 la Mondadori lo chiama per
la direzione di “Chi” nel giugno 2005: sotto la
sua guida il settimanale raggiunge il massimo
storico di diffusione, con circa 540.000 copie.
Nell’ottobre 2006 assume la direzione di
“Tv Sorrisi e Canzoni” (che nel 2007 ha
la seconda migliore performance diffusionale tra i primi dieci settimanali italiani) e, successivamente, anche di “Telepiù”.
Nel giugno 2008 lascia la Mondadori.
Nel febbraio 2009 entra in Rcs come
condirettore
del
settimanale
“Oggi”.
Nel febbraio 2010 ne assume la direzione, insieme a quella di “TvOggi” e dell’Europeo.
LA SCHEDA
di LINO RIZZI
(1927 - 2001)
Il suo debutto, al quotidiano milanese “La Notte”, risale agli anni Cinquanta.
In oltre quarantacinque anni di professione, spesi a vari livelli di impegno e di specializzazione, il giornalista bussetano è stato cronista, inviato speciale, corrispondente
estero da Parigi e commentatore politico.
Ha partecipato a numerose tribune politiche
televisive e ha diretto quotidiani di rilievo nazionale (Il Giorno, Il Giornale di Sicilia e Avvenire). E’ stato redattore di Oggi e di Panorama.
Nel
1981
è
stato
capo
redattore
del
settimanale
TVRadiocorriere,
della ERI
Edizioni Rai
e vice direttore
vicario del
TG1. Il figlio,
Filippo
Rizzi,
sta
seguendo
le orme del
padre: attualmente, è
redattore
del quotidiano cattolico Avvenire.