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©Studio Legale Marazza & Associati 2015
PREMESSA
La nuova disciplina delle mansioni, traente origine nella Legge
Delega 10 dicembre 2014 n. 183 (articolo 1, comma 7,
lettera e), si colloca nel più ampio contesto della riforma del
diritto del lavoro voluta dal Governo.
In attuazione della delega legislativa, l’art. 3 del D.Lgs. 15
giugno 2015, n. 81 opera una radicale revisione dell’art. 2103
Cod. Civ., che viene completamente riscritto (resta inalterata
solo la previgente disciplina del trasferimento di sede del
lavoratore).
La vecchia formulazione dell’art. 2103 Cod. Civ., ferma la 1970,
era legata ad una concezione statica dell’organizzazione e
limitava fortemente il potere datoriale di intervenire in
costanza di rapporto per modificare incarichi ed attività del
personale occupato.
La nuova regolamentazione mira a dilatare il perimetro delle
mansioni esigibili e dunque risponde perfettamente ad una
delle logiche ispiratrici del Jobs Act: la flessibilità (in entrata, in
uscita, ma anche funzionale-organizzativa).
LA VECCHIA DISCIPLINA
A. Equivalenza
La versione “statutaria” dell’art. 2103 Cod. Civ. prevedeva la
possibilità di variare le mansioni assegnate al lavoratore, ma solo
assegnandogli mansioni equivalenti a quelle di assunzione, o alle
ultime svolte (c.d. mobilità “orizzontale”), ovvero a mansioni
superiori (c.d. mobilità “verticale”).
La mobilità del lavoratore era dunque soggetta a due limiti:
a) limite esterno: mansioni da ultimo svolte (anche diverse da
quelle di assunzione);
b) limite interno: dignità professionale del prestatore di lavoro,
da intendersi come patrimonio di conoscenze tecnico-pratiche
e di esperienza acquisita nel contesto lavorativo.
Ruolo chiave della giurisprudenza nel definire la nozione di “equivalenza”,
che non è inquadrabile in schemi predefiniti ed è soggetta alle mutevoli
dinamiche del contesto sociale e delle regole organizzative.
La linea interpretativa più diffusa tendeva a valorizzare solo la professionalità
acquisita dal lavoratore nello svolgimento dei compiti da ultimo svolti, che
doveva essere impiegata nella nuova posizione lavorativa. A tal fine si aveva
riguardo a:
 natura intrinseca delle attività espletate;
 autonomia e discrezionalità;
 posizione nell’organizzazione;
 rapporti con la linea gerarchica;
 prospettive di accrescimento ed arricchimento del bagaglio
professionale;
 potenzialità di carriera.
Tale rigida impostazione è stata più volte criticata in quanto
incompatibile con la costante evoluzione dei modelli
organizzativi, che impongono polivalenza e flessibilità, e
potenzialmente fonte di pericoli per lo stesso lavoratore.
Cass. Sez. Un. 25033/2006: valorizzazione del possibile ruolo
della contrattazione collettiva, che, nel rispetto di determinate
condizioni, può introdurre clausole di fungibilità tra mansioni
differenti, anche non equivalenti professionalmente.
B. Divieto (pressoché) assoluto di modifica
peggiorativa delle mansioni assegnate al lavoratore
Il limite imposto all’autonomia privata operava non solo sul piano
unilaterale, non potendo il datore di lavoro disporre un
mutamento in pejus delle mansioni affidate al lavoratore, ma
anche su quello bilaterale, sia individuale che collettivo.
All’evidente intento di rafforzare l’inderogabilità della disciplina
legale delle mansioni, il secondo comma dell’art. 2103 Cod. Civ.
stabiliva la nullità di ogni patto contrario al principio di
equivalenza.
Deroghe legislative al principio di equivalenza:
 art. 4, 11º comma, legge n. 223 del 1991, gli accordi sindacali
stipulati nel corso delle procedure di cui al presente articolo,
che prevedano il riassorbimento - totale o parziale - dei
lavoratori ritenuti eccedenti, possono stabilire, anche in
deroga al 2º comma dell’art. 2103 Cod. Civ., la loro
assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte;
 art. 4, comma 4, della legge n. 68 del 1999: è consentita
l’adibizione a mansioni inferiori del dipendente divenuto
disabile in costanza di rapporto a causa di malattia o
infortunio, per evitare il licenziamento e nel caso in cui non
possa essere adibito a mansioni equivalenti;
• art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001: la lavoratrice in
gravidanza può essere adibita a mansioni inferiori nel caso in cui
quelle di assunzione siano ricomprese tra quelle a rischio o
comunque interdette in relazione allo stato della prestatrice.
Patto di demansionamento: presuppone l’esistenza di interessi
del lavoratore antagonisti e prevalenti su quello della tutela della
professionalità ed è subordinato al ricorrere di due condizioni:
• consenso del lavoratore, espresso liberamente ed esente da
vizi della volontà;
• esistenza di condizioni tali da legittimare, in mancanza di
accordo, il licenziamento.
Riflessi sul c.d. obbligo di “repechage”
C. Assegnazione a mansioni superiori
In caso di assegnazione del lavoratore a mansioni superiori,
l'assegnazione diviene definitiva (se non è stata disposta per
sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione
del posto) dopo il periodo fissato dai contratti collettivi e
comunque non superiore a 3 mesi.
LA NUOVA DISCIPLINA
A. Nuova nozione di “equivalenza”
Il novellato primo comma dell’art. 2103 Cod. Civ. interviene sui
limiti al potere unilaterale del datore di lavoro di modificare le
mansioni del lavoratore ridefinendo il concetto di
“equivalenza”: il prestatore potrà essere adibito a tutte le
mansioni “riconducibili allo stesso livello e categoria legale di
inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.
Superamento del vecchio “limite” del rispetto della
professionalità acquisita e dell’utilizzo del bagaglio di
conoscenze pregresse.
Ruolo chiave dell’autonomia collettiva nella definizione delle
scale inquadramentali: le previsioni dei contratti collettivi
divengono l’unico punto di riferimento in tema di jus variandi.
Rivive la quasi dimenticata ripartizione tra posizioni lavorative
riconducibili alla categorie legale di operaio e posizioni invece
rientranti in quella impiegatizia.
Diviene superflua la enucleazione di clausole di fungibilità e di
mobilità orizzontale.
Nel contratto individuale di lavoro sarà sufficiente indicare il
livello di inquadramento, senza necessità di specificare la
“qualifica”/”posizione professionale”.
La variegatezza delle figure professionali esistenti nell’ambito dello stesso
livello di inquadramento renderebbe facile utilizzare strumentalmente lo
jus variandi.
Limite esterno alla “nuova” mobilità orizzontale è costituito dal rispetto
della categoria legale e del livello di inquadramento.
Limite interno è rappresentato:
a) dalle esigenze dell’organizzazione, che devono essere effettive e non
meramente pretestuose;
b) dal ragionevole “rispetto” delle competenze tecnico-professionale del
lavoratore interessato alla mobilità orizzontale (assolvimento dell’obbligo
formativo).
Il mancato assolvimento dell’obbligo formativo si riflette sulla prestazione
esigibile e sull’eventuale configurabilità di un inadempimento del
lavoratore.
La funzione legislativa può essere delegata al Governo “con
determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo
limitato e per oggetti definiti” (art. 76 Cost.).
Nei rapporti tra legge delega e decreto legislativo delegato vi è
la preminenza della prima sul secondo: i principi stabiliti dal
legislatore delegante costituiscono non solo il fondamento ed il
limite delle norme delegate, ma anche un criterio
interpretativo delle stesse.
Art. 1, comma 7, lettera e), della legge 10 dicembre 2014, n.
103 affidava al Governo l’adozione, su proposta del Ministro del
Lavoro, di uno o più decreti legislativi concernenti la “revisione
della disciplina delle mansioni, in caso di processi di
riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale
individuati sulla base di parametri oggettivi, ...”.
La rivisitazione della disciplina delle mansioni resta subordinata,
nella vincolante prospettiva del legislatore delegante,
all’esistenza
di
un
effettivo
processo
di
rinnovazione/trasformazione (parziale o totale) dell’impresa.
Eccesso di delega.
B. Attribuzione di mansioni inferiori
Dal divieto di assegnazione a mansioni inferiori alla sostanziale
liberalizzazione del demansionamento.
E’ consentita “in caso di modifica degli assetti organizzativi
aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore”.
L’individuazione delle “mansioni inferiori” si ricava dal nuovo
concetto di equivalenza: sono inferiori quelle mansioni che
risultano riconducibili ad un livello inquadramentale inferiore.
La correlazione tra modifica dell’assetto organizzativo aziendale
e la posizione individuale del lavoratore induce a ritenere che il
presupposto della modifica in pejus delle mansioni sia la
soppressione del posto di lavoro.
Ulteriori ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, ma nel
rispetto della categoria legale.
Limiti dell’assegnazione a mansioni inferiori:
 modifica degli assetti organizzativi;
 livello di inquadramento immediatamente inferiore;
 rispetto della categoria legale di appartenenza del
lavoratore;
 irriducibilità del trattamento retributivo (fatto salvi gli
emolumenti legati a particolari modalità di espletamento
della prestazione);
 mantenimento dell’inquadramento formale del lavoratore;
 comunicazione per iscritto.
Sono consentiti accordi individuali aventi ad oggetto la modifica
delle mansioni.
Presupposti: a) conservazione del posto di lavoro; b)
acquisizione di una diversa professionalità; c) miglioramento
delle condizioni di vita.
La prospettiva è dunque quella dell’interesse del lavoratore e
non dell’esigenza aziendale.
L’accordo deve avvenire nelle sedi di cui all’art. 2113, quarto
comma, Cod. Civ., o davanti alle Commissioni di Certificazione.
Oggetto dell’accordo: può derogare ai limiti del 2° e 5° comma e
dunque può riguardare anche
a) il passaggio da una categoria legale all’altra;
b) il demansionamento per più di un livello;
c) la riduzione del trattamento retributivo.
C. Mansioni superiori
Rimane fermo il diritto del lavoratore a percepire la retribuzione
propria delle mansioni svolte (v. art. 36 Cost.), ad ottenere un
inquadramento superiore senza limiti di numero di livelli e di
categoria ed a conseguire la qualifica superiore decorso il
periodo fissato dai contratti collettivi, salva l’ipotesi di
sostituzione di lavoratori con diritto alla conservazione del
posto.
La innovazione principale sta nell’aver affidato alla
contrattazione collettiva, senza limitazioni, l’individuazione del
periodo di legge oltre il quale l’assegnazione a mansioni
superiori diviene definitiva; in assenza, il nuovo termine legale è
di 6 mesi (e non più 3 mesi).
Il periodo di assegnazione a mansioni superiori deve essere
continuativo e l’assunzione delle relative attività da parte del
lavoratore dev’essere “pieno”.
Di fatto, la modifica entrerà in vigore progressivamente,
allorché saranno rinnovati i contratti collettivi oggi vigenti.
A cura di:
Avv. Domenico De Feo
Socio dello Studio Legale Marazza & Associati