Lo sciopero di Ranica

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Lo sciopero di Ranica
16
l’anniversario
L’ECO DI BERGAMO
MERCOLEDÌ 30 SETTEMBRE 2009
CENTO ANNI FA
BLOCCATA LA FABBRICA
Grazie anche all’opera di don Ballini, dell’Ufficio del
lavoro, il primo passo ufficiale nella vertenza fu
quello di evitare uno scontro diretto. Le questioni
salariali furono messe da parte, ma gli operai
rivendicarono il «diritto di associazione» e un
«trattamento sempre corretto e cordiale»
Lo sciopero di Ranica
I diritti dei lavoratori
difesi con la solidarietà
Nel 1909 alla Zopfi la prima protesta silenziosa degli operai
Tutta la Bergamasca si mobilitò con una sottoscrizione
■ Quel giorno il fischio della caldaia tesse, Colognola, ad esempio, erano ana vapore che segnava l’inizio del lavo- cora comuni a sé. A Ranica buona parro nello stabilimento suonò più a lun- te dei campi erano a mezzadria. Il che
go del solito. Quasi un richiamo insi- voleva dire dura fatica e vita grama per
stente alle maestranze di raggiungere le famiglie dei contadini. Per fortuna
il loro posto ai telai. Ma nessuno entrò. che c’era la fabbrica - l’azienda tessiEra la mattina del 22 settembre 1909. le Zopfi - che dava lavoro a oltre 800
E fu l’inizio del lungo sciopero alla operai, per la maggior parte donne d’oZopfi di Ranica che durò ben 45 gior- gni età. E saranno loro le autentiche
protagoniste della vertenni. Uno sciopero anomaza.
lo, se vogliamo: non fu
A leggere le cronache di
una questione di salari
«Voi avrete
allora fin dall’inizio si ha
bensì di riconoscimento
anche ragione –
l’impressione che non si
di diritti sindacali, di rapfu la frase
tratti di una vertenza da
presentanza e di organizzazione all’interno della
ripetuta più volte poco. Proprio per la presenza di uno stabilimenfabbrica, di rispetto della
da un dirigente
to di tali dimensioni, a Radignità del lavoratore. Ardella Zopfi ai
nica l’Ufficio del Lavoro,
gomenti che oggi sembrafondato dai cattolici berno ovvi e scontati, ma che
dipendenti – ma
gamaschi, aveva costituiun secolo fa non lo erano
qui
dentro
si
fa
to la Lega, sezione del Sinnel modo più assoluto.
dacato Italiano Tessile, al
«Voi avrete anche ragiocome dico io»
quale avevano aderito
ne – fu la frase ripetuta più
molti operai.
volte da un dirigente delEra una presenza non molto gradita
la Zopfi ai dipendenti – ma qui dentro
si fa come dico io». E non c’è da stu- ai dirigenti della Zopfi. Agli inizi del
pirsene molto in tempi in cui bastava mese di settembre si rifiutarono di rinla parola sciopero per far accorrere i re- novare il contratto di lavoro, o Convengi carabinieri pronti a caricare ad arre- zione, minacciando al tempo stesso di
stare, mentre il prefetto era altrettanto licenziare alcuni capi operai se non
pronto a chiedere l’intervento dell’e- fossero usciti dalla Lega. Il crescere delsercito per presidiare in forze strade la tensione è confermato dal titolo (ancora rigorosamente su una colonna)
e piazze.
Agli inizi del secolo scorso Ranica con cui L’Eco di Bergamo nell’edizioera un borgo di campagna come tanti ne del 10 settembre incomincia ad inaltri. Allora c’era un confine netto tra teressarsi della vicenda: «Grossa verla città e il territorio circostante. Ber- tenza operaia a Ranica. Si minaccia
gamo finiva con i borghi: Redona, Val- uno sciopero?».
Nicolò Rezzara
C’è da dire che le organizzazioni sindacali cattoliche bergamasche erano
molto attive e battagliere. Alle accuse degli industriali di eccedere nella
proclamazione degli scioperi spesso si
univano anche quelle dei sindacati socialisti, che si vedevano scavalcati da
tanta intraprendenza. Tuttavia, grazie anche all’opera di don Ballini, dell’Ufficio del lavoro, il primo passo ufficiale nella vertenza di Ranica fu quello di evitare uno scontro diretto.
Nella serata del 14 settembre l’as-
L’estensione dello stabilimento Zopfi, uno dei maggiori della provincia
semblea dei dipendenti votò un documento in cui si puntava a una conciliazione tra le parti. Le questioni salariali erano messe da parte, ma veniva messo in chiaro che l’atteggiamento della direzione doveva cambiare:
«Si faccia alla maestranza un trattamento sempre corretto e cordiale», ma
gli operai rivendicavano il «diritto di
associazione», senza minacce o tentativi, da parte della Zopfi, di «rappresaglie» per impedire ai propri dipendenti di organizzarsi.
La rappresaglia arrivò subito: il vice
presidente della Lega, Pietro Scalpellini, capo operaio, venne licenziato con
la motivazione ufficiale di abbandono
del posto di lavoro. A quanto pare, lo
Scalpellini nel giro di un paio di anni per quattro volte si era presentato in
direzione per richiamare l’attenzione
su alcuni problemi che andavano risolti.
Era il 21 settembre. Nel pomeriggio
operai e operaie proclamarono lo sciopero. Il giorno dopo, 22 settembre, nessuno si presentò al lavoro. La sirena
suonò a vuoto.
È l’inizio dello sciopero di Ranica.
Una vertenza che ben presto superò i
limiti aziendali per salire alla ribalta
della cronaca e della polemica. Mentre importanti quotidiani nazionali inviavano i loro inviati, gli industriali
bergamaschi e la stampa che esprimeva i loro interessi, assieme all’opinione pubblica più conservatrice incominciarono a muovere critiche pesanti contro i cattolici più impegnati nella solidarietà e nella promozione sociale, rappresentati da Nicolò Rezzara. Per questo grande protagonista del mondo cattolico la questione fu subito molto chia-
Alla fine, dopo 50 giorni di «resistenra: a Ranica era in gioco il «riconoscimento del diritto di organizzazione». za ad oltranza», si raggiunse un accorUn contributo importante alla cau- do e l’8 novembre il lavoro alla Zopfi
sa dei lavoratori lo diede il vescovo di riprese. L’accordo non fu del tutto sodBergamo monsignor Giacomo Maria disfacente, ma la vertenza insegnò molRadini Tedeschi, il quale non si limitò to. A parte l’affermazione dei principi
alle semplici parole. Entrò nel concre- di solidarietà tra i lavoratori e di tuteto partecipando, assieme al suo segre- la sindacale, gli industriali riconobbetario don Angelo Roncalli (il futuro Pa- ro agli operai il diritto di organizzaziopa Giovanni XXIII), che ebbe un ruolo ne all’interno di ogni fabbrica.
Ranica fu un evento importante neldi rilievo nella vicenda, alla sottoscrizione in favore degli operai, ed entran- la storia de L’Eco di Bergamo. Mai il
do nelle loro case a Ranica, per assicu- giornale nei suoi quasi trent’anni di vita aveva seguito una vicenda con tanrare la propria solidarietà.
ta costante attenzione e
La sottoscrizione fu,
per così lungo tempo.
come diremmo oggi, un
Non si limitò a illustrare
autentico colpo di genio.
le ragioni degli operai e
L’Eco di Bergamo puba difendere le loro posiblicò ogni giorno l’elenzione, quelle della Lega
co delle offerte che alla
e dei cattolici che si erafine superarono le
no impegnati a fondo
15.000 lire. Tanti nomi
nella vertenza. Quasi
di bergamaschi ma anquotidianamente il croche di persone residenti
nista partiva in bicicletaltrove, in altre città delta dal giornale e ragla Penisola: era il segno
giungeva Ranica (il
evidente dell’importanPietro Scarpellini
tram di Albino, che poi
za che la vertenza stava
passerà proprio davanassumendo e, per gli
operai e le operaie della Zopfi, che non ti allo stabilimento, non era stato ancora costruito). Si fermava a parlare
erano né soli né isolati.
Fu uno sciopero anomalo. Non vi fu- con le donne, entrava nelle case, inrono dimostrazioni, cortei, proteste cla- contrava i responsabili dell’organizzamorose. Il prefetto, che si adoperò per zione sindacale, seguiva le assemblee
un accordo, non ritenne necessario far e i comizi. Si informava, andava in gipresidiare in forze la fabbrica, come di ro per le vie, parlava con la gente e la
solito avveniva, le vie del paese. Vi fu faceva parlare registrando con scrupoun solo episodio di tensione, con una lo e dando notizia con la maggior obietbaruffa tra carabinieri e un gruppo di tività possibile. Per quarantacinque
operaie che furono malmenate. Pochi giorni sempre così. Fu un esempio di
giorni dopo un’altra operaia fu arresta- buon giornalismo, quantomai valido
ta e subito processata per aver redar- ancora oggi.
guito un paio di carabinieri.
Pino Capellini
Monsignor Radini Tedeschi e Nicolò Rezzara accolsero le istanze della vertenza senza legittimare il socialismo
Le classi popolari protagoniste del riscatto grazie ai cattolici
don Angelo Roncalli
■ Il miglior commento allo sciopero
di Ranica è fornito forse da monsignor
Radini Tedeschi (1905-1914) che aveva vissuto l’evento in prima persona:
«Certo l’Ufficio del lavoro [l’organismo diocesano che aveva indetto lo
sciopero] è un’istituzione che presenta non poche difficoltà, che per altro
sono insite nella natura stessa del problema presente, per i molteplici interessi che sono in gioco. Ma se neppure Gesù Cristo è riuscito ad accontentare tutti, non dobbiamo scoraggiarci neppure noi, se ci può accadere di
scontentare qualcuno. Si è parlato tanto e si parla di prudenza: ma io vel dissi tante volte che la prudenza non consiste nel non fare niente, ma nel fare e
nel fare bene. Ora chi fa anche colle
migliori intenzioni falla; non per questo deve desistere dal fare e dalla ricerca del meglio». Queste parole erano l’espressione della saggezza e del
coraggio con cui una grande personalità, come monsignor Radini, affron-
tava la questione sociale, uno dei problemi cruciali dell’Età Contemporanea. Se ne era dovuto interessare anche la suprema autorità della Chiesa. Papa Leone XIII nell’enciclica Rerum Novarum dell’anno1891, aveva
indicato alcune linee direttive di azione: la legittimità della proprietà privata, unita al riconoscimento della sua
funzione sociale; il rifiuto della lotta
di classe promossa dal movimento socialista; l’intervento dello Stato in campo economico contro il liberismo e
il riconoscimento del diritto di associazione degli operai. Rimanevano
però importanti aspetti da chiarire:
il rapporto tra questione sociale e democrazia, il modello delle associazioni operaie, se dovevano essere di tipo
misto-corporativo, oppure di classe;
l’adozione di alcuni strumenti di lotta, come lo sciopero; il grado di autonomia dei laici dall’autorità ecclesiastica nel campo socio-politico. Questi problemi si erano presentati imme-
diatamente ai cattolici tra la fine dell’Otto e l’inizio del Novecento. Non
c’era molto tempo per decidere; i
drammatici problemi connessi al sorgere di un diffuso proletariato e all’aggravarsi della questione agraria imponevano scelte coraggiose. La paralisi
e l’inerzia avrebbero rappresentato la
soluzione peggiore, con la conseguenza di consegnare le masse al Socialismo. La vasta rete di assistenza messa in atto dai cattolici nella seconda
metà dell’Ottocento - società di mutuo soccorso e di assicurazione, cooperative, banche popolari ecc. - non
bastava più a contenere i moti di protesta di operai e contadini per un miglioramento delle loro pessime condizioni. I dirigenti del Movimento Cattolico, che diedero vita alle prime leghe bianche, si trovarono nella necessità di adottare modalità di lotta, compreso lo sciopero, che si richiamavano ai sindacati socialisti. Una certa lotta di classe sembrava loro compati-
bile con la dottrina cattolica, fondata non sulla lotta ma la collaborazione tra le diverse classi. Questi primi
sindacalisti cattolici rivendicavano
una maggiore autonomia rispetto all’autorità ecclesiastica e si avviavano sempre più convintamene all’accettazione di un sistema democratico,
che consentisse alle classi popolari di
rendersi protagoniste del proprio riscatto. L’adozione di tali prospettive
fu graduale e comportò tempi diversi
di maturazione all’interno del mondo
ecclesiale, non senza suscitare forti
contrasti. Lo sciopero di Ranica è rivelatore di queste varie posizioni. Accanto a decisi sostenitori di una lotta
contro i soprusi della parte padronale - le maestranze e i dirigenti dell’Ufficio del Lavoro - ci furono monsignor
Radini e Nicolò Rezzara, che in buona parte accolsero le istanze dello sciopero, ma anche la sorda opposizione
del gruppo più conservatore, rappresentato dal Medolago Albani, che ac-
monsignor Radini Tedeschi
cusava i dirigenti cattolici di essere caduti nell’eresia del socialismo. Il riconoscimento, anche se parziale, dei legittimi diritti degli operai di Ranica,
dopo quasi due mesi di lotta, fu per la
Chiesa bergamasca un passo decisivo
per l’acquisizione di strumenti teorico-pratici più idonei per affrontare i
problemi posti dalla rivoluzione industriale e agraria.
Goffredo Zanchi