L`IMMAGINE GRAFICA DEI QUOTIDIANI: COME CAMBIA

Transcript

L`IMMAGINE GRAFICA DEI QUOTIDIANI: COME CAMBIA
L’IMMAGINE GRAFICA DEI QUOTIDIANI: COME CAMBIA NEL
CORRIERE, PERCHE’ CAMBIA SECONDO I GIORNALI ED I PAESI
Corso di laurea in Scienze della comunicazione
Anno accademico 2000−2001
Esame di Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico
prof. Raffaele Fiengo
tommaso bisagno
matricola 421553 sc
PRESENTAZIONE
In questa ricerca esamino l’immagine grafica dei quotidiani: un unico nome per una
pluralità di componenti, la cui variazione ha un legame indissolubile con quella della
struttura logica e formale dei contenuti che il giornale offre al lettore In primo luogo
esamino l’evoluzione diacronica del Corriere della Sera, paragonando prima pagina e
pagine interne del 2000 agli equivalenti del 1930, 1968, 1973, 1990 e 1997. Poi metto
a confronto il Corriere di oggi con Repubblica, il suo principale concorrente in Italia;
con Le Figaro e The Times, che in Francia e Gran Bretagna rivestono nel panorama
dei media posizione analoga quella italiana del Corriere, ossia giornali autorevoli e
letti dalle classi dirigenti, di respiro europeo ma anche di notevoli vendite; con
l’International Herald, che ha i tratti statunitensi, essendo “published with the New
York Times and the Washington Post”; ma è anche molto sui generis, non essendo un
quotidiano a radicamento nazionale, ma rivolgendosi piuttosto ad una platea sparsa
per tutto il mondo, con un forte nucleo di americani che si trovano all’estero.
Infine cerco di trarre delle conclusioni da questi piccoli paragoni campionatori:
emergono in particolare le strette affinità tra i due quotidiani italiani, ed il legame
strettissimo fra forma (grafica) e contenuto
CHE COS’E’ “L’IMMAGINE GRAFICA” DEI QUOTIDIANI?
Le trasformazioni grafiche nei quotidiani sono raramente rivoluzioni, più spesso serie
di aggiustamenti successivi. Questo è dovuto anche alla pluralità degli elementi
coinvolti: il vestito grafico è formato da tante pezze di stoffa diverse.
Si pensa anzitutto alle foto: dai giornali di solo testo, ai disegni, al bianco e nero, al
colore. Non cambia solo il tipo di immagine, ma anche la sua diffusione quantitativa
nel giornale: da una tantum a grande abbondanza. Soprattutto cambia il significato
che le immagini assumono nell’economia del quotidiano. La versione più semplice è
la foto di semplice valore ornamentale: la foto del politico di cui si parla; serve ad
attirare il lettore che capisce al volo l’argomento e non è oppresso da un nugolo di
caratteri senza soluzione di continuità, e ricorderà di più. Altre volte la foto è già un
commento: se il politico è raffigurato mentre si scaccola è evidente l’intenzione di
smitizzare tutto il suo teatrino; nella sua breve vita, applicò questa terapia a tutti la
“Voce” diretta da Montanelli; il Manifesto usa spesso grandi foto−commenti per la
sua prima pagina. Sono scelte fatte da quotidiani apertamente schierati, non da quelli
di maggiore diffusione, che hanno padroni importanti, devono darsi un’immagine
rispettabile e fare i conti con un pubblico di lettori eterogeneo. La tecnologia
informatica dà potenti strumenti: è possibile ritoccare o deturpare le foto, o costruire
realistici fotomontaggi o elaborazioni ibride, come la copertina di Newsweek sulle
elezioni americane, raffigurante un umano che sintetizzava le fattezze di Gore e Bush
assomigliando ad entrambi.
In altri casi la foto ambisce a sostituire l’articolo, ad essere essa stessa la notizia. E’
l’ambizione del grande fotogiornalismo già ad inizio secolo, sviluppatosi nei
settimanali illustrati. La foto cattura un istante del reale che li riassume tutti, e sia
spiega sia emoziona l’osservatore (ha un più rapido e diretto impatto emotivo rispetto
al testo scritto). Alternativa è la fotografia come flusso, cioè tante piccole immagini
successive: qui i quotidiani arrancano dietro al modello televisivo.
La fatale parzialità dell’inquadratura, e le possibilità di manipolazione offerte dalla
tecnologia, negano anche alla foto l’ambizione di pura verità da tempo sottratta allo
scritto. La foto si è inserita con forza nel giornale, cercando di informare anche senza
parole, ma non è mai indipendente dalle parole: è comunque crucialmente
condizionata dal contesto in cui è inserita, è praticamente sempre accompagnata da
una didascalia. Risulta però penalizzata, sul quotidiano, dalla fretta della
realizzazione, che riduce la possibilità di selezionare e provare, e dalla bassa qualità
della carta su cui va a comparire; per questo ha ancora un habitat più naturale nei
periodici.
A metà del guado tra testo e immagine stanno gli informational graphics: tabelle,
cartine, schemi che completano, riassumono o autonomamente dicono. Quando si
tratta, ad esempio, di grandi moli di dati , una tabella è più breve e più chiara di un
discorso unico , in cui si deve pagare dazio−spazio alle esigenze della sintassi.
Da questi si possono distinguere gli inserti testuali che affiancano gli articoli:
frammenti riassuntivi in corpo assai più grande, quasi dei secondi titoli (vedi Le
Figaro), o fasce che corrono lungo tutta la lunghezza della pagina per riassumere gli
avvenimenti o i personaggi (una delle più recenti e stabili innovazioni del Corriere).
Comune a tutti i giornali lo spezzettamento dei contenuti: al posto di un solo articolo,
un blocco principale e poi tanti miniriquadri con le dichiarazioni dei protagonisti, il
glossario dei termini, le informazioni marginali (spesso di colore, quasi dei mini
features); o ancora, evidenziare la divisione in paragrafi degli articoli più lunghi
dando a ciascuno un piccolo titolo.
Altre innovazioni riguardano solo la stampa. Il Corriere ad esempio sceglie di
adottare una grande varietà di caratteri tipografici. In alcuni casi sono gloriosi residui
della storia, come il corsivo per i commenti non ortodossi, per le precisazioni a fondo
articolo, per le repliche alle proteste, per gli elzeviri letterari; ma anche si adottano
caratteri diversi secondo i contenuti: spesso più eleganti, ad esempio, per la “nobile”
sezione culturale. O ancora tante differenze quando la prima pagina è ricca di
richiami ad articoli interni, e li si vuole rendere attraenti e non persi nell’indistinzione
tipografica.
Assai raro l’uso del colore per i caratteri di stampa: solo nella testata o nei titoli più
grandi, è quasi sempre appannaggio dei giornali a target meno elevato.
Infine, l’aspetto grafico di un quotidiano è anche definito dalla gestione degli spazi e
dall’ impaginazione. In principio era una struttura uguale per tutti e codificata dai
manuali: apertura, spalla, articolo di fondo, taglio basso e così via. Ora dilaga la
varietà: in una pagina dieci articoli o anche uno solo, in giornali differenti o in pagine
dello stesso, e non c’è canone nemmeno per la “prima”. Anche per i titoli, occhiello,
sommario e catenaccio possono diventare un opinione, o perlomeno un optional: il
titolo può estendersi su due righe, un cappello in grassetto all’articolo può fare da
sommario, sopra il titolo può correre una fascia orizzontale di infographics, foto e
testo, o semplicemente (è il caso degli “Speciali” del Corriere) di informazioni altre.
E spetta all’art director decidere anche quanti millimetri bianchi fra le righe o fra gli
articoli, come pure il formato (tabloid o canonico) e le colonne per pagina: trovare un
equilibrio fra un’offerta ricca e un eccesso che affatica gli occhi ed allontana il lettore.
Tutte le caratteristiche indicate convivono e si assommano per creare l’unitaria
immagine grafica del quotidiano.
PERCHE’ CAMBIARE?
Sono soprattutto gli ultimi anni ad aver visto una gran corsa al restyling da parte dei
quotidiani italiani; ed inevitabilmente il movimento di uno ( e secondo Verdelli è
stato spesso il Corriere a partire davanti a tutti) innesca la spirale delle imitazioni.
Si cambia per venire incontro al lettore. In primo luogo, naturalmente, vendere più
copie: e il perdurante basso numero di italiani che comprano il quotidiano è un
potente stimolo a cercare di inventare qualcosa di nuovo. Sono solo uno su dieci, in
lieve ripresa oggi ma ancora al di sotto dei quasi sette milioni di acquirenti del 1990.
E’ una crisi strutturale, quasi di vocazione, a cui evidentemente il lifting grafico può
solo dare risposta parziale. Poco è servito alle vendite di La Stampa rinnovare
l’immagine; l’originalità grafica della Voce di Montanelli non ha evitato un rapido
tracollo; il Giornale ha proseguito il suo trend ascendente quando si è recentemente
dato una veste assai più elegante, e questo non ha alterato lo stile ed i contenuti,
sempre apertamente schierati e appassionati al limite dell’ingiuria.
Ma non è anche una crisi economica: lo stato di salute delle aziende editoriali nel
2000 è piuttosto buono, con il fondamentale apporto della pubblicità.
Cambia il lettore, perché ormai è un cittadino della civiltà dell’immagine, un homo
videns (Sartori); la televisione, e ora anche i nuovi media, abituano allo stile di
comunicazione per immagini, e il quotidiano si adegua: pare costretto a malincuore a
farlo, più che pronto a cambiare pelle per essere al passo con i nuovi tempi. La civiltà
dell’immagine è anche quella del consumismo, della spinta al continuo cambiare: in
questo senso cambiare qualcosa della grafica diventa anche semplicemente un obbligo
periodico, come le auto; e c’è anche in questo campo una “moda” da seguire, di volta
in volta diversa.
Le innovazioni tecnologiche offrono possibilità sempre nuove e maggiori per la
grafica, ed è difficile resistere alla tentazione di cambiare per rendere il prodotto più
bello; le spese aumentano, ma il colore, ad esempio, ormai se lo possono permettere
tutti i giornali. La pubblicità è colorata, e si autofinanzia; ma entro certi limiti anche il
testo informativo deve adeguarsi e vivacizzarsi per non diventare distratto sfondo alle
splendenti inserzioni.
Si trasforma di più la veste grafica anche perché è saltata la dicotomia tra redazione e
tipografia: attraverso i programmi di impaginazione, chi scrive ha gran voce in
capitolo nello stabilire come il suo testo apparirà. E’ quindi possibile rendere
complementari testo e veste grafica, integrati l’uno all’altro. Tante possibili vesti
grafiche portano anche a sviluppare tanti possibili modelli di testo (o foto, o grafico)
al di là del sempiterno “pezzo”.
FORMA E CONTENUTO
Un mutamento nella grafica porta anche un mutamento nel contenuto, e viceversa. Il
rapporto è strettissimo, ed è difficile stabilire una relazione di effetto e causa. Per lo
sguardo del lettore è più riposante ed attraente trovare tanti piccoli articoli anziché un
mastodonte di colonne senza interruzione? L’informazione sarà spezzettata in tanti
piccoli articoli, senza un quadro generale o un’unica indicazione di senso. Nei box
vanno solitamente le informazioni di contorno o di colore; ma siccome sono più brevi
e magari contornati è più facile che il lettore legga solo, o anzitutto, quelle. Un titolo
di una riga sola (vedi Corriere vs. El Paìs) è esteticamente più bello, ma è costretto a
sintesi più brutali e con maggior potenziale di distorsione dei fatti; una prima pagina
con tanti colorati richiami significa poco spazio di approfondimento. e quanti lettori
vanno a cercare in mezzo a pag. 19 la fine dell’editoriale di copertina?
Ma la modernizzazione della veste grafica non conduce inequivocabilmente ad un
informazione più superficiale. In parte perché i condizionamenti spaziali ci sono
sempre stati, come il classico limite delle battute: mille e non più di mille perché
l’articolo deve stare in quello spazio di pagina. Inoltre, un grafico rende prima di
qualsiasi prosa l’andamento della borsa, o la griglia di partenza del gran premio.
Il peso delle foto è ancora tutto sommato marginale: però certe immagini shock
rendono più l’idea della barbarie umana del miglior resoconto. Si sceglie un simbolo
anziché tracciare un quadro: ma sono due forme di comunicazione senza rapporti
gerarchici.
L’influenza devastante della televisione sui giornali attiene anche ai mutamenti
contenutistici. Viene dal piccolo schermo infatti l’abitudine all’informazione flash,
superficiale, che deve anzitutto catturare l’attenzione, l’audience; e così vale anche per
le altre trasformazioni dei quotidiani contemporanei indicate da Papuzzi, tutte legate
anche a mutamenti grafici.
La settimanalizzazione: il giornale non è più la fonte prima dell’attualità, surclassato
sul tempo dalla tv; e allora inserti e supplementi, rubriche e “pagine monografiche”,
che richiedono di differenziarsi anche nell’estetica dalle pagine standard di notizie;
aprirsi a mille temi, dall’economia allo sport alle scienze alla salute al tempo libero e
poi lo spezzettamento dell’evento in tanti sottoeventi e punti di vista, che si traducono
in riquadri e trafiletti.
Fare giornalismo sensazionalistico per attirare acquirenti: e allora titoli giganti e
colorati, anche per nugae o per bufale.
Per difendersi dalla televisione si studiano diverse strategie. Usa Today e gli emuli si
adattano alla brevità delle notizie, al prevalere delle immagini e dei grafici, ma
sfidano la televisione sul piano dell’organizzazione: più efficace lo scritto del flusso
di parole, più comprensibili e vicine al lettore le notizie. Altri giornali si rendono
radicalmente alternativi, accentuando nella scelta dei contenuti e nell’immagine
elegante l’identità (ambita ma in parte ancora reale) di mass media d’elitè. I giornali
italiani, anche i più nobili, si pongono spesso a mezza strada, assommando
caratteristiche dell’uno e dell’altro modello con il rischio di essere né carne né pesce.
COME CAMBIA NEL TEMPO IL CORRIERE
Per valutare i cambiamenti nella grafica del giornale (che, come detto, sempre si
accompagnano, parte causa e parte effetto, a cambiamenti nel contenuto) metto a
paragone il Corriere del 13 dicembre 2000 con alcuni numeri del passato. Scelgo
numeri in cui non c’è una notizia straordinaria, che inevitabilmente rivoluziona la
struttura della prima pagina e non solo, e non permetterebbe un paragone obbiettivo
16 ottobre 1990
−la prima pagina
La differenza è decisamente poca. Anzi la struttura della pagina appare più innovativa
nel numero di dieci anni fa. L’apertura occupa la prima colonna con il titolo, come
normale, ma anche con l’articolo, che invade lo spazio tradizionalmente riservato
all’articolo di fondo (così è infatti nel numero del 2000). Questo manca: ci sono tre
editoriali ma in posizione non ortodossa: due in funzione di commento sotto
all’articolo notizia cui si riferiscono, uno sul fianco sinistro, ma spostato verso il
basso. Questo accade perché non è un commento ai fatti del giorno, ma un
“coccodrillo” per l’appena defunto Bernstein. Molti sono i punti in comune tra le due
uscite. In primo luogo, lo schema a nove colonne non trova mai piena applicazione:
in un caso sono gli editoriali ad espandersi in colonne più larghe, nell’altro già
l’articolo di apertura. Gli item che compaiono nella pagina, pubblicità esclusa, sono
rispettivamente 13 e 14: già allora il Corriere manifestava la tendenza ad affollare la
prima pagina, a farne una vetrina più sul modello dei giornali popolari che di quelli
più autorevoli (vedi per contrasto “Le Monde”). Nel numero di quest’anno però ci
sono ben 4 box, poco più che titoli di articoli dell’interno; l’unico elemento analogo
nel 1990 rimanda al concorso “Replay”.
Gli elementi non testuali aumentano nel tempo. C’erano tre foto, di cui due semplici
volti dei personaggi; ritroviamo una vignetta e due foto a colori, e di maggiori
dimensioni; una, che ritrae un baby soldato del Corno d’Africa, ha funzione di notizia
già in sé, è fortemente espressiva e non un semplice contorno. Altre eccezioni alle
colonne di testo sono i riquadri pubblicitari (da uno a due a margine dei tagli bassi) e
la promozione degli inserti del Corriere, che nel numero del 2000 è contenuta in due
riquadri colorati, mentre nel 1990 era più sobria, ma anche mascherata, perché negli
stessi formati degli articoli di informazione.
Niente di nuovo sul fronte dei caratteri di stampa: se ne usano tre per gli articoli:
quello standard più il corsivo per qualcuno degli editoriali e il grassetto per notizie
date più in breve; l’articolo di fondo che apre il numero del 2000 è graficamente
identico ai commenti del 1990, e così pure lo stile dei titoli, con occhiello e sommario
per i due più grandi. Nessuna traccia di infographics.
La principale novità è quindi il colore, che è utilizzato dovunque possibile: per le due
foto (quindi col fine di attrarre il lettore e di migliorare la forza informativa del
prodotto), per la pubblicità degli inserti, e per la bandiera europea sotto la testata,
presumibilmente come carta d’identità del giornale (ma pare tanto uno spreco di
inchiostro…)
−pagina 3
Qui i cambiamenti sono maggiori, e nuovamente grafica e contenuto si accavallano.
In entrambi i casi la pagina è dedicata ad un solo tema: ma mentre nel 1990 questo è,
come prevedibile, quello del titolo di apertura, nel 2000 si parla invece delle elezioni
Usa, a cui era dedicata la foto nella parte alta del giornale. Non si rispetta la gerarchia
standard per poter offrire ancora più merce appetitosa in vetrina: non serve tributare
l’apertura a Bush e Gore se il lettore li trova ovunque non appena comincia a
sfogliare. Cominciamo dall’alto ad esaminare le differenze grafiche. E’ cambiata la
fascia superiore, con il nome Corriere, la data, il titolo della sezione: ora è più
elegante, meno rigidamente ingabbiata. Persiste l’uso di un disegno nell’angolo
superiore sinistro che sintetizza il tema della pagina: ma dal rozzo abbozzo della
faccia di Gorbaciov si passa ad una elaborata costruzione grafica con immagini e testo
assieme. Poi la novità principale: al posto dell’occhiello del titolo, una alta fascia su
fondo grigio con immagini e testo. Prosegue addirittura dalla pagina precedente, e
alternando volti e parole ripercorre l’evoluzione degli avvenimenti. Come ha spiegato
il vicedirettore del Corriere Verdelli, si tratta di un modello di fascia che ormai
correda d’abitudine ogni running story, in cui cioè la storia si costruisce in più giorni.
Inoltre attraversa verticalmente la pagina un’altra scheda−riassunto. Nulla del genere
nell’edizione del 1990, con un’impostazione più austera della prima pagina. C’è
maggiore spazio a disposizione: e infatti gli articoli sono sei contro tre (più la fascia e
la scheda), anche perché l’edizione odierna riserva il taglio basso ad una grande
inserzione pubblicitaria (già a pagina 3!). E l’articolo principale del 2000 è diviso in
paragrafi titolati, mentre nel 1990 sono tutti a flusso ininterrotto di letterine.
Due le foto, entrambe di Gorbaciov, ed a scarso contenuto informativo; nel numero
del 2000, sette volti di protagonisti ma anche una foto significativa di un cartello
“The End”.
Innovativa, probabilmente, per il 1990, la cartina con inserti grafici sulla sinistra, con
l’Europa in cui sono indicati i luoghi delle più rilevanti iniziative politiche di
Gorbaciov. Ma sotto c’è un articolo sui vincitori del Nobel negli anni piuttosto ostico
alla lettura e alla ritenzione, e che oggi sarebbe senz’altro meglio sostituito da una
tabella o un box.
Sono le innovazioni della tecnologia di stampa a permettere un’altra evidente novità:
non solo stampa nero su bianco, ma anche bianco su nero, e nero su grigio (ma il
colore vero è assente)
9 aprile 1973
− la prima pagina
Neppure una distanza di ventisette anni comporta un salto quantico nell’aspetto del
Corriere, fatta eccezione per il colore. Anzi per certi versi pare più “moderna” della
versione del 1990. Mossa l’impaginazione. i tre principali articoli in alto non hanno la
classica forma della scatola rettangolare. Compaiono ben 4 foto, e quella dell’articolo
di apertura è fotogiornalismo: un’immagine delle esplosioni in provincia di Torino
che può sostituire in parte le parole del titolo e dell’articolo. Nella parte bassa della
pagina, due inserti riquadrati dentro gli articoli; uno annuncia i principali articoli
dell’interno, con grafica meno attraente e caratteri più piccoli, ma la medesima
funzione dei box del Corriere di oggi. Però al contempo la prima pagina è ancora una
raccolta di notizie prima che una vetrina: solo 8 gli item presenti (contro i 14 del
numero del 2000); e niente pubblicità. Vario ed esteticamente gradevole anche
l’assortimento dei caratteri tipografici: addirittura 12 diversi nei titoli, contro 9 nel
2000, e lo stampatello allora negli occhielli, oggi nei titoli dei commenti; 4 contro 3
negli articoli.
− la terza pagina
Siamo in epoca antecedente alla rivoluzione che, portata dal Giorno di Baldacci, si è
espansa, mutatis mutandis, in tutte le testate. Nel 1973 pagina 3 era ancora la Terza
Pagina, quella della cultura. In questo numero però ha un carattere particolare: è tutta
dedicata alla morte di Picasso, che è anche una delle principali notizie della prima.
C’è comunque molta modernità o comunque soluzione della monotonia: 8 caratteri
diversi per i titoli, impaginazione mossa, inserti−riquadri e conseguente rottura
dell’unità del contenuto, del senso. Si vedano i due riquadri con la biografia anno per
anno e i commenti dei critici; ma come nell’edizione del 1990 sono ancora messi in
forma come articoli, senza il coraggio di saltare alla vera tabella o schema, assai più
chiara per il lettore. Limitatissime anche le suddivisione interni agli articoli: solo
nelle “Reazioni dal mondo culturale” e nelle frasi celebri di Picasso, ossia dove è
praticamente fisiologico. Il coccodrillo e gli altri commenti sono invece in unico
flusso di parole. Degna di nota anche la presenza sul fianco sinistro di una pubblicità
redazionale, graficamente assai poco distinta dagli articoli. Una pratica ormai
scomparsa, ma, più che per scelta degli art director, per imposizione legislativa di
tenere ben distinti articoli e pubblicità.
Il confronto di quella terza pagina con la corrispondente sezione cultura mette in
evidenza il netto cambiamento degli ultimi anni: la sezione cultura ha assunto
connotati grafici che la caratterizzano univocamente e la rendono ben distinguibile dal
resto del giornale. Il segnale più evidente è il generale assottigliamento dei caratteri
tipografici, segno di eleganza e di distacco dalle battaglie e dalle urgenze
dell’attualità. Ma la pagina culturale, in successione la n° 3, del 9−4−73 , comunque
già si distingue dalle pagine di attualità dell’epoca, anche se in maniera assai più
lieve, attraverso l’uso di alcuni specifici caratteri tipografici. Tuttavia non c’è una
linea di stike unitaria (come l’assottigliamento oggi) e l’impaginazione resta sempre
analoga al resto del giornale, mentre oggi la sezione cultura ha addirittura una
testatina autonoma, grazie anche al suo estendersi su più pagine.
16 luglio 1997
− la prima pagina
Pochi sono gli anni di distanza, e si vede. Si colgono le più recenti tendenze, o
almeno i loro embrioni. L’affollamento: 11 gli item nella pagina, contro 13 del
numero di oggi; la differenza sta nell’assenza dei box più sintetici, quelli con il titolo
e il rimando della pagina, e nulla più Infatti sono 2 e non 4 i rimandi espliciti ad
articoli interni, ed entrambi posti con simmetria ed in posizione poco rilevata, in
mezzo ai due tagli bassi. Sempre 3 sono le pubblicità, di cui una dedicata agli inserti
del giornale stesso (ma che senso ha reclamizzare quello che si include oggi? Il
giornale ormai è già acquistato..), e compare la vignetta (spostata in basso in ragione
della grande importanza della notizia di apertura, su cui certo non si poteva ironizzare
disegnando); una decina in entrambi i casi i caratteri di stampa utilizzati nei titoli, e 4
negli articoli, per andare a caccia della varietà.
Ben 4 gli editoriali presenti, di cui uno nella classica posizione e due sotto il titolo di
un articolo. Uno di meno in entrambe le categorie nell’edizione 2000, ma è comunque
una consolidata tendenza quella di inserire il più possibile i commenti, distinti
graficamente dal titolo in stampatello, sempre uguale a prescindere dalla collocazione
nella pagina e che resiste immutato da molti anni. Qui è chiaro il peso delle scelte
contenutistiche sulla grafica: con tanti editoriali non si ottiene soltanto la presenza di
più titoli e richiami in prima, ma anche una prevalenza dell’opinione sul fatto e un
modo per acquietare le vanità delle numerose grandi firme del Corriere (si è mai letto
Panebianco o Montanelli altrove dalla posizione di maggior rilievo?).
Nel 2000 diventano inoltre più sottili le linee di divisione fra le colonne, ed i moduli
degli articoli: è un ritorno all’antico, ma permane la ampia spaziatura fra le colonne
che permette di distinguere chiaramente un pezzo da un altro.
Le maggiori novità dal 2000 al 1997 riguardano le foto: colore a parte, sono 2 e non
una, e soprattutto hanno un maggior peso come trasmettitrici di informazione. Difatti
stanno immediatamente sotto il titolo di riferimento e solo la seconda è accompagnata
da un breve trafiletto, poco più di una didascalia o di un aggiunta. In sostanza la foto
è la notizia (anche se quella relativa alle elezioni americane è forse mal scelta).
Inoltre dal confronto con il 1997 emerge dalla generale omogeneità lo stacco della
rottura dello schema a colonne: eretico è proprio l’articolo di apertura, che occupa
circa una colonna e mezza (ed è l’unico della pagina a non adeguarsi al modulo: si
veda per contrasto il riquadro sul Corno d’Africa, largo precisamente 3 colonne).
− l’interno
Solo 2 articoli principali, come nel 2000; 2 grandi foto piuttosto a sproposito: una
poco significativa, l’altra con velleità di arte più che di aiuto al lettore. Ancora, è bene
ricordare l’influsso dei contenuti sulla forma: si impaginano le foto che si hanno a
disposizione. Compare il terzo colore, il grigio: tre fascette sopra articoli, che
contengono dei para−titoli non indispensabili ( vedi “L’avvocato” o “lo showman”:
non il cosa, ma il chi, che è ripetuto anche sotto). E’ un espediente grafico molto
diffuso nel Corriere. Rimane anche oggi ma ha subito un restyling che lo ha reso
meno ubiquo, ed ha assottigliato sia la fascia che i caratteri. Ma il grigio come sfondo
è anzitutto quello della fascia nella parte inferiore. Si tratta di una scheda tabella
analoga a quella che nel 2000 ritroviamo, ma più ampia e posta nella parte alta sopra i
titoli, dunque con un’evidenza assai maggiore: si pigia sull’acceleratore nel
valorizzare l’informazione non fornita dal canonico articolo. In entrambi i casi,
oltretutto, alla netta divisione dei contenuti scritti in piccoli moduli (rispettivamente
anno per anno o personaggio per personaggio) si accompagna una concentrazione
assai sopra la media di fotografie. Inoltre (sia nel 97 che nel 2000) vi si utilizzano
corpi di stampa che sono diversi da quelli canonici.
Nell’angolo alto a sinistra di pagina 2 troviamo il classico logo illustrato che dovrebbe
esprimere il tema della pagina (e sono sempre pagine monografiche). Bruttino e non
chiaro come quasi sempre. Nel Corriere del 2000 assistiamo alla sua evoluzione ed
estinzione: per le storie da prima pagina, qui l’elezione Usa, c’è un logo più articolato
e di forma più irregolare, esteticamente distante anni luce, il classico quadratino
resiste in alcune, assai poche delle pagine interne. Accetto scommesse su una sua
prossima scomparsa, anche se si tratta di una tecnica comune ad altri quotidiani, e
adottata alla sua nascita dal tg5.
5 dicembre 1967
− la prima pagina
Sia una coincidenza o meno, il numero esaminato, uscito appena prima del 68 e
dintorni, appare ben diverso dal successore del 1973 visto prima.. Solo 6 gli articoli ,
e quindi pochi i temi presentati e lunghi i pezzi: quello di apertura addirittura con una
colonna del suo asimmetrico e cacografico andamento si estende fino al fondo pagina,
unica eccezione peraltro al rigore geometrico dell’impaginazione degli altri. I pochi
titoli e l’assenza di riquadri evidenziano la struttura a nove colonne.
Ridottissimi sono gli spazi tra le colonne, e poco segnate anche le divisioni tra gli
articoli: lo sgradevole effetto di massa compatta di lettere è accentuato dai caratteri di
stampa più piccoli di quelli a cui siamo ora abituati. E per giunta è sempre lo stesso,
neppure variato col corsivo, e anche nei titoli si tende all’uniformità (solo
nell’apertura ci sono sia occhiello che sommario) Ordine e geometria che sono di
molto attenuati già nel 1973.
Pochi articoli ed accalcati nella forma. significa un giornale con meno pagine, perché
la carta costa, e meno contenuti, perché anche gli inviati costano e perché non c’è
ancora la padrona tv a costringere il giornale ad aprirsi a tutti gli argomenti per poter
strappare lettori. E’ anche un giornale senza commenti in prima (ed uno solo in
seconda): in parte perché è ancora la fonte primaria di notizie, quella delle breaking
news (ruolo che oggi è della tv); ma forse anche perché è meno sentita la divisione fra
fatto ed opinione.
− l’interno
Nella sua fascia destra, la seconda pagina pare assomigliare alle prime di oggi: grande
ed asimmetrico affollamento di articoli, varietà di caratteri tipografici; perfino il
commento d’apertura che si estende per due colonne di larghezza, violando la legge
ferramente applicata in prima. Ma resta la scarsa gradevolezza estetica per la
spaziatura ridottissima tra colonne, tra righe, tra lettere, e per l’assenza di
informazione non nella forma classica, con una sola misera foto come eccezione.
L’altra metà della pagina è occupata dalle pubblicità, che quindi erano arrivate ad
invadere in massa la seconda pagina (recinto sacro, ancora per un po’, la prima); ma
sono tanti moduli, come gli articoli, nessuno che conquisti il paginone.
27 marzo 1930
La preistoria. Manca un vero titolo di apertura, e una gerarchia di importanza tra le
notizie; sette nette ed evidenti colonne di piccolo testo senza un’immagine; la prima
pagina con la stessa struttura della seconda (a parte l’assenza di pubblicità). C’è
ancora molto del libro: l’articolo in basso a sinistra della prima prosegue in alto a
destra nella seconda.
Ma il giornale pare rendersi già conto della strada da percorrere: titoli interni che
spezzettano gli articoloni e magari attirano l’attenzione su di una parte soltanto: 10
diversi caratteri di stampa per i titoli; già 2 tabelle, seppur solo per le temperature e i
prezzi di abbonamento, e la testata è già quella che vediamo oggigiorno. A pagina 2,
la pubblicità è quasi identica a quella del numero del 1967, da cui in generale non lo
separa una grande distanza,. segno che l’evoluzione grafica dei quotidiani ha
recentemente accelerato il suo ritmo di mutamento. Ma è una tendenza attribuita
praticamente a tutto.
LA REPUBBLICA, RIVALE ITALIANO
Le trasformazioni grafiche ( e non solo) del Corriere vanno senz’altro lette alla luce
della lotta per il primato nazionale con Repubblica. Oltretutto i due giornali aspirano,
almeno in parte, a conquistare gli stessi lettori; è quindi ancora più probabile
riscontrare somiglianze che sanno di copiatura, o differenze nate per distinguersi
dall’altro giornale.
La copia di Repubblica che ho esaminato è quella del 22 dicembre 2000. Anche in
questo caso non c’è una notizia che assuma la totale preminenza, e lo schema della
prima pagina segue quindi moduli abbastanza standard e che ci permettono di
attribuire valore all’analisi seppur condotta su un solo numero.
Emergono immediatamente due basilari differenze rispetto al Corriere: il formato
tabloid e la maggiore presenza del colore.
Tabloid
La scelta del formato più piccolo è sentita come un passo in direzione dei lettori: dare
loro in mano un prodotto più maneggevole, più facile da aprire e sfogliare. Ma ha
anche due ricadute negative. Anzitutto, il tabloid è storicamente il formato dei
giornali popolari e non di quelli di alto livello, come Repubblica ambisce ad essere.
Tuttavia questo steccato è ormai saltato: El Pais ed El Mundo in Spagna, Le Monde
in Francia hanno come Repubblica formato più piccolo rispetto ad esempi come
l’inglese Times, il francese Figaro o il Corsera.
Resta però un ostacolo inevitabile: pagina più piccola significa meno spazio a
disposizione per le notizie, in qualsiasi forma si intenda esprimerle. Repubblica
rinuncia alle colonne di articoli, che sono 5; erano 9, seppur 3 brevi, nel Corriere.
Sono più corti che nel rivale i due articoli in apertura e taglio medio, e così pure le
anticipazioni degli editoriali: certo non c’è spazio per uno completo come nel rivale,
né è pensabile collocarlo nella tradizionale posizione dell’articolo di fondo, perché
ruberebbe troppa parte di pagina.
Non si rinuncia invece alla pubblicità: due manchette ed una striscia in fondo
colorate, ed un riquadro (2 nel rivale) in taglio basso; né si rimpiccioliscono i caratteri
di stampa: standardizzati quelli degli articoli, perfino più alti quelli dei titoli.
Analoga al Corriere la tendenza a concentrare nella prima pagina il maggior numero
possibile di item, di esche per il lettore. Esclusa la pubblicità, sono 14 nel Corriere e
13 in Repubblica malgrado i molti meno centimetri a disposizione. Ma come già
visto, Repubblica riduce il numero dei testi e si affida piuttosto ai riquadri con il solo
titolo ed il rimando alla pagina interna, che sono addirittura 7, sparsi per tutta la
pagina (dall’alto a destra al basso a sinistra) ed in diversi stili, due sono corredati da
foto; nel giornale rivale ce ne sono soltanto 3 completamente sguarniti di testo di
accompagnamento. Fra le esche per il lettore rientrano anche gli editoriali delle firme
di prestigio: ne iniziano 3, come sul Corriere; qui sono assaggi più corti, ma sono
addirittura in maggioranza rispetto agli articoli informativi
Colore
Le manchette pubblicitarie e la striscia blu in alto vicino alla testata, anziché la
piccola bandierina europea; la striscia pubblicitaria che chiude la pagina; in mezzo le
tre foto. Ma a colori è anche lo sfondo di 5 dei riquadri che annunciano articoli
interni. Si tratta di un espediente per dare visibilità qualitativa ad item che occupano
spazi quantitativamente ridotti. Vengono utilizzate tre tonalità diverse di verde; in
tutti i casi una tinta piuttosto neutra, che evidenzia i caratteri neri delle parole. E’ uno
dei pochi casi in cui il colore viene utilizzato per mettere in rilievo le parole e non le
immagini o i grafici. Efficace l’effetto: si attira realmente l’attenzione del lettore.
Le foto a colori di questo numero servono a dare un aspetto più brillante alla pagina
per chi la guarda da lontano, ma aggiungono assai poco alla memoria del lettore: due
infatti sono foto di personaggi, e in un caso (il PM) nemmeno del protagonista del
titolo sovrastante; le altre due sono in sostanza foto d’archivio, adatte per i due temi
(D Antona e le armi Nato) a prescindere dagli sviluppi del giorno; messe lì perché ci
vuole comunque qualche foto in prima pagina, l’occhio vuole la sua parte. Oltretutto
tutte e 4 le foto sono di dimensioni ridotte e di qualità non eccelsa.
Impaginazione
La Repubblica è lontanissima dallo schema tradizionale dei quotidiani, che nessuno
segue più pedissequamente, ma a cui, ad esempio, due concorrenti come Corriere e
Giornale sono decisamente più fedeli:
• il titolo principale, almeno a giudicare dalle dimensioni, non è in apertura ma
in taglio medio
• pochissimo rispettato è lo schema per colonne. E’ da “una piazza e mezza”,
come nel Corriere, l’articolo di apertura; ma così anche il quadrato verde al
fianco e la notizia più editoriale inquadrata in grigio; tanto che perfino due
canoniche colonne, una in taglio medio ed una in taglio basso, sono fra loro
sfalsate. Difficile è capire che lo schema di base è a 6 colonne, come
chiaramente emerge nell’interno.
• molto più nette dell’uso antico le partizioni nella pagina: non solo i riquadri e
le linee in senso verticale, comuni a molti quotidiani, ma anche la netta
tripartizione a mezzo di linee grassette nere orizzontali fra taglio alto, medio e
basso
Caratteri di stampa
Analogamente al Corriere, Repubblica utilizza molti diversi caratteri di stampa per i
titoli; ma maggiore è l’impressione di uniformità: il più delle volte varia solo la
dimensione e non lo stile. Per il titolo dei commenti si usa il medesimo carattere
stampatello con le grazie scelto dal Corriere: è evidentemente una consolidata
espressione grafica del prestigio e dell’autorevolezza che si vogliono attribuire agli
estensori.
Nelle pagine interne
Anche in questo caso è fitta la trama di affinità e differenze con i rivali. Il formato
tabloid porta ad un’impostazione più eterodossa: articoli che proseguono sulla pagina
a fianco, ed anche foto, 4 consecutivamente al centro della doppia pagina; sono però
penalizzate da essere stampate a pezzi su due fogli diversi, mentre l’articolo è già
strutturalmente diviso in colonne.
In generale la veste grafica di Repubblica è più innovativa, in particolare per quanto
riguarda le prime pagine, dedicate alle notizie del giorno. Le foto poste al centro sono
grandi e hanno la posizione di massimo rilievo della doppia pagina, che è il campo
visivo normale del lettore; attorno gli articoli, soltanto 2 o 3 per pagina. Le tabelle
sono grandi e frequenti, 8 in 13 pagine, caratterizzate dallo stampatello maiuscolo,
ossia la massima chiarezza, e dall’impiego di elementi grafici anche oltre le strette
necessità di spiegazione: ad esempio il capitello della colonna, o le mazzette di
banconote a pagina 9, Inoltre sono impiegate come sfondo diverse tonalità di grigio.
Il rigido alternarsi bianco−nero viene meno anche in alcuni riquadri−scheda o piccoli
articoli, a sfondo grigio (procedimento analogo allo sfondo verde della prima pagina;
e nelle sbarrette orizzontali (talvolta anche nere) con scritta in bianco (l’unica
deviazione dal nero canonico ed obbligato). Queste hanno la stessa identica funzione
che nel Corriere, ossia fornire un titolo aggiuntivo ma superfluo, una descrizione
della categoria più che del fatto: vedi “il caso” (pag. 2), “L’appello” (pag. 3), “la
polemica”, “la mamma”, “il personaggio” (pag. 4) e così via. Non si riscontra affatto
la tendenza a eliminarle vista nel Corriere; allo stesso modo persistono, tanto che le
ritroviamo in alto a sinistra a pag. 2 e 4, i riquadri francobollo che con un disegno
schematico (ed inevitabilmente bruttino) riassumono il tema della pagina. Ritroviamo
solo in tono minore la fascia riassuntiva sopra il titolo che abbiamo visto nel Corriere
con funzioni di riassunto ed accompagnamento per la storia principale; assente nelle
prime pagine, fino all’intervallo della pagina dei commenti, compare sia a pag. 17
che 18 con funzioni analoghe a quelle del quotidiano rivale, ma costretta in uno
spazio minore e di conseguenza meno importante nell’economia della pagina, dove il
formato tabloid riduce tutti gli spazi. Nella stessa collocazione compare invece a pag.
29 una tabella costruita secondo gli schemi di quelle frequenti nelle pagine iniziali.
In Repubblica è varia la struttura della titolazione: talvolta il sommario e talvolta
l’occhiello, oltre alle strisce grigie o nere con scritta bianca, già citate; piccoli riquadri
aggiuntivi, larghi metà titolo, immediatamente al di sopra o al di sotto (esempi da
pag. 6 e 7). Questi sostituiscono in parte i riquadri che il Corriere ed altri giornali
situano all’interno delle colonne di articolo. Lo stile resta lo stesso per tutte le pagine,
con l’eccezione della sezione centrale di lettere e commenti, dove le parole prendono
di nuovo il netto sopravvento su ogni espediente grafico, anche se l’effetto di
affollamento è evitato grazie alla larga spaziatura. Cambiano i caratteri di stampa
nella sezione Cultura; ma a differenza del Corriere, si torna al consueto per gli
spettacoli, che evidentemente non si considera argomento così nobile da meritare una
stampa più elegante. Infine, assai rara nel giornale è la presenza delle colonnine di
brevi, a differenza di molti altri quotidiani, malgrado siano considerate la tipica
espressione dell’adattamento dei giornali al predominio della tv o all’era frettolosa e
istantanea di Internet
IL CORRIERE E ALTRI DUE PRESTIGIOSI GIORNALI EUROPEI
LE FIGARO, uno dei due maggiori quotidiani highbrow francesi, assieme a Le
Monde, opta per una veste grafica sobria. La copia esaminata è quella dell’8 dicembre
2000.
Nella prima pagina il colore ha un notevole peso. Una grande foto a colori affianca
l’articolo di spalla, mentre altre tre accompagnano il sommario posto immediatamente
sotto la testata. Ricorre il colore rosso bordeaux: nella fasce colorate sotto la scritta
“Le Figaro” (esattamente l’analogo di Stampa, e Gazzettino) e sotto l’articolo di
apertura; poi anche in un elemento grafico triangolare, posto all’interno dell’articolo
sottostante, che rimanda ad ulteriori approfondimenti interni; e nei diversi argomenti
(international, politique, société..) che sono i titoletti del sommario che appare nela
prima colonna a destra Di fatto l’impressione è quasi quella di una stampa bicroma,
ed il colore porpora diventa parte dell’identità del quotidiano, quasi un “colore
sociale”. All’interno però il colore compare quasi completamente, ad eccezione delle
pubblicità.
In nessuna pagina mancano le foto (in bianco e nero): il più delle volte una sola per
pagina, collocata in alto al centro e di dimensioni notevoli almeno per gli standard
italiani (sopra il 15 X 10). Talvolta le foto sono più d’una: non così però nella sezione
“International”, che occupa le prime pagine. Ai temi considerati più importanti, in cui
le scelte e gli interventi alimentano il prestigio del giornale, l’aspetto è il più possibile
sobrio e tradizionale, lasciando il palcoscenico ai contenuti.
Le foto hanno il più delle volte semplice valore denotativo: non aggiungono nulla alla
notizia, soltanto ne raffigurano l’oggetto (foto di galline in un articolo sulla carne
sana, di macchine in coda quando si parla di traffico, della sede della Corte Suprema
della Florida, dei tennisti in gara in coppa Davis): quasi solo un espediente per
alleggerire l‘effetto di pesantezza di una eccessiva concentrazione di caratteri a
stampa. Due casi invece di vera aggiunta di informazione, di effetto connotativi: la
foto in prima pagina di Alfred Sirven, indagato nell’affaire Elf, con uno sguardo
decisamente torvo e losco; e quella dei manifestanti al vertice di Nizza in piena
protesta.
In linea con lo stile austero e sobrio, mancano esempi di foto a flusso di fotogrammi,
o di elaborazioni computerizzate di immagini; l’unica vignetta è confinata alla pagina
degli editoriali.
Limitato è il ricorso all’informazione grafica: solo una piccola cartina di Etiopia ed
Eritrea nella sezione esteri. Altrove, è presente, come nel Corriere e sulla scia del
modello Usa Today, soprattutto nelle “news you can use”: ad esempio una mappa dei
lavori stradali a Parigi, una della Francia con le indicazioni delle varie feste locali,
una tabella con le caratteristiche dei diversi tipi di carne di gallina in commercio.
Più innovative le scelte nel layout della pagina. Anzitutto salta lo schema canonico di
apertura, spalla, editoriale e così via. Ogni pagina è occupata in media da quattro
articoli che se la spartiscono piuttosto equamente; questo accade anche nella prima
pagina, che attenua dunque la sua funzione di vetrina: siamo distanti dall’affollarsi di
richiami del Corriere, più simili al diretto concorrente Le Monde. In moltissime
pagine si aggiunge una colonnina di brevi, sempre dello stesso aspetto. In prima
pagina, appena sotto la testata, una fascia orizzontale con foto che rimanda alle pagine
interne: ritroveremo, ancora più evidenziata, la stessa soluzione nel Times.
Compare anche una fascia lunga tutta la prima colonna della prima pagina (dove la
tradizione, ma anche il Corriere, mettono l’articolo di fondo), con la doppia funzione
di sommario e di riassunto autosufficiente dei fatti del giorno (come le lines di Usa
Today). Nelle pagine interne compaiono all’interno degli articoli due espedienti di
sintesi usati frequentemente: una breve introduzione iniziale, qualcosa in più del
titolo, analogo ad un flash d’agenzia, e dei riquadri all’interno delle colonne, dove in
corpo grande si riprendono i temi o le dichiarazioni più importanti
Una cospicua differenza rispetto al Corriere è la sostanziale uniformità di grafica in
tutto il giornale: la sezioni cultura, sport , scienza ed economia hanno le stesse
intestazioni; i caratteri grafici usati non variano per tutto il giornale, anzi praticamente
ne leggiamo uno solo.
THE TIMES
The Times, storico quotidiano inglese, vanta sulla sua prima pagina di essere stato
votato giornale dell’anno. Malgrado, o a causa, della sua impostazione grafica
semplicissima, almeno in apparenza, e omogenea? Prendo in esame l’edizione del 21
dicembre 2000.
La prima pagina è assai distante dai modelli italiani:
Due grandi e belle foto a colori campeggiano a centro pagina. Hanno la parte delle
protagoniste: piccolo il titolo scritto che le accompagna, costretti ai lati gli altri. Ma
per il resto sono le parole, e presumibilmente il contenuto, a riprendersi lo scettro,
come nella tradizione di secoli. Compaiono solo 4 articoli, ma lunghi, ed informativi,
non editoriali. Poi 3 semplici rimandano all’interno: in grande rilievo i due della
fascia blu appena sotto la testata, arricchiti da fotografie; siamo al confine con la
pubblicità interna, visto che si fa riferimento al supplemento Times2. Il terzo
annuncio è collocato addirittura sopra la testata, posizione inconsueta. Completano la
pagina una breve ed una vignetta, e in basso una fascia colorata autopubblicitaria,
uguale a quella di Repubblica.
Gli item nella pagina non sono pochissimi, ma la parte centrale è dedicata
esclusivamente ai 4 articoli: siamo assai lontani dall’affollamento delle prime pagine
di Corriere e Repubblica.
Mancano completamente gli editoriali e le notiziole dentro riquadri, o la serie di
flash; mancano anche occhielli e sommari ai titoli (perfino i principali): il risultato è
una ordinata successione di testo su colonne, e la minima alternanza fra i caratteri di
stampa. C’è anche una cartina−tabella: piccola e non protagonista, ma non una
semplice appendice. Infatti indica il luogo dei fatti ma ha anche una scritta interna
“qui gli uomini erano tenuti prigionieri” che la rende una potenziale fonte autonoma
di informazione per il più frettoloso lettore.
Aria di moderno anche nell’uso del colore. Oltre alle grandi foto, è significativo
l’apparire di parole stampate in colore: i titoli gialli sulla fascia violetta, ma anche il
titoletto sopra la testata. Gli uni per articoli di costume, l’altro per l’intervento di una
grande firma: il colore quindi associato, con coerenza, ad argomenti estranei alle
breaking news. Si potrebbe obbiettare che il colore, che spicca, andrebbe impiegato
per ciò che ha maggior rilievo, e non di contorno. La proposta ha senso per quanto
riguarda la fascia, ma non per il titolo superiore: a parte le considerazioni sulla
collocazione, il violetto su bianco colpisce meno, e non di più, del nero abituale.
Coerente è l’uso del colore anche perché, foto e pubblicità escluse, è solo violetto e
giallo, che quindi diventano “colori sociali”. Idea simile può essere la sottile fascia
azzurrina sotto la testata degli italiani Repubblica, Stampa e Gazzettino…ma lo stesso
colore non può essere associato a tutti.
Le pagine interne hanno lo stesso stile della prima. Una grande foto e pochi articoli,
lunghi nel testo e brevi nel titolo in un solo modulo, ordinatamente impaginati. Anche
qui, economia di espedienti grafici: niente riquadri dentro l’articolo, niente fasce alte
sopra il titolo, niente quasi schede o brevi, niente bollino in alto a sinistra che
sintetizzi il tema della pagina (anche perché sono rare le pagine monografiche). Il
colore non va oltre pag. 3, dove vivacizza una cartina tabella, con mappa e parole, che
riprende lo stile e l’argomento di quella della prima pagina. Ne completa la storia: in
prima si indicava dove erano tenuti i prigionieri, dietro c’è la ricostruzione della loro
liberazione. Guardandoli entrambi si può capire il succo della storia: è quasi un
“giornale a fumetti”. Ma poi di tabelle non ne compaiono più fino al settore
economia, dove sono di casa, prima per natura del tema che per scelta dell’art
director. In ogni caso le scelte grafiche devono fare i conti con una presenza della
pubblicità assai più massiccia che in Italia
Impaginazione e caratteri di stampa variano solo nella doppia pagina dei commenti,
assai simile a quella di Repubblica anche se il quotidiano inglese non è in formato
tabloid. In realtà il paragone va rivoltato: la pagina dei commenti, nettamente separati
dalle notizie è una tradizione anglosassone (che infatti ritroveremo anche nell’Herald
Tribune statunitense), copiata da molti giornali del resto d’Europa, come la tedesca
Zeit, lo spagnolo Paìs, ed appunto Repubblica. Nel Times vediamo: un lungo articolo
con vignetta da una parte, tre brevi ed anonimi editoriali e le lettere dei lettori a cui è
attribuito un titolo dall’altra, quasi scomparse le foto. Solo i volti di due columnist, il
cui nome è per giunta scritto bello grande e in corsivo, rarissima deviazione dal
monopolio dello stampatello, quasi sempre minuscolo; omaggio agli ego il carattere,
effetto tv la pubblicazione della foto, che comunque non è rara avis. Interessante
notare che i titoli degli editoriali sono in stampatello con le grazie, proprio come
accade per quelli di prima pagina in Corriere e Repubblica; si conferma così la
connotazione di serio e paludato di questo font. Non a caso, nella pagina seguente, è
anche scelto per i titoli degli obituaries.
La sezione cultura non ha questa volta un diverso carattere di stampa: ma la diversità
della natura delle sue notizie è evidenziata comunque, perché si trovano nel Times−2,
supplemento su fogli grandi la metà, e che significativamente raduna scienze, legge,
arte, cinema, tv, “terza pagina”: campi diversi con in comune il carattere di non−
urgenza. Sono i figli della settimanalizzazione dei quotidiani dovuta alla dittatura
della televisione, fonte prima e più aggiornata di notizie, tanto che in verità neppure
la sezione principale del Times, come degli altri quotidiani, porta ai lettori le breaking
news.
UN QUOTIDIANO AMERICANO, UN QUOTIDIANO PARTICOLARE: L’
INTERNATIONAL HERALD TRIBUNE
Nel paragonarlo agli altri giornali bisogna anzitutto tenere conto della sua diversità
funzionale. E’ un giornale autorevole e letto in Europa, ma non è un grande
quotidiano nazionale: è pubblicato in tutta Europa in stretta collaborazione con i
prestigiosi americani New York Times e Washington Post, oltre che in parte con
servizi propri. Si qualifica “il quotidiano del mondo”: ha lettori nei 5 continenti,
presumibilmente uomini di affari, molti non di madrelingua inglese, e americani che
all’estero difficilmente trovano NyT e WashPost (il cui prezzo oltretutto aumenta
allontanandosi dalla città sede).
La sua veste grafica è tuttavia abbondantemente comparabile a quella dei quotidiani
italiani ed europei, con cui presenta varie affinità. Simile al Times è l’impaginazione
di accentuato ordine, con pochi (5) articoli in prima pagina ma di discreta lunghezza.
Completano la pagina altri 3 item: un’anticipazione dello speciale “outlook 2001”
riquadrata sotto un articolo che tratta dei medesimi temi economici; una breve
corredata di foto e il blocco con l’”Agenda” (che è solo un titolo: in realtà è un
contenitore di altre brevi notizie) e le quotazioni di borsa. Un confronto con altre
uscite dell’Iht mostra che sono in realtà due componenti distinte, l’Agenda e la borsa,
sempre presenti nella prima pagina ma in collocazione variabile, da tappabuchi; qui
capitati uno sopra l’altro.
In ogni caso al pari del Times la prima pagina risulta poco affollata, non densa di
richiami all’interno. All’effetto contribuisce anche lo spazio ridotto per i titoli, sia
perché pochi, sia perché arricchiti al massimo da un sotto o sopra titolo, sia infine per
la non chiassosa dimensione dei loro caratteri di stampa. Richiama il quotidiano
inglese anche la striscia alta sopra la testata con il richiamo all’interno del giornale; e
così pure la netta partizione fra gli articoli, che però è contemporaneamente anche
superamento della tripartizione orizzontale della pagina consacrata dai manuali
(apertura, taglio medio, taglio basso) e canonica nel Corriere. Qui i livelli diventano
4.
L’eleganza del giornale (che è un modo per renderlo più bello, ma anche per una
patina di autorevolezza extra sui contenuti), già anticipata dai caratteri gotici della
testata, è confermata dalla omogeneità di caratteri di stampa: solo due negli articoli, e
pochi anche nei titoli, tanto in prima pagina quanto nell’interno. Spicca per la
diversità solo il riquadro che annuncia “Outlook”: ma si tratta di uno speciale, di una
eccezione. Che oltretutto è mitigata all’interno, dove questo speciale è inserito fra le
pagine standard del giornale e con la medesima veste grafica (al contrario di quanto
accade per gli speciali del Corriere).
Il carattere usato nei titoli varia per dimensioni, ma soprattutto è alternato fra standard
e corsivo, oppure in coppia quando uno dei due è utilizzato per l’eventuale occhiello o
sommario. Tuttavia e degno di nota che la scelta del corsivo non pare in alcun modo
collegata al contenuto dell’articolo da titolare, pare solo rispondere ad una voglia di
variatio esclusivamente estetica.
Né in prima pagina né nell’interno c’è traccia di colore: scelte economiche a parte,
forse è anche un modo per enfatizzare che è un giornale da leggersi per i contenuti, e
non per la forma.
E’ poco reader friendly, poco accattivante, anche nel non avere un titolo principale
strillato in prima pagina; negli articoli di prima che tutti proseguono nelle pagine
interne, sparpagliati qua e là e con un titolo diverso; nelle foto usate con parsimonia
anche se ben presenti, e comunque che colpiscono meno perché in bianco e nero, e
perché nella maggior parte dei casi ritraggono il protagonista, e non la notizia; nella
quasi totale assenza di tabelle e grafici, fatta eccezione, come sempre, per la sezione
Economia.
Tutto ricollegabile alla diversità dell’Herald Tribune, che raccoglie notizie da tutto il
mondo per attrarre un bacino di lettori potenzialmente globale, ma sempre di alto
livello, alla ricerca di informazione di qualità e non che leggono per intrattenimento.
Va dunque più avanti, rispetto agli altri grandi quotidiani esaminati, nella direzione
dell’allontanamento dal modello televisivo, opposto alla concorrenza sullo stesso
terreno proposta dal modello Usa Today e dalle oscillazioni della formula omnibus
che è dei quotidiani italiani.
E’ un giornale che non insegue le ultime notizie: tanto è vero che non ha un titolo
principale, e che dedica l’apertura (ma anche vari spazi nell’interno) ad una feature
story: ma questo è invece un forte tratto di affinità con Usa Today, da cui prima
abbiamo evidenziato la distanza. Si spiega in parte con la comune radice negli Stati
Uniti, dove la maggior diffusione dell’istantanea Internet ha ulteriormente enfatizzato
il limite dei giornali sul fronte della tempestività.
Non è un caso, inoltre, che proprio per l’ambito della cover story “soft”, comunque
meno “serio” delle grandi notizie dell’economia globale (componente preponderante
nell’Iht), si sperimenti una veste grafica meno classica: una grande foto, con i soggetti
messi in posa ed una eterodossa inquadratura di sbieco; la notizia in un riquadro, con
l’occhiello sottolineato; a sinistra della foto, un grassetto che è più di una didascalia e
di un titolo, quasi un riassunto dell’articolo.
Comune a tutto il giornale è l’utilizzo di due diverse larghezze di colonna (come
abbiamo visto per il pezzo d’apertura nei due quotidiani italiani); in particolare nella
prima pagina paiono alternarsi nelle fasce orizzontali.
La struttura delle pagine interne è perlopiù analoga a quella della prima: non
l’affollamento, né un solo articolo per pagina: mai pagine monografiche, di media 6
pezzi rinchiusi in moduli quadrilateri. Costante è la presenza della colonna “Briefly”
con le brevi: sempre uguale la veste grafica, ma diversa la collocazione in ogni
pagina. Solo la pagina degli spettacoli vede variare la veste grafica, come al solito
nella direzione di caratteri più sottili ed eleganti, mentre il doppio paginone dei
commenti ricorda Repubblica e Times per la stampa standard, ma l’assenza di
fotografie. Altro tratto comune a molti, la presenza di titoli posti dove in prima c’è la
testata per le sezioni cultura, sport ed economia
CONCLUSIONI
L’esame di una uscita di cinque testate giornalistiche europee e americane permette di
evidenziare alcune caratteristiche diffuse e comuni, nei limiti del campione ridotto e
dell’analisi cursoria.
Anzitutto che il predominio della parola è ancora incontrastato, e foto e grafici
rivestono una funzione ancillare. Per quanto riguarda questi ultimi, sono assenti dalla
prima pagina di 4 su 5, e il Times ne pubblica uno assai piccolo; ed in generale sono
assai rari, ad eccezione delle pagine dell’economia. Solo due gli esempi in cui
l’infographic è autonomo ed importante nella trasmissione dell’informazione: la
mappa della Francia con l’indicazione delle varie manifestazioni, che oltretutto nel
Figaro è una costante, e soprattutto le due cartine di pag. 1 e 3 del Times, per giunta a
colori, che possono addirittura sostituire in estrema sintesi la lettura dell’articolo. Nei
due giornali italiani i grafici sono davvero ridotti al minimo. Una scelta sorprendente,
giacchè in molto puntano a mediare fra la formula del giornale alternativo alla tv ed
autorevole (abbracciata da Times, che convive con il gran mercato dei tabloid;
Figaro, che ha un prezzo alto e toni pacati, Herald, per il fatto stesso di non avere
radicamento nazionale) ed il giornale Usa Today più snello e che fa ampio uso di
immagine e grafica paratelevisive. D’altra parte però Corriere e Repubblica sono assai
più ricchi dei loro analoghi europei di schede e riquadri di testo: dalle tabelle in
stampatello delle pagine di Repubblica, alla fascia alta con funzioni riassuntive, sopra
il titolo nel Corriere, agli inserimenti di brani di testo sopra il titolo (Repubblica) o
dentro l’articolo (Corriere), fino al semplice riquadrare i pezzi per tirarli fuori dal
normale schema simmetrico.
Tanto i grafici quando le schede di testo hanno comunque una ricaduta determinante
sull’organizzazione del lavoro nel giornale. Chi infatti padroneggia ed utilizza queste
nuove forme del linguaggio giornalistico? O gli articolisti distribuiscono
l’informazione raccolta in più parti e non nel caro, vecchio “pezzo”; oppure vengono
preparate da chi sta in redazione, che quindi assume nuovi compiti e maggiore
importanza e rispetto, ma c’è anche il rischio di distorsione dell’informazione o di non
coerenza, come già può accadere nei titoli, che non sono opera di chi ha scritto le
colonne a cui si riferiscono. L’evoluzione tecnologica offre comunque maggiori
possibilità a forme innovative di espressioni: più facile crearle, impaginarle e
prepararle per la stampa, anche perché spesso è lo stesso desk che se ne occupa, di
redattori che non sono più semplici manovali passacarte.
Più incisivo invece il ruolo delle foto. E’ diffusa in tutti quotidiani esaminati la prassi
di una grande foto nella parte alta di ogni pagina, legata alla notizia principale, e che
fa da centro di gravità. Tendenza ancora più accentuata da Repubblica, malgrado gli
spazi ridotti dal formato tabloid; ma questo giornale procede per pagine
monografiche, e non corre quindi il rischio di soffocare con le grandi foto (talvolta
addirittura a cavallo tra una pagina e l’altra) le altre notizie. Inoltre, sceglie
intenzionalmente uno stile meno paludato e austero, come si vede anche
dall’abbondare di schede e tabelle di testo.
In prima pagina nei 4 giornali nazionali le foto sono tutte a colori, con il fine anzitutto
di un’estetica più accattivante. E’ indicativo che l’Herald Tribune resti al bianco e
nero; è una anomalia legata, come già detto, al suo ruolo diverso nel mercato della
stampa, alla sua diversa vocazione.
Il Times è l’unico ad attribuire il ruolo principale nella prima pagina alle foto: sono
loro il titolo principale; negli altri casi, restano di contorno: è indicativo che nei due
quotidiani italiani la notizia principale non abbia foto.
Solo in parte le foto hanno oltre alla funzione estetica anche una informativa, in cui
cioè non servano solo ad inquadrare in generale il tema o il personaggio, bensì
possano riassumere la notizia. Del resto, la storia mostra che anche nela stagione del
boom del fotogiornalismo, il quotidiano fotografico “PM” ebbe grama e breve vita; ed
anche i settimanali finirono col chiudere, o col cambiare.
In ogni caso, qui entrano con forza in campo questioni di contenuto: non tutte le
notizie hanno una resa efficace attraverso un’illustrazione (o un infographic), prova
ne siano anche certi servizi televisivi, magari sui lavori parlamentari, in cui le
immagini sono inutili, come le lunghe inquadrature dell’aula. Si affianca l’influsso
della prassi redazionale, che inevitabilmente fa più fatica ad aprirsi a novità radicali,
come il doppio livello di informazioni testo e grafica, piuttosto che a non mutare lo
status quo o a farlo solo con ritocchi cosmetici (come nuovi caratteri di stampa, o una
spruzzatina di colore in più). Completa il quadro delle difficoltà, e giustifica lo scarso
impiego di foto e grafica, anche una questione tecnica: non sempre è possibile
reperire una bella foto, non sempre c’è il tempo o il personale per approntare un
grafico.
Non sembra proprio, insomma, che i giornali abbiano attraversato una mutazione
rivoluzionaria della veste grafica con l’ingresso di nuovi modi di informare; piuttosto,
come scrive Verdelli, sono tanti piccoli passi successivi.
Ne troviamo piccola dimostrazione anche nelle colonnine delle brevi:
un’informazione rapida e sintetica come quella della tv; il modello Usa Today ha una
colonna in apertura di ogni prima pagina, con 3−4 righe dedicate alle notizie
importanti del giorno.
Nei giornali esaminati invece le colonne di brevi sono una presenza fissa
contraddistinta da grafica propria sempre uguale; ma a frequenza varia, e soprattutto
(tranne forse Le Figaro) a collocazione variabile nella pagina, specchio della loro
funzione di tappabuchi. E infatti trattano notizie minori, o meglio considerate tali,
spesso perché estere.
Il colore non è solo una decorazione del giornale, o uno specchietto per allodole
acquirenti. Evidenzia anche alcune parti della pagina, ossia alcune informazioni, a
discapito di altre, specialmente quando non si tratta semplicemente di vedere a colori
le foto della prima pagina sul testo nero. Qui risultano interessanti ed innovative sono
le scelte di Repubblica e Times. Il giornale romano situa su sfondo verde dei titoli che
rimandano alle pagine interne, che attirano l’attenzione del lettore (e si comunica che
sono importanti) al di là di quanto espresso dai pochissimi comunque in cui sono
confinate; il Times è l’unico a colorare anche le parole di alcuni titoli, nella parte alta
sopra la testata e nella fascia gialla su sfondo blu che pubblicizza il supplemento
Times2. Una scelta probabilmente costosa dal punto di vista tipografico, ma che
risulta efficace. Potrebbe essere una delle direzioni dell’evoluzione futura: un testo
colorato, o evidenziato, si ricorda meglio (come studiando si usa l’evidenziatore);
qualche giornale già usa evidenziare in grassetto i nomi dei protagonisti all’interno
degli articoli.
L’eccezione italiana
Corriere e Repubblica mostrano notevoli similitudini e affinità, e
contemporaneamente molto si differenziano da Times e Figaro. Segno di un occhio
sempre attento al vicino, e anche di una uguale funzione del quotidiano rispecchiata
dalla veste grafica.
Spicca anzitutto l’affollamento della prima pagina: 8 item nell’Herald, 6 nel Times, 8
nel Figaro; ma 13 su Repubblica, che pure è tabloid, e 14 sul Corriere. Questo
succede per l’abbondante presenza di box che annunciano articoli e temi delle pagine
interne, riportando solo un breve titolo; e per le dimensioni ridotte degli articoli. Nel
Corriere 2 volte sotto un piccolo titolo trovano spazio una brevissima notizia ed un
assaggio di editoriale; su Repubblica in due casi sotto il titolo non c’è la notizia ma
solo il commento della “firma”. Ancora una volta, è un sintomo della vicinanza ai
settimanali, sia per l’abbondanza di contenuti sia per la scelta grafica: lo stesso
Eugenio Scalfari ha ammesso anche in questo campo un debito dei quotidiani.
Come logico, l’affollamento della prima pagina significa anche una rottura dello
schema simmetrico e dell’equilibrio, e la compresenza di parecchi caratteri tipografici
diversi, tanto negli articoli quanto nei titoli (abbondanza di variationes soprattutto nel
Corriere).
Nelle pagine interne accade il contrario: specialmente in quelle iniziali, dedicate ai
principali avvenimenti del giorno, si affronta un solo argomento, e con pochi lunghi
articoli, accompagnati da schede, riquadri e simili più brevi espressioni. Pagine
monografiche; qualche volta perfino tra loro collegate, con foto ed articoli
(Repubblica) o fasce alte di grafica (Corriere) che si estendono dall’una all’altra.
Nei quotidiani esteri, tendenza inversa: le pagine interne sono magari più ricche di
articoli e di brevi, anche se mantengono la stessa impostazione ordinata e chiaramente
segmentata della prima. Manca infatti la tendenza ad una impaginazione mossa e
variabile che rinneghi gli schemi canonici, di cui i giornali italiani paiono fare punto
d’onore.
I giornali italiani, inoltre, riducono lo spazio degli articoli, ossia della vera e propria
informazione: ne guadagnano le schede e tabelle, ma soprattutto i titoli: caratteri più
grandi e più ampi, più righe di titolo con occhielli e sommari. i disegni−francobollo
che identificano il tema della pagina. Assai più sobrie e misurate le scelte dei giornali
esteri. Inoltre i due quotidiani italiani condividono e applicano la tradizione del nostro
giornalismo di collocare gli editoriali in prima pagina e non in una sezione a parte;
Repubblica con un equilibrismo fa entrambe le cose. Qui è strettissima la relazione
fra grafica e contenuto: editoriali in prima pagina significano pagina affollata; ma
anche mancata separazione netta fra fatto e opinione (specie negli esempi visti in cui
sotto il titolo−notizia c’è soltanto l’editoriale) e più spazio alla seconda: la tradizione
italiana del giornalismo “da battaglia” ideologicamente schierato ed impegnato,
contro quella anglosassone degli imparziali cani da guardia del potere.
Tutte queste scelte riflettono la collocazione di Repubblica e Corriere a metà del
guado. Sono giornali prestigiosi e estranei agli estremismi, che puntano ad una forte
influenza nella società civile, ma anche ad essere strumenti di potere per i loro
proprietari; ma al contempo non sono alieni dall’inseguire ed imitare il linguaggio
televisivo: tante tabelle e riquadri brevi, titoli grandi ed urlati, nell’interno, la
settimanalizzazione, che crea tanti articoli da un solo evento, occupando pagine
monografiche. Inoltre, in Italia mancano i quotidiani popolari, e quindi i due maggiori
vanno a cercare lettori un po’ ovunque: ecco quindi il senso della prima pagina piena
di richiami e colori diretti a tanti lettori potenziali differenti. Quotidiani in cerca di
lettore: resta di fondo il problema dello scarso, e non in risalita, numero di acquirenti
dei giornali. Per rimediare si cercano di battere tutte le strade, e non ci si limita a
costruire un giornale prestigioso ed elegante. Le esigenze della pura informazione
risultano sacrificate ancor di più che nei giornali esteri (anche se il Times nella sua
elegante prima pagina, e nelle successive, ha esclusivamente notizie nazionali, e
riferite ad una storia di cronaca).
Patrimonio comune
Fanno parte invece del patrimonio comune dei giornali analizzati, e non solo di quelli,
la scelta di un carattere di stampa diverso per la sezione cultura (eccezione il Times,
dove a variare è la dimensione della pagina), che connota eleganza e non−urgenza, e
di un titolo rilevato, nella collocazione della testata, all’ingresso delle sezioni
economia e sport (quest’ultimo non dovunque), probabilmente perché sono le due più
estese e più richieste dai lettori. E’ diffusa la scelta dello stampatello maiuscolo con
le grazie per gli editoriali, che esprime prestigio; sarebbe possibile però un maggiore
impiego di questo carattere per sfruttarne la massima chiarezza, magari anche nei
titoli (lo fanno i tabloid inglesi, infatti, ed alcuni giornali in occasione di avvenimenti
straordinari).
E’ di molto aumentato rispetto al passato lo spazio tra le colonne, che non sono più le
tradizionali 9; l’Herald, ed entrambi i quotidiani italiani alternano colonne di due
larghezze diverse; i nostri, ancora una volta, si copiano nell’utilizzo della colonna più
larga nell’articolo di apertura della prima pagina. Ancora una volta, ogni scelta
grafica è anche scelta di contenuto: colonne più strette permettono di rimpicciolire il
carattere senza danneggiare la leggibilità, ossia di scrivere di più sulla pagina; ma
evidentemente (prova anche la crescita della spaziatura tra le colonne e gli articoli)
non è questo che preme.
Resta comunque a conclusione generale l’emergere di legami indissolubili tra grafica
e contenuto, che non possono praticamente mai mutare indipendentemente l’uno
dall’altro: dietro ad ogni restyling va quindi cercata l’altra faccia, e la gradualità e
lentezza con cui avvengono può essere presa come segnale che anche nei contenuti il
giornale non ha vissuto rivoluzioni.