La sedia di Mazzacurati - Lettera 43 17/4/2014

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CULTURA
«La sedia della felicità», un Mazzacurati senza malinconia
Leggero e ironico. Esce La sedia della felicità, di Mazzacurati. «Ma non chiamatelo film postumo».
di Patrizia Simonetti |21 Aprile 2014
Le TOP 5 di oggi
Leggero, allegro, in netto contrasto con le pellicole precedenti. Le più celebri.
A tre mesi dalla scomparsa di Carlo Mazzacurati, arriva il 24 aprile in 150 sale
La sedia della felicità, ultimo film del regista, produttore e sceneggiatore
padovano morto il 22 gennaio a soli 58 anni.
Lo scorso novembre non era neanche riuscito ad andare alla presentazione
della pellicola al Torino Film Festival che lo ha insignito del Gran Premio
Torino. Del film lui stesso disse: «Ho raccontato storie tristi che
involontariamente hanno fatto ridere, ma per una volta nella vita volevo fare
una commedia che mi divertisse come spettatore e mettere insieme il senso
di catastrofe nel quale sembra che stiamo precipitando e l’energia che
malgrado tutto si sente nell’aria».
LA SUA TERRA NEI SUOI FILM. Anche stavolta, come in molti suoi film, la
storia si svolge nel Nord Est, in un «paesaggio urbano e fisico che conosco
bene», diceva Mazzacurati, dove «i rapporti umani sono peggiorati e in questo
senso è rappresentativo del resto d’Italia» ma che definiva comunque «il mio
destino». Una terra che lasciò più volte, ma mai per sempre, prima per
frequentare il Dams di Bologna, poi per trasferirsi a Roma, e che troviamo
nelle sue storie sin dal suo primo film uscito nelle sale, Notte
italiana. Pellicola che nel 1987 segnò il suo debutto alla regia e quello di Nanni
Moretti come produttore (per il quale poi Mazzacurati interpretò anche dei
piccoli ruoli in Palombella rossa, Caro Diario e Il Caimano) e che gli valse il
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Nastro d'Argento come regista esordiente. Ma anche ne Il toro, Leone
d'Argento a Venezia nel 1994, in Vesna va veloce, Ciak d'oro 1996, ne La lingua
del santo, ne La giusta distanza, persino nel documentario Medici con l'Africa
realizzato con la Ong Cuamm e presentato fuori concorso a Venezia 2012, che
prima di portarci in Mozambico, parte dalla sede padovana
dell'organizzazione.
MASTANDREA: «MALATTIA? NESSUNO SE NE RESE CONTO». Mazzacurati era
una persona sensibile, generosa, colta e curiosa, ma soprattutto ironica. Lo è
stato fino all'ultimo e lo dimostra il ricordo degli attori che hanno lavorato al
suo ultimo film. «Che stesse male sul set non ce ne siamo neanche accorti e
credo non se ne sia reso conto neanche lui», racconta Valerio Mastandrea,
«ricordo solo il suo grande entusiasmo quotidiano. Erano tanti anni che volevo
lavorare con Carlo, avrei potuto imparare molto da lui».
«Neanch'io ho avvertito il suo disagio», fa eco Isabella Ragonese, «perché
quando lavori con passione come faceva lui, ti dimentichi di tutto. In questo
film si ride, ma non per far finta che le cose brutte non esistano, bensì con
quell'ironia che gli apparteneva e che gli faceva vedere le cose dalla giusta
distanza. L'ironia erano i suoi occhiali per vedere il mondo, per questo lo
ricordo con il sorriso e senza malinconia». «Quando sceglieva gli attori per i
cammei», ricorda Giuseppe Battiston, «era certo che accettassero e diceva
“chi direbbe di no a un povero malato?”».
LA MOGLIE MARINA: «NON È UN FILM POSTUMO». Mazzacurati era un
creatore di eroi ai margini, quasi un po' in disparte, e di storie e di film surreali
e malinconici. Ma non l'ultimo, non La sedia della felicità, dal quale sembra
aver voluto strappare la consueta velatura un po' triste e amara proprio per
lasciare un testamento più leggero e un ricordo più allegro. «Non è un film
postumo», dice la moglie Marina che lo ha aiutato nella regia, «ma un film cui
Carlo teneva tantissimo e al quale hanno lavorato le persone che più amava».
reso trasmissibile per via aerea. Per studiarne effetti e
di
Marco
Mostallino
cura.
Ma forse
qualcosa è andato storto.
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La miniera sarda di Monte Sinni è costata 600 mln. Ora
lo stop. Per altri 200 mln.
Il titolo del film? Idea di un bimbo di quattro anni, figlio del montatore
Il titolo originario del film,
prodotto da Bibi Film e Rai
Cinema, era La regina delle
nevi, che in effetti ben
rendeva lo stile fiabesco, ma
non piaceva al suo primo
piccolo fan, il figlio di quattro
anni del montatore, che
propose invece La sedia della
felicità e questo fu. Un
(© Ansa) Carlo Mazzacurati alla presentazione del aneddoto che la dice lunga
sulla genesi e il senso di un
film "La sedia della felicità".
film leggero, divertente e
delicato al tempo stesso, quasi una favola, ma ancorata alla realtà.
Ispirato al romanzo russo del 1928 Il mistero delle 12 sedie di Il'ja Arnol'dovič
Il'f ed Evgenij Petrovič Petrov da cui nel 1970 fu tratto anche l'omonimo film di
Mel Brooks, ma ambientato e girato, appunto, nel Nord Est italiano, racconta la
ricerca di una sedia misteriosa che tre diversi personaggi intraprendono
prima singolarmente, per poi allearsi e divenire un'unica squadra, tanto
eterogenea quanto affiatata: un tatuatore che ha un'ex moglie e un figlio da
mantenere, una giovane estetista che non riesce a saldare i conti dei fornitori
e si vede pignorare lettini e docce abbronzanti appena acquistati, e un prete
ludopatico sommerso dai debiti maturati al video poker.
LA CACCIA AL TESORO. La speranza comune è di trovare un tesoro che una
donna ha nascosto in una sedia prima di finire in carcere, e del quale, in punto
di morte, rivela l'esistenza alla ragazza che va a farle le unghie in carcere e al
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sacerdote mentre le dà l'estrema unzione.
La prima a buttarsi nell'avventura è Bruna: «Un personaggio che ho costruito
assieme a Carlo», spiega Ragonese, «partendo dal lato fisico e pensandola
molto colorata, con uno smalto acceso e con lo shatush, che solo grazie a
questo film ho scoperto essere i colpi di sole. Essendo un'estetista, ha sempre
raccolto le confidenze delle sue clienti e per una volta ha l'occasione di
diventare protagonista di una storia sua, sperando in un colpo di fortuna».
DINO CHIUDE IL CERCHIO. Caso ha voluto che nella sua vita e nel suo negozio
entrasse Dino: «È il completamento di un tipo di personaggio che porto in
scena da una decina di anni», dice Mastandrea, «mi riferisco ad esempio a
Stefano Nardini di Non pensarci di Gianni Zanasi che non mi levo mai di
dosso, perché un Nardini è per sempre. Dino gli somiglia, ma è un po' più
freddo e meno isterico e con lui credo di aver chiuso il cerchio, esaurendo lo
stereotipo del ragazzetto disagiato di periferia».
Per ultimo si aggrega Padre Weiner: «Un personaggio di una disperazione
nuova», racconta Battiston, «preda di un conflitto tra l'uomo di fede e il suo
desiderio di qualcosa di meglio che lo spinge a confrontarsi con se stesso.
Cerca in tutti i modi il riscatto della sua vita e in questo senso appartiene
smaccatamente alla commedia all'italiana ricca di disgraziati che tentano di
elevarsi dopo aver commesso azioni più o meno lecite. Il pensiero che vaghi
ancora per i boschi e giochi a carte con l'orso, mi dà tanta vita».
CAMMEI D'ECCEZIONE. L'orso lo incontrano sulle Dolomiti, assieme a una
strana coppia di fratelli che apparentemente si esprimono con suoni gutturali
e gesti infantili, ma poi sprigionano una poesia inaspettata. Il cast è ricco di
cammei: Antonio Albanese che si sdoppia in due gemelli, e Fabrizio
Bentivoglio e Silvio Orlando nei panni di due esilaranti imbonitori televisivi
che vendono quadri dai soggetti e dai titoli improbabili, peraltro dipinti da uno
dei due fratelli montanari. E poi Katia Ricciarelli che è la detenuta, Raul
Cremona, naturalmente nel ruolo di un mago da palcoscenico, Milena Vukotic
in quello di una medium, Roberto Citran, Natalino Balasso, Marco Marzocca.
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TAG: carlo mazzacurati - la sedia della felicità - mazzacurati film - valerio mastandrea
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