i diritti dell`uomo nel partenariato euro-mediterraneo
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i diritti dell`uomo nel partenariato euro-mediterraneo
SEU -Servizio EuropaX Corso di specializzazione 2000-2001 I DIRITTI DELL’UOMO NEL PARTENARIATO EURO-MEDITERRANEO IL CASO DELLA SIRIA Stefania Spapperi A mio padre che mi ha accompagnato in questo viaggio 2 INDICE Introduzione……………………………………………………………………………………..4 PARTE PRIMA LA DIMENSIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO ALL’INTERNO DEL PARTENARIATO EURO-MEDITERRANEO 1. Premessa……………………………………………………………………………………..7 2. Uno sguardo alla politica mediterranea della Comunità europea……………………………7 3. Il partenariato euro-mediterraneo: istituzioni………………………………………………..9 Sez. I L’Unione europea ed i diritti dell’uomo 1. I diritti dell’uomo nei trattati e nella legislazione comunitaria……………………………..11 2. I diritti dell’uomo nella Dichiarazione di Barcellona….……………………………………13 3. L’art. 3 degli accordi di associazione……………………………………………………….15 Sez. II I fondi comunitari per i progetti sui diritti dell’uomo e la democrazia 1. Il regolamento MEDA……………………………………………………………………...17 2. L’iniziativa europea per la democrazia ed i diritti dell’uomo (EIDHR)……………………19 3. Il programma MEDA per la democrazia……………………………………………………21 3.1 Criteri di ammissibilità……………………………………………………………...….22 3.2 Natura del progetto…………………………………………………………………..…22 3.3 Regole di finanziamento……………………………………………………………..…23 3.4 Criteri di valutazione dei progetti………………………………………………………23 3.5Considerazioni sui primi anni di attuazione del programma MEDA per la democrazia..23 Sez. III La situazione dei diritti dell’uomo nei paesi del sud e dell’est del mediterraneo 1. I paesi del mediterraneo ed i diritti dell’uomo……………………………………………...26 2. Compatibilità tra diritti dell’uomo e Islam………………………………………………….32 PARTE SECONDA IL CASO DELLA SIRIA 1. 2. 3. 4. Introduzione storica………………………………………………………………………...37 Sviluppi un anno dopo l’elezione di Bashar al-Asad……………………………………….39 I diritti dell’uomo nella legislazione siriana………………………………………………..44 Relazioni tra l’Unione europea e la Siria…………………………………………………...47 Bibliografia……………………………………………………………………………………...51 3 INTRODUZIONE Nel Novembre 1995, 27 stati euro-mediterranei esprimevano la volontà di creare nella regione mediterranea “an area of dialogue, exchange and cooperation guaranteeing peace, stability and prosperity ”. Ma la realizzazione di questo ambizioso obiettivo richiedeva “a strengthening of democracy and respect for human rights, sustainable and balanced economic and social development, measures to combat poverty and promotion of greater understanding between cultures, which are all essential aspects of partnership ”. Sulla base di tali premesse appare logico domandarsi perché i diritti dell’uomo e il rispetto dei principi democratici rappresentassero uno degli strumenti per la creazione di un’area di pace, di stabilità e di prosperità nel mediterraneo. In effetti, l’obiettivo dello stabilimento di una zona di libero scambio, accompagnata dall’inserimento delle fallimentari economie del mediterraneo nell’economia globale non dipendeva dall’esistenza di democrazie o dal rispetto dei diritti dell’uomo nel loro interno, considerato che la liberalizzazione economica e la crescita, come tra gli altri l’esempio cinese dimostra, possono avvenire anche in presenza di governi autoritari. Al contrario, era l’obiettivo del raggiungimento della pace e della stabilità nella regione mediterranea a risultare legato alla realizzazione condizioni imprescindibili quali la presenza di stati democratici, il rispetto dei diritti dell’uomo e l’esistenza di uno stato di diritto. Infatti, nel lungo periodo sono questi i valori che non solo pongono le condizioni per la creazione di una zona di pace e di stabilità rafforzandone le basi per una sua durata nel tempo, ma favoriscono anche, in un secondo momento, la riduzione dei flussi migratori provenienti dalle regioni del sud. La fondamentale importanza dei diritti dell’uomo nel senso ora richiamato, rende quindi indispensabile da una parte una riflessione sulla universalità dei valori che sottendono a questi diritti e su che cosa significhi il loro rispetto, dall’altra impone di soffermarsi a valutare se l’esigenza della loro osservanza non costituisca solo un mezzo per ingerirsi negli affari interni di uno stato. Sono queste le questioni sulle quali ci soffermeremo nella prima parte del nostro lavoro, mentre il filo conduttore dell’intera opera si basa sulla legittimità della prosecuzione delle relazioni politiche e commerciali da parte dell’Unione Europea nei confronti di partner, come la Siria, pur in presenza di gravi violazioni dei diritti umani. 4 Dobbiamo comunque dare alcune spiegazioni metodologiche. Dal nostro lavoro sono stati esclusi i partner mediterranei candidati all’adesione. Tale scelta è stata fatta sulla base della considerazione che a questi si applicano criteri di valutazione diversi - mi riferisco ai c.d. criteri di Copenaghen - da quelli che vengono utilizzati per i paesi non membri. Inoltre per quanto riguarda la seconda parte, alcune dei fatti riportati e alcuni dei documenti utilizzati sono il frutto dei sei mesi trascorsi alla Delegazione della Commissione europea in Siria e il prodotto degli incontri avuti in quella ed in altre sedi con esponenti della società civile europea e siriana. Vorremmo cogliere l’occasione per ringraziare il SEU ed in particolare Simone Alboni per la risoluzione delle difficoltà amministrative che hanno preceduto lo stage in Siria, la Fondazione Monti-Torrioli, la Delegazione della Commissione europea e l’Ambasciatore Marc Pierini per la fiducia accordatami in più occasioni, la Stiftung Wissenschaft und Politik e Volker Perthes dal quale ho avuto l’opportunità di imparare molte cose, ma soprattutto vorrei fare uno speciale ringraziamento ad Alessio Cappellani che mi ha offerto per primo la possibilità di andare in medio-oriente. 5 PARTE PRIMA LA DIMENSIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO ALL’INTERNO DEL PARTENARIATO EURO-MEDITERRANEO 6 1. Premessa Il 28 novembre 1995, alla Conferenza organizzata dalla presidenza spagnola dell’Unione europea a Barcellona, i 15 Stati membri dell’Unione, insieme ai 12 paesi del sud mediterraneo, inclusi Malta e Cipro, firmarono un complesso accordo finalizzato a promuovere la pace e la prosperità nella regione mediterranea. La Dichiarazione di Barcellona impegnava gli Stati interessati ad un’azione congiunta in tre aree principali: a) il partenariato politico e di sicurezza; b) il partenariato economico e finanziario; c) il partenariato sulle questioni sociali. Queste tre distinte finalità erano tre articolazioni di un unico fine rappresentato dalla necessità di creare un’area di sicurezza in una delle regioni con le quali l’Unione confina. Delle tre aree quella attinente alla politica e alla sicurezza era stata pensata come prioritaria, e soltanto incidentalmente la dimensione economica ha acquisito un importanza fondamentale. Infatti gli stati membri reputavano più agevole trovare dei punti di incontro sulle questioni economiche piuttosto che su quelle politiche, sociali, di sicurezza e culturali. Inoltre, in questi sei anni di partenariato è maturata la consapevolezza che il fallimento economico nella regione del mediterraneo rappresenti una seria minaccia alla sicurezza dell’Europa. 2. Uno sguardo alla politica mediterranea della Comunità europea. La Conferenza di Barcellona costituiva tuttavia il risultato di una lunga gestazione. Infatti, il mediterraneo per la sua prossimità geografica, culturale e strategica ha sempre rappresentato sin dagli albori della CEE un’area di interesse privilegiato per l’Europa. Due dei paesi fondatori, l’Italia e la Francia, avevano svolto un ruolo storicamente rilevante nell’area. Le relazioni tra la Comunità e questi paesi si sono sviluppate a ritmo costante nel corso degli anni. All’inizio erano soprattutto accordi1 stipulati sulla base dell’art. 238 del Trattato CEE e prevedevano il rilascio di concessioni commerciali. Tuttavia, soltanto negli anni settanta2 si delinearono le basi per una strategia vera e propria rivolta agli stati del 1 I primi accordi di associazione furono conclusi con la Grecia, la Turchia, la Spagna, il Portogallo, Malta, Cipro. 2 Al Vertice di Parigi del 1972 la Comunità decideva un “approccio globale” nelle relazioni con il mediterraneo. 7 mediterraneo meridionale ed orientale. Proprio seguendo questo nuovo orientamento la Comunità concludeva tra il 1976 e il 1977 degli accordi di associazione3 con gli Stati del Maghreb (Algeria, Marocco, Tunisia), del Mashrek (Egitto, Libano, Giordania, Siria) e con Israele. Tali accordi, con l’unica eccezione di quello stipulato con Israele, che si basava sulla reciprocità dei trattamenti accordati, si caratterizzavano per la non reciprocità nel trattamento e prevedevano il libero accesso al territorio comunitario per i prodotti industriali, con l’eccezione dei prodotti tessili, mentre per i prodotti agricoli era contemplata una riduzione dei dazi doganali nei limiti previsti dalle esigenze della politica agricola comunitaria4. Una delle novità più interessanti rispetto agli accordi precedenti era il finanziamento con fondi comunitari delle attività di cooperazione finanziaria, tecnica ed economica5. I Paesi del Maghreb e del Mashrek concedevano invece alle esportazioni comunitarie il trattamento della nazione più favorita. Verso la fine degli anni ottanta la Comunità maturò la consapevolezza che la maggior parte delle economie dei paesi del mediterraneo erano fallimentari e che a causa della pressione demografica l’Europa si sarebbe trovata a fronteggiare una crescente migrazione, a meno che qualcosa fosse elaborato per innescare la crescita e la transizione economica in queste paesi. Fu a seguito di queste considerazioni e all’interno del contesto di profondi cambiamenti creati in Medio oriente e in Nord Africa dalla fine della guerra fredda e dalla guerra contro l’Iraq nel 1991, che la politica europea verso il mediterraneo venne ridisegnata. La volontà di rilanciare il dialogo, soprattutto da parte di Spagna6, Francia, Italia, portò, in più tappe, all’elaborazione di un nuovo progetto di “partenariato mediterraneo”, delineato definitivamente nel corso della Conferenza di Barcellona del 1995. L’obiettivo era quello di instaurare un dialogo costante, che si ponesse al di sopra degli accordi economici e finanziari. Infatti, l’area mediterranea richiedeva un approccio integrato 3 Gli accordi di associazione riguardavano la cooperazione economica, commerciale, tecnica e finanziaria e contenevano delle disposizioni sulla libertà di movimento per i lavoratori (gli Stati membri avrebbero garantito ai lavoratori del Maghreb o del Mashrek impiegati nel loro territorio la non discriminazione nelle condizioni di lavoro e nelle retribuzioni). 4 Le preferenze concesse ai prodotti agricoli variavano dal 20 al 100% del dazio della tariffa doganale comune applicabile per quel determinato prodotto. 5 La parte finanziaria, tecnica ed economica erano disciplinate in Protocolli allegati agli accordi di associazione. 6 In particolare, nel 1987-‘88 per compensare gli squilibri derivanti dall’adesione della Spagna e del Portogallo la Comunità concluse con i paesi della sponda meridionale dei Protocollo addizionali con lo scopo di migliorare il trattamento concesso ai prodotti agricoli. 8 perseguito attraverso una cooperazione politica, culturale, economica che permettesse la creazione di una “zona euro-mediterranea di stabilità politica e di sicurezza”. 3. Il partenariato euro-mediterraneo: istituzioni Il meccanismo istituzionale creato a Barcellona prevede l’instaurazione di una Conferenza dei ministri, che in linea di principio si riunisce ogni due anni per orientare la cooperazione con i partner, e un Comitato euro-mediterraneo per il processo di Barcellona (Comitato Euro-Med), composto da alti funzionari, con compiti di esecuzione, preparazione e negoziazione degli orientamenti da sottoporre ai ministri. Il Comitato Euro-Med comprende la troika della Unione europea (la presidenza semestrale in atto con l’assistenza di quella precedente e di quella successiva), la Commissione europea e gli Alti funzionari di tutti i paesi partner. Le materie relative al dialogo politico sono invece negoziate da un Comitato degli alti funzionari, che al contrario del Comitato Euro-Med ha carattere esclusivamente intergovernativo e non comprende la Commissione. Tavola I, L’organizzazione del Partenariato Euro-Mediterraneo LA DICHIARAZIONE DI BARCELLONA A LIVELLO BILATERALE: A LIVELLO MULTILATERALE: Accordi di associazione conclusi con: Egitto Israele Giordania Marocco Tunisia Autorità Palestinese In corso di negoziazione con: Algeria Libano Siria Pre-adesione Malta Turchia Cipro Conferenza Euro-Med dei Ministri degli Affari esteri Conferenze ministeriali settoriali Altre riunione Euro-Med Fino ad oggi la Conferenza dei ministri, dopo la riunione di Barcellona del 27-28 novembre 1995, si è riunita: a Malta il 15-16 aprile 1997, a Stoccarda il 15-16 aprile 1999 e a Marsiglia 15-16 novembre 2000. Questi incontri sono stati completati dall’incontro 9 informale di Palermo (1998) che ha dato l’opportunità per una revisione dell’intero processo di cooperazione euro-mediterranea a livello ministeriale e dalla riunione dei ministri degli esteri di Lisbona nella primavera 2000 che ha posto le basi per il rilancio del processo di Barcellona. Queste conferenze hanno avuto una connotazione prevalentemente politica e sono state lo strumento per una valutazione di quanto era stato fatto piuttosto che essere la piattaforma per ulteriori sviluppi. Inoltre, si deve rimarcare come, considerata la situazione medioorientale, questi incontri multilaterali siano stati la sede in cui i rappresentanti di Siria e Libano accettavano di partecipare a fianco delle controparti israeliane. Per questo il processo di pace e il suo stallo, restano sempre uno degli argomenti dominanti, come ha dimostrato a mancata partecipazione della Siria e del Libano alla Conferenza di Marsiglia del novembre 2000. Allo stesso tempo in corrispondenza delle riunione ministeriali anche la società civile ha organizzato un forum civile che ha oramai acquisito lo status di prassi, tanto da essere citato nelle conclusioni della Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea. Il fine del forum è quello di discutere gli sviluppi nel terzo capitolo del partenariato che dovrebbe avere come maggiore protagonista la società civile e di formulare delle raccomandazioni. Il partenariato si compone di due livelli complementari, quello regionale e quello bilaterale. Se la cooperazione regionale si sviluppa intorno al processo di Barcellona e al programma di lavoro che venne stabilito in quella sede, quella bilaterale è costruita intorno agli accordi di associazione che dovrebbero essere negoziati e conclusi con ognuno dei partner. L’accordo di associazione prevede lo stabilimento di relazioni più strette tra i partner mediterranei in linea con la Dichiarazione di Barcellona e prevede: la creazione di una zona di libero scambio con l’Unione europea con un periodo transitorio di 12-15 anni; l’aumento degli investimenti nei paesi del mediterraneo; l’incremento degli scambi intra-regionali; l’istituzione di meccanismi istituzionali per il dialogo politico ed economico; la cooperazione finanziaria attraverso il programma MEDA in sostegno delle riforme strutturali; la cooperazione in un ampio raggio del settore economico, sociale e culturale. 10 Sez.I- L’UNIONE EUROPEA ED I DIRITTI DELL’UOMO 1. I diritti dell’uomo nei Trattati e nella legislazione comunitaria I trattati istitutivi non contenevano alcun riferimento ai diritti dell’uomo. Ma a partire dalla seconda metà degli anni ottanta vennero adottate delle dichiarazioni che richiamavano al rispetto dei diritti dell’uomo.7 A livello giuridico un primo passo importante è stato compiuto nel 1993 con l’entrata in vigore del Trattato sull’Unione europea che riconosceva come uno degli obiettivi della politica estera e di sicurezza comune lo sviluppo e il consolidamento “della democrazia, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, ma solo con l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam il 1 maggio 1999, si è introdotta una nuova base giuridica per l’integrazione dei diritti dell’uomo nella legislazione comunitaria. L’art. 6, par. 1 del Trattato sull’Unione europea dispone: “L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri”. Gli Stati che violano in modo persistente tali principi, corrono il rischio di essere sospesi da alcuni dei diritti che gli derivano dai trattati.8 Sono state inoltre introdotti altri articoli che contengono un riferimento ai diritti dell’uomo come condizione da adempiere o come obiettivo da raggiungere.9 Alle disposizioni dei trattati si aggiungono i principi contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione adottata nel corso della Conferenza di Nizza, del dicembre 2000. L’adozione della Carta attribuisce all’azione dell’Unione europea una coerenza tra l’approccio interno ed esterno in materia di rispetto dei diritti dell’uomo, di democratizzazione e di stato di diritto. La Carta è il frutto della codificazione di quanto statuito nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nelle tradizioni costituzionali comuni e negli strumenti interni previsti nelle legislazioni degli Stati membri e finalizzati alla protezione di tali diritti. Inoltre, nel corso degli ultimi anni la Commissione europea ha adottato un certo numero di comunicazioni in materia di diritti dell’uomo e di democratizzazione.10 Tale interesse si è 7 Dichiarazione sui diritti dell’uomo adottata a Lussemburgo dal Consiglio europeo il 28-29 giugno 1991. Art. 7 del Trattato sull’Unione europea. 9 Art 49 del Trattato sulla Comunità europea (TCE) relativo ai paesi candidati all’adesione e art. 177 del TCE sulla politica di cooperazione allo sviluppo. 10 The inclusion of respect for democratic principles and human rights in agreements between the Community and third countries (maggio 1995); The European Union and the External Dimension of Human Rights Policy: from Rome to Maastricht and Beyond (novembre 1995); Democratisation, the rule of law, 8 11 accresciuto nel corso degli anni fino a diventare una strategia generale che condiziona la gestione della politica esterna dell’Unione europea. Nelle relazioni esterne, a partire dal 1992 la Comunità europea ha incluso negli accordi stipulati con i paesi terzi, una clausola che faceva dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello Stato di diritto “l’elemento essenziale” delle relazioni con l’Unione. La clausola, anche se in una forma diversa, veniva introdotta per la prima volta nel 1989 nella quarta Convenzione di Lomé.11 Tale approccio è stato ulteriormente sviluppato nell’accordo di Cotonou concluso con i paesi ACP nel giugno 2000, introducendo accanto ai principi sopra menzionati anche quello della buona gestione degli affari pubblici. La clausola “dell’elemento essenziale” si applica a più di 120 paesi. Una delle accuse più volte rivolte a tale disposizione era la sua inefficacia. Tuttavia, negli accordi più recenti tale disposizione è stata completata da una clausola di non esecuzione dell’accordo. Sulla base di questa, qualora vi sia la violazione di un elemento essenziale dell’accordo la Parte lesa può, dopo aver consultato l’altra Parte (fatta eccezione nei casi di particolare urgenza), sospendere l’applicazione dello stesso. Le misure “sanzionatorie” possono includere la sospensione dei contatti ad alto livello e le modificazioni ai programmi di cooperazione, come il posponimento di nuovi progetti o il ricorso a canali di distribuzione differenti. L’Unione europea può anche sospendere la cooperazione con il governo, continuando tuttavia a sostenere la popolazione per mezzo di progetti eseguiti dalla società civile. Il fatto che l’Unione europea abbia inserito una tale clausola non significa che essa intenda perseguire un approccio negativo o punitivo. Queste clausole hanno per fine di favorire il dialogo, instaurare misure finalizzate a sostenere la democrazia, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti dell’uomo e di promuovere l’adesione e l’applicazione degli accordi internazionali che esistono in tale materia. Tuttavia, una tale politica presuppone una dimensione di reciprocità nelle relazioni tra le Parti. Se così non fosse si correrebbe il rischio che tali principi vengano percepiti come imposti dall’esterno. Per questo il dialogo su tali soggetti deve essere fatto anche all’interno delle proprie frontiere per assicurare una coerenza tra l’azione interna ed esterna dell’Unione. respect of human rights and good governance: the challenges of the partnership between the European Union and the ACP states (marzo 1998); Countering Racism, Xenofobia and Anti-Semitism in the Candidate Countries (maggio 1999); EU Election Assistance and Observation (maggio 2000); The EU’s Role in Promoting Human Rights & Democratisation in Third Countries (maggio 2001). 11 La Convenzione di Lomé è il trattato di cooperazione che regola le relazioni tra l’Unione europea e i paesi ACP (stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico). 12 L’Unione europea nella implementazione di tali principi nelle relazioni esterne si avvale di una vasta gamma di strumenti di carattere multilaterale e bilaterale. I programmi di aiuto esterno della Commissione (PHARE, TACIS, ALA, MEDA, CARDS) totalizzano circa 5 miliardi di euro per anno, ai quali si aggiungono le dotazioni del Fondo europeo di sviluppo per i paesi ACP.12 Tali programmi di aiuto, pur avendo carattere prevalentemente di cooperazione economica, sono consacrati alla promozione dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello Stato di diritto attraverso l’inserimento della clausola “dell’elemento essenziale”. Fino ad oggi tuttavia è mancata una certa coerenza nell’uso di tali strumenti che ha comportato una bassa efficacia nello sfruttamento delle risorse. In tale contesto il ruolo della Commissione è particolarmente importante. Essa condivide con il Consiglio l’obbligo di assicurare la coerenza dell’insieme dell’azione interna dell’Unione (art. 3 del TUE). Uno dei limiti presenti fino ad oggi nell’attuazione di una politica coerente in materia di diritti dell’uomo era l’assenza di una strategia per paese. Infatti, in una stessa regione si possono trovare paesi che hanno raggiunto stadi diversi nel processo di democratizzazione, nell’attuazione dello Stato di diritto e nel rispetto dei diritti dell’uomo. Tale limite è stato in linea teorica superato con l’adozione nel maggio 2000 di un quadro di cooperazione comunitaria per i documenti strategici per paese, che favorisce un approccio più sistematico esigendo un’analisi della situazione in cui si interviene. 2. I diritti dell’uomo nella Dichiarazione di Barcellona Nella Dichiarazione di Barcellona i diritti umani erano considerati oggetto di interesse comune, di scambio di informazioni e di dialogo. Tuttavia, non essendo la Dichiarazione un trattato internazionale vincolante i suoi principi dovevano servire come base per discutere le questioni con i partner mediterranei. Comunque, le conferenze dei ministri degli esteri che si sono tenute non hanno fino ad oggi incluso discussioni a livello multilaterale sui diritti dell’uomo e la democrazia. L’unica cosa sulla quale i partner euro-mediterranei si vantano di aver raggiunto un accordo, dopo circa due anni di discussioni, è la preparazione di un rapporto sullo stato di ratificazione delle Convenzioni internazionali dei diritti dell’uomo da parte dei 27 partner.13 12 La dotazione del Fondo europeo di sviluppo per il periodo 2000-2007 è di 13,5 miliardi di euro. Chammari K., Stainier C., Guide to Human Rights in the Barcelona Process, EMHRN, Copenhagen, 2000, p.76. 13 13 I tre capitoli di cui si compone la Dichiarazione di Barcellona, anche se a diversi livelli, riconoscono l’importanza dei diritti dell’uomo. Il capitolo relativo alla stabilità e alla sicurezza prevede l’instaurazione di un dialogo politico a livello regionale e bilaterale, basato sull’osservanza di principi di diritto internazionale, e su una serie di obiettivi comuni su questioni importanti per la stabilità interna ed esterna. Le Parti in linea con la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo devono perseguire la creazione di uno stato di diritto, che sulla base di un sistema democratico, potrà garantire la libertà di sviluppare la diversità e il pluralismo nel rispetto delle libertà politiche, socioculturali e religiose. In particolare la Dichiarazione recita “[To] respect human rights and fundamental freedom and guarantee the effective legitimate exercise of such rights and freedoms, including freedom of expression, freedom of association for peaceful purposes and freedom of thought, conscience and religion, both individually and together with other members of the same group, without any discrimination on grounds of race, nationality, language, religion or sex.” Il secondo capitolo è volto a costruire una zona di prosperità condivisa attraverso la creazione di un partenariato economico e finanziario. Questo da una parte dovrebbe garantire la riduzione del flusso migratorio e dall’altra dovrebbe stimolare lo sviluppo economico dei paesi del sud e dell’est del mediterraneo sotto l’egida dell’Unione europea. Nel suo interno vi sono tre diversi obiettivi connessi che riguardano: lo stabilimento di una zona di libero scambio, il sostegno dell’Unione europea alla transizione economica e l’aiuto a contrastare gli effetti sociali che derivano dalla liberalizzazione, oltre all’aumento dei flussi di investimento che dovrebbe derivare dalla zona di libero scambio e dalla liberalizzazione economica. Questi sono gli strumenti per uno sviluppo sostenibile nella regione. Anche in questo capitolo tuttavia vi è un indiretto riferimento ai diritti sociali ed economici nel momento in cui si parla di sviluppo sostenibile e di miglioramento delle condizioni di vita della popolazione che può essere raggiunto attraverso l’aumento del livello di occupazione e delle differenze nei livelli di sviluppo tra le due sponde del mediterraneo. Il terzo capitolo riguarda la dimensione sociale, culturale e umana. Prevede l’istituzione e la promozione di relazioni volte a migliorare il grado di comprensione fra le culture attraverso gli scambi umani. La società civile dovrebbe svolgere un ruolo importante come tramite tra le due sponde. Le attività del terzo capitolo coprono principalmente i diritti umani, il buon governo, l’educazione, la sanità, la partecipazione delle donne, le migrazioni 14 e gli scambi umani, culturali, e gli scambi tra la società civile, la lotta contro il terrorismo, la droga, la lotta contro il razzismo e la xenofobia. 3. L’art. 2 degli accordi di associazione L’art. 2 degli accordi di associazione contempla automaticamente quella che è stata definita la “clausola sui diritti dell’uomo”. Questa può avere due diverse forme il cui contenuto stabilisce: “Le relazioni tra le parti, come le disposizioni del presente accordo si fondano sul rispetto dei diritti dell’uomo e dei principi democratici, che ispirano le loro politiche interne e internazionali e che costituiscono un elemento essenziale del presente accordo”14 oppure “il rispetto dei principi democratici e dei diritti fondamentali dell’uomo, tale come è enunciato nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, ispira le politiche interne e internazionali delle parti e costituisce un elemento essenziale del presente accordo”.15 Tale articolo è poi completato dalla clausola di non esecuzione che definisce la procedura che sottende alla sospensione dell’accordo. Questa recita “If either Party considers that the other Party has failed to fulfil an obligation under this Agreement, it may take appropriate measures. Before so doing except in cases of special urgency, it shall supply the Association Council with all the relevant information required for a thorough examination of the situation with a view to seeking a solution acceptable to the Parties. In the selection of measures, priority must be given to those which least disturb the functioning of this Agreement. These measures shall be notified immediately to the Association Council and shall be subject of consultations within the Association Council if the other Party so requests.” L’introduzione di una simile disposizione rappresenta l’ultima tappa di un processo intrapreso a partire dagli anni novanta e che ha portato ad una progressiva integrazione dei diritti dell’uomo nei documenti che regolano le relazioni tra l’Unione europea ed i paesi terzi. Ad oggi, più di 50 accordi bilaterali e multilaterali conclusi tra l’Unione europea ed i paesi terzi, definiti accordi di terza generazione, contemplano un articolo sul rispetto dei diritti dell’uomo e del principio democratico accompagnato da una clausola di non esecuzione. La clausola dei diritti dell’uomo forniva alla Comunità la base per sospendere l’accordo interamente o in parte nel caso di stati che 14 Questa è la formula inclusa negli accordi di associazione conclusi con Tunisia, Israele e l’Autorità palestinese. 15 compiano serie violazioni dei diritti dell’uomo. Normalmente viene tuttavia introdotto nell’accordo una dichiarazione comune relativa all’interpretazione della clausola di non esecuzione.16 Da un punto di vista giuridico le clausole sui diritti dell’uomo sono state definite “elemento essenziale” dell’accordo. Nel diritto internazionale questo manifesta l’assunzione da parte del soggetto che conclude l’accordo di un obbligo positivo e risponde a quanto previsto dal diritto internazionale dei trattati affinché una parte contraente possa procedere alla sospensione o all’estinzione dello stesso. L’art. 60 della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati prevede che la violazione di un elemento essenziale del trattato attuata da una delle Parti Contraenti può comportare l’estinzione o la sospensione dell’adempimento degli obblighi derivanti dallo stesso. L’interpretazione che è stata data nella letteratura e nella prassi presuppone che si proceda ad una sospensione dell’accordo solo in caso di violazioni massicce dei diritti dell’uomo. Fino ad oggi le clausole sui diritti dell’uomo sono state applicate solo in pochi casi e contro gli stati firmatari della Convenzione di Lomé.17 Alcuni hanno avanzato il dubbio che l’Unione europea applichi degli standard differenti sulle questioni relative ai diritti dell’uomo a seconda di quelli che sono gli interessi in gioco e che l’assenza di iniziativa politica, che invece caratterizza sovente le relazioni con gli stati che violano sistematicamente i diritti dell’uomo, contribuisca a svuotare di significato queste disposizioni.18 Ma dal lato dell’Unione europea è stato rimarcato che la decisione di sospendere un accordo di associazione a seguito di violazioni sui diritti dell’uomo deve rappresentare l’ultima risorsa. L’utilità della clausola risiederebbe nella sua stessa esistenza e nel monito contro le violazioni dei diritti dell’uomo Non ci si può esimere dal considerare che anche in presenza di violazioni massicce il dialogo risulta sempre più importante dell’isolamento dello Stato. La sospensione di un accordo infatti ha delle ripercussioni che travalicano il regime e si estendono alla popolazione. Gli esempi di sanzioni internazionali possono confermare una siffatta affermazione, considerato che è principalmente attraverso l’applicazione dell’accordo e del dialogo che l’Unione può esercitare una pressione costante sul sistema. 15 Questa è la formula adottata negli accordi conclusi con Marocco, Giordania ed Egitto e che è divenuta la formula standard da inserire negli accordi di associazione. 16 Con l’unica eccezione degli accordi di associazione conclusi con Israele e la Tunisia. 17 Euro-Mediterranean Human Rights Network, The Role of Human Rights in the EU’s Mediterranean Policy, Setting Article 2 in Motion, Parlamento europeo, 9 novembre 1999, pag. 8. 18 Ibidem. 16 Sez.II- I FONDI COMUNITARI PER I PROGETTI SUI DIRITTI DELL’UOMO E LA DEMOCRAZIA 1. Il regolamento MEDA Il regolamento MEDA19 rappresenta il principale strumento della cooperazione finanziaria del partenariato euro-mediterraneo. Il suo fine è quello di accompagnare il processo di riforme strutturali nei paesi partner finanziando quattro diversi tipi di progetti: programmi di riforma strutturale; programmi finalizzati al sostegno della transizione economica e allo sviluppo del settore privato; progetti per controbilanciare gli effetti sociali della transizione economica; programmi regionali. Per l’attuazione di quanto statuito nel regolamento gli stati del sud e dell’est del mediterraneo devono firmare un accordo quadro bilaterale con la Comunità. Questo fornisce la base giuridica e tecnica per ogni forma di finanziamento o aiuto attribuito nel quadro MEDA.20 L’art. 3 del regolamento MEDA dispone: “ the regulation is based on respect for democratic principles and the rule of law and also human rights and fundamental freedom, which constitute an essential element thereof, the violation of which element will justify the adoption of appropriate measures”. Il 7 aprile 1998, circa due anni dopo l’adozione del primo regolamento MEDA, il Consiglio adottava un regolamento per completare la clausola sui diritti dell’uomo che disponeva “When an essential element for the continuation of support measures to a Mediterranean Partner is missing, the Council may, on a proposal from the Commission, acting by a qualified majority, decide on appropriate measures.”21 I termini “essential element” e “appropriated measures” sono in linea con la clausola sui diritti dell’uomo e la clausola di non esecuzione degli accordi di associazione. Tuttavia il paragone si ferma qui, in quanto le procedure che sottendono alla sospensione della cooperazione differiscono nei due casi. Infatti, il regolamento MEDA ha carattere unilaterale. Quindi, qualora la Comunità decida di sanzionare un partner mediterraneo che viola i diritti dell’uomo, lo stato di diritto e le libertà fondamentali, questo richiederà soltanto una deliberazione a 19 Regolamento (CE) del Consiglio n. 1488/96, GUCE L/189, 30 luglio 1996, p.1-9. Commissione europea, Euro-Mediterranean Partnership, Country Stategy Paper 2000-2006 Syria, Delegazione della Commissione europea Damasco, Siria, novembre 2000. 20 17 maggioranza qualificata da parte del Consiglio. Non è dunque necessario che prima si attivi un dialogo con la controparte, come previsto nell’accordo di associazione. La Comunità non ha tuttavia fatto ricorso alla clausola di sospensione e non sono state definite quelle che dovrebbero essere le appropriate misure alle quali si riferisce l’art. 16 del regolamento MEDA. Questo copre tutte le attività rientranti nei tre capitoli della Dichiarazione di Barcellona. La dotazione finanziaria è stata di 3,424.5 milioni di euro per il periodo 1995-1999 e di 5350 milioni di euro per il periodo 2000-200622. Tuttavia pur contenendo esplicito riferimento ai diritti umani i progetti sono finanziati come vedremo sotto un’apposita linea budgetaria (B-7050) creata su iniziativa del Parlamento europeo nel 1996. Infatti, sulla base del regolamento MEDA soggetti elegibili a ricevere fondi sono non solo gli Stati, ma anche le organizzazione non governative. Ora, tale opportunità essendo oggetto di un apposita clausola tra la Comunità e gli Stati firmatari della Convenzione assume una sua rilevanza come strumento di promozione e di rafforzamento della società civile, che come vedremo tra poco è soggetta ancora a molte difficoltà nei paesi arabi. Nondimeno, risulta di difficile applicazione. Infatti, l’attuazione del programma MEDA si basa sull’adozione del Programma indicativo nazionale e del Programma indicativo regionale, alla cui formulazione sono associati gli stati mediterranei non membri. Nella pratica è quindi pressoché impensabile che progetti connessi a organizzazioni non governative possano essere approvati senza l’assenso dello stato interessato. Data questa considerazione, i progetti della società civile hanno prevalentemente carattere regionale e sono normalmente progetti “non controversi”.23 Tuttavia, Chris Patten, Commissario per le relazioni esterne, parlando dell’importanza dei rispetto dei diritti dell’uomo nelle relazioni fra i membri del partenariato ha affermato che “MEDA allocation themselves should be more dependent on adequate progress [in the field of human rights]”.24 21 Nuovo articolo 16 del regolamento MEDA. Si veda l’art . 2, par. 3 come modificato dal Regolamento (CE) del Consiglio n. 2698/2000, GUCE L 311/1, 12 dicembre 2000. 23 Chammari K., Stainier C., op.cit., p. 82. 24 Patten R.H.C., Joint Debate on Common Stategy for the Mediterranean and Reinvigorating the Barcelona process European Parliament, Joint debate Brussels, 31 January 2001, SPEECH/01/49. 22 18 2. L’iniziativa europea per la democrazia ed i diritti dell’uomo (EIDHR) La linea budgetaria B-7 è stata creata nel 1994 sotto il nome dell’iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell’uomo (EIDHR) al fine di sostenere le azioni nel dominio dei diritti dell’uomo, della democrazia e della prevenzione dei conflitti. Tali azioni devono essere essenzialmente svolte attraverso organizzazioni non governative (ONG) e organizzazioni governative internazionali (OIG). I regolamenti 975/99 e 976/9925 costituiscono la base giuridica di queste azioni. Lo stanziamento è stato aumentato nel corso degli anni partendo da 59,1 milioni di euro nel 1994, fino 101 milioni di euro attribuiti nel 2000. Per dare un idea di quanto sia ingente l’impegno finanziario della Comunità in questa materia è sufficiente osservare che la somma attribuita all’EIDHR è quattro volte superiore al budget normalmente allocato dalle Nazioni Unite per l’Alto Commissione per i diritti umani. L’EIDHR è stata oggetto di numerosi rapporti di valutazione del Parlamento europeo26 e di numerose valutazioni.27 In questi si riconosce il contributo positivo apportato dalla Comunità europea nella protezione e promozione dei diritti dell’uomo e del principio democratico, ma allo stesso tempo si sottolinea la necessità di una visione strategica e duratura delle azioni intraprese, onde aumentarne l’impatto. La stessa gestione dei programmi è stata criticata, tanto da essere oggetto di raccomandazioni da parte della Corte dei Conti.28 L’elemento rilevante che emerge dalle varie valutazione è quello di includere l’iniziativa all’interno di una “strategia globale”, al fine di creare un quadro coerente con le altre azioni poste in essere nel quadro della politica esterna dell’Unione e con le azioni poste in essere individualmente dagli Stati membri. La stessa base giuridica è stata contestata. Se infatti il Parlamento ha cercato di dare all’EIDHR un fondamento giuridico stabile e coerente, tale questione non è mai stata chiaramente definita, tanto che il Regno Unito ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia. La Corte dando ragione al Regno Unito, il 12 maggio 1998 ha statuito che l’esistenza di linee 25 Regolamento (CE) del Consiglio n. 975/99 e n. 976/99 del 29 aprile 1999, GUCE 120/8, 8 maggio 1999. Rapporto Lenz sulla creazione di una struttura di coordinamento unico all’interno della Commissione in materia di competenza dei diritti dell’uomo e della democratizzazione (PE 220.735/finale del 4.12.97); rapporto Imbeni relativo il rapporto della Commissione sulla messa in opera delle azioni di promozione dei diritti dell’uomo e della democratizzazione (per l’anno 1995), COM (96) 0672-C4-0095/97, PE 223.610/finale del 2.12.97; rapporto Roubatis su COM(95) 0567-C4-0568/95, PE 228.009 finale del 6.11.98. 27 Si veda http://europa.eu.int/comm/europaid/index.htm. 28 Rapporto speciale n.12/2000 della Corte dei Conti europea sulla gestione da parte della Commissione del sostegno dato dall’Unione europea allo sviluppo dei diritti dell’uomo e della democrazia nei paesi terzi. GUCE C 230, del 10 agosto 2000. 26 19 budgetarie da solo non autorizza alle spese, dovendo queste avere una chiara base giuridica fondata su una decisione del Consiglio.29 A seguito della pronuncia della Corte la Commissione ha deciso di congelare l’esecuzione di tutte le linee budgetarie sotto contestazione, con la sola eccezione di PHARE e Tacis per la democrazia che avevano una specifica base giuridica. Quindi, nell’aprile 1999 il Consiglio ha adottato i regolamenti 975/99 e 976/99, ponendo fine a mesi di incertezza. I regolamenti contemplavano “i requisiti per l’attuazione delle operazioni di sviluppo che contribuiscono all’obiettivo generale dello sviluppo e del consolidamento della democrazia, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. Il primo regolamento riguardava le attività di cooperazione, mentre il secondo si applicava a quelle diverse dalla cooperazione allo sviluppo, comprendendo quindi anche le attività per la regione mediterranea. Una novità introdotta dai regolamenti è stata la creazione di uno speciale comitato di gestione, composto da rappresentanti degli Stati membri, con compiti di consultazione.30 La Commissione deve infatti informare il Comitato di tutte le decisioni che intende prendere e nel caso di progetti superiori ad un milione di euro il Comitato gode di un diritto di veto.31 I tre strumenti previsti per la presentazione di progetti dall’EIDHR sono: - Bando di gara che da luogo ad una pubblicazione sul giornale ufficiale della Comunità europea e sul sito web della Commissione; - I micro-progetti (50000 euro su 12 mesi) gestiti dalle delegazioni della Commissione e attribuiti nel quadro di gare locali;32 - Progetti mirati, eseguiti nel perseguimento di obiettivi generali e che non possono essere raggiunti attraverso il bando di gara ed i micro-progetti. Se sulla base dei primi due strumenti i soggetti ammessi a presentare progetti sono le organizzazioni non governative autonome e senza scopo di lucro, le università, gli istituti di ricerca e le municipalità (cioè soggetti che sono parte della società civile), l’ultimo strumento risulta più flessibile nell’identificazione dei soggetti ammissibili, estendendosi anche alle organizzazioni governative internazionali purché collaborino con soggetti locali. 29 Chammari K., Stainer C., op. cit., p. 108. Art. 12 del regolamento 976/1999. 31 Art. 14, regoalmento 976/1999. 32 Attualmente i micro-progetti sono attribuiti soltanto ad alcune delegazioni, ma in prospettiva del progressivo decentramento dovrebbero essere estesi. 30 20 L’iniziativa europea prevede una serie di linee budgetarie che si differenziano a livello geografico e tematico.33 Le priorità tematiche sono identificate annualmente per essere poi sottoposte al Comitato degli Stati membri e quelle identificate fino al 2002 sono: - Sostegno al rafforzamento della democratizzazione, alla buona gestione pubblica e allo Stato di diritto; - Azioni per sostenere l’abolizione della pena di morte; - Azioni per sostenere la lotta contro la tortura e favorire la creazione di un Tribunale penale internazionale; - Azioni contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione contro le minoranze e le popolazioni autoctone. Alle questioni di genere, alla protezione dei bambini è stata attribuita un’importanza trasversale. Le priorità tematiche possono comunque essere lette con una certa flessibilità. Infatti, vi è poi una connotazione nazionale che permette l’identificazione di priorità per paese che possono anche differire da quelle generali. Questa flessibilità dovrebbe aumentare l’impatto potenziale che i progetti possono avere nei paesi interessati. Le priorità nazionali verranno identificate ogni anno anche alla luce delle priorità politiche formulate dalla Commissione34. 3. Il programma MEDA per la democrazia. Nel 1996 per iniziativa del Parlamento europeo è stata istituita una linea budgetaria (B7050), denominata “programma per la democrazia nei paesi del mediterraneo”. Il Parlamento europeo infatti riteneva che i numerosi riferimenti ai diritti dell’uomo presenti nella Dichiarazione di Barcellona dovessero essere tradotti in progetti a sostegno della società civile nel sud e nell’est del mediterraneo. Gli obiettivi che si intendeva perseguire erano la transizione verso la democrazia, il consolidamento dello stato di diritto, l’indipendenza e la libertà d’informazione, la libertà di riunione e di associazione, una pluralistica società civile, la protezione dei gruppi vulnerabili (donne, bambini, rifugiati, 33 Sostegno della democrazia nei paesi dell’Europa centrale e orientale; diritti umani e democrazia nei paesi in via di sviluppo; processo di democratizzazione in America Latina; finanziamenti a certe organizzazioni che lavorano nel campo dei diritti dell’uomo; Programma per la Democrazia nei paesi MEDA; diritti dell’uomo e democratizzazione nei paesi asiatici; sostegno a monitoraggio dei processi elettorali; sostegno alla Tribunale penale internazionale. 34 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, Il ruolo dell’Unione europea nella promozione dei diritti dell’uomo e della democrazia nei paesi terzi, COM (2001), 252 finale, 8 maggio 2001. 21 minoranze), l’educazione alla formazione e l’accrescimento della consapevolezza in materia di diritti dell’uomo. La cornice all’interno della quale il Programma per la Democrazia è stato creato consiste di tre diversi livelli: - La dichiarazione multilaterale di Barcellona: - Gli accordi di associazione bilaterali e la convenzione quadro Meda, quando conclusi; - Le previsioni della regolamentazione MEDA che delinea in dettaglio la competenza internazionale del programma MEDA. Il programma MEDA per la democrazia rappresenta un elemento fondamentale del partenariato. Il processo di Barcellona è infatti fondato sull’assunzione che lo sviluppo economico, la liberalizzazione politica, la costruzione di istituzioni democratiche, l’esistenza di una società civile e il rispetto dei diritti dell’uomo rappresentino la base per creare una zona di pace, di stabilità e di prosperità. La dotazione finanziaria prevista è stata di 9 milioni di euro nel 1996, 8 milioni di euro nel 1997, 10 milioni di euro nel 1998, 1999 e 2000 e rappresenta l’1 per cento dei fondi totali attribuiti dall’Unione europea a sostegno del partenariato. 3.1 Criteri di ammissibilità delle organizzazioni non governative L’organismo che richiede il contributo comunitario deve essere autonomo, non a scopo di lucro, deve avere la sua sede in uno degli Stati membri o in uno dei paesi partner. Deve inoltre dimostrare di avere sufficienti risorse finanziarie per assicurare l’esecuzione del progetto e deve provare di avere una sufficiente esperienza nella gestione e nell’esecuzione dei progetti. 3.2 Natura del progetto Il progetto deve essere finalizzato: - alla promozione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali come disposte dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e altri strumenti internazionali sullo sviluppo e il consolidamento della democrazia; - al sostegno del processo di democratizzazione; 22 - sostegno delle attività che promuovono il rispetto dei diritti dell’uomo e la democratizzazione. 3.3 Regole di finanziamento Il sostegno finanziario della Comunità può essere anche del 80% del costo del progetto. I costi che possono essere contabilizzati riguardano le spese per i viaggi e gli alloggiamenti, materiale, noleggio, trasporti, diffusione delle informazioni ecc. Le spese amministrative non possono superare il 7% del progetto. 3.4 Criteri di valutazione dei progetti La decisione su quale progetto finanziare si basa su alcuni criteri di riferimento. Il progetto deve infatti essere in linea con le priorità indicate dall’Unione europea in quella regione per i diritti dell’uomo e deve rispondere ai bisogni che esistono nell’area prescelta all’interno del paese. Inoltre deve essere sostenibile. La sostenibilità può essere verificata attraverso un esame della metodologia prescelta per l’attuazione del progetto e attraverso una valutazione delle conoscenze e competenze del personale prescelto. Vi sono poi delle considerazioni di natura amministrativa, che riguardano l’ammissibilità dei costi inclusi nel budget presentato. Infine viene considerato l’impatto del progetto e la sua capacità a generare effetti nel lungo periodo. Il progetto una volta approvato dalla Commissione viene presentato al Comitato degli stati membri, e qualora il progetto richieda un finanziamento superiore a 1 milione di euro, il Comitato gode di un diritto di veto. 3.5 Considerazioni sui primi anni di attuazione del programma MEDA per la democrazia. Dalla valutazione dei primi anni di attuazione del programma emerge che nel periodo 1996-1998, la maggior parte dei fondi sono stati attribuiti ad organizzazioni non governative europee. Infatti questo programma pur essendo stato creato come strumento per promuovere la società civile, i diritti dell’uomo e la democrazia nei paesi del sud e dell’est del mediterraneo, prevede dei criteri di valutazione che indirettamente favoriscono le 23 organizzazioni europee che sono più strutturate e ben organizzate. I criteri utilizzati per la selezione favoriscono i progetti su larga scala (regionali) che sono difficilmente attuabili da una organizzazione non governativa del sud. Alle difficoltà che le organizzazioni non governative incontrano nella selezione, si aggiungono quelle a cui devono far fronte una volta che il progetto è stato approvato e che sono legati soprattutto all’enorme mole di pratiche burocratiche e dalla mancanza di chiarezza che caratterizza le relazioni con la Commissione europea. Ad esempio i ritardi burocratici che connotano la preparazione dei contratti e i pagamenti intaccano la credibilità dell’Unione europea come donatore affidabile. Infine, si deve anche rimarcare che spesso la gestione del programma MEDA per la democrazia è stata caratterizzata dalla carenza e assenza di personale qualificato nella Commissione europea e nelle delegazioni.35 Nel periodo 1996-1998 sono stati finanziati 166 progetti che hanno interessato il sostegno della democrazia, dello stato di diritto, la libertà di espressione, libertà di associazione e la protezione dei gruppi vulnerabili. La Commissione ha sottoposto i primi tre anni di applicazione del Programma ad un’attenta valutazione. Tuttavia per la natura del soggetto è difficile poter attuare una valutazione di breve periodo. Nondimeno, alcune osservazioni possono essere ricavate. In primo luogo è mancata una strategia globale e l’identificazione di priorità di azione che sussistessero ai progetti. Il rapporto ha dato una valutazione positiva per i progetti che riguardavano il Libano, Israele, West Bank e la striscia di Gaza perché erano state chiaramente identificate le priorità per il paese prima della presentazione dei progetti da parte delle organizzazioni non governative. Per il Marocco e l’Algeria dove le priorità non erano state identificate l’efficacia è stata senza dubbio limitata. In Egitto è mancata la rispondenza tra le priorità identificate e il livello di finanziamento accordato. Infine, in Tunisia e Siria vi è stata una discrepanza in termini di qualità e quantità dei progetti portati avanti nel paese e le priorità che erano state identificate. Le priorità come vedremo in dettaglio in un secondo momento, riguardavano la promozione dello stato di diritto, la libertà di espressione, la democrazia parlamentare, la libertà delle elezioni e il sostegno alla società civile. Questo fallimento è principalmente attribuibile alla natura autoritaria di questi regimi, che rende difficile l’azione delle organizzazioni non governative senza l’assenso del governo interessato. 36 35 Karkutli N., Bützler D., Evaluation of the MEDA Democracy Programme 1996-1998, Brussels aprile, 1999, p.10. 36 Karkutli N., Bützler D., op.cit., p.38. 24 La maggior parte dei fondi è stata attribuita a West Bank e Gaza (20%), seguita da Israele (16%), Marocco (10%). Se si guarda alla distribuzione dei fondi per capita, la distribuzione varia leggermente e West Bank e Gaza sono seguiti dal Libano e dalla Giordania. La Siria e la Tunisia hanno ricevuto la quota più bassa sia in termine di attribuzione per paese (1%) che di aiuto pro capite. In termini di attività organizzate nell’attuazione dei progetti si rimarca che priorità è stata attribuita alla formazione e all’educazione sui diritti dell’uomo e alla democrazia (42%), seguita dalla campagna di sviluppo della consapevolezza sui diritti dell’uomo e sulla democrazia (27%), dall’organizzazione di seminari e conferenze (20%) e da attività di controllo e di difesa (12%). I gruppi beneficiari sono stati donne (18%), gli attivisti delle organizzazioni non governative (17%) seguiti dai giovani (12%) e dai giornalisti impegnati nel settore (10%) I progetti su scala regionale hanno avuto soprattutto la forma di seminari e di conferenze nelle aree di sostegno alle capacità delle organizzazioni non governative, dei giornalisti e dei giuristi. Il collegamento multilaterale che si può avere attraverso degli incontri regionali aumenta l’impatto e l’efficacia del progetto attraverso il trasferimento di conoscenze di persone con una diversa esperienza. Se i progetti regionali possono avere un risultato positivo in termini di sviluppo delle capacità e di formazione sui diritti dell’uomo, lo sviluppo della consapevolezza in queste tematiche necessita di una caratterizzazione nazionale che può essere data solo attraverso progetti per paese. Dalla valutazione degli effetti delle attività organizzate per l’esecuzione dei progetti, si può affermare che la formazione e l’educazione sui diritti umani pur essendo indirizzata ad un gruppo specifico di beneficiari ha normalmente un impatto molto elevato su questi. I progetti per il monitoraggio e la difesa dei diritti dell’uomo riguarda un numero ristretto di destinatari, ma ha come merito quello di sollevare l’attenzione internazionali su certi casi. Per quanto riguarda le Conferenze, che sono le più facili da organizzare, l’impatto è limitato nel numero dei beneficiari, accademici e attivisti, e che vi partecipano. Le conferenze sono costose e solo nel caso in cui vedano una collaborazione attiva delle organizzazioni non governative del sud possono contribuire al loro sviluppo. 25 Sez.III- LA SITUAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO NEI PAESI DEL SUD E DELL’EST DEL MEDITERRANEO 1. I paesi mediterranei ed i diritti dell’uomo. Dei paesi mediterranei soltanto l’area sotto controllo Palestinese e lo stato di Israele non hanno una costituzione. Per meglio dire Israele ha stabilito una Legge fondamentale che prevede una protezione giuridica per gli individui. L’Autorità Palestinese ha disegnato quattro volte una legge fondamentale senza tuttavia approvarla. Gli altri paesi hanno una costituzione che prevede articoli a tutela dei diritti umani fondamentali. Tuttavia, non si può mancare di notare che nell’area dello stato di diritto, della libertà di espressione e della libertà di associazione, restrizioni giuridiche ai diritti contemplati nella Costituzione sono state aggiunte in un secondo momento, rendendo vuote le previsioni costituzionali. Nella pratica ad esempio lo stato di diritto risulta una formula inutile a causa del sistema processuale vigente. Se infatti le costituzioni di questi paesi spesso pongono dei limiti alla detenzione preventiva, esistono poi dei tribunali di sicurezza composti da giudici militari esonerati dal rispetto di questo principio costituzionale. Inoltre, in alcuni casi anche nel corso di una procedure penale ordinaria molte persone sono arrestate senza conoscere le accuse a loro carico o le loro case sono state perquisite senza mandato. In tutti i paesi le condizioni delle prigioni sono pessime. In particolare, lo stato di diritto risulta assente o carente in Egitto, Tunisia e Siria e nella West Bank e Gaza, in misura minore in Libano e Marocco.37 La libertà di espressione e di stampa è formalmente limitata da un codice sulla stampa, con l’unica eccezione di Israele dove tuttavia la censura viene applicata nel caso di sicurezza nazionale. Il Comitato per la libertà dell’Unione giornalisti, riunitosi a Beirut nel luglio 1998, rimarcava “le deteriorate condizioni della libertà di espressione e delle restrizioni legislative imposte alla stampa in alcuni paesi arabi”, ed in particolare citava “le sanzioni imposte ai giornalisti, le sentenze di condanna, le penalità finanziarie e l’aumento delle manifestazioni di terrorismo intellettuale da parte di varie forze”.38 Quindi, la libertà 37 Si veda Fédération Internationale des Ligues des Droits de l’Homme (FIDH), Les dèfenseurs des droits de l’homme- Contribution aux deuxième forum parlementaire euro-méditerranéen 8 et 9 Fevrier 2001. Si veda inoltre Karkutli N., Bützler D., op.cit, p.20. 38 Quotato in Karkutli N., Bützler D., op.cit., p. 21. 26 di espressione e di stampa è soggetta a limitazioni in quasi tutti i paesi, ma la situazione è particolarmente grave in Tunisia, Egitto e Siria. Anche la libertà di associazione è limitata dall’obbligo di registrare l’associazione e ottenere un permesso dal Ministero dell’Interno o dal Ministero degli Affari sociali per lo svolgimento delle attività. Nel caso della West Bank sotto controllo israeliano tutte le organizzazioni palestinesi devono essere registrate con le autorità israeliane. In Egitto, ad esempio, nel 1999 è stata adottata una legge restrittiva sulla libertà di associazione. Tale legge è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale egiziana. Tuttavia, il nuovo progetto di legge elaborato a seguito della decisione della Corte riprende nella gran maggioranza le disposizioni della legge n.153 con il fine di subordinare l’azione delle organizzazioni non governative al controllo dell’autorità. A titolo d’esempio secondo l’art. 3 tutte le organizzazioni già registrate devono abbandonare il loro statuto attuale per essere registrate in conformità con la nuova legge. L’art. 11 prevede che le organizzazioni non governative per ottenere lo statuto legale debbano conformare il loro mandato alle norme dell’autorità. Una siffatta disposizione può dare luogo a restrizioni arbitrarie. L’art. 16 attribuisce il potere alle autorità di interdire alle associazioni ogni affiliazione con un organizzazione basata all’estero e all’art. 17 vieta che queste ricevano fondi dall’estero, salvo nei casi in cui esse ottengano un’autorizzazione preliminare dal Ministero degli affari sociali. L’art. 42 infine da la possibilità all’autorità di dissolvere un’associazione senza che via sia un’istruzione giudiziaria preliminare.39 La democrazia parlamentare è particolarmente debole in Tunisia, Egitto, sotto l’Autorità palestinese e in Siria. In generale in questi paesi il Parlamento, fatta eccezione per Israele, non gode di un potere tale da contrastare l’esecutivo che legifera attraverso decreti presidenziali o reali. In Algeria e Libano il parlamento è attribuito un qualche potere. Il Marocco negli ultimi anni ha rafforzato le competenze parlamentari, ma i decreti presidenziali continuano a ricoprire le questioni più importanti. Negli altri paesi il Parlamento è per lo più senza potere.40 Per quanto riguarda la correttezza del processo elettorale, libere elezioni si sono tenute in Algeria, Marocco, Israele e sotto l’Autorità palestinese. Mentre sono un problema in Tunisia, Egitto, Libano e Siria. In Tunisia e Siria il partito dominante ottiene dei consensi 39 40 Karkutli N., Bützler D., op.cit., p. 21, FIDH, op. cit., p.8 Karkutli N., Bützler D., op.cit., p. 21 e ss.. 27 plebiscitari quali maggioranze del 99 per cento. Mentre in Egitto e in Libano spesso sono state riportate frodi elettorali. La situazione femminile, nei paesi nei quali la componente religiosa è più accentuata, resta precaria. In particolare, è altamente carente in Marocco, Egitto, Giordania e sotto l’Autorità palestinese. La donna è soggetta a discriminazione verso il marito, in caso di divorzio, nella tutela dei figli e nel caso della suddivisione dell’eredità.41 La protezione delle minoranze risulta in alcuni paesi difficile. Le minoranze più importanti sono costituite dai Berberi in Algeria e Marocco, dai Palestinesi sottoposti alla legge militare di Israele, dagli Arabi Israeliani e dai Coopti in Egitto. In Marocco è vietato l’insegnamento del linguaggio amazigh dei berberi nell’educazione dei bambini, mentre in Algeria una campagna di “arabizzazione” è stata lanciata nel 1998, minacciando i diritti dei berberi. Per quanto riguarda i palestinesi che si trovano sotto il controllo dell’autorità israeliana, questi sono sottoposti a discriminazioni sistematiche che intaccano la loro libertà di movimento. Gli arabi israeliani che hanno un passaporto israeliano e che in linea teorica sarebbero titolari degli stessi diritti attribuiti ai cittadini israeliani, nella pratica sono discriminati a vari livelli tanto da essere definiti “cittadini di secondo livello”. In Egitto i coopti subiscono discriminazioni giuridiche nel loro status legate alla fede cristiana. 42 Tavola II, Minoranze in Medio Oriente e nei paesi del Nord Africa Paese Minoranza Algeria Egitto Giordania Israele Israele/Territori occupati Libano Marocco Siria Berberi Coopti Palestinesi Arabi Palestinesi Drusi Cristiani maroniti Palestinesi Sciiti Sunniti Berberi Alauiti Percentuale della popolazione totale 0.21% 0.08% 0.35% 0.13% 0.26% 0.04% 0.35% 0.11% 0.28% 0.20% 0.37% 0.13% Tunisia n.i. n.i. Fonte: Ted Robert Gurr, Minorities at Risk: A Global view of Ethnopolitical Conflicts, Washington, D.C.: United States Institute of Peace Press, 1993, pp. 332-333. 41 Monshipouri M., Islamism, Secularism, and Human Rights in the Middle East, Lynne Rienner Publishers, Boulder London, 1999, p. 78. Si veda inoltre Ruthven M., Islam, Einaudi, 1999, p.90. 42 Monshipouri M., op. cit., p. 75. 28 La società civile, la sua diffusione e la sua capacità di intervento nella vita del paese, rappresenta nel caso dei paesi del mediterraneo un importante indice nel processo di democratizzazione. Dare una definizione di cosa si intende per società civile non è facile, dato che può includere nel suo interno organizzazioni non governative, unioni, club, organismi di carità, associazioni sociali e religiosi, gruppi e istituzioni di accademici ecc.. Hudson43 definisce la società civile come uno spazio autonomo tra lo stato e la società, con legami con entrambi nel suo interno. Essa risulta importante perché agendo al di fuori dello Stato ne controbilancia il potere, diluendone il controllo sopra la società e, allo stesso tempo, avanza vari interessi sociali presso le elite politiche dominanti. Una delle questioni importanti che è stata analizzata da studiosi arabi riguarda i limiti della società civile, e se al suo interno si possano includere le organizzazioni che aderiscono alle regole del gioco o le organizzazioni islamiche. Alcuni autori quali Saad Eddin Ibrahim44 escludono le organizzazioni islamiche dalla società civile. Tuttavia se si guarda alla sua funzione, si deve riconoscere che alcune organizzazioni islamiche sono state tra i più effettivi strumenti di sfida all’autorità governativa e di risposta alle esigenze dei cittadini, come nel caso del terremoto del 1992 in Egitto quando queste hanno dato una veloce ed effettiva risposta. 45 Se si analizza il ruolo della società civile nel processo democratico, si deve riconoscere che essa, pur non essendo un elemento essenziale del processo di democratizzazione, è tuttavia un elemento che facilita la transizione verso la democrazia. Molti degli studiosi arabi asseriscono che una genuina società civile non esiste nei paesi arabi.46 Se si prende ad esempio le democrazie occidentali si può rimarcare che queste presentano una forte società civile e uno stato forte. La situazione che si riscontra nei paesi arabi è una debole società civile accompagnata da uno stato debole. El-Sayyid47 classifica i sistemi politici arabi in tre diverse categorie a seconda del grado di liberalizzazione democratica e lo stato della società civile. Il primo gruppo riguarda i paesi caratterizzati da un’emergente società civile. Il secondo gruppo è caratterizzato dai paesi che la sopprimono e il terzo gruppo offre deboli 43 Hudson M., The Political Approach to Arab Democratization: The Case for Bringing It Back In, Carefully, in Political Liberalization and Democratisation in the Arab World: Theortetical Perspectives-, vol.I, a cura di Brynen R., Korany B., Noble P., Lynne Rienner Publishers, Boulder London, 1995. 44 Ibrahim S.E., Crises, Elites, and Democratisation in the Arab World, Middle East Journal 47, n.2 (primavera 1993), p. 292-305. 45 Karkutli N., Bützler D., op.cit., p. 27. 46 Ibrahim I., Debating Democracy in the Arab World, in Civil Society in the Arab World, vol. 9, febbraio 2000. Disponibile all’indirizzo internet http://ibnkhaldun.org/newsletter/2000/feb/essay.htlm. 47 El-Sayyid M., The Concept of Civil Society and the Arab World, in Brynen R., Korany B., Noble P., op. cit., vol.I. 29 esempi di società civile in paesi dove questa non è autorizzata. Ma quello che accomuna le tre ipotesi è che anche nei casi nei quali una qualche forma di società civile è presente, essa rappresenta un gruppo elitario per natura, rimanendo la larga massa della popolazione ai margini. Allo stesso tempo si deve notare che anche in presenza di stati autoritari la società civile a comunque trovato degli spazi per crescere. Infatti le organizzazioni non governative nel giro di venti anni sono triplicate, passando dalle 20,000 degli anni sessanta alle 70,000 degli anni ottanta.48 È indubbio che la società civile sta assumendo un ruolo emergente nella vita politica di alcuni stati arabi anche se la via verso la democratizzazione è ancora lunga. È parte della società civile anche il movimento dei diritti dell’uomo. Il movimento venne creato tra il 1960 e il 1970, per poi estendersi all’intera regione negli anni ottanta. Fino agli anni ottanta il principale campo di interesse sono stati i diritti civili e politici e soltanto negli ultimi anni l’attenzione si è spostata anche ai diritti sociali ed economici. I primi gruppi si sono diffusi in Marocco e Tunisia per poi estendersi all’Egitto e ai territori occupati da Israele. Tuttavia alla maggior parte di questi gruppi non era riconosciuto uno status legale.49 In Siria nel 1992 le autorità congelarono il Comitato di difesa delle libertà democratiche e dei diritti dell’uomo (CDF), e alcuni dei suoi membri furono imprigionati per circa 9 anni. In Tunisia il vice presidente della lega tunisina per i diritti dell’uomo (LTDH) Khemais Ksila, fu condotto in Tribunale nel 1998 e condannato a tre anni, mentre all’ex presidente della lega fu proibito di viaggiare all’estero. In Algeria nel 1994 Youcel Fathallah, Segretario generale della lega algerina dei diritti dell’uomo perse la vita.50 Tuttavia le sfide per tali gruppi vanno al di là delle ostilità e dell’oppressione alle quali sono sottoposte da parte dei governi e si estendono ad un ambiente politico ostile e agli attacchi che vengono anche dai gruppi di opposizione e dai media. Spesso data la difficoltà di operare questi gruppi mancano di una base sociale. I finanziamenti esterni e le simpatie che suscitano a livello internazionale in alcuni casi rendono gli attivisti vulnerabili all’accusa di proteggere e avanzare interessi stranieri. L’argomento dei diritti dell’uomo è stato anche spesso oggetto di una strumentalizzazione da parte dei gruppi di opposizione islamici, dagli accademici e dagli altri attivisti che operano nella regione. Negli anni ottanta sono stati anche creati organismi 48 Ibrahim I., op. cit., p. 4. Karkutli N., Bützler D., op.cit., p. 30. 50 Ibidem. 49 30 quali l’Organizzazione Araba per i diritti dell’uomo e l’Istituto arabo per i diritti dell’uomo.51 Gli argomenti portati normalmente a discredito di queste organizzazioni o dei gruppi che operano nel settore sono molteplici. Il primo è quello della politicizzazione delle organizzazioni non governative dei diritti dell’uomo. Sulla base di tale argomento esse sarebbero parte dell’opposizione politica al governo che utilizzerebbe l’argomento delle violazioni dei diritti dell’uomo per screditare questo non avendo argomenti validi da utilizzare nella lotta per il potere. Ora nel momento in cui la democrazia è al centro del dibattito per i diritti dell’uomo nel bacino mediterraneo, un simile argomento annulla qualsiasi possibilità di contestazione dell’ordine stabilito. Un'altra variante dello stessa questione è quello dell’ingerenza esterna. Pur essendo parte dell’opposizione politica sul piano nazionale, i difensori dei diritti dell’uomo sarebbero a livello internazionale ostaggi di un’agenda politica occidentale, elaborata dai governi e dalle organizzazioni del nord. In questa prospettiva le organizzazioni sarebbero una sorta di quinta colonna che minaccia la sovranità del paese. Qualora questo argomento non fosse sufficiente il ricordo della colonizzazione viene richiamato. Il terzo argomento è quello dell’educazione ai diritti dell’uomo che viene presentato come prioritario rispetto alla protezione. Vista la carenza in materia di diritti dell’uomo delle società del sud l’educazione al rispetto di tali diritti risulta una pre-condizione per assicurarne in un secondo momento la protezione. L’argomento è difficilmente contestabile e trova spesso consensi negli stati del nord. Tuttavia ci si deve chiedere se l’organizzazione di conferenze tra accademici negli hotel rappresentino lo strumento migliore per promuovere il rispetto dei diritti dell’uomo. Si deve anche rimarcare che questi governi sono firmatari delle convenzioni sui diritti dell’uomo e riconoscono normalmente nei consessi internazionali l’importanza del rispetto di tali diritti. A tale proposito è sufficiente guardare i rapporti presentati davanti al Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite per vedere come i governi arabi ne facciano un punto forte delle loro arringhe. 51 FIDH, op. cit., p. 3 e ss. 31 Tavola III, Ratificazione degli strumenti internazionali fondamentali sui diritti dell’uomo Algeria Egitto Israele Giordania Libano Marocco Siria Tunisia I Si Si Si Si Si Si Si Si II Si Si Si Si Si Si Si Si III Si Si Si Si Si Si Si Si IV Si Si Si Si No Si No Si V No Si Si Si Si Si Noª Si VI Si Si Si Si Si Si Si Si VII Si Si Si Si Si Si Si Si Fonte: International Instruments Relating to Human Rights: Classification and Status of Ratification as of January 1997, in Human Rights Law Journal, Vol. 18, n. 1-4, 1997. Nota: ª In Siria è in atto una discussione sulla ratifica di questa Convenzione. Fonte UNIFEM, Amman Giordania, febbraio 2001. Legenda : Lista degli strumenti corrispondenti ai numeri in colonna I. II. III. IV. V. VI. VII. Patto sui diritti economici, sociali e culturali. Patto sui diritti civili e politici. Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio. Convenzione contro la tortura, o gli altri trattamenti inumani o degradanti. Convenzione sui diritti politici delle donne. Convenzione sui diritti dell’infanzia. Convenzione internazionale per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale. Un altro degli argomenti utilizzati riguarda la buona gestione. I governi insistono sulla natura (internazionale) delle sovvenzioni attribuite a queste organizzazioni e sullo stile di vita tenuto dai suoi attivisti, i loro salari e viaggi. In società con bassi livelli di vita, tali accuse hanno un certo peso. L’ultimo argomento e il più utilizzato all’interno del partenariato euro-mediteranneo è che la pace nella regione medio-orientale è una condizione prioritaria. I diritti civili e politici per quanto fondamentali dovrebbero essere valutati in un contesto globale. 52 2. Compatibilità tra diritti dell’uomo e Islam. Una delle questioni principali da analizzare nell’analisi dello stato dei diritti dell’uomo nei paesi del mediterraneo è di stabilire se l’Islam rappresenti un ostacolo al principio democratico e alla promozione dei diritti dell’uomo e dei valori democratici nel paesi del sud e dell’est del mediterraneo, e nel caso la risposta sia positiva quali siano le possibili soluzioni. Prima tuttavia di rispondere a tale quesito ci si dovrebbe interrogare sulla natura universale di tali valori. 52 Ibidem. 32 Si deve quindi fare una prima distinzione tra i due concetti. Di questi ultimi la nozione di diritti dell’uomo ha più pretese di universalità. La democrazia è infatti considerata come una delle possibili forme di governo. I diritti dell’uomo oltre che implicare il concetto di universalità, hanno come caratteristica principale di riferirsi a tutto il genere umano indipendentemente dalle differenze di razza, sesso, cultura o religione.53 La loro origine intellettuale si può trovare nell’idea che esiste una legge naturale. Analizziamo il caso della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che da cinquanta anni è oggetto di una controversia. Quando fu adottata nessuna delegazione votò in modo contrario ed anche gli stati che all’epoca si astennero l’hanno accettata successivamente. In un discorso presentato il 10 Dicembre 1997 in occasione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione universale, il Segretario generale delle Nazioni Unite sostenne che “la dichiarazione fu il risultato del lavoro di un gruppo di esperti, la maggioranza dei quali proveniva dal mondo non occidentale”.54 Una simile affermazione è facilmente oggetto di contestazione. Se è infatti vero che la provenienza geografica degli esperti che prepararono la Dichiarazione era in maggioranza non occidentale, ci si deve anche porre la domanda di dove questi esperti avessero studiato. Alcuni hanno affermato che la Dichiarazione universale rappresenta un’interpretazione secolare della tradizione giudaico cristiana e che di conseguenza non può essere applicata ai paesi mussulmani.55 Nel 1990 i Ministri degli esteri dei paesi partecipanti all’Organizzazione della Conferenza islamica approvarono quella che divenne poi nota come la Dichiarazione del Cairo sui diritti dell’uomo nell’Islam.56 Tale Dichiarazione risulta interessante per due motivi. Il primo è che pur discostandosi dalla Dichiarazione Universale per sua stessa esistenza e per il suo titolo è la conferma che anche i governi islamici più conservatori accettano il concetto dei diritti umani. Il secondo è che durante la Conferenza di Vienna sui diritti umani del 1993 quando la Dichiarazione del Cairo venne presentata come espressione della posizione dei paesi mussulmani in materia, anche due dei governi più conservatori quali l’Arabia Saudita e l’Iran asserirono che i diritti dell’uomo 53 Magnarella P.J., Middle East and North Africa: Governance, Democratization, Human Rights, Ashgate, Aldershot, Brookfield USA, Singapore, Sydeney, 1999, p. 34. 54 Mortimer E., Islam e diritti umani: un punto di vista occidentale, in Arabia Saudita Cent’anni, a cura di Aliboni R., Pioppi D., Ed. Franco Angeli, 2000, p. 105. 55 L’affermazione quotata in Mortimer E., op. cit., è stata fatta dal rappresentante iraniano all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1984. 56 Il testo della Dichiarazione del Cairo dei diritti dell’uomo nell’Islam, 1990, è disponibile all’indirizzo internet http://www.comune.torino.it/cultura/intercultura/8/8a20.htm . 33 sono universali e che è solo nella loro applicazione che divergono in accordo con le differenze esistenti tra le società. Non c’è consenso in dottrina sulla relazione che esiste tra Islam, democrazia e diritti dell’uomo. Per alcuni l’Islam è incompatibile con la democrazia, mentre per altri soltanto attraverso un’interpretazione liberale dell’Islam può derivare il rispetto dei suddetti diritti nel mondo mussulmano.57 Dobbiamo dapprima osservare che l’Islam non è una fede monolitica. Nel corso dei secoli è stato utilizzato come strumento per legittimare lo status quo e come strumento per guidare la rivolta contro questo.58 E’ indubbio che la nozione islamica di diritti dell’uomo si differenzia da quella del mondo occidentale. Questi sono infatti definiti come diritti e obblighi religiosi piuttosto che come diritti inalienabili attribuiti all’individuo. Secondo l’Islam i diritti sono interamente posseduti da Dio. Gli individui possono godere dei diritti umani nella loro relazione con Dio una volta che abbiano soddisfatto i loro obblighi verso di questo. Il concetto di diritti dell’uomo risulta quindi teologico. L’individuo è importante in quanto membro di una comunità. Per questo i diritti della comunità hanno la precedenza sui diritti dell’individuo. Per i mussulmani la Shari’a è la fonte dei diritti umani. Questa è immutabile in quanto deriva direttamente da Dio e si basa su di una rivelazione. La libertà di espressione è limitata nella misura in cui non neghi la Shari’a o i principi sacri.59 Tavola IV, Maggiori religioni nei paesi del sud ed est del mediterraneo Paese Maggiori religioni Algeria Egitto 99% mussulmani sunniti; 1% cristiani ed ebrei 94% mussulmani (la maggioranza dei quali sunniti); 6% cristiani coopti e altri 82 %ebrei; 14% mussulmani; 2% cristiani; 2% drusi 92% mussulmani sunniti; 8% cristiani 70% mussulmani; 30% varie sette cristiane 99% mussulmani sunniti; 1% ebrei ed altri 74% mussulmani sunniti; 12% alauiti; 6% drusi; 8% cristiani ed ebrei 98% mussulmani; 1% cristiani; <1% ebrei Israele Giordania Libano Marocco Siria Tunisia I concetti teologici e giuridici del mondo islamico si basano largamente sulla Shari’a, e la sunnah (la pratica instaurata dal profeta). Se la Shari’a formula la dottrina islamica, la sunnah che deriva dagli insegnamenti del profeta e dalla sua condotta, pone le basi 57 Ibrahim I, op. cit., p. 6. Dorraj M., Islam, Governance and Democracy, in Magnarella P.J., op.cit., p. 11. 59 Monshipouri M., op. cit., p. 19. 58 34 normative per la comunità mussulmana. La codificazione della sunnah è chiamata hadith (tradizione del profeta). Il diritto islamico riconosce quattro fonti di diritto: il testo del Corano; i testi di hadith; ijtihad o ragionamenti analogici, conosciuti come qiyas; ijna o consenso dell’ulama. Alcuni ricercatori mussulmani considerano la separazione della religione dallo stato come un requisito necessario per la democratizzazione e per la protezione dei diritti dell’uomo nelle società islamiche. Kramer60 si chiede invece se l’ordine islamico possa tollerare la libertà di espressione, di associazione, di contestazione del potere politico da parte dei non mussulmani, comunisti, liberali senza guardarli come apostati rinnegati o ateisti nemici dell’islam. Altri studiosi come la Mayer61 pur notando l’esistenza di una profonda tensione tra l’Islam e i diritti dell’uomo, sono più ottimistici sulla possibilità di una loro riconciliazione attraverso un’interpretazione moderna e dinamica della Shari’a. In conclusione non esiste una risposta certa sulla compatibilità dell’Islam con i diritti dell’uomo e con il principio democratico. Per dare una risposta che abbia un qualche fondamento ci si deve porre la domanda quale sia l’Islam al quale ci riferiamo, chi lo interpreta e in quale contesto storico e sociale si sviluppa. Le violazioni dei diritti dell’uomo nel mondo mussulmano hanno poco a che fare con l’Islam. Esse sono il frutto di un autoritarismo sociale ed economico. In queste società, la generale condizione di povertà, l’alto grado di analfabetismo, la presenza intrusiva dei militari, la mancanza di tradizioni democratiche e la debolezza della società civile sono forse più importanti della cultura islamica nella determinazione del rispetto dei diritti dell’uomo. 60 Kramer G., Liberalization and Democracy in the Arab World, in Middle East Report, gennaio-febbario 1992, pp. 22-25. 61 Cit. in Dorraj M., op.cit., p. 34. 35 SECONDA PARTE IL CASO DELLA SIRIA 36 1. Introduzione storica La Siria, mandato francese dal 1920, arrivò all’indipendenza informale nel 1943 e all’acquisto della piena sovranità nel 1946, quando gli ultimi soldati francesi lasciarono il paese. Sulla base della costituzione approvata nel 1947, la Siria era una repubblica parlamentare, anche se di fatto il potere era concentrato nelle mani dei proprietari terrieri e dei mercanti. Dal 1949 al 1963 il paese fu protagonista di una serie di colpi di stato. L’instabilità interna alla metà degli anni cinquanta fu accresciuta dalle pressioni statunitensi affinché la Siria divenisse parte del Patto di Baghdad di natura pro-occidentale. La decisione della Siria di mantenere una posizione neutrale, la sottopose a forti pressioni che destabilizzarono il paese tanto da favorire nel 1958 l’unione con l’Egitto. L’esperimento della prima unificazione araba durò fino al 1961. Dopo il fallimento della Repubblica Araba Unita, in Siria tornarono al potere per un altro anno e mezzo le elite che avevano dominato negli anni cinquanta. Il 1963 può essere considerato l’anno della svolta o come viene definito in Siria come l’anno della rivoluzione. Infatti un colpo di stato militare portò il partito Ba’th62 al potere. Seguendo l’orientamento di Perthes63 riteniamo che non si trattò di una rivoluzione se non per gli effetti che questa comportò nella società, nella struttura politica, statale ed economica del paese. Gli effetti del colpo di stato militare furono rivoluzionari nella misura in cui la vecchia classe politica al potere venne sostituita da una giovane elite con caratteristiche diverse. Questa nuova elite era formata prevalentemente da ufficiali provenienti dalla classe media delle campagne e da una piccola intelligentzia, che tuttavia verrà allontanata a metà degli anni sessanta. Il loro livello di istruzione arrivava fino alle scuole superiori. Inoltre questa nuova elite oltre che provenire da regioni periferiche era formata da membri delle minoranze religiose, in primo luogo gli alauiti ed i drusi, che all’epoca formavano un gruppo compatto.64 In questi primi anni tuttavia sono numerose le divisioni all’interno della classe al potere, alle quali corrispondono fazioni anche all’interno delle forze armate. Nel 1966 la fazione radicale, formata da ufficiali della classe media rurale e della minoranza alauita prese il 62 Il Partito Ba’th (Hizb al-Ba’th al-‘Arabi al.Ishtiraki) fu fondato nei primi anni quaranta da un trio di ferventi nazionalisti arabi: Michel Aflaq, Salah al-Din Bitar and Zaki Arsuzi. 63 Perthes V., The Political Economy of Syria under Asad, I.B. Tauris, London-New York, 1995, p.2. 64 Ibidem. 37 potere. Tuttavia i contrasti interni facilitarono la sconfitta e la perdita delle alture del Golan nella guerra contro gli israeliani nel 1967. Nel novembre 1970, dopo due anni di aperto conflitto all’interno dell’elite al potere sulla gestione delle questioni di politica interna ed estera, il generale Hafiz al-Asad accompagnato da quello che è stato ufficialmente definito il “movimento correzionista” prese il potere che mantenne per trent’anni. La natura del suo potere si caratterizzò per un controllo assoluto dell’apparato statale, ma nello stesso tempo favorì anche la creazione di strutture politiche stabili. Nel 1971 venne istituito un Parlamento e nel 1972 il Fronte Nazionale Progressista (FNP), formato dalla coalizione istituzionale del partito Ba’th e da altri piccoli partiti tollerati dal regime, tra i quali l’unione socialisti arabi ed il movimento unione socialista. Infine una nuova costituzione fu promulgata.65 In questi anni in politica estera la Siria cercò di ricostituire un fronte arabo compatto contro Israele e se la guerra del 1973 rappresentò una sconfitta dal punto di vista militare, non lo fu da quello politico. Gli anni dal 1979 al 1982 furono caratterizzati da un crescente contrasto con i gruppi islamici ed in particolare con i Fratelli mussulmani. A questi fu inflitto un colpo mortale dopo la sanguinosa repressione di Hama nel 1982 dove un numero imprecisato di persone vennero uccise66, la città fu rasa al suolo e dove il regime di Asad sotto pressione mostrò il suo carattere autoritario e repressivo per non dire “barbarico”. La Siria uscì dall’isolamento internazionale che caratterizzò gli anni ottanta schierandosi contro l’Iraq al momento della guerra del golfo. Gli anni novanta sono anche gli anni nei quali Hafiz al-Asad prepara la sua successione. La Siria è stata infatti definita “una repubblica ereditaria”67. Il prescelto era il figlio maggiore Basel68, anche se secondo le parole di Hafiz al-Asad “I have no successor. The successor is decided by all those institutions, state and constitutional organisations and party institutions. These, I believe, have deep roots because they have twenty or twenty-two years of experience, and are able to cope with this prospect ”69, che tuttavia morì in un incidente d’auto nel 1994. La scelta ricadde dunque sul figlio Bashar, uno studente di oftalmologia nelle università inglesi, che si trovò inaspettatamente e con poco piacere a 65 Perthes V.,op. loc. ult cit. p. 133 e ss. Si calcola circa 10000. 67 Le Monde, Arrestation de Riad Turk, le plus célèbre opposant syrien, 4 settembre 2001. 68 Orbach B., Scehnker D., The Rise of Bashar Al-Asad, Policy Watch, n. 371, marzo 1999. 66 38 dover apprendere i rudimenti politici e militari per poter guidare il paese. Il momento della sua “elezione” è arrivato dopo la morte del padre, il 10 giugno 2000, quando attraverso un referendum che gli ha dato una maggioranza plebiscitaria (97,2%), è salito alla presidenza della Repubblica Araba Siriana. La sua “elezione” ha suscitato grandi speranze ed un certo ottimismo nel grande pubblico e nella comunità internazionale.70 Queste speranze sembrarono trovare una parziale conferma il 17 luglio al momento del discorso inaugurale, quando Bashar al-Asad dichiarò che si apriva un periodo di riforme, di apertura e si trasparenza per il governo. 2. Sviluppi un anno dopo l’elezione di Bashar al-Asad Un anno dopo l’insediamento di Bashar al-Asad è forse possibile tirare un primo bilancio per verificare se le speranze che erano state riposte in questo giovane presidente siano state soddisfatte. Non si può non riconoscere che un processo di riforma economica stia lentamente prendendo piede, accompagnato dalle incertezze e dai ripensamenti causati dalla necessità di trovare e consolidare l’equilibrio tra le varie forze sul quale il suo potere si basa. Per quanto riguarda il rispetto dei diritti dell’uomo e il processo di democratizzazione, si è passati da quella che è stata definita “la primavere di Damasco” al congelamento e alla repressione di ogni forma di opposizione che si ripresenta a circa un anno dalla prima apertura. Il 26 settembre 2000, circa tre mesi dopo l’elezione di Bashar al-Asad, 99 intellettuali siriani pubblicavano un documento che domandava l’adozione di una serie di riforme politiche, quali la fine dello stato di emergenza, la cessazione delle detenzioni arbitrarie, il ripristino dello stato di diritto e della libertà di espressione. Questo primo documento, pur essendo importante perché mostrava il risveglio della società civile dopo un letargo forzato durato trent’anni, non conteneva tuttavia delle accuse dirette verso il regime. Quasi contemporaneamente 600 prigionieri politici detenuti nella tristemente famosa prigione di Mezzeh, alla periferia di Damasco, venivano rilasciati e la prigione chiusa per essere trasformata in un museo “alla memoria”. Tra i prigionieri vi erano membri dei 69 Van Dam N., The Struggle for Power in Syria, Tauris, London, 1990, p. 132. Le Caisne G., Le faux printemps de Damas, Le Nouvel Observateur, 19-25 luglio 2001. 70 39 Fratellanza mussulmana, comunisti, esponenti della sinistra e di altre fazioni islamiche che si erano opposti al regime negli anni ottanta. Se questa amnistia deve essere certamente valutata positivamente, nondimeno non possiamo non osservare che gli oppositori rilasciati difficilmente potevano rappresentare un pericolo per il regime, trattandosi di persone che erano state incarcerate in condizioni disumane per periodi che vanno dai 10 ai 18 anni e dopo essere stati ripetutamente sottoposti a torture psico-fisiche finalizzate ad annientare la coscienza di sé e a fiaccare la volontà.71 All’inizio di dicembre 2000 invece venivano rilasciati 54 prigionieri libanesi (inclusi due palestinesi) che erano stati imprigionati durante il periodo dell’intervento siriano nella guerra civile libanese (1979-1990). Tale misura rientrava nell’obiettivo di arrivare ad una normalizzazione delle relazioni con il Libano nel momento in cui si stava rafforzando l’opposizione maronita alla presenza delle truppe siriane e all’interferenza negli affari interni. In questi stessi mesi, il presidente Bashar al-Asad, toglieva alcune restrizioni sulla stampa. In particolare si accordava il permesso agli altri partiti della FNP di avere dei propri organi di informazione. Così il 4 gennaio 2001 appariva il giornale Sawt al-Chaab come organo di informazione del partito comunista siriano72. Questo era seguito, a distanza di un mese, dalla pubblicazione di un giornale satirico intitolato al-Domary, “il portatore della lanterna”.73 In questi primi mesi della presidenza di Bashar al-Asad si vanno progressivamente organizzando anche numerosi forum culturali-politici nelle varie città della Siria. Alcuni di questi forum avevano già visto la luce durante Hafiz al-Asad. Il primo fu infatti creato nel 1986 dall’Associazione degli economisti e si caratterizzò soprattutto per dibattiti relativi alla gestione economica del paese. Ma il passaggio al dibattito politico è stato effettuato soltanto dopo l’ascensione al potere di Bashar al-Asad. 74 Il 28 maggio 2000 importanti intellettuali dell’opposizione tra i quali Aref Dalila, Adel Mahmoud, Michel Kilo, Mohawed Karisli, Nabil Maleh, si riunirono per discutere sullo stato della società civile in Siria e su quali fossero i passi da fare. Elaborarono quindi il 71 Gilles Paris, En Syrie, triste continuitè, Le Monde, 28 novembre 2000. AFP, Parution du premier journal politiqUe non contrôlé par l’Etat ou le Bas, 10.31, 4 gennaio 2001. 73 L’Orient le Jour, Un journal satirique autorisé, 23 gennaio 2000. 74 Documento inedito, Histoire de la naissance du “document principal des comites de la communnauté civile” en Syrie. Inoltre Agence France Press, Les salons politique expression de l’overture en Syrie, 18 gennaio 2001. 72 40 progetto di creare una Società degli amici della comunità civile. Allargarono questo progetto coinvolgendovi anche Riad Seif, membro del parlamento siriano, pensando che data la sua carica istituzionale sarebbe stato probabilmente più semplice ottenere il riconoscimento dal Ministero degli Affari sociali.75 Tuttavia, il chiaro veto che venne dalla leadership congelò temporaneamente questa iniziativa e portò Seif a creare un salone politico-cultarale chiamato “foro del dialogo nazionale” nella sua casa nella periferia di Damasco, con riunioni che si tenevano più o meno regolarmente ad intervalli di due settimane. Il panorama che dunque si poteva vedere in questi primi mesi della primavera di Damasco era costituito da tre principali movimenti di opposizione nella società civile.76 Il Comitato di riattivazione della società civile che aveva come portavoce l’economista Aref Dalila, e vedeva tra gli altri Khayri al-Zahabi (scrittore), Nabil al-Maleh (cineasta), Jade al-Karim Jiba-i (avvocato) e che è stato alla base di un documento firmato a 1000 intellettuali nel mese di gennaio 2001. Questo nuovo documento pubblicato l’11 gennaio 2001, pur avanzando richieste similari a quello pubblicato nel mese di settembre 2000, aveva una struttura più articolata e avanzava delle accuse contro il sistema vigente. Le richieste, quali la revoca dello stato di emergenza, le detenzioni arbitrarie, le restrizioni alla libertà di espressione, venivano ampiamente argomentate.77 Un separato ma affine movimento guidato da Riad Seif, che partendo dall’organizzazione di forum politici annunciava nel gennaio del 2001 l’intenzione di creare un partito politico (Movimento per la pace sociale) qualora fosse stata emanata una nuova legislazione per la creazione di partiti politici al di fuori del FNP.78 Infine uno terzo fonte di riforma rappresentato dal Comitato per la difesa dei diritti dell’uomo e della democrazia (CDF) con sede a Lattakia, e guidato dall’avvocato Nuay’sa. Questo comitato creato nel 1989, fu soggetto ad una forte repressione che portò all’arresto dei suoi attivisti tra i quali lo stesso Nuay’sa e il giornalista Nayouf nel 1982. A più volte chiesto di essere riconosciuto ufficialmente. Si muove in uno stato di semi-clandestinità. La primavera di Damasco ha subito un primo congelamento all’inizio del febbraio 2000 quando il presidente Bashar al-Asad nel corso di un intervisto ad al-Sharq al-Awsat accusò gli intellettuali di usare il clima di riforma per avanzare interessi stranieri e inoltre dichiarò 75 Ibidem. Le Caisne G., op.cit., p. 38. 77 The One thousand statement calls for democracy and the revival of the civil society in Syria, in http.//www.arabicnews.com, 12 gennaio 2001. 76 41 la sua preoccupazione per “any action threatening the country’s stability. Anyone doing that can expact to face the consequences, whatever their intentions may be”. 79Tale richiamo agli intellettuali fu confermato dall’affermazione da parte del vice-presidente Abdel Halim Kaddam dell’esistenza di linee rosse che non dovevano essere superate. Il concetto di linee rosse sarà poi più precisamente definito dallo stesso Bashar al-Asad nel corso di un'altra intervista tenuta circa un mese dopo. Le linee rosse riguardavano il divieto di criticare il partito Ba’th, l’eredità di Hafiz al-Asad, l’unità nazionale e l’esercito. Inoltre, l’organizzazione dei saloni politici era subordinata alla presentazione, una settimana prima dell’incontro , della richiesta ai servizi di sicurezza e all’autorizzazione da parte di questi. Nella richiesta si doveva specificare il luogo dell’incontro, il soggetto e chi avrebbe partecipato. A questo seguirono degli altri fatti quali la notizia dell’apertura di un’inchiesta giudiziaria contro il deputato Riad Seif per le attività condotte contro la costituzione.80 Dopo il primo congelamento nuovi spiragli di apertura si ebbero nel mese di maggio 2001. In particolare possiamo riportare due fatti relativi alla liberazione di Maya Ma’mar Basha e del giornalista membro del CDF Nizar Nayouf. Il primo caso pur essendo meno conosciuto nella scena internazionale ha un duplice significato politico all’interno della scena politica siriana. Maya Ma’mar Basha veniva arrestata il 17 dicembre 2000 dopo aver ricevuto e inoltrato a due persone un’e.mail contenente un’immagine offensiva della figura del presidente.81 La donna non poteva di certo essere considerata come un esponente dell’opposizione al regime, ma apparteneva ad una conosciuta famiglia cristiano-maronita in Siria, la stessa minoranza religiosa che in Libano fomentava l’opposizione contro la presenza siriana. Il suo arresto poteva quindi essere interpretato come un segnale verso di questi. Dall’altro rappresentava un richiamo al presidente e alla sua apertura verso le nuove tecnologie. Infatti la vecchia guardia siriana aveva più volte sottolineato come l’introduzione di queste fosse difficilmente controllabile e agevolasse l’opposizione al regime. L’altro caso riguarda il giornalista Nizar Nayouf, in carcere dal 1982. Dopo richieste reiterate da parte di organismi internazionali sui diritti dell’uomo e considerate le precarie 78 Moubayed S., New Liberal party emerges in Syria, Daily Star, 27 gennaio 2001. Syria-Volte-face, Middle East International, 23 febbraio 2001, p.11. 80 In particolare per la dichiarazione di voler formare un nuovo partito. 81 La vignetta raffigurava Bashar al-Assad nell’atto di sodomizzare il presidente libanese Emil Lahoud. In Syria- Volta-face, Middle East International, 23 febbraio 2001, p.12. 79 42 condizioni di salute dello stesso questi veniva liberato nei giorni della vista papale in Siria.82 Dopo queste nuova apertura del regime i forum sono ripresi e nuove e sempre più numerose richieste di libere elezioni e di riforma sono state avanzate verso il regime. Ma questa volta il regime non si è soltanto limitato a richiamare gli intellettuali, avvertendoli di non superare le linee rosse, ma ha posto in atto una forte contro-reazione iniziata il 9 agosto 2001 con l’arresto del deputato Maamoun al-Homsi83, e proseguita in quello che la Lega araba dei diritti dell’uomo ha definito il “mese nero” della Siria con l’arresto dell’oppositore Riad Turk,84 del parlamentare Riad Seif,85 di Aref Dalila, Kamal Labouani, Habib Saleh, Hassan Saadoun, Walid al-Boumi.86 E’ difficile dare un interpretazioni di questi avvenimenti nel momento in cui gli stessi stanno accadendo. La prima riflessione che possiamo fare riguarda la natura delle accuse che sono state avanzate contro gli oppositori. In particolare, l’accusa di lavorare a favore dell’interesse straniero e della causa sionista. Il giornale ufficiale del partito Ba’th all’indomani dell’arresto del deputato Riad Seif, il 7 settembre 2001, scriveva “ils sont (les militants de la dèmocratie) jugé que la tolerance (des autorités) leur permet de porter atteinte à la securité du pays, et nous ne seront pas ètonnés d’appreindre qu’ils estiment avoir le droit de contacter l’ennemi israélien au nom de la liberté […]La Syrie fait l’objet d’un complot, Israël sait que l’affiblissement de la Syrie signifie la victoire du projet sioniste, c’est pourquoi il mène une campagne contre ce pays arabes”.87 Naturalmente, da simili affermazioni si può dedurre come la questione medio-orientale da una parte rivesta un ruolo fondamentale nella conduzione della politica interna ed estera del paese, dall’altra rappresenti la giustificazione per il mantenimento dello stato di emergenza all’interno del paese e per la repressione contro gli oppositori. La seconda riflessione riguarda invece il controllo che il giovane presidente Bashar alAsad ha sull’apparato interno. Anche in questo caso l’interpretazione che possiamo dare è duplice e soltanto il tempo potrà confermare l’una o l’altra ipotesi o negare entrambe. Da una parte potremmo infatti pensare che il giovane Bashar non sia poi così riformatore come in molti hanno voluto pensare e che la prospettiva di lunghi anni al potere e forse anche il 82 Papal Symmetry, Middle East International, 18 maggio 2001, p. 15. The legal reason behind arresting al-Homsi, http.//www.arabicnews.com, 10 agosto 2001. 84 Le Monde, Arrestation de Riad Turk, le plus célèbre opposant syrien, 4 settembre 2001. 85 L’Orient le Jour, Le dèputè indépendant Riad Seif arrêté, 7 settembre 2001. 86 L’Orient le Jour, Syrie-Cinq opposants arrêtés en 24 heures, 10 settembre 2001. 87 L’Orient le Jour, Le dèputè indépendant Riad Seif arrêté, 7 settembre 2001. 83 43 desiderio di non essere assassinato in tenera età, contribuiscano ad una sua progressiva condivisione dei consigli della vecchia guardia, rappresentata dal vice-presidente Abdel Halim Kaddam e dal ministro della difesa Mustapha Tlass, per consolidare il suo instabile potere. Dall’altra invece considerando il difficile equilibrio di forze sui quali Bashar al-Asad si regge, si potrebbe pensare che egli non eserciti un pieno controllo sulla fazione dei servizi di sicurezza (mukhabarat) che ha portato avanti gli arresti del mese nero. Le due ipotesi che abbiamo avanzato non si contraddicono e potrebbero essere cumulabili. E le voci che si rincorrono a Damasco sembrano confermare una volta una volta l’altra. 3.I diritti dell’uomo nella legislazione siriana La repubblica araba siriana sulla base della costituzione approvata nel 197388 è una repubblica socialista. Il Consiglio del popolo, majlis al-Shaal, si compone di 250 membri eletti direttamente dal popolo per un periodo di 4 anni. Il capo dello stato viene invece eletto ogni 7 anni attraverso un referendum popolare. Il candidato deve essere nominato dal parlamento su proposta del Comando regionale del partito Ba’th. Il presidente a sua volta nomina i vice-ministri, il primo ministri e il collegio de ministri. Inoltre egli è il comandante in capo delle forze armate e controlla i servizi di sicurezza. Nomina anche gli alti funzionari ed i giudici. 89 Il processo legislativo si caratterizza per l’iniziativa legislativa condivisa dall’esecutivo e dal parlamento. Il presidente gode di un potere di veto sulle leggi approvate dal parlamento. Il veto presidenziale potrebbe in linea teorica essere superato attraverso una maggioranza dei 2/3. In ogni momento il presidente può disciogliere l’assemblea. Inoltre qualora questa non sia in sessione e nel caso si estremo bisogno o quando l’interesse nazionale è in gioco, il presidente può esercitare i poteri legislativi.90 Sulla base della costituzione del 1973 sono garantiti al cittadino una serie di diritti. L’art. 12 statuisce che lo stato è al servizio del popolo e protegge i diritti fondamentali dei 88 Il testo della costituzione è disponibile all’indirizzo internet: http.//www.uni-wuerburg.de/law/sy00000_.html. 89 Perthes V., op.cit., p. 132 e ss.. 90 Ibidem. 44 cittadini. Questi diritti fondamentali vengono poi definiti nella parte quarta. In particolare, all’art. 25 si dichiara che la libertà è un sacro diritto e che lo Stato protegge non solo la libertà dei cittadini, ma anche la salvaguardia della sicurezza e della dignità di questi. Sono anche riconosciuti il diritto a partecipare alla vita politica, sociale, culturale del paese (art.26), il diritto alla difesa e la presunta innocenza (art. 28), il divieto di esercitare la tortura (art. 28, par.3), la libertà di espressione (art. 38). Ma nello stesso momento queste previsioni sono rese vane dall’applicazione della legge sullo stato di emergenza in vigore dal 1963. Sulla base di tale legge il Ministro degli Interni o una delle sezioni dei servizi di sicurezza, attualmente dodici, ha il diritto di arrestare ogni cittadino senza necessità di presentare un mandato. Allo stesso modo è possibile trattenere gli stessi cittadini indefinitivamente. Sulla base dei rapporti di Amnesty International91 e del CDF92 numerosi detenuti politici, attualmente circa 1200 tra siriani, libanesi, palestinesi e giordani, sono trattenuti senza conoscere le accuse sollevate a loro carico e senza essere stati sottoposti a giudizio. Riad Turk, leader dell’ufficio politico del partito comunista (CPPB) venne attestato nel 1980 e trattenuto in detenzione senza accuse o giudizio per circa 18 anni, e solo cinque volte gli fu concesso di vedere la sua famiglia.93 Sulla base della suddetta legge sono passibili di arresto cinque cittadini che si incontrino (ad esempio anche al ristorante) senza averlo prima comunicato ai servizi di sicurezza. E’ inoltre vietata la possibilità di creare delle associazioni politiche, organizzazioni o partiti come mezzo di espressione. L’altro strumento di controllo della libertà dei cittadini è attuato attraverso restrizioni alla libertà di movimento. Il governo infatti controlla i visti di entrata e di uscita dei cittadini siriani e ne fa un vero strumento di repressione attraverso ad esempio la dichiarazione di persona non grata per i cittadini che sono reputati scomodi per il regime. Esempi di tale politica sono i sospetti di appartenere alla Fratellanza mussulmana. Recatisi in Europa negli anni della repressione, gli fu vietato di rientrare in patria. 94 Per quanto riguarda la situazione femminile, anche se in misura minore ad altri paesi dell’area, la donna è sottoposta a delle discriminazioni. Infatti se la Costituzione riconosce 91 Amnesty International, Syria-Continuing Human Rights Concerns in Syria a Briefing, febbraio 1999. CDD, Rapport Annuel 1999, disponibile all’indirizzo internet http.//www.fidh.imaginet.fr. 93 Amnesty International, op. cit.. 94 Ibidem. 92 45 alla donna pari dignità e pari opportunità, nella legge sullo status dei mussulmani e dal codice penale emergono delle forti discriminazioni. La legge n. 34/1995 costituisce la legislazione che si applica ai mussulmani siriani. In questa vi sono discriminazioni sulla conclusione del contratto matrimoniale, sui diritti durante il matrimonio e in caso di divorzio.95 Analizziamo quest’ultima ipotesi. L’art. 91 della legge prevede l’incondizionato diritto del marito di divorziare attraverso il ripudio (talaq), mentre la donna per ottenere il divorzio deve ricorrere alla corte religiosa dimostrando che il marito è venuto meno ai suoi doveri coniugali. Inoltre nel caso di adulterio se l’uomo è soggetto ad una condannato che varia da un minimo di un mese al massimo di un anno, una donna accusata dello stesso crimine può essere condannata per un periodo che varia dai tre mesi ai due anni. La tavola III mostra come la Siria abbia ratificato quasi tutte le convenzioni sui diritti dell’uomo, fatta eccezione per la convenzione contro la tortura e il CEDAW. È interessante riportare quanto detto dal delegato siriano alle Nazioni Unite il 13 maggio 1986 nel corso della 42ma sessione della Commissione dei diritti dell’uomo a Ginevra: “Torture is generally practiced in the absence of laws under non-democratic government, which prevents its citizens from tacking part in political life […] (in any situation) torture can not be justified as a mean of obtaining information or humiliation […] I must say that Convention Against Torture adopted by the General Assembly of the UN drew the attention of the Syrian authorities. For that, the Ministry for Justice prepared a law, which declared the adoption by Syria of the Convention, which will be made public soon. We hope that in the next session of the Commission next year Syria will become one of the Convention”.96 Sono passati circa 15 anni da questa dichiarazione e non solo la Siria non è divenuta uno dei firmatari della Convenzione, ma continua anche ad essere protagonista dell’esercizio sistematico della tortura contro i prigionieri politici. 95 Si veda sulla condizione della donna Manna H., What About the Future, Arab Commission for Human Rights, marzo 2001, disponibile all’indirizzo internet: h t t p : / / h o m e . s w i p n e t . s e / ~ w 79939./what%20about%20the%20futureE.htm.Inoltre Human Rights Watch, Memorandum to the United Nations Human Rights Committee –Syria’a Compliance with the International Convenant on Civil and Political Rights, disponibile all’indirizzo internet: http://www.hrw.org/press/2001/04/syriam-0405.htm. 96 Citato in Manna H., op. cit.., p.3. 46 4. Relazioni tra l’Unione europea e la Siria L’Unione europea è il maggior partner commerciale della Siria, coprendo un terzo delle importazioni siriane e metà delle sue esportazioni. Data la prevalenza nel partenariato economico nelle relazioni con il mediterraneo, l’interesse che l’Unione europea ha per la Siria è legato più alla politica commerciale che alla posizione strategica che tale paese riveste nella regione medio-orientale. Questo anche se a partire dalla nuova intifada, l’Unione europea cerca di svolgere un ruolo di mediazione tra le parti. Come già premesso, la politica mediterranea della Comunità era inizialmente focalizzata alla conclusione di accordi di cooperazione. Anche con la Siria nel 1977 venne concluso un simile accordo. Tuttavia all’interno del processo di Barcellona la Siria ha accettato di partecipare ai negoziati per la conclusione di un nuovo accordo di associazione. Inizialmente i negoziati si sono sviluppati lentamente vista anche la riluttanza della Siria a concludere un accordo che avrebbe richiesto un lungo e difficile processo di transizione economica e che avrebbe comportato degli elevati costi sociali. Fino ad oggi si sono tenuti sei incontri (maggio 1998, ottobre 1998, marzo e novembre 1999, dicembre 2000 e aprile 2001).97 La questione del rispetto dei diritti dell’uomo come è stato illustrato nella prima parte, è parte integrante dell’accordo di associazione, costituendone un “elemento essenziale”, la cui violazione potrebbe comportarne la sospensione. Ora già nel corso dell’applicazione dell’accordo del 1977 il mancato rispetto dei diritti fondamentali è stato oggetto di contrasti nelle relazioni tra l’Unione europea e la Siria. In particolare, in diverse occasioni l’aiuto della Comunità fu bloccato per iniziativa del Parlamento europeo. 98 Nel corso dei negoziati per l’accordo di associazione la Siria ha preferito l’inserimento all’art. 2 della formula: “Relations between the Parties, as well as all the provisions of the Agreement itself, shall be based on respect of democratic principles and fundamental human rights as set out in the Universal Declaration on Human Rights, which guides their internal and international policy and constitutes an essential element of this agreement”. La cooperazione nel settore dei diritti dell’uomo viene anche fatta dall’Unione europea attraverso delle apposite linee budgetarie che si applicano anche alla Siria, tra le quali il 97 Informazioni sullo stato delle negoziazioni dell’accordo di associazione sono diponibili all’indirzzo internet: http://www.delsyr.cec.eu.int. 98 Jensen U.H., Syria and the Open World Society, settembre 2000, Centre d’Etudes des Relations Internationales et Stratégiques – Université Libre de Bruxelles, opera inedita, p. 30. 47 programma MEDA per la democrazia. Come abbiamo visto in precedenza, lo sfruttamento dei fondi a disposizioni ha incontrato numerose difficoltà, legate alla natura del regime, agli ostacoli di carattere tecnico e istituzionale che le organizzazioni non governative si trovano ad operare. In Siria è infatti impossibile per le organizzazioni non governative lavorare senza il consenso del governo. La società civile è soggetta ad una forte repressione e questo rappresenta uno degli ostacoli allo sviluppo della democrazia. I progetti che sono stati finanziati sotto l’ombrello del programma MEDA per la democrazia e che riguardano o coinvolgono anche la Siria sono: - Women and Economic Empowerment in Syria. Questo progetto, finanziato nel 1997 ed eseguito dall’UNIFEM, era finalizzato a rinforzare la partecipazione delle donne nella conduzione delle attività economiche, in particolare nei segmenti più poveri, come strumento per combattere la disoccupazione tra le donne. - Education to Inter-Religious Dialogue in the Monastery of Mar Mousa. Anche questo progetto è stato finanziato nel 1998 ed eseguito dalla Comunità religiosa di Mar Mousa. I fondi dovevano servire per sostenere le attività del monastero di Mar Mousa nell’area del dialogo intra-religioso e culturale, come l’organizzazione di seminari sull’Islam, o la creazione di una scuola di educazione al dialogo intra-religioso per i volontari europei. Padre dall’Oglio, responsabile del progetto, in numerose occasioni ha sottolineato le difficoltà oggettive che ha dovuto affrontare nell’esecuzione del progetto e che hanno comportato dei ritardi rispetto a quanto era stato previsto. - Euro-Mediterranean Meeting: Past, Present and Future in the Relations Syria-EU. Il progetto finanziato nel 2000 ed eseguito dalla Università di Complutence di Madrid, è consistito nell’organizzazione di due seminari relativi alle relazioni tra l’Unione europea e la Siria nel quadro nel partenariato euro-mediterraneo, con specifici riferimenti alla società civile. I seminari si sono tenuti nel marzo 2001. Durante l’organizzazione degli stessi, era stato inserito tra i nomi degli invitati quello del deputato Riad Seif, prominente figura dell’opposizione. La bozza del programma fu quindi sottoposta dagli organizzatori al Ministro del Piano, Issam Zaim, per commenti. Questi ha sbarrato il nome del deputato, commentando che non sarebbe stata la persona adatta per parlare di quel soggetto e suggerendo un altro nome al suo posto. In questo modo uno dei più importanti esponenti dell’opposizione non ha preso parte al seminario. 48 - Democracy and Human Rights in Syria. Il progetto è stato finanziato nel 2000 ed viene eseguito dalla Commissione Araba dei diritti dell’uomo. Il progetto consiste nella presentazione di rapporti sullo stato dei diritti dell’uomo in Siria, verificato attraverso delle missioni nel paese. Certamente questo progetto è potenzialmente soggetto a numerose difficoltà di esecuzione vista la quasi impossibilità di operare all’interno del paese. - Regional Assistance to NGOs in Lebanon, Syria and Jordan. Il progetto finanziato nel 2000 ed eseguito dalla Thomson Foundation e dal suo partner regionale NARD (National Association for the Rights of the Disabled), ha carattere regionale. Il suo obiettivo è quello di rafforzare la capacità delle organizzazioni non governative di comunicare agli organi di informazione e al pubblico le loro attività. Sono quindi previsti dei seminari di carattere altamente tecnico che tuttavia hanno potenzialmente un vasto impatto nella formazione delle organizzazioni non governative e nelle loro capacità di pubbliche relazioni per la raccolta di fondi. - Programme in support to Arab Lawyers. Firmato nel 2000 ed eseguito dalla Law Society of England e dalla Arab Lawyers’ Union, ha carattere regionale e copre tutti i partner del mediterraneo. Il fine è quello di migliorare lo standard della professione legale e giudiziaria nei paesi del mediterraneo e di aumentare i contatti tra i giuristi delle due sponde. - Programme for Freedom of Press in the Mediterranean. Il progetto finanziato nel 2000 ed eseguito da Reporters sans Frontières ha carattere regionale e mira a proteggere la libertà di stampa nei paesi del mediterraneo. Per questo vuole creare una rete di corrispondenti per monitorare la violazione di tali diritti e fornire assistenza ai giornalisti vittime di simili violazioni. Ci sono tuttavia altri progetti finanziati sotto altre linee budgetarie ai quali tuttavia merita fare un riferimento in quanto finalizzati comunque al rafforzamento della società civile. - BUNIAN: “Support for Middle East Civil Societies Through Capacity Building and Networking of NGOs”. Il progetto, di carattere regionale e finanziato sotto la linea budgetaria della cooperazione decentralizzata, si è concluso nel settembre 1999. Era finalizzato ad aumentare le capacità organizzative e manageriali delle organizzazioni non governative e la loro partecipazione alla vita pubblica. Il tentativo di coinvolgimento della società civile siriana ha creato alcune difficoltà. In particolare, 49 dopo uno dei workshop organizzati dalla Friedrich Naumann Stiftung in Giordania, i partecipanti siriani al loro rientro sono stati fermati dai servizi di sicurezza e interrogati sulle ragioni per le quali avevano preso parte al seminario e sul soggetto delle discussioni. - Post Beijing Follow up in Western Asia (PHASE II). Il progetto finanziato sotto la linea budgetaria genere. Il progetto ha come obiettivo di rafforzare le capacità tecniche ed istituzionali dalle organizzazioni non governative che lavorano nel settore del genere e dell’emancipazione femminile, in particolare l’Unione delle donne, che è l’organismo femminile del partito Ba’th (!). Questi sono i progetti finanziati nel settore dei diritti dell’uomo, della democrazia e della società civile dall’Unione europea. Ora dall’analisi dei loro contenuti e dalle difficoltà che questi hanno incontrato nella loro esecuzione, la domanda che ci poniamo come cittadini europei è se sia legittimo finanziare progetti che in alcuni casi hanno un carattere neutro e passano attraverso la collaborazione di organismi di regime, rimangono comunque limitati ad un elite e solo marginalmente contribuiscono allo sviluppo della società civile, della democrazia e del rispetto dei diritti dell’uomo. Una risposta immediata porterebbe quasi certamente a dire no. Tuttavia, dobbiamo anche chiederci se l’isolamento internazionale rappresenti una valida alternativa alla cooperazione. Infatti ogni struttura politica, ogni sistema economico, etnico o religioso, tende ad aprirsi attraverso l’interazione con il resto del mondo. I conflitti, di qualsiasi natura siano, possono essere controllati attraverso “la moltiplicazione dei mezzi di comunicazione che la progressiva integrazione offre”.99 Isolare la Siria e il regime di Bashar al-Asad renderebbe ancora più difficile esercitare pressioni affinché dei cambiamenti avvengano. Tale Stato dovrebbe comunque considerare che se è ancora possibile esercitare una coercizione interna per reprimere una crescente opposizione, se si possono ancora controllare i mezzi e le vie di comunicazioni, non si può tuttavia mettere a tacere l’opinione pubblica negli altri paesi e in Europa, come Bashar al-Asad ha avuto modo di verificare nel corso delle sue prime visite in Europa nel giugno, luglio 2001.100 99 Korany H., Middle East Dilemma- The Politics and Economies of Arab Integration, cit. 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