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n° 312 - ottobre 2003 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Dall’estetica della pittura alla fotografia I suggestivi e straordinari influssi intercorsi nell’arte tra pittura e mezzo fotografico dalla metà dell’Ottocento fino ai nostri giorni, meritano un’attenzione particolare al fine di affrontare e ripercorrere quel lungo e certe volte travagliato cammino che ha condotto alla definizione di fotografia come espressione artistica. Quello che oggi è un dato accettato universalmente, nel secolo passato fu oggetto di appassionati dibattiti culturali che hanno coinvolto il concetto stesso d’arte ed estetica. Praticamente siamo dovuti arrivare agli anni Cinquanta per affermare che un procedimento creativo realizzato per mezzo di una strumentazione tecnica poteva assumere valore di opera d’arte. Non è stato quindi indolore il raggiungimento a rango di processo artistico della fotografia, non facile accettare l’impegno e la sensibilità di un fotografo, alla stessa stregua di un pittore o di uno scultore, non si è affermato con naturale convincimento che l’uso di un certo obiettivo, di un particolare filtro, di una fonte di luce rispetto ad un’altra, di un’angolazione più originale e ardita, potevano e dovevano considerarsi come l’uso di un pennello a punta affilata o rotonda, o di un gessetto più o meno morbido, o di una sgorbia a sezione larga anziché stretta, o di un tipo di colore più pastoso e compatto rispetto ad altro pigmento. Questi ultimi elementi, legati strettamente alle ufficiali ed accreditate tecniche artistiche, a seconda del loro uso, potevano cambiare il risultato dell’opera d’arte. Perché quindi la gestione totale del mezzo fotografico, l’impegno dell’operatore che sceglieva soluzioni e modalità specifiche, non erano riconosciute come componenti di un processo artistico? Le risposte possono essere molte, ma sostanzialmente il motivo di tale ostilità creatasi tra pittura e fotografia, può essere ricercato nell’evoluzione che la pittura stessa ebbe verso la metà dell’800, quando alla fortuna dell’arte accademica idealizzata ed in cui si aberrava il disegno dal vero, s’impose il realismo in una volontà di mimetismo che raggiungesse la copia della realtà. Successivamente al realismo si affiancò la volontà di rendere l’impressione delle cose: due realtà a confronto quindi, in un susseguirsi di emozioni visive che segnarono la strada della moderna estetica dell’immagine. Quando la fotografia fece il suo ingresso nella vita dell’uomo moderno e cominciò ad occupare spazi prima destinati solo alle C. Monet: La grenouillère New York, Metropolitan Museum of Art rappresentazioni pittoriche, il graduale passaggio della percezione visiva che per secoli si era affidata esclusivamente alla visione di un disegno, di un affresco, di un quadro, si spostò verso altri elementi percettivi della natura e quindi della realtà circostante, in un tipo di realtà rappresentata. Tale evoluzione fu uno sconvolgimento per i canoni estetici e conoscitivi di quel periodo, ecco quindi la diffidenza di far traslare su altre realtà oggettive (dal quadro alla fotografia) il valore di opera d’arte. Con l’avvento di questa rivoluzione, la pittura stessa iniziò quel processo di allontanamento dalla realtà ormai territorio della fotografia, e quell’avvicinamento sempre più marcato verso l’astrazione che, solo interrotta da correnti epi- C. Monet: Donna con parasole e bambino Washington, National Gallery E. Munch: Il grido - Oslo, Nasjonalgaleriet pag. 2 sodiche, non si è ancora fermata. Pensiamo infatti all’estetica del ‘900 con il verismo dei macchiaioli, l’impressionismo, l’espressionismo, il cubismo, il futurismo, l’astrattismo e l’informale, che ha segnato un crescente distacco dalla realtà reale per una realtà interpretata. Il massimo autore di questa rivoluzione fu Monet che con la tecnica delle ombre colorate, e non più col chiaroscuro, si avvicinò al procedimento fotografico. Nel 1874, sua e degli altri impressionisti la volontà di scegliere come luogo della prima storica espo- sopra: J. Zyplakov: Lenin che parla a Pietroburgo sotto: E. Degas: Interno dei magazzini del cotone a New Orleans - Parigi, Musée d’Orsay sopra: Ragazza in poltrona, lastra al collodio - 1865 a lato: Il’Ja Repin: Riposo - Mosca, Galleria Tret’Iakov sizione parigina proprio lo studio del fotografo Nadar, come a simboleggiare l’integrazione con i nuovi artisti. Le caratteristiche estetiche e formali dell’impressionismo riuscirono a rompere, similmente alla fotografia, schemi che sembravano inamovibili ed entrare in territori rite- pag. 3 nuti inaccessibili. Aria, acqua, luce, vento, divennero gli elementi emozionali e formali della nuova arte, e come il raggio luminoso impressionava la lastra fotografica, così i pennelli di Monet e Renoir fissavano sulla tela la traduzione della realtà. Stabilito che si poteva interpretarla connotando le immagini di astrazioni formali e cromatiche a servizio dell’impressione che l’uomoartista voleva rendere, inizia un processo veloce ed impetuoso verso l’astrazione pura, quella dello spirito, degli stati d’animo: Il grido di Munch nel 1893 divenne una delle opere simbolo del turbamento e del dolore. Col cubismo, nell’esasperazione delle forme spezzate, come affermava Picasso, finiva il tempo della Bella Pittura, dove si annullerà ogni indugio realistico. Anche il drammatico tema della Guerra propose all’artista vari punti di vista e la percezione visiva si trovava negli stessi mesi a osservare Guernica e Lenin che parla a Pietroburgo. Il vuoto lasciato dunque dalla pittura, nel suo tradizionale rapporto con la realtà, fu gradualmente colmato dalla fotografia, il rivoluzionario mezzo iniziò a subire gli impulsi dell’estetica legata alla storia dell’arte; i temi prescelti per le prime grandi mostre fotografiche seguivano la moda delle tematiche più in voga in pittura: il ritratto, la natura morta, il paesaggio. Proprio il ritratto offrì spunti e materiali molto interessanti raggiungendo esiti di mutuo scambio. La fotografia diventava il termometro della situazione estetica del momento: si fotografava quello che stava assumendo valore estetico e quello di cui mancava la documentazione. Gli studi dell’architettura e della scultura ebbero un grande impulso grazie alle imponenti campagne fotografiche dedicate a queste discipline, così come le arti minori e i prodotti dell’artigianato entrarono a far parte dei cataloghi più scelti. Anche la pittura ormai sensibilizzata dal fenomeno della fotografia iniziava ad introdurre nei propri canoni estetici riferimenti molto evidenti al processo fotografico. Non sarebbero stati forse mai concepiti i due bellissimi quadri di Degas: La famiglia Bellelli o l’Interno dei magazzini del cotone a New Orleans se non fosse esistita già la fotografia. Nel primo ad una classica impostazione di ritratto d’interno si contrappone la libertà assoluta di osservazione dei soggetti come se la loro attenzione fosse catturata da eventi diversi da quelli della riproduzione, nel secondo, realizzato dall’artista dopo il suo viaggio negli Stati Uniti, assistiamo ad una delle prime istantanee pittoriche, immagine come rubata da un fotoreporter, meno ortodossa rispetto alla pittura e sempre più vicina al modo di fotografare accettando licenze estetiche come il taglio delle figure ai bordi della tela. L’astrazione privilegia il movimento e la pittura si impossessa della tecnica cinematografica come esemplifica il Nudo che scende le scale di Duchamp. L’elaborazione intellettuale che in questi anni si stava impossessando del processo trova un’eloquente sintesi nel celeberrimo quadro di Pellizza da Volpedo, Quarto Stato tratto dal precedente studio fotografico della Donna con bambino, gelatina di bromuro d’argento 1896. Ma sono forse i canoni espressivi del surrealismo a mostrare meglio l’evoluzione estetica e della rappresentazione raggiunta in questi decenni. Magritte con La chiave dei campi apre una finestra sulla natura, statica, ferma di atmosfera, come chiara simbologia della condizione umana, i vetri rotti simboleggiano l’eliminazione della barriera tra contenitore e contenuto, tra interno ed esterno, tra uomo e realtà. Questo quadro è la metafora della pittura e allo stesso tempo della fotografia, ambedue strumenti per conoscere il mondo. E. Degas: La famiglia Bellelli - Parigi, Musée d’Orsay Donna con bambino, gelatina di bromuro d’argento G. Pellizza da Volpedo: Quarto Stato - Milano, Palazzo Marino miriam fileti mazza R. Magritte: La chiave dei campi - Madrid, Collezione Thyssen Bornemiszka