Obama firma il Serve America Act. Una legge che
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Obama firma il Serve America Act. Una legge che
Sport IL DOPING AMATORIALE PAG. 8 5 per mille GLI ELENCHI DEL 2009 PAG. 10 www.vita.it SETTIMANALE 2/8 maggio 2009 anno 16 - numero 17 Il presidente Usa con una volontaria in occasione dell’Earth Day 2009 Ritratti BARANDA, L’EDUCATORE PAG. 13 Consumers’ Magazine LA SPESA AL TEMPO DELLA CRISI Gli italiani e il carrello. Meno fedeli alle marche, attenti al portafoglio ma anche all’ambiente ALL’INTERNO Obama firma il Serve America Act. Una legge che mobilita la società civile. O un inedito volontariato di Stato? DA PAGINA 4 AFP/GraziaNeri Poste italiane Spa - sped. abb. post. - D.L.353/03 (conv. L.46/04) Art.1 Comma 1 DCB - Milano STAMPATO SU CARTA RICICLATA AL 100% E CONFEZIONATO IN BIOPLASTICA MATER-BI 2,00 EURO Protezione civile IL MODELLO ABRUZZO PAG. 11 VOLONTARI A ME! 4 8 MAGGIO 2009 VITA 1,4 MILIONI sono gli enti non profit negli Stati Uniti, di cui 850MILA “public charities” (più o meno equivalenti alle nostre onlus) 460MILA altri enti (club, sindacati, enti ricreativi o sportivi) 100MILA fondazioni private, rette da singoli individui o aziende. IL SERVE AMERICA ACT IN PILLOLEI AMERICORPS aumenta il contigente dai 75mila di quest’anno ai 250mila del 2017; alza il loro “educational grant” da 4.725 a 5.350 dollari; fissa 4 aree di priorità: energia pulita, educazione, salute, assistenza ai veterani e alle loro famiglie. VOLONTARI OVER 55 stanzia 12 milioni di dollari l’anno per due progetti: stipendi di 1 anno per gli over 55 che lavorano presso un ente non profit, borse di studio pari a mille dollari, trasferibili ai nipoti, per gli anziani che fanno almeno 350 ore di servizio civile l’anno. INNOVAZIONE SOCIALE apre un Ufficio per l’innovazione sociale alla Casa Bianca. VOLUNTEER GENERATION FUND stanzia un fondo di 50 milioni di dollari per il 2010, che cresceranno a 100 entro il 2014, per finanziare imprese sociali dedicate a: educazione degli studenti svantaggiati, sostegno all’infanzia e all’adolescenza, riduzione della povertà e aumento delle opportunità produttive. VOLONTARI, A ME. La rivoluzione del Serve America Act, approvato il 21 aprile L’AMERICA TI CHIAMA F ai volontariato, è un ordine! Di Barack Obama. Non l’attivista, non l’aspirante senatore senza staff, non il candidato alla nomination democratica. Di Obama il presidente. Un ordine scritto a chiare lettere nel Serve America Act - Servi l’America, in italiano, imperativo presente, seconda persona singolare che il primo cittadino degli Stati Uniti ha firmato il 21 aprile, quasi a compimento dei suoi primi 100 giorni di governo, mantenendo le promesse fatte al terzo settore in campagna elettorale. Con un grande investimento economico - stimato in 6 miliardi di dollari per i prossimi cinque anni - ma anche regolando, irreggimentando e misurando l’impegno sociale dei cittadini come nessun altro Paese al mondo aveva mai osato fare. Servizio civile di Stato e obbligatorio? Remunerato, sicuramente. Obama ha creato un programma di volontariato ad hoc praticamente per ogni fascia di età della popolazione stanziando, solo per gli over 55, 12 milioni di dollari all’anno in compensi per gli anziani volontari; in alternativa borse di studio di mille dollari per 350 ore di servizio sociale l’anno trasferibili ai nipoti e gestiti direttamente dalle non profit. Aumenti anche per “l’education award” destinato agli AmeriCorps (da 4.725 a 5.350 dollari), il corpo di servizio civile che la nuova legge promette di triplicare dai 75mila all’anno di oggi ai 250mila del 2017. Un super contingente che, fino ad oggi, faceva ciò che proponevano le ong e le associazioni. Dal 21 aprile, no. La Casa Bianca ha deciso che dovranno concentrarsi su quattro aree: energia pulita, educazione, educazione sanitaria, assistenza ai veterani e alle loro famiglie. L’impatto di questi nuovi programmi Un grande investimento economico. Un servizio civile per tutte le età. Obama ha mobilitato la società civile con la nuova legge. Ma l’ha anche irreggimentata di Carlotta Jesi e dei contingenti di volontari? Oggi è impossibile dirlo, ma tra 12 mesi l’amministrazione Obama lo comunicherà al Paese. Ha, infatti, incaricato la Corporation for National and Community Service, che coordina gran parte dei programmi di volontariato nazionale citati nel Serve America Act, di misurare la partecipazione civica del Paese - dalle ore di volontariato alle donazioni - attraverso specifici “indicatori di salute civica”. A garantire la perfetta efficienza del tutto, come direttore generale della Corporation for National and Community Service, ci sarà Maria Eitel, fino a ieri presidente della Fondazione Nike e vicepresidente di Nike di cui ha creato la sezione Csr. Una nomina ben vista dal terzo settore a stelle e strisce, come pure quella di Sonal Shah, di Google.org, incaricata di guidare il neonato Ufficio per la l’innovazione sociale della Casa Bianca, che però sono un altro chiaro segnale lanciato da Obama tramite la nuova legge sul volontariato: l’impatto sociale non è un’esclusiva dei piccoli enti del terzo settore. DONAZIONII MENO DEDUCIBILITÀ I primi 100 giorni di governo Obama hanno riservato anche un brutta sorpresa al non profit: la proposta presidenziale di abbassare la deducibilità fiscale sulle donazioni per cittadini con un reddito superiore ai 250mila euro annui, dal 33-35% al 28%. Secondo il Center for Philanthropy dell’Indiana university, nel 2006 i contribuenti con redditi superiori ai 200mila dollari sono stati circa 4 milioni, e loro è stato il 43,5% delle donazioni al non profit, per un totale di 81,3 miliardi di dollari. In tempi di crisi, non sono noccioline. > a pagina 6 IMMIGRATI, AMBIENTE E ISTRUZIONE I CENTO GIORNI DELL’OBAMA SOCIALE DIRITTI UMANI ISTRUZIONE 22 gennaio: con la firma di un ordine esecutivo, Obama ha decretato la chiusura di Guantanamo entro la fine dell’anno. 26 aprile: l’amministrazione ha reso pubblici i documenti con i dettagli sulle tecniche di tortura. 17 febbraio: con l’approvazione del “piano stimolo” per l’economia da 787,2 miliardi di dollari, Obama ne alloca 53,6 per finanziare l’istruzione pubblica. 8 marzo: Obama propone di allungare l’anno scolastico e introduce un sistema di retribuzione degli insegnanti basato sul merito. DIRITTI DELLE DONNE 26 gennaio: Obama firma il Lily Ledbetter Fair Pay Act. La legge impone la parità retributiva tra donne e uomini. AMBIENTE 26 gennaio: annuncio di misure per diminuire la dipendenza americana dai combustibili fossili. 27 marzo: dichiarazione ufficiale dell’amministrazione sui rischi dell’anidride carbonica. 22 aprile: annuncio della creazione del primo programma americano che autorizza progetti offshore per generare elettricità dal vento e dalle correnti oceaniche. AVANZAMENTO SOCIALE 17 febbraio: con la firma del Children’s Health Insurance Reauthorization Act, si espandono i programmi di copertura sanitaria già esistenti. Rispetto al passato ne beneficeranno 4 milioni di bambini in più e anche gli immigrati illegali. 27 marzo: primo passo verso la riforma del sistema previdenziale sanitario sotto forma di budget congressuale. 9 aprile: annuncia l’impegno di concedere la cittadinanza agli immigrati illegali che vivono in Usa. 5 VITA 8 MAGGIO 2009 OBAMA BOYS RIVOLUZIONE NEL VOLONTARIATO CORPORATION FOR NATIONAL AND COMMUNITY SERVICEI OFFICE OF SOCIAL INNOVATIONI MARIA EITEL, LA GURU DEL NON PROFIT NATA ALLA NIKE SONAL SHAH, INNOVATRICE SOCIALE MADE IN GOOGLE «M S aria porta una miscela unica di abilità e di esperienza manageriale che l’aiuterà ad ampliare con successo la gestione e lo sviluppo dei programmi di servizio nazionale». Parola di presidente. Il nuovo guru della solidarietà a stelle e strisce, la paladina del non profit americano e dell’applaudita legge firmata il 21 aprile da Barack Obama, il Serve America Act, è una spigliatissima top manager in gonnella: Maria Eitel, appunto. Alla Casa Bianca dirigerà un ufficio dedicato ai programmi del servizio nazionale, moltiplicati dalla recente normativa. Quarantacinque anni e un curriculum da veterana sulle spalle, la neonominata direttrice generale del Corporation for national and community service non ha perso lo slancio ideale della prima volta: «È un momento storico per ridefinire la cittadinanza in questo Paese», ha dichiarato. «Non vedo l’ora di far diventare la visione di Obama una realtà per tutti». Un’impazienza condivisa da una buona fetta d’America. Al suo arco la Eitel, già presidente della Nike Foundation e vicepresidente di Nike Inc., ha un campionario di frecce che ne giustificano ampiamente la nomina. Nata a Everett, Washington, ha iniziato la sua carriera come reporter e produttrice nel circuito della televisione pubblica, dopo una laurea in materie artistiche all’università di McGill, Canada, e un master in Scienze all’ateneo di Georgetown. Alla Casa Bianca non è una novellina: dall’89 al 92 è stata vicedirettrice per le relazioni con i media e assistente speciale del presidente dell’ufficio Media affairs. Ha poi lavorato per Microsoft Corporation a Parigi e ricoperto varie posizioni presso la Corporation for Public broadcasting e la Mci Communications corporation. Fra i suoi gol professionali, la riabilitazione di Nike, dopo la cattiva nomea guadagnata col battage sullo sfruttamento della forza lavoro. Prima vicepresidente per la Corporate responsability dell’azienda, la Eitel ha giocato la carta del cosiddetto “effetto della ragazza”: puntando sul valore della formazione come motore di sviluppo, si è impegnata per fare del sostegno all’istruzione delle adolescenti nel terzo mondo un asset prioritario della fondazione. Senza mai abbandonare il suo background mediatico: come regular blogger dell’Huffington Post, la Eitel approfondisce temi come la parità di genere, la lotta alla povertà e lo sviluppo sostenibile. (R.H.) onal Shah, la prima responsabile del nuovo Office of Social Innovation della Casa Bianca, fino a poco tempo occupava la carica più importante del Global Development Initiatives, il braccio filantropico di Google.org. Nata nel1968 a Mumbai, India, Shah è emigrata negli Stati Uniti all’età di quattro anni. Si è laureata in Economia presso l’università di Chicago ed ha conseguito un master sempre in Economia presso la Duke University. Dal 1995 fino al 2001 ha ricoperto varie posizioni al ministero del Tesoro. È stata la direttrice dell’ufficio incaricato della supervisione delle strategie che riguardano i programmi per l’Africa subsahariana come la cancellazione del debito, i programmi di sviluppo e le strategie per la Banca mondiale e l’Fmi. Ha anche lavorato con il ministero delle Finanze per l’implementazione di un nuovo sistema bancario post bellico in Bosnia e in Kosovo. Nel 2001 ha contribuito a fondare un’iniziativa senza scopo di lucro apolitica e laica denominata Indicorps, il cui scopo è quello di offrire borse di studio agli american-indians che mettono il loro talento a disposizione di progetti di sviluppo in India. Negli ultimi otto anni, Shah ha ricoperto diverso ruolo: direttrice associata al Centre for American Progress, poi tre anni in Goldman Sachs. Lì, da vicepresidente, ha sviluppato le strategie ambientaliste e le iniziative per investimenti ecologici dell’azienda. Due anni fa, infine, è diventata responsabile di Global Development Initiatives dove si è occupata di strategie per lo sviluppo economico e quelle per la crescita di piccole e medie imprese in partnership con Omidyar Network e la Soros Foundation. In politica Shah è stata anche un membro del comitato consultivo dei progetti di transizione di Obama e consigliera in un gruppo di transizione istituito per fare raccomandazioni nel settore tecnologico. Quindi la nomina a responsabile dell’appena creato Office of Social Innovation and Civic Partecipation della Casa Bianca. Il suo ruolo sarà quello di promuovere gli sforzi del governo per sostenere gli imprenditori sociali e i gruppi innovativi nel mondo del non profit ad ampliare i metodi che si sono dimostrati vincenti nell’affrontare problemi sociali. Un terreno dove pubblico e privato for profit finora hanno fallito. (R.H.) Una volontaria racconta il segreto delle “truppe” pro Obama MASSIMA SPONTANEITÀ IN MASSIMA ORGANIZZAZIONE Giulia Pretz Oltramonti per un’estate ha lavorato gratuitamente nella macchina elettorale. «Un’esperienza entusiasmante» di Rose Hackman «O bama sa cosa significa e rappresenta il volontariato, non lo rovinerà. La struttura organizzativa che ha creato con il Serve America Act non vuole cancellare la spontaneità dell’impegno personale». Anzi. Giulia Pretz Oltramonti, 24enne italo-americana, ha lavorato come volontaria alla campagna di Obama fin dalla prima ora, nell’Iowa. E considera l’Act come «il naturale proseguimento della campagna presidenziale: organizzazione ai piani alti, ma con un movimento civile radicato sul territorio a rendere possibile ogni sfida sociale». VITA: Come sei diventata una volontaria di Obama? GIULIA PRETZ OLTRAMONTI: Nel 2007 stavo finendo il mio Erasmus a Mosca. Seguendo i primi passi della campagna presidenziale americana, ho cominciato a leggere e ascoltare i discorsi di Obama e ho contattato il suo ufficio a Chicago. In poche ore ho mandato un curriculum, fatto un’intervista telefonica e, in giugno, ero già in Iowa a lavorare alla sua campagna. Non avevamo scrivanie e neppure sedie per lavorare: c’eravamo solo noi e la nostra voglia di fare. Poi, pian piano, sono arrivati tavoli, macchina, benzina, fogli. Tutto donato dai cittadini. Li chiamavamo, per ridere, l’Obama macchina, l’Obama sedia, l’Obama frigo. Perfino i panini che mangiavamo per pranzo erano stati donati da qualcuno. E Obama spuntava spesso in ufficio a chiedere come andavano le cose. VITA: Che parte ha avuto la macchina dei volontari nella vittoria di Obama? PRETZ OLTRAMONTI: Credo sia stata il suo vero successo. La campagna era sì basata sulla forza dei volontari, ma nulla era lasciato al caso. I volontari erano coordinati e stimolati a fare le cose più diverse per la campagna. Rendendola vera, umana, locale. Quell’estate,avevamo davvero OBAMA BOYS. Giulia Pretz Oltramonti è la seconda da sinistra l’impressione di poter cambiare qualunque cosa. E davvero è stato così: ogni singola telefonata, ogni singolo sforzo, ha portato a qualcosa. VITA: Cosa vi spingeva? PRETZ OLTRAMONTI: Credevamo talmente nel suo messaggio di cambiamento che avremmo fatto qualunque cosa. Io ho personalmente sorretto per ore un’e- norme bandiera americana che doveva pendere dalla finestra di un granaio dell’Iowa mentre Barack parlava. Alla vigilia delle primarie, nel gennaio 2008, c’era ancora gente che bussava a ogni porta per mandare la gente alle urne con 30 gradi sotto zero. VITA: Credi che il vostro spirito sarà in qualche modo modificato dalla legge sul volontariato? PRETZ OLTRAMONTI: No. Il Serve America Act riflette l’uomo Obama e la sua storia. Crede nel cambiamento dal basso e, al tempo stesso, capisce l’importanza di leggi fatte dall’alto. Barack non ha eliminato la vitale spontaneità del volontariato. A capo del progetto Organising for America, per esempio, ha nominato Mitch Stewart, che ho conosciuto personalmente quella prima estate di impegno e che, posso assicurare, lancia progetti sociali costruiti sui bisogni e sulle proposte delle persone. 6 8 MAGGIO 2009 VITA 306 MILIARDI di dollari è il totale delle donazioni al non profit registrato negli Usa nel 2007 secondo il report annuale Giving Usa 2008. 229 MILIARDI sono state le donazioni da privati, pari al 74,8% del totale. 102 MILIARDI di dollari sono andati alle organizzazioni religiose. > da p a g i n a 4 Il no dell’editorialista del «Non Profit Quarterly» Ci sono anche le imprese e, in particolare, le imprese sociali. Ad esse sono diretti i fondi di “venture capital” - 50 milioni di dollari disponibili dal 2010 che cresceranno a 100 entro il 2014 - previsti dal Social Innovation Funds Pilot Project lanciato dal presidente degli Stati Uniti. Ma, anche questo, vincolato alle priorità della sua amministrazione: educazione degli studenti svantaggiati, sostegno all’infanzia e all’adolescenza, riduzione della povertà e aumento delle opportunità produttive. Un’altra lista di imperativi che ha attirato le critiche del Wall Street Journal: «Gli imprenditori sociali saranno senz’altro tentati dall’offerta, ma sarà un peccato: non è detto che questo sia il modo migliore di servire l’America». Una legge da bocciare, dunque? No, anche solo per quanto è politically correct: scritta da un senatore democratico e da un senatore repubblicano, rispettivamente Edward M. Kennedy e Orrin Hatch, è stata approvata con un voto bipartisan di 79 a 19 e con una discussione al Senato che il Cronicle of Philanthropy ha definito «inedita» citando i senatori che si alzavano per raccontare l’impatto del volontariato sulle loro vite. Tuttavia il Serve America Act racchiude in sé tutte le contraddizioni del nuovo presidente degli Stati Uniti: un politico che ha fatto del volontariato e dell’impegno sociale il vero fattore sorpresa della sua campagna. Ad Obama, ora, il difficile compito di spingere il volontariato, anche con incentivi economici e strategie aziendali, senza spegnerne o banalizzarne lo spirito. Di invogliare gli americani a fare volontariato senza che sembri un ordine: servi l’America!. QUESTO È ASSERVIMENTO. NON SERVE A NOI E NON SERVE AD OBAMA Rick Cohen è stato un sostenitore del nuovo presidente. Ma è contrario al Serve America Act: «Il non profit deve essere vigile e pronto a mobilitare le comunità che rappresenta» di Alessandra Marseglia «L a peggior cosa che il non profit possa fare per Obama? Zittirsi. O peggio: trasformarsi in un servo accondiscendente e acritico di chi, nell’amministrazione, si è accaparrato il ruolo di “esperto del non profit”». Già direttore esecutivo del National committee for responsive philanthropy e oggi editorialista del Non Profit Quarterly, Rick Cohen è stato sin dall’inizio un grande sostenitore di Barack Obama; ma, oggi, anche dopo l’approvazione del Serve America Act, non si rassegna al ruolo di incensatore. VITA: Nessuna subalternità alla politica, dunque? COHEN: Guai. Il non profit deve continuare a fare ciò che ha sempre fatto e cioè essere vigile, pronto a criticare le scelte dell’amministrazione e a mobilitare le comunità che rappresenta, senza stancarsi di lottare per la giustizia sociale. Obama non ha bisogno di un terzo settore asservito, ma di uno che gli ricordi il desiderio di cambiamento degli americani e le promesse fatte durante la campagna elettorale. VITA: Se c’è un presidente che può capire e apprezzare il ruolo critico del non profit nella società è proprio questo. COHEN: Esatto, in virtù del suo passato nel volontariato. Ora sta fronteggiando molte questioni spinose, dalla crisi economica a importanti cambiamenti sociali, come il tentativo di garantire la sanità a tutti. E il non profit può contribuire attivamente vigilando sulle proposte di legge, valutandone la serietà e l’aderenza alle promesse elettorali. Non è più tempo di slogan e di pubbliche relazioni. VITA: Quali rischi vede per il settore? COHEN: In ogni campagna elettorale ci sono grossi finanziatori che sperano di raccogliere favori. Quella di Obama non fa eccezioni. Sappiamo che nel suo staff ci sono ex lobbisti per Lockheed-Martin, British Petroleum, e perfino Wal-Mart e in futuro, nonostante le buone intenzioni del presidente, nuove lobby tenteranno di portare avanti i loro interessi. Questi signori conoscono bene le regole del gioco, e noi non possiamo rimanere a guardare. VITA: Cosa dovrebbe fare il terzo settore, sgomitare come una lobby qualsiasi? COHEN: Non c’è nulla di male nell’eventualità che il non profit si comporti come una lobby, nell’interesse della collettività e non dei singoli, ovvio, dando voce ai più deboli e per un vero cambiamento. Credo che una forte, seria, irremovibile “lobby del sociale” è ciò che oggi ci vorrebbe. Anche con un governo favorevole, il non profit non può scordare la sua vocazione di “terzo settore”, lontano dai palazzi del potere e indipendente dal colore politico. 7 VITA 8 MAGGIO 2009 OBAMA BOYS RIVOLUZIONE NEL VOLONTARIATO ABCDEconomia DI LUIGINO BRUNI CAPITALE. La lezione di Genovesi Una guida a rileggere le parole chiave dell’agire economico, dopo la caduta dei miti e lo sgonfiarsi delle bolle. Ecco le parole già analizzate da Luigino Bruni: Felicità, Profitto, Mercato, Banca, Investimento, Responsabilità, Regole, Interesse, Organizzazione, Reciprocità. Questa settimana la seconda puntata della parola «Capitale». Analogie sorprendenti con un predecessore rivale BARACK, 100 GIORNI ALLA REAGAN Un tono conciliante ma assolutamente radicale per smantellare le eredità ricevute. Obama segue la Ronald strategy di Fabrizio Tonello L a scadenza dei primi 100 giorni di governo è un appuntamento artificioso ma serve per fare il punto sullo stile di governo dei nuovi presidenti e permette di capire alcune cose sul resto del loro mandato. Per esempio, Ronald Reagan entrò in carica battendo ampiamente un avversario impopolare (Jimmy Carter, come George W. Bush, godeva della fiducia di appena un terzo degli americani alla vigilia delle elezioni) e riuscì rapidamente a infondere un senso di fiducia nei cittadini. Obama ha fatto lo stesso, proiettando un’immagine di calma e di determinazione che è stata premiata con l’approvazione del 67% degli americani. I sondaggi valgono quello che valgono ma a Washington sono presi come oro colato dai deputati e dai senatori a cui il presidente deve rivolgersi per attuare il suo programma: un presidente popolare riesce a convincere anche i suoi avversari politici, un presidente impopolare sarà snobbato dal suo stesso partito. Reagan intimidì un Congresso a maggioranza democratica costringendolo a votare il suo programma di aumento delle spese militari e di tagli fiscali per i più ricchi, Obama è riuscito a varare il suo piano di stimoli all’economia per ben 787 miliardi di dollari con l’aiuto di quattro senatori repubblicani che hanno votato, insieme ai democratici, il pacchetto di lavori pubblici e riduzioni fiscali per i redditi più bassi. Ribaltamento con calma Benché su fronti politici opposti, Reagan e Obama sono abbastanza simili nel modo di comunicare col pubblico: entrambi sono calmi, rassicuranti e nello stesso tempo determinati. Sia il presidente più amato dai repubblicani che la nuova stella dei democratici sono riusciti a far apparire come puro buonsenso le loro proposte, che in entrambi i casi si allontanavano parecchio dalle dottrine prevalenti. Reagan usava un tono conciliante ma era assolutamente radicale nel voler smantellare gran parte dell’eredità di Roosevelt nella spesa sociale. Obama è altrettanto sincero nel voler estendere alla maggioranza degli americani quelle garanzie di assistenza sanitaria pubblica che fino ad oggi sono mancate. Obama passa il traguardo dei 100 giorni con alcuni successi legislativi, con una maggiore fiducia nell’economia, con la cancellazione di alcuni degli obbrobri dell’amministrazione Bush. Gli atti simbolici fatti fin dalle prime 24 ore in carica, come l’annuncio della chiusura entro un anno di Guantanamo, hanno dato la sensazione che le sue promesse elettorali non fossero chiacchiere al vento: la presentazione di un budget decennale che contiene impegni su tutti i fronti, dalle energie rinnovabili agli investimenti nella scuola e nel trasporto collettivo, ha stupito gli osservatori di Washington per la sua audacia. Miliardi alle banche Restano, tuttavia, molte incognite. Per quanto riguarda le banche, Obama si è affidato a una squadra di consiglieri, in particolare Lawrence Summers, direttamente responsabili negli anni 90 dell’esplosione non regolamentata di strumenti finanziari che poi si sono rivelati tossici. Il loro approccio al salvataggio del sistema bancario - gettarci dentro centinaia di miliardi di dollari senza chiedere nulla in cambio - è stato aspramente criticato da due premi Nobel per l’economia che pure simpatizzano per la nuova amministrazione, Joseph Stiglitz e Paul Krugman. Se il timore di un collasso immediato del sistema finanziario sembra fugato, non è chiaro quanto le prospettive di ripresa dell’economia americana siano rapide. Obama ha annunciato grandi piani di sviluppo delle energie alternative per ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dall’importazione di petrolio e per limitare le emissioni di gas che aggravano l’effetto serra. Su questo fronte, però, si ritroverà a combattere non solo le lobby dell’industria ma anche una forte resistenza in Senato, dove l’opposizione può più facilmente bloccare i progetti di legge e dove lo stesso partito democratico non sembra così compatto. Il sistema di compravendita di “permessi di inquinare” a cui pensa l’amministrazione sarà poi facilmente stravolto dalle lobby, come è già avvenuto in Europa, dove la sua adozione qualche anno fa non ha condotto ad alcuna riduzione delle emissioni. Infine, Obama vorrebbe diminuire il bilancio militare ma le industrie degli armamenti si batteranno contro qualunque taglio e faranno pesare la minaccia di una perdita di posti di lavoro nel mezzo della recessione. Le missioni all’estero, in Iraq e in Afghanistan difficilmente potranno offrire risparmi significativi senza svolte politiche radicali che, per il momento, non sono all’ordine del giorno. Se, quindi, Obama ha passato il test fallito nel 1993 da Bill Clinton (che infilò un fiasco dopo l’altro all’inizio del suo mandato, indebolendo la sua presidenza fin dagli inizi) qualsiasi previsione sui risultati che riuscirà a raggiungere nei prossimi mesi ha oggi la stessa affidabilità delle previsioni metereologiche a lunga scadenza: zero. C ome spiegato sul numero scorso, la storia dell’economia può essere raccontata anche come l’evoluzione del significato di capitale. Capitale deriva dal latino caput, capitis, che significa “capo”, “testa”. L’economia classica tra Sette e Ottocento ha concepito il capitale come il principale fattore produttivo e con Marx diventa la chiave di lettura non solo della dinamica economica ma dell’intera società. L’economista liberale austriaco J.A. Schumpeter nel 1942 superava questo legame tra capitale e imprenditore intrvvedendo sulla scena una nuova forna di capitalismo, il capitalismo finanziario. Nel corso degli ultimi decenni la parola capitale si sta sempre più distinguendo e autonimizzando dal capitalismo. Il capitale umano è entrato per primo nel dibattito, nel dopoguerra, quando importanti economisti (tra cui G. Becker) iniziarono a costruire modelli dove spiegavano che un’azienda o un sistema economico crescono quando oltre ai capitali fisici, finanziari e tecnologici, dispongono anche di capitale umano, cioè di persone qualificate, formate, che hanno fatto investimenti in istruzione e che hanno così aumentato il valore capitale della loro persona e quindi della loro azienda. Negli anni 90 si è fatto poi strada il concetto di capitale sociale (social capital), che è costituito dal tessuto di fiducia e di virtù civili che consente al mercato di svilupparsi e crescere. Anche qui uno dei primi ad intuire il ruolo essenziale del capitale sociale è stato il napoletano Antonio Genovesi, che nel 1754 scriveva che la ragione per la quale il suo Regno non cresceva come gli altri Stati europei era proprio la mancanza di quella che lui chiamava “fede pubblica”. A Napoli, diceva, abbondano la fede privata e l’onore, ma non la fede pubblica che porta a fidarsi delle istituzioni e, quindi, anche dei forestieri, determinando così lo sviluppo dei mercati e della società. Oggi si sta facendo (timidamente) strada anche il concetto di “capitale relazionale”, che fa sì che una organizzazione sia qualche cosa di più di una somma di individui, ma un corpo legato dalla fiducia, dalla fides, che, come ricordava lo stesso Genovesi, significa anche «corda che lega e unisce». Infine un concetto ancora più recente è quello di “capitale spirituale”, che consiste nel patrimonio di vita interiore (non necessariamente di religione) che caratterizza una persona, una comunità, un’impresa. Questo capitale si rivela particolarmente prezioso nei momenti di crisi, dove c’è bisogno di capacità di andare avanti nei momenti di sospensione e di grande incertezza, di gestire conflitti profondi, di saper ricominciare e perdonare davvero. Un’ultima nota. Sono convinto che tra le varie forme di capitale ci sia normalmente un nesso di complementarietà e di interdipendenza. Quando, ad esempio, un’impresa in crisi inizia a parlare di possibilità di licenziamenti, succede spesso che questo segnale ha come effetto immediato che i primi ad abbandonare l’impresa siano i lavoratori più bravi (che hanno alternative sul mercato). Si verifica quindi un’emorragia dei migliori, restano i lavoratori meno qualificati, e questo processo determina presto una crisi finanziaria ed economica più grave di quella di partenza. Se invece si risponde ad una crisi rafforzando la fides, cioè il capitale relazionale (e magari spirituale) dell’azienda, si può evitare il deterioramento del capitale umano, e quindi di quello economico e finanziario. Il capitale è uno, ma i capitali sono molti: l’arte più difficile è saperli accudire tutti, con una costante opera di manutenzione. Settimana prossima appuntamento con la voce Dono