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Un argomento al mese su cui riflettere: Gennaio 2010
Le piante nel Vangelo:
Il fico.
da “La vita in Cristo e nella Chiesa” – Anno LVII, n°5.
L'albero del fico, originario dell'Asia, fu
introdotto nell'area mediterranea in tempi
remotissimi. Spesso è piantato in prossimità
di vitigni e oliveti con i quali costituisce il
classico panorama agreste del medio oriente.
Resistente alla siccità, ma molto sensibile alle
basse temperature e alla grandine.
Il fico è un albero dal tronco robusto, con
corteccia
liscia
grigiastra,
che
può
raggiungere gli otto metri di altezza. Il fico
domestico produce due tipi di frutti: i
primaticci, che si formano in autunno e che
maturano nella tarda primavera dell'anno
successivo, mentre i fichi veri si raccolgono a
fine estate dello stesso anno. In primavera è
tra i primi alberi a fruttificare, anticipando le
stesse foglie: è infatti dai rami che spuntano i
primi frutti, producendone poi senza
interruzione. Mentre per la maggior parte
degli alberi da frutto, la raccolta avviene in una sola volta, nel caso del fico si raccolgono gradualmente, un
po' alla volta, man mano che crescono e che maturano. L'albero inizia a produrre frutti maturi intorno al
quinto anno dal suo impianto, raggiungendo poi la massima produzione (40-60 chilogrammi circa) dai 30 ai
40 anni in poi.
Fin dai tempi antichissimi i fichi erano destinati sia per il consumo fresco, sia come prodotto essiccato (1
Sam 25,18; 30,12; Gdt 10,5). Il fico essiccato era specialmente apprezzato da chi, dovendo affrontare lunghi
viaggi per mare e per deserti, necessitava di vitamine e zuccheri che non andassero a male e che si
conservassero; pertanto non mancavano mai nelle stive delle navi fenice, come più tardi in quelle romane.
Il fico è conosciuto e apprezzato anche come rimedio farmacologico contro vari malanni: la cosiddetta
«ficina» è una sostanza estratta dalle sue foglie ed è usata ancora oggi per scopi farmaceutici, come ad
esempio l'impiastro di fichi, ben attestato anche nella Bibbia, come rimedio lenitivo contro le infiammazioni.
Il secondo libro dei Re ricorda, a questo proposito, la vicenda della malattia mortale che aveva colpito il re
Ezechia. Isaia si recò dal re e gli riferì: «Dice il Signore: da' disposizione per la tua casa, perché morirai e
non guarirai» (2 Re 20,1b). Il re, allora, pregò il Signore affinché gli concedesse la guarigione. Il profeta tornò
poi da Ezechia e gli comunicò l'esaudimento della preghiera, suggerendogli un medicinale contro la malattia:
un «impiastro di fichi, applicato sull'ulcera e il re guarì» (cf 2 Re 20,7; Is 38,21).aspettarsi e sperare.
IIll ffiiccoo ccoom
mee m
meettaaffoorraa ddeellllaa pprroossppeerriittàà
Nella Bibbia l'albero del fico si presta a una specifica valenza simbolica. Al pari dell'olivo e della vite/vigna,
anche il fico è segno di abbondanza e di serenità. Stando a quanto narra il primo libro dei Re, Israele
raggiunse il massimo splendore sotto il regno di Salomone. La prosperità di questo regno fu descritta
dall'autore biblico in modi idilliaci, come rimpianto di tempi più fausti; e per descrivere questo periodo così
prospero e felice, usò, oltre al simbolo della vite, di per sé segno d'abbondanza, anche il fico: «Giuda e
Israele erano al sicuro; ognuno stava sotto la propria vite e sotto il proprio fico - da Dan fino a Bersabea - per
tutta la vita di Salomone» (1 Re 5,5).
Lo «stare sotto il fico», tipica immagine agricola, diventa per i profeti un'immagine standard, che sarà poi
applicata all'era messianica. In un famoso poema escatologico, il profeta Michea contempla Gerusalemme
come la capitale di un mondo trasformato dalla Parola divina, nella quale tutte le nazioni vivranno in pace e
in prosperità: «Nessuna nazione alzerà la spada contro un'altra nazione e non impareranno più le arti della
guerra. Siederanno ognuno, tranquilli sotto la vite e sotto il fico e più nessuno li spaventerà» (Mi 4,3b; cf Zc
3,10). Al contrario, il segno di tempi più bui, più nefasti, dovuti all'infedeltà di Israele al " suo Dio e alla Torah,
sono caratterizzati proprio dall'assenza e dall'estinzione del fico e dei suoi frutti.
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Nelle invettive di Geremia contro il suo popolo, il profeta, che è testimone della rovina di Israele per
mano dei babilonesi, denuncia le infedeltà di Israele all'alleanza con il suo Dio. In questo senso, a
sottolineare l'abbandono che questo comporta, Geremia utilizza, al pari dei suoi predecessori, il simbolo del
fico: «Essi hanno rigettato la parola del Signore... dal piccolo al grande, tutti commettono frode... li mieto e li
anniento, dice il Signore, non c'è più uva nella vigna né frutti sui fichi; anche le foglie sono avvizzite» (Ger
8,9.10.13).
Similmente a Geremia, anche Gioele, invitando Israele alla conversione, usa l'immagine del fico spoglio,
abbandonato, secco, come simbolo di una prosperità che non è più. Riferendosi alle distruzioni e ai
saccheggi operati dall'esercito assiro, Gioele dice: «Hanno fatto delle mie viti una desolazione e tronconi
delle piante di fico; li hanno tutti scortecciati e abbandonati, i loro rami appaiono bianchi» (Gl 1,7). Nella
distruzione agricola il profeta riconosce il castigo di Dio che nel giorno della collera umilia il suo popolo ed
esige una debita espiazione e la conversione del cuore (cf Gl 2,13).
IIll ffiiccoo,, vveeiiccoolloo ddii ccoonnvveerrssiioonnee
II fico appare per la prima volta sulle pagine della Bibbia nel racconto delle origini e del peccato dell'umanità,
ossia in Genesi 3. Tra gli alberi dell'Eden esso è l'unico menzionato per nome. Ricordiamo quasi a memoria
come ad Adamo e a Eva, dopo aver mangiato dell'albero di cui il Signore aveva comandato di non mangiare,
«si aprirono gli occhi di ambedue e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero
cinture» (Gen 3,7).
Il testo biblico sembra ignorare quale fosse l'albero da cui Eva prese il frutto proibito; mentre invece la
tradizione tardo-giudaica colma questa lacuna, affermando che fu proprio il fico l'albero dal quale
mangiarono i progenitori. Nell'Apocrifo che narra la Vita di Adamo ed Eva si legge infatti che tutti gli alberi,
tranne il fico, erano così indignati da impedire che le loro foglie coprissero la loro nudità, quasi non volessero,
«coprendoli», essere complici delle loro colpe. Eva, come racconta l'Apocrifo, si mise a ispezionare tutti gli
alberi, uno per uno, per trovarne uno le cui foglie potessero coprirla: «Mi misi a cercare nella mia zona del
giardino qualche foglia, per coprire la mia vergogna, ma sugli alberi del Paradiso non ne trovai. Infatti non
appena avevo mangiato, le foglie erano cadute da tutti gli alberi della mia zona, ad eccezione dell'albero del
fico. Raccolsi allora le sue foglie e me ne feci una fascia. Ed era proprio l'albero del quale avevo assaggiato i
frutti». Ma per quale motivo la Bibbia non indica chiaramente il nome dell'albero? Secondo Rashi è perché
«il Signore non vuole umiliare nessuno delle sue creature; altrimenti gli uomini lo coprirebbero di vergogna e
lo considererebbero oggetto di maledizione».
Il termine «foglie di fico», che leggiamo in Gen 3,7, in ebraico si dice - ‘aleh te’e nah - che, secondo la
ghematria, corrisponde al numero 561, lo stesso numero della parola - ha-tiqûn -, ossia «il rimedio». In altre
parole, il fico (numero 561), di cui si erano cibati e che aveva causato la rovina della prima coppia, apportò
loro anche il rimedio (numero 561). Le «foglie di fico» divengono quindi veicoli di conversione, rimedio,
seppur precario, contro una nudità totale. Come sappiamo dal racconto biblico, quale conseguenza della
disobbedien-za. Adamo ed Eva dovettero lasciare il recinto paradisiaco, scacciati per sempre dall'Eden.
Eppure, la sanzione divina non è l'ultima parola! Anzi, alla fine è il Signore stesso a fornire aiuto ai
progenitori, dando a essi una protezione che consenta loro di sostenere la propria debolezza. Invece del
riparo o «rimedio» («foglie di fico») -in fondo ridicolo - Dio «fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li
vestì» (Gen 3,21) e, nonostante la punizione, la vita continuò ed Eva generò figli.
IIll ffiiccoo sstteerriillee,, ssiim
mbboolloo ddeell tteem
mppoo ssuupppplleem
meennttaarree:: LLcc 1133,,66--99
In un contesto diverso, anche il Nuovo Testamento accenna al fico. La ben nota parabola del fico sterile
illustra l'urgenza della conversione.
«Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaioIo: "Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve
sfruttare il terreno?". Ma quegli rispose: "Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché io gli zappi attorno e vi
metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai"» (Lc 13,6-9).
Come già nell'Antico Testamento, anche nei Sinottici questo albero è simbolo dell'amore divino spesso non
corrisposto, nonostante le innumerevoli premure e longanimità da parte di Dio. La parabola di Luca, appena
citata, non è priva di allusioni a un detto sapienziale che i contemporanei dell'evangelista ben conoscevano:
«II guardiano di un fico ne mangia i frutti, chi ha cura del suo padrone ne riceverà onori» (Pr 27,18). In
questo proverbio sono in scena il guardiano, il fico e il padrone. Al guardiano spetterà di mangiare i fichi, ma
egli deve vigilare attentamente per il padrone e prestargli le dovute cure e spettanze; così facendo, entrambi
conseguiranno i risultati dei loro rispettivi ruoli cogliendone frutti e onore, ma il fico stesso ne troverà
giovamento e vita.
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A dispetto del suo significato immediato, il proverbio si apre oltre se stesso, apportando con sé un significato
quasi evangelico. Il «padrone» è Dio, il fico è simbolo di Israele che per ben «tre anni» (v 7) assistette
all'attività pubblica di Gesù senza peraltro capirne il valore; il bravo agricoltore, sorta di «resto d'Israele» (Is
10,20-22), invece, è colui che si era accorto del valore dell'albero che altri volevano inesorabilmente
sradicare.
Chi conoscesse le regole ebraiche dottrinali che riguardano l'agricoltura, già in uso durante l'epoca della
parabola lucana, e mutuate esse stesse dalla Torah, ossia dalla Legge ebraica, saprebbe che in realtà
solamente dopo tre anni i frutti delle piante sono ritualmente puri, in grado cioè di essere consumati. Prima di
ciò sono di «spettanza divina». Secondo il codice di santità (cf Lv 17-26), i frutti di un albero maturati prima
dell'offerta delle primizie erano dichiarati «non circoncisi» (Lv 19,23).
Al quarto anno, quando i frutti sono ormai veramente ben sviluppati, essi venivano offerti al Signore in segno
di ringraziamento. Di conseguenza gli ebrei potevano usufruire dei frutti solo dal quinto anno dalla
piantagione.
Contrariamente a Mt 21,18-22 e a Mc 11,12-14.20-25, nella versione di Luca i frutti attesi, ma non corrisposti,
non provocano nessuna maledizione contro il fico. Per la nostra mentalità incentrata sul profitto, il vignaiolo
aveva già ben superato i limiti dell'attesa nei confronti del suo fico.
È del tutto illogico - diremmo anche noi - di attendere un altro anno, sperando in un «forse», in un miracolo!
L'uomo mangerà i frutti dell'albero se rispetta il Signore ed egli si aspetta frutti dal suo popolo... ma non li
trova: «Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo».
Nonostante il comando del padrone e la sterilità del fico il vignaiolo, avendone invece colto le potenzialità,
supplica per un ulteriore tempo di grazia: «Padrone, lascialo ancora quest'anno!». Ciò che per noi è forse
mancanza di «logica», fa intendere l'assurdo: Dio assume un atteggiamento illogico affinchè tutti i suoi figli
capiscano che l'accoglienza di Gesù e del suo Vangelo è l'ultima possibilità che Dio offre loro. Infatti, il
Signore (il «vignaioIo»), descritto da Luca, è un Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e
di fedeltà (Es 34,6) che temporeggia il più a lungo possibile: un anno giubilare è accordato dal Signore,
disposto ancora una volta a dar fiducia in attesa dei frutti lungamente sollecitati.
Malgrado la sterilità, Dio ha pazientato e pazienterà ancora. Nonostante ciò, non c'è tempo da perdere e non
serve a niente rinviare al giorno seguente.
È oggi che Gesù passa e l'oggi è il momento della salvezza.
a cura di Sandro Imparato
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