W ou le souvenir d`enfance * di Georges PEREC. La scrittura come

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W ou le souvenir d`enfance * di Georges PEREC. La scrittura come
<<L’identité des personnes réside (…) dans la mémoire et la connaissance du soi passé et de ses propres
actions qui est continûment soumise à LA CONSCIENCE d’être la même personne ; par où tout homme se
possède et s’avoue lui-même>>.
John LOCKE.
<<Certi ricordi si accavallano, si urtano, si giustappongono…>>.
André GIDE.
W ou le souvenir d’enfance * di Georges PEREC. La
scrittura come la sola possibilità di accesso all’infanzia
perecchiana.
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Georges PEREC (Parigi 1936-Ivry 1982) e i fatti che
hanno segnato la sua vita.
Nella primavera del 1942, secondo Georges Perec, o nell’autunno del
1941, secondo altri, Cyrla Perec, ebrea di origine polacca,
accompagna suo figlio Georges di sei anni alla gare de Lyon di Parigi
e lo affida ad un convoglio interzona della Croce-Rossa che lo porterà
insieme ad altri ragazzi verso Grenoble.
Nel 1939, suo padre Icek si era arruolato nell’esercito francese per lottare contro l’invasione tedesca
ed era morto nel 1940 in seguito alle ferite riportate dopo lo scoppio di una mina. L’orfano di
guerra non rivedrà mai più anche sua madre che dopo aver vanamente tentato di passare nella
<<zone libre>> sarà arrestata a Parigi il 17 gennaio 1943 nel corso di un rastrellamento ed internata
per alcuni giorni nel campo di raccolta di Drancy per essere infine deportata l’11 febbraio ad
Auschwitz o in un altro
campo di sterminio da cui non
farà mai più ritorno.
Perec
che
certamente
ignorava il suo status di
orfano, visse nelle Alpi dal
1942 al 1945, dapprima a
Villard-de-Lans presso i suoi
zii Esther e David Bienenfield
e poi a Lans-en-Vercors con
sua nonna paterna, infine di
nuovo a Villard-de-Lans
presso sua zia Berthe, la
cognata di Esther.
Alla fine dell’estate del 1945,
Georges
Perec
lasciò
definitivamente Villard-deLans e andò ad abitare a
Parigi presso sua zia Esther e suo marito David Bienenfield cui era affidata ufficialmente la tutela
del piccolo Georges di nove anni. In seno a questa famiglia il piccolo Jojo trascorre momenti
positivi superando inevitabili problemi di adattamento anche grazie alle amorevoli attenzioni di Ela,
sua cugina, che più grande di età gli fa da sorella maggiore. Ora di là dal fatto certamente positivo
di aver vissuto in un ambito familiare accogliente e aperto è del tutto fuori dubbio che <<la brisure
de 1942>>, espressione usata da Claude BURGELIN nel suo <<Georges PEREC, Édition du
Seuil, coll. Les contemporains, Parigi, 2002, p.31>> ha profondamente segnato la vita dello
scrittore e le sue opere. Perec proverà sempre un sentimento di turbamento, all’idea di aver vissuto
un’esistenza spensierata nelle montagne svizzere mentre parallelamente sua madre era esposta
all’umiliazione, alla sofferenza e poi alla morte. È oppresso dalla vergogna di essere l’unico
sopravvissuto della sua famiglia e di non ricordare nulla, di non poter testimoniare niente di loro.
1
Nel 1958 Perec scrisse al suo amico Jacques Lederer questa terribile frase ( Paulette Perec,
Portraits de Georges Perec, BNF, 2001, p.15) che rivela il suo terribile stato di mancanza:
<<Il valait mieux en fait crever à Auschwitz qu’en revenir>>.
Ripercorrere a ritroso il suo cammino per recuperare la sua infanzia, raccontare con il peso di
un’indicibile assenza le paure del passato, e soprattutto cercare d’immaginare le vite e le sensazioni
che l’assenza ha reso mute, questo è l’obiettivo cui tendere, la missione che Perec assegna alla sua
scrittura. Il filo sottile, sinuoso e fragile di questa ricerca dell’identità si coglie in modo particolare
in W ou le souvenir d’enfance.
W ou le souvenir d’enfance: una autobiografia atipica?
Nel 1967 è pubblicato L’homme
qui dort, e Georges PEREC
comincia già a lavorare alla sua
opera
più
sconcertante,
La
Disparition, un romanzo scritto
interamente senza la lettera <<e>>,
la più frequente della lingua
francese. Il procedimento con il
quale uno scrittore si priva di una o
più
lettere
si
chiama
<<lipogramma>>. L’interesse di
Perec per simili strutture rare e
difficili lo avvicinò all’<<Ouvroir
de
la
Littérature
Potentielle>>(OuLiPo) nel quale venne
accolto nel 1967, per lui fu un
avvenimento importante tanto che dirà
in seguito di considerarsi un prodotto
dell’OuLiPo, associazione fondata nel
1961 da François Le Lionnais e
Raymond Queneau che si consacrava
alla creazione e alla riscoperta delle
cosiddette <<contraintes littéraires>>,
cioè delle forme e dei procedimenti così
perentori nelle loro pretese che nessuno
scrittore, utilizzandoli, poteva evitare di
sottomettere le proprie predilezioni alle
loro esigenze. L’OuLiPo ha così fornito
a Perec il luogo privilegiato in cui
sperimentare liberamente ogni genere di
esperienza fu la stesura, un decennio più
<<contrainte>>. L’esito di questa
tardi, de La Vie mode d’emploi che gli valse il Prix Médicis e che gli procurò un largo successo di
vendite.
Nel frattempo, Perec aveva abbandonato il romanzo, a eccezione dei Revenentes, complemento de
La Disparition, per produrre una serie di opere a carattere biografico: La Boutique obscure
(1973), trascrizione dei suoi sogni nell’arco di tre anni; Espèces d’espaces (1974), Tentative
d’inventaire des aliments solides et liquides que j’ai engurgités au cours de l’année (1974) in
cui Perec gioca con i codici dell’autobiografia e propone un modo originale di raccontarsi, Je me
souviens (1978), una sorta di elenco-litania di 480 ricordi in prosa e non per ultimo il più riuscito e
toccante W ou le souvenir d’enfance (1975). A questi testi occorre aggiungere La Clôture et
autres poèmes (1976) 1 raccolta di poesie di Perec pure autobiografica.
1
Questa pubblicazione è una sorta di cofanetto contenente diciassette poemi <<hétérogrammatiques>> redatti a mano
su fogli volanti di ottima carta non numerati e diciassette foto in bianco e nero della rue Vilin scattati da Christine
Lipinska.
I poemi di La Clôture… sono degli <<hétérogrammes>> di dodici lettere, <esartulinoc+1>, la lettera supplementare
poteva essere scelta liberamente a ogni verso. Diciassette poemi di dodici versi in cui ciascun verso contiene dodici
lettere danno un totale di 2448 caratteri. Bernard MAGNÉ formula l’ipotesi che questi numeri furono scelti perché nel
totale risulti il 24, rue Vilin, tema esplicito della maggior parte delle foto e metaforico dei poemi. Il titolo fa riferimento
alle chiusure dei siti delle case demolite della rue Vilin di Parigi. Ma per il biografo inglese D.Bellos la parola Clôture
è <un double adieu> (D.Bellos, op. cit., p.605) all’infanzia di Perec a Belleville, ai suoi vaghi ricordi, a sua madre
2
Di questi libri, W è senza dubbio il più efficace. Benché questo testo sia da inserire nel novero dei
libri autobiografici, c’è da riconoscere come scrive Zeinep MENNAN che l’autobiografia
perecchiana è profondamente atipica. In quest’opera che Perec stesso non definisce <romanzo>
l’autore giustappone al racconto autobiografico tradizionale un’avventura immaginaria. Perec
intreccia la realtà e la finzione, anche se il senso del libro non deriva né dall’una né dall’altra ma da
una fragile intersezione.
L’esistenza di Perec inizia da un vuoto, dalla perdita dei suoi genitori. Quest’assenza sarà
l’elemento che lo spingerà a scrivere per dare un valore alla sua vita segnata dal duplice dolore. La
Letteratura diventa così per lui il modo più idoneo per recuperare il percorso della sua infanzia
distrutta, il luogo dove ricrearsi una famiglia. È così che Perec nel 1975 decide di scrivere questo
libro autobiografico nel quale troviamo due testi apparentemente differenti l’uno dall’altro. Decide
di raccontare l’orrore e le sofferenze vissute da sua madre, dai suoi genitori, da sei milioni di ebrei
assassinati nei campi di sterminio, ricorrendo a un’allegoria del nazismo rappresentata dalla città
olimpica di W.
I capitoli impari della <fiction> si alternano con quelli pari e autobiografici. Il libro è diviso in due
grandi sezioni, separate da una pagina bianca dove sono iscritti tre punti sospensivi tra parentesi. Il
primo racconto, scritto in corsivo, è stato redatto da Perec durante la sua adolescenza e inizia come
un racconto di avventure. Il narratore, Gaspard WINCKLER, decide di svelarci il suo viaggio
sull’isola W. Dopo aver disertato durante una battaglia, non si sa quale, gli era stata data una falsa
identità per raggiungere la Germania, ma un giorno un certo Otto APFELSTAHL gli invia una
lettera perché vuole parlargli. Nel corso dell’incontro, il misterioso autore della lettera gli comunica
che il vero Gaspard Winckler, un ragazzo affetto da mutismo è scomparso nel naufragio dell’yacht
Sylvandre vicino alla Terre de Feu. La madre Caecilia, che aveva organizzato il viaggio per
favorire la guarigione del figlio, e gli altri passeggeri dell’imbarcazione erano stati tutti ritrovati
senza vita, risultava disperso soltanto il corpo di Gaspard 2. Otto Apfelstahl propone allora al
narratore di partire alla ricerca del probabile superstite. Il racconto di avventura si ferma lì. Per il
lettore questa chiusura è assai deludente poiché non sa se il narratore accetterà la proposta di Otto.
L’ultimo capitolo in corsivo della prima parte termina su di un’incertezza:
<<Je me tus. Un bref instant, j’eus envie de demander à Otto Apfelstahl s’il croyait que j’aurais plus de
chance que les garde-côtes. Mais c’était une question à laquelle, désormais, je pouvais seul répondre..>>
(W…p.83).
Il lettore può immaginare che il viaggio sia stato compiuto, ma in realtà ignora la sorte del bambino
e quella del narratore.
Cécile, di cui non ricordava più il viso. Attraverso la commemorazione visiva e verbale della rue Vilin, La Clôture dà
voce anche alla nostalgia della casa materna abbattuta e, con la loro forma, i poemi evocano sentimenti di Georges per
Catherine, <muse> della maggior parte della sua produzione <hétérogrammatique>.
2
I soccorritori argentini e cileni accorsi prontamente sul luogo del naufragio costatarono che il fissaggio
delle scialuppe di salvataggio non era stato sbloccato e che le cinque persone facenti parte dell’equipaggio
del Sylvandre erano tutte morte. Ma la morte più orribile fu quella di Caecilia, la madre del piccolo Gaspard,
trovata nella sua cabina, <<ses ongles en sang avaient profondément entaillé la porte de chêne>>
(W…p.81), schiacciata sotto il peso di un baule che le aveva probabilmente impedito di aprire la porta della
sua cabina. Del figlio nessuna traccia soltanto una grande confusione nella sua cabina. I sommozzatori non
trovarono nulla che si riferisse alla sua scomparsa, non il più piccolo indizio, del sangue, un indumento, una
scarpa. Nulla. Rimasero stupiti perché erano convinti che se il piccolo fosse stato sbalzato in mare, qualcosa
di lui avrebbero ritrovato sulle rocce degli scogli antistanti le coste cilene. Qualcuno avanzò l’ipotesi che il
bambino fosse stato abbandonato prima del sopraggiungere della tempesta e che, poi, vinti dal pentimento,
fossero ritornati sui loro passi facendo così entrare il panfilo nell’occhio del ciclone che aveva colpito la
fragile imbarcazione.
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Poiché la seconda parte di questa <fiction> inizia con la descrizione molto dettagliata ed
enciclopedica dell’isola di W, ma il narratore Gaspard Winckler sembra scomparire come il suo
omonimo. W è descritta come un’isola in cui lo sport è la disciplina praticata da tutti. La comunità è
divisa in quattro villaggi: W, Nord-W, Ovest-W, NordOvest-W. Fin dal suo inizio il narratore che
non usa più <io> non è più identificabile in quanto personaggio. Ci si chiede come il narratore abbia
acquisito tante conoscenze su questa misteriosa isola di W, come sia potuto penetrare in questa
realtà chiusa e con quale ruolo. Il racconto sembra prendere un’altra piega e la descrizione di cui
sopra non sembra avere alcun rapporto con i capitoli della prima parte. La voce narrante anonima
assolve il compito di illustrare lo spazio e il modo di vivere in questa misteriosa realtà, fa una
descrizione geografica, topografica e anche climatica dell’isola, elenca le diverse discipline
praticate sull’isola nelle varie competizioni quali le Atlandiade, le Olimpiade e le Spartakiade. Il
testo ha carattere informativo e illustrativo e la società di W sembra molto viva e dinamica mentre
nella prima parte del testo <fictionnel> Gaspard Winckler aveva annunciato al lettore la morte di
una civiltà dicendo: <<J’ai visité ce monde déreglé et voici ce que j’ai vu>>(W…p.14).
Il narratore analizza a fondo la portata sociale della vita a W e si pone come testimone diretto delle
abitudini, dei costumi di quel popolo, della gerarchia sociale, delle leggi e delle regole, dell’uso
delle espressioni e dei soprannomi che nel corso del tempo sono divenuti in un certo senso ereditari.
Affronta anche la questione delle origini raccontando in modo puntuale le diverse versioni
riguardanti la nascita di questa comunità al punto che a volte il testo sembra scientifico, simile a un
trattato, per l’estrema precisione con cui espone i dati numerici degli abitanti sulle discipline
sportive praticate apprezzate dal narratore. Questi apprezzamenti stridono con il racconto degli
orrori di questo mondo immaginario e crudele. Così è possibile leggervi per esempio:
<<On comprend aisément pourquoi..> (W..p.124) o <<Qui ne serait enthousiasmé par cette discipline
audacieuse, par ces prouesses quotidiennes..>>(W…p.92) o ancora <<C’est ici que l’on pourra apprécier à
quel système d’alimentation W s’insère d’une manière subtile dans le système global de la
société..>>(W...p.122).
La determinazione del narratore a sostenere questo sistema, in considerazione del principio di
autorità, é chiaramente percepibile quando si legge il capitolo XVIII. Vi si trovano, infatti, le scene
orribili e cruente delle gare, le crudeltà delle prove di selezione, l’esclusione dei vinti dalle feste o
dalle grandiose cerimonie di premiazione <<selon justice>>(W…p.125) dice il narratore,
manifestando così un certo consenso. Tuttavia assistiamo nel corso degli ultimi capitoli a un
cambiamento: quanto più la descrizione di questo disumano sistema si amplifica, tanto più la
denuncia di questo regime cresce.
Quando il narratore riferisce delle pene corporali che possono sfociare nella morte, sembra provare
un certo disagio, una crescente inquietudine di fronte alla diversità dei trattamenti riservati ai
vincitori e ai vinti e parla d’<<injustice systématique dans la vie de W>> (W…p.147). E via via che si
scoprono gli aspetti più violenti della vita nella comunità di W, numerosi indizi come la nudità
inflitta come un’umiliazione, le sfilate, le grandiose feste, le tute bianche degli atleti sulle quali è
disegnata una grande W nera, le interminabili sedute di rimproveri che sono costretti a subire,
l’acqua bollente o ghiacciata delle docce, i maltrattamenti, la violenza esercitata dall’uomo
sull’uomo, gli ordini in tedesco <<Raus! Raus!, Schnell! Schnell!>> inveiti dalle guardie, evocano
irresistibilmente il nazismo e in particolare il sistema concentrazionario messo in atto nei campi di
sterminio all’epoca della Seconda guerra mondiale. La descrizione dell’ideologia sportiva diventa
come Damien ZANONE l’ha ben precisato in un suo libro del 1996 <<una chiara parabola del
fascismo>>. Le misere condizioni di vita privano gli atleti della loro umanità. Il mondo di W è fatto
così per distruggere negli abitanti per quanto possibile quella che Isabelle DAGNY nel 2002
definisce <<la coscienza di essere creature umane>>. La scomparsa dei nomi a favore delle matricole
dimostra questo processo di decadenza così come la sottomissione ai maltrattamenti fisici e alle
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umiliazioni, l’obbligo per i vinti di prendere parte alle sfilate e a forme di parodie che <<tolgono alla
persona umana il rispetto che le è dovuto>> scrive ancora Isabelle Dagny.
L’ultimo capitolo del racconto <fictionnel> termina con un’immagine che fa chiaro riferimento
all’uso dei forni crematori durante la guerra:
<<Celui qui pénétrera un jour dans la Forteresse n’y trouvera d’abord qu’une succession de pièces vides,
longues et grises.., mais il faudra qu’il poursuive longtemps son chemin avant de découvrir, enfouis dans les
profondeurs du sol, les vestiges souterrains d’un monde qu’il croira avoir oublié : des tas de dents d’or,
d’alliances, de lunettes, des milliers de vêtements en tas, des fichiers poussiéreux, des stocks de savons de
mauvaise qualité..>> (W…p.218).
Ritorniamo adesso, come nel gioco dell’oca, al punto d’inizio dell’altro testo, quello autobiografico.
Scritto a caratteri romani, racconta l’infanzia dell’autore e raggruppa frammenti di ricordi confusi.
L’autore tenta di recuperare il percorso della sua lontana infanzia rievocando i suoi primi sei anni
quando i suoi genitori erano ancora in vita. I suoi ricordi sono volatili e frammentari e deve
ricorrere ad alcune foto ingiallite e a sprazzi di memoria lacunosi e incerti per descrivere
fisicamente i suoi genitori. A dispetto della sua debole memoria Perec sente il bisogno di
confrontarsi con la sua infanzia distrutta e cancellata dalla <<Histoire avec sa grande hache>>
(W..p.13) e attinge alle memorie degli altri, dei suoi parenti, soprattutto di sua zia Esther e di sua
cugina Ela. L’autore è certo che questa ricerca gli permetterà di svelare i segreti di questo periodo
dimenticato e vago della sua vita.
La prima parte del testo autobiografico come tutto il suo libro svela un’assenza: assenza dei ricordi,
dei genitori. Egli dice:
<<Je n’ai pas de souvenirs d’enfance. Jusqu’à ma douzième année à peu près, mon histoire tient en quelques
lignes: j’ai perdu mon père à quatre ans, ma mère à six; j’ai passé la guerre dans diverses pensions de
Villard-de-Lans. En 1945, la sœur de mon père et son mari m’adoptèrent>>. (W…p.13)
Il punto di partenza é contraddetto dalla presenza, nel testo, di ricordi dapprima rari, poi più
numerosi, spesso precisi fino a un eccesso di scrupolo. L’autore vuole sottrarre il passato all’oblio e
far rivivere lontani ricordi per ritrovare tracce smarrite e costruire tracce future. La scrittura aiuterà
così l’orfanello Perec a definire alcuni frammenti di vita sottratti al vuoto:
<<..j’écris parce qu’ils ont laissé en moi leur marque indélébile et que la trace en est l’écriture>> (W..p.59),
Evocando i suoi genitori, Perec afferma:
<<..l’écriture est le souvenir de leur mort et l’affirmation de ma vie>> (W.. ibidem)
Dando senso alla sua vita, la scrittura e la memoria si confondono :
<<Le projet d’écrire mon histoire s’est formé presque en même temps que mon projet d’écrire>> (W…p.41).
Così si spiegano le due costanti del progetto autobiografico di Georges PEREC: precisare i ricordi
incerti sulla base delle foto di suo padre e di sua madre, di testimonianze e di altri documenti e
approfondire i ricordi di cui ecco un esempio: il narratore credeva di avere, frequentando la scuola
comunale, tre ricordi ma in fase di scrittura ne recupera un quarto, <<celui des napperons de papier
que l’on faisait à l’école>> (W..p.76, Note n°1), benché questi non avessero alcun rapporto tra di loro.
Dal terzo capitolo in poi le indicazioni dei riferimenti biografici (la data di nascita, il nome di
Georges, il paese di origine dei suoi genitori, l’evocazione dell’invasione della Polonia da parte
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della Germania di Hitler, la citazione degli avvenimenti sui giornali e quotidiani, la descrizione
delle foto dei suoi genitori che il narratore possiede mostra una continua progressione.
Questa prima serie di brevi episodi autobiografici termina con l’evocazione dei luoghi dove viveva
con la sua famiglia e dove lavoravano i suoi genitori, con la descrizione delle foto di sua madre con
lui accanto e con il ricordo della sua partenza per il Vercors; in altre parole, con la separazione
definitiva da sua madre alla gare de Lyon nel 1942 (?), il solo ricordo nitido che Perec aveva di lei.
Il passaggio dalla prima alla seconda parte avviene per il tramite di una pagina bianca con tre
puntini di sospensione al centro della pagina e tra parentesi. Questa punteggiatura che equivale a un
vuoto, a un silenzio, a una perdita, associando la figura della madre a un’assenza, segna una frattura
netta: la scomparsa della madre corrisponde alla fine di un’epoca. L’articolatore temporale,
<<Désormais>> (W…p.93), che è la prima parola del primo capitolo del racconto autobiografico(
seconda parte del libro), mostra chiaramente che l’orfanello Perec sta per vivere in un’epoca
caratterizzata da <<son absence de repères>> (W…p.93). In questa parte sono riportati altri ricordi
inerenti al tempo in cui viveva con sua madre, ma questi <<souvenirs sont des morceaux de vie
arrachés au vide>> (W…Ibidem).
Circa i ricordi del periodo di Villard-de-Lans, la località in cui si era rifugiata la sua famiglia
adottiva, sono presenti quelli della <<home d’enfants>> (W..p.117) in cui Georges era stato
collegiale, quelli del suo soggiorno al Collegio Turenne chiamato anche <<le Clocher>> e <<dirigé
par des soeurs vêtues de longues robes grises et portant à la ceinture d’énormes trousseaux de clés. Elles
étaient sévères et peu inclines à la tendresse>> (W…p.125), e del suo battesimo (un giorno d’estate del
1943) segnati da un’incertezza di fondo <<C’est peut-être en cet hiver- là que…>>, <<je ne sais pas si
j’ai vraiment vécu cet incident-là ou si j’ai tout inventé ou emprunté>> e ancora <<Cet évanescent souvenir
pose des questions auxquelles je n’ai jamais su donner des réponses claires>> (W…p.161).
Infine, dopo la Libération, il piccolo Georges fa ritorno a Parigi per vivere oramai con la sua
famiglia adottiva in rue de l’Assomption. Perec evoca diversi episodi riguardanti le sue letture, le
sue passeggiate e la visita alla mostra sui campi di concentramento dal lato di La Motte-PicquetGrenelle in cui il lettore ritrova, nei<<murs des fours lacérés par les angle des gazés>>(W..p.213) una
eco dell’agonia di Caecilia Winckler, e nel <<jeu d’échecs fabriqué avec des boulette de pain>> un
equivalente dei giochi premonitori <<en mie de pain>> di W (W…ibidem). Nell’ultimo capitolo del
libro sono evocati non soltanto i disegni degli adolescenti in quanto<< sportifs aux corps rigides, aux
facies inhumains>> (W..p.219) ma anche, riportando una citazione presa da L’Univers
concentrationnaire di David ROUSSET, le funzioni e la caricatura dello sport nei campi di
sterminio nazisti durante la Seconda guerra mondiale.
La prima parte del testo autobiografico sembra interrogare il passato, togliere la nebbia ai ricordi
indistinti mentre la seconda parte è orientata piuttosto verso il futuro.
A dispetto della sua affermazione posta all’inizio del libro <<Je n’ai pas de
souvenirs d’enfance>> (W..p.13), Perec cerca di rivivere per il tramite di diversi
documenti le tracce del suo passato cancellato. La scrittura autobiografica tenta di
unire i due racconti (quello autobiografico e quello immaginario) che si alternano
a vicenda in un’ideologia tematica: lo scrittore si rappresenta con l’aiuto di
parecchi personaggi, divenendo nel contempo il narratore del racconto
autobiografico e l’alter ego di Gaspard Winckler, il narratore del racconto
<<fictionnel>>. Le due voci narranti si somigliano per molti aspetti. Esse
appartengono a due orfani che hanno lo stesso scopo: ritrovare le tracce delle
persone scomparse. Tutte e due sono state accolte da parenti e tutte e due hanno a lungo esitato
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prima di impegnarsi nella realizzazione della loro missione che altro non è se non la scrittura della
storia sul loro modo di approcciare la vita. Perec ricuce i fili spezzati che lo collegavano all’infanzia
e di cui dice di non sapere dove si sono rotti, l’accento è posto particolarmente sui vuoti della
memoria. Sembra che Perec adotti un atteggiamento critico oggettivo e nello stesso tempo ricorra
all’immaginario che serve a completare ed approfondire la sua storia personale. Grazie a questo
espediente ha potuto esprimere senza cadere nel patetico l’indicibile che non è soltanto tutto ciò che
non si può dire o pensare in modo consapevole, ma anche l’intollerabile orrore dei campi di
sterminio.
Il libro di Georges PEREC è quindi un’autobiografia atipica per la sua inconsueta struttura. La sua
autenticità risiede tanto nella sua particolare struttura quanto nel suo senso: la dimensione collettiva
di una storia personale che è incentrata sul fatto di non aver mai veramente conosciuto sua madre.
La sua scrittura è dunque da considerare come l’unica risposta a quest’assenza, inquadrata in una
storia ancora più grande, la Seconda guerra mondiale, rappresentata nel libro dall’isola di W, che ha
profondamente sconvolto l’equilibrio psico-affettivo di milioni di persone, di milioni di <<piccole
storie>> che non sono state vissute in modo umano e solidale.
Così i due testi che compongono W ou le souvenir d’enfance, sulle prime, sembrano radicalmente
differenti ed è lecito chiedersi perché Perec abbia deciso di raggrupparli in un unico libro, ma se li
esaminiamo minuziosamente e da vicino diventa evidente che sono indissociabili. È l’autore stesso
che rivela il tema che li tiene legati: la dittatura. Infatti, se W è dapprima presentata come un’isola
ideale e utopica, diventa man mano una contro-utopia, una comunità in cui gli sportivi sono
torturati, uccisi, affamati e privati della loro identità fino a non essere chiamati con il loro vero
nome ma con i loro titoli. Nella società di W siamo alla presenza di una selezione fin dalla nascita;
le ragazze sono brutalmente uccise per lasciare più spazio ai maschi, poi sono tenute chiuse perché
utili alla riproduzione. Gli atleti che Perec adolescente ha disegnato sono scarnificati, scompaginati,
i loro visi scheletrici e disumani. È del tutto evidente il legame con il nazismo di cui la famiglia di
Georges è stata una delle numerose vittime. Esistono numerose similitudini tra Gaspard Winckler (il
vero come il falso) e Perec. Il vero Gaspard è muto e questo ricorda il silenzio dell’entourage di
Georges sulla scomparsa della madre e rimanda alla
situazione di blocco che lo scrittore francese ha provato nel
momento di scrivere il suo capolavoro. Cyrla Perec e
Caecilia Winckler hanno tutte e due sacrificato la loro vita
per salvare il loro unico figlio, lasciandoli come
abbandonati. Il narratore, il falso Gaspard, è orfano di
padre così come Perec. Il vocabolario della sofferenza
costella tutto il libro sia che si tratti degli atleti torturati o
del giovane Perec che immagina di aver avuto diverse
ferite, un braccio fratturato o un intervento ad un’ernia.
W ou le souvenir d’enfance è certamente un racconto
autobiografico ma nel contempo un’autobiografia vera e
falsa in cui i ricordi del piccolo Georges non sono mai certi
e completi, a volte sono acquisiti da altri personaggi a lui
vicini ma riportati con inesattezze. Sono dei frammenti,
delle ipotesi a volte incoerenti, degli aneddoti
apparentemente poco indicativi ma che in verità appaiono
più veri dei racconti ben strutturati di Jules VALLES o di
J. J. ROUSSEAU.
Georges PEREC non nasconde la difficoltà di scrivere su
di sé e sulla sua infanzia lontana e distante segnata dalla guerra e dal trauma subito. W raggruppa
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due testi radicalmente diversi sul piano della scrittura. Si potrebbe definire W come il racconto
crudo di una società immaginaria ma con una punta d’ironia, è un disordinato assemblaggio di
ricordi che comunque si tengono insieme. Non si può restare impassibili di fronte a un testo la cui
intensità drammatica è sempre di più alta in una tragedia classica di Jean RACINE dove il momento
di maggiore intensità emotiva e drammatica si situa nelle ultime frasi, nelle ultime parole.
Certamente W ou le souvenir d’enfance
si serve della <<fiction>> per far passare
potuto immaginare. Non potendo
utilizza la distanza tipica della
che ha segnato una parte della sua
è un nuovo modo di scrivere di sé. Esso
ciò che nessuna mente umana avrebbe
scriverla frontalmente Georges PEREC
<<fiction>> per far conoscere il trauma
infanzia, della sua vita.
Con W Perec non fa una semplice lettura
della sua vita ma scrive o meglio riscrive
una storia, la sua storia, facendo appello
come <<source>> a due racconti
narrativi intrecciati, l’uno fittizio, l’altro
autobiografico. Il primo dei testi è il
rovescio o lo specchio dell’altro. È perciò che W è il risultato di una decostruzione che Perec ha
operato su di sé. È il tentativo da parte dello scrittore di mettere un po’ di ordine all’interno di più
vite demolendo impalcature di sostegno che le tenevano nascoste. È fare apparire il vuoto con la
scrittura mettendo al centro della sua esistenza la scomparsa dei suoi genitori ancora più inquieta
perché non è stata detta, ancora più strana perché non é stata capita e rappresentata. Ma Perec
colmerà il suo vuoto, anche se gli accadrà ancora di smarrirsi, di fuggire e tutto ciò sarà raccontato
nel film per la televisione Les Lieux d’une fugue, un film che collega più intimamente il ricordo
agli oggetti e ai luoghi ritrovati.
Le due storie sono dunque come due quadri che formano un dittico e Perec solleva lentamente una
sorta di lenzuolo che li ricopre, riempie come è sua abitudine il suo racconto di dettagli, di segni, di
simboli (come quando ricorre al segno della croce per spiegare l’W fittizio o quando sotto la sua
penna trasforma l’X in crocefisso, in svastica), di riferimenti indeterminati e vaghi, di digressioni.
Alla fine questo modo di procedere, questa sorta di contiguità tra il reale e il fittizio, tra il ricostruito
e il decostruito, tra la memoria e l’immaginazione, permette a PEREC di superare le sue incertezze.
Philippe LEJEUNE
distorsioni.
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e la genesi di W ou le souvenir d’enfance, tappe, dubbi e
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Sulla questione sempre aperta e interessante della genesi di W ou le souvenir d’enfance, lo
studioso e critico letterario Philippe LEJEUNE che già in un suo precedente studio sul testo
perecchiano, La Mémoire et l’Oblique del 1991, aveva osservato alcune incongruenze o
distorsioni, ritorna su alcune parti del libro di Perec che se non proprio misteriose certamente
appaiono oscure e contraddittorie.
Sappiamo che lo scrittore Perec aveva bloccato la pubblicazione del suo W già in parte apparso
sulla rivista diretta dallo scrittore Maurice NADEAU. Aveva elaborato un piano audace e
sofisticato che consisteva nell’alternare tre serie di testi: i capitolo di W, i ricordi d’infanzia e ciò
che chiamava <<intertexte>>, una serie di capitoli che ripercorrevano la storia del rapporto con la sua
infanzia e della scrittura del libro stesso. Aveva steso un inventario dei suoi ricordi d’infanzia e
iniziato la ricerca di documenti ma inciampava in qualcosa che gli impediva di proseguire.
3
Teorico della Letteratura e studioso di Georges Perec e grande specialista dell’autobiografia fantastica Philippe
LEJEUNE è autore di pubblicazioni imponenti quanto fondamentali quali: 1)Georges Perec autobiographe, Édit.
P.O.L., Coll. <<Essais>>, Paris, 1991; 2) La Mémoire et l’Oblique, Paris, 1991 e 3)Le pacte autobiographique, Édit.
Du Seuil, Paris, 1996.
8
Ma agli inizi del 1975 Georges PEREC era più fiducioso, aveva finito di scrivere il suo testo redatto
secondo un piano diverso. Delle tre serie previste ne restavano due: la <fiction> W e i ricordi
d’infanzia, l’intertesto era stato cancellato per lasciar posto al confronto tra i due testi.
Qualcosa d’importante, suscettibile di modificare atteggiamenti e situazioni, era certamente
intervenuto. Ma cosa era successo di preciso tra il 1971 e il 1974, nel momento in cui Perec aveva
scritto la versione definitiva del libro? Impossibile rispondere a questa domanda che intriga il critico
francese Lejeune anche perché il manoscritto della scrittura definitiva era scomparso. Lo studioso
avrebbe voluto sapere se l’idea di passare da tre serie a due fosse la causa o la conseguenza della
sua ritrovata tranquillità.
A fronte di tante indeterminazioni non c’è che una sola certezza e cioè che la redazione finale del
racconto ebbe luogo nel 1974 perché è lo stesso Perec che lo precisa in uno dei suoi testi dei Lieux
(n°115).
Certamente doveva esserci stato un rapporto tra la scrittura definitiva di W e le sedute di psicanalisi
con Jean-Bertrand Pontalis. Philippe Lejeune ne è molto convinto e lo afferma nel suo saggio La
Mémoire et l’Oblique quando scrive che :
<<Il y a une certaine analogie entre le mouvement de <<destruction>> qui, au cours de l’analyse a permis
à Perec d’avoir accès à son histoire et à sa voix, et le geste de suppression ou de simplification qu’il effectue
sur le projet complexe conçu en 1970>>.
Nel riprendere lo studio a suo tempo iniziato Lejeune prende in analisi alcune tracce spesso
enigmatiche ma anche parziali sulle quali elaborare ipotesi meritevoli di attenzione in attesa che il
possibile ritrovamento di ulteriori documenti le confermasse o contestasse.
Un primo nuovo elemento è rappresentato da una lettera di Georges Perec a Maurice Nadeau datata
l’8 marzo 1973, il giorno dopo il suo compleanno (compiva trentasette anni). Ecco il testo
completo:
Cher Maurice Nadeau,
je vais bientôt reprendre-et finir-: depuis trois ans la nécessité s’en faisait sentir mais ce n’est que depuis
très peu de temps que la possibilité s’en fait jour. Avec les numéros de la Quinzaine et mes manuscrits j’ai
pu reconstituer la presque totalité du feuilletton (ou feuilleton ?). Mais il me manque un épisode qui, si mes
souvenirs sont exacts, était trop long et a été reparti entre les nos 90 et 91 de la Quinzaine.
Peux-tu donc me faire renvoyer ces deux livraisons de la Quinzaine. Je t’en remercie à l’avance.
Amitié
G.
L’analisi di questa lettera mostra che, nel marzo 1973, due anni dopo l’inizio del trattamento
psicanalitico (maggio 1971), Georges PEREC supera le sue inibizioni, riacquista più equilibrio e
serenità tanto che riprende la stesura di W e la porta a termine. Nella sua agenda, G.Perec annota
che spesso si chiede nel corso delle sedute da Pon (Pontalis) se quegli incontri potessero essere gli
ultimi. Nel 1973 è in atto un cambiamento che vede Perec in grado di avviare un lavoro di revisione
e di riscrittura di una parte sensibile del libro(riscrive i vecchi testi sui suoi genitori). Ma Perec non
ha fretta. È impegnato in altri progetti, in particolare nelle riprese del film Un homme qui dort
tratto dal suo omonimo libro. Appare però ancora incerto circa la realizzazione del grande progetto
autobiografico (Lieux è messo da parte nel 1973 e sarà ripreso solo nell’autunno del 1974). I sedici
mesi che separano marzo 1973 dall’agosto 1974 sono un periodo di <<veille stratégique>>.
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Quando il 14 agosto del 1974 parte per una vacanza (una settimana) a Blévy nella casa di campagna
della famiglia Bienenfeld vicino a Dreux, in sette giorni dal 15 al 21 agosto termina la fase
preparatoria di W scrivendo a mano su di un quadernone, ma una volta terminato questo lavoro può
finalmente pensare a riposare la mente e il corpo. Il 22 agosto Perec la dà da leggere a Lili (Ela
Bienenfeld) e rientra a Parigi, anche se prova difficoltà a scrivere l’inizio della seconda parte, molto
probabilmente il capitolo XIII che completa il 1° settembre. Il 9 settembre abbandona
provvisoriamente la redazione della seconda parte per ricopiare il lavoro già fatto cosa che si risolve
in sette giorni dal 9 al 15 settembre. In altre parole Perec dattilografa su fogli liberi ciò che era
scritto sul quadernone manoscritto. Quest’attività di riscrittura non è per Perec una semplice
operazione tecnica, la minuziosità con la quale l’autore ne annota la progressione mostra la sua
importanza. Quattro giorni dopo la fine della riscrittura Perec rilegge quanto ha copiato, ha bisogno
di rassicurarsi giacché dopo aver trascorso una settimana di calma a Blévy, ritornato a Parigi, trova
che la difficoltà e il disagio di un tempo si sono manifestati di nuovo. Il 21 settembre egli annota,
infatti, di non essere riuscito a scrivere niente per W. Dal 28 settembre all’11 novembre Perec
riprende il suo progetto compatibilmente con le oscillazioni del suo umore. Perec continua a
scrivere a mano sul quadernone e la definitiva scrittura del libro finisce l’11 novembre e nel
frattempo muore sua zia Esther, il 13 novembre. Ricopia in quattro giorni la seconda parte di W e il
18 novembre scrive di aver consegnato W a Nadeau in rue Malebranche.
C’è da osservare che quando Perec arriva a Blévy il 14 agosto il progetto di W che prevedeva tre
serie era quello stabilito dall’autore. Quando riparte il 22 agosto, il piano in tre parti è cancellato. Il
28 settembre Perec elaborerà un nuovo piano più curato per la seconda parte ed è a Blévy,
probabilmente in più volte che Perec baderà a cancellare e a modificare elementi e descrizioni già
utilizzate riducendo il testo a due serie, la storia che ora leggiamo.
Contemporaneamente Georges PEREC ha appena finito di scrivere Espèces
d’espaces e anche il progetto W è pronto a decollare.
L’intera settimana di vacanze a Blévy fu dunque una parentesi opportuna, un periodo
proficuo di riposo, un tuffo nella calma dell’atmosfera familiare in compagnia di sua
zia Esther e di Lili. Una sorta di rifugio in uno spazio protetto. Georges occupa al
primo piano la stanza di Esther che già molto malata è sistemata da sua figlia Lili al
pianterreno. Perec che ha ben ordinato le sue cose su di una grande tavola posta vicino alla finestra
che dà sul giardino alterna il suo intensivo lavoro con letture, giochi e attività di innaffiamento nel
giardino. Stanco si mette a dormire in ore tarde della notte.
Durante questa settimana lo scrittore si convince della necessità di ripensare il piano del suo
racconto passando da un sistema ternario a quello binario. Nel raccontare i suoi primi due ricordi, si
rende conto che sono confusi e incerti e che sarebbe stato più conveniente rivedere l’organizzazione
interna del libro. Tornato a Parigi molto probabilmente l’autore prende atto della ricomparsa della
depressione che nel settembre 1970 lo aveva colpito provocandogli un insopportabile fenomeno
inibitorio. Anche se Perec annota che il lavoro di revisione presenta difficoltà d’organizzazione, il
suo progetto avanza, si è arricchito di ventisei note scritte a Blévy su doppi fogli strappati al centro
da un quaderno di scuola a grandi quadri. Le note sono ben costruite con aggiunte e rettifiche in
serie fatte con inchiostro nero e a matita. Si trova in allegato una ricostruzione più attenta del lavoro
fatto sull’ultima nota, la n° 26 del capitolo VIII di W che, a giusta ragione, secondo Philippe
Lejeune, è considerata il centro del libro e il centro della vita di Perec. Essa è senza dubbio la più
importante, è quella in cui Perec esita sul luogo della deportazione e di morte di sua madre:
Auschwitz o Ravensbrük?
Il manoscritto di W è stato ritrovato dopo che era stato venduto all’asta nel novembre del 1975.
Georges PEREC l’aveva dato a Maurice NADEAU scrittore, editore, collaboratore e fondatore dal
1966 per la vendita i cui proventi sarebbero andati alla rivista bimensile stessa La Quinzaine
10
littéraire, insieme ad altri documenti (otto pagine di quaderno datate marzo 1948, un inizio di
scrittura scolastica sulla neve, seguito da sette pagine di disegni che rappresentavano figure di
sportivi, profili, teste e persino uno scheletro e alcuni brevi testi che mostravano come il giovane
Georges organizzasse le gare nella sua isola W e una bella copia dei Lieux d’une fugue e ancora
altri inediti).
Questo ricco lotto era stato comprato da un collezionista svedese, Carl-Gustav Bjurström. David
BELLOS seppe del fatto nel novembre del 1996 nel corso di una cena organizzata a Oslo in
occasione della traduzione in lingua norvegese di La Vie mode d’emploi fatta dallo stesso
Bjurström che gli consegnò una copia del manoscritto. In un primo tempo, David BELLOS credette
di trovare nel documento ricevuto alcuni indizi a sostegno della tesi che aveva esposto nella sua
monumentale biografia consacrata allo scrittore francese e cioè che Georges PEREC avrebbe
volontariamente truccato e falsificato i suoi ricordi d’infanzia4. In un secondo momento, nel corso di
una tavola rotonda organizzata dall’Association Perec a Parigi il 5 giugno 1999, David Bellos
riconobbe di essersi sbagliato. Dispiace comunque che la sua biografia continui a riportare questo
errore che dà una falsa idea del progetto di G. Perec. Nel 1997 il signor Bjurström donò la sua
collezione, tra cui i manoscritti Perec, alla Biblioteca regale di Svezia a Stockholm e nel 1998, Ela
Bienenfeld ricevette dalla Biblioteca una copia della donazione che anche Philippe Lejeune poté
leggere in occasione di un viaggio in Svezia che fece nel settembre del 2001.
Il documento è importante, assolutamente necessario per comprendere la genesi di W, la
disposizione e l’impaginazione, il <<collage>> dei documenti, e per distinguere le parti sulle quali
l’autore era intervenuto.
Philippe LEJEUNE, noto critico e specialista del genere autobiografico, auspica la pubblicazione di
un’edizione critica del manoscritto e degli avantesti. Uno studio che riguarda l’origine e la struttura
della parte <fiction> di W è stato già proposto da Delphine GODARD nella sua tesi di dottorato in
Letteratura francese sostenuta nel 1977 dal titolo <<L’identité en question. Une lecture de W ou
le souvenir d’enfance>> che aveva elaborato un inventario degli avantesti allora disponibili (i
dossiers N°71 e 116 della fondazione privata Georges Perec). Adesso possediamo l’insieme dei
documenti del puzzle. La raccolta-dati conservata a Stockholm permette di seguire in modo più
puntuale la progressione generale e la realizzazione del testo W.
È da augurarsi altresì che un’edizione critica globale sia messa quanto prima a disposizione di un
pubblico sempre più esigente e interessato a che si sviluppino studi e approfondimenti come quelli
acuti e pertinenti di Bernard MAGNÉ, teorico e abile oratore particolarmente attratto da G. Perec e
dai suoi scritti, in particolare da W ou le souvenir d’enfance.
Lo stesso Ph. LEJEUNE riconosce, dopo aver spulciato l’agenda 1975 per seguire le tappe della
pubblicazione di W, che il vuoto rilevato in Perec tra il 1971 e il 1974 nel suo studio del 1991 di
fatto non c’era e che in quel periodo la redazione finale di W era già in via di svolgimento. Dal 12
agosto alla fine di dicembre 1975, difatti Perec riporta nel suo taccuino in maniera dettagliatamente
continua, le varie tappe del suo progetto autobiografico.
La revisione delle parti che il critico letterario ritiene <<mostrueuse>> ha secondo l’autore de Le
Pacte autobiographique due conseguenze sul ritmo del libro. Sul piano generale la nuova struttura
impone il passaggio al sistema binario, sul piano testuale, introduce un’irregolarità che colpisce.
L’estetica del testo a puntate suppone non soltanto una periodicità regolare ma fascicoli di formato
equivalente. La <fiction> è tarata in unità di circa quattro/cinque pagine. È un racconto assertivo e
lineare che non comporta alcuna soppressione di commento, meta discorsi o note. A questo
racconto regolare e semplice la nuova organizzazione binaria metterà a confronto un testo (quello
autobiografico) irregolare e complesso almeno nella prima parte, poi il gioco ritornerà uguale.
4
Cf. David BELLOS, Georges Perec, une vie dans les mots, Édit. Du Seuil, Paris, 1994.
11
Calma piatta dal lato <fiction>, tempesta e animazione dal lato dei ricordi che chiuderanno la prima
parte con puntini di sospensione tra parentesi.
In altre parole, alla regolarità un po’ meccanica del piano strutturale iniziale, si sostituisce un sottile
e variabile gioco tra regolarità e irregolarità. A riprova di questo discorso segnaliamo il capitolo
VIII che alimenta problemi di comprensione e confusione. Il testo è eccessivamente sovraccaricato
tanto da suscitare difficoltà trasformandolo in una sorta di labirinto.
Lo stesso Philippe LEJEUNE confessa di aver avuto bisogno di qualche tempo per fugare un
piccolo stato confusionale e che, solo dopo la consultazione del manoscritto a Stockholm e il
confronto con altri documenti conservati a Parigi, è stato in grado di risolvere i suoi molteplici
dubbi e d’indicare le incoerenze e incertezze rimarcate nel libro.
Con riferimento alla scena cruciale della separazione definitiva del piccolo Jojo dalla madre alla
gare de Lyon di Parigi inserita da Perec nel capitolo VIII di W e descritta con estrema concisione,
c’è da osservare che la descrizione dell’avvenimento che Philippe LEJEUNE giudica <<le centre du
livre et le centre de l’histoire>>5 lascia il lettore e anche gran parte della critica universitaria alquanto
nel dubbio. Il noto studioso dell’intera opera di G. Perec, Ph. Lejeune, contesta infatti e in modo
deciso l’esattezza di due fatti. Perec scrive sui tempi de <<La brisure>> che segna il doloroso
distacco di Georges dalla madre <<C’était en 1942>> (W..p.48).
Per Philippe Lejeune questa data è falsa e precisa a proposito dell’avvenimento :
<<Georges Perec et sa mère n’étaient pas venus seuls à la gare de Lyon. Cécile était accompagnée de sa nièce Bianca
LAMBLIN. Selon cette dernière, G. Perec se trompe en situant en 1942 ce départ, qu’elle situait plutôt à l’automne
1941>> 4
Sulla base di questa importante testimonianza é affermato che le circostanze ricordate e riportate nel
testo non sono vere e che i fatti risultano alterati se non distorti.
Il secondo frammento testuale mette l’accento su due elementi situazionali legati a questa partenza:
il braccio ingessato di Georges e l’acquisto di un fumetto, indicato questa volta senza esitazione con
il nome di <<un Charlot>>.Nell’avantesto del 5 marzo 1970 si precisa che il fumetto aveva come
titolo <<Charlot parachutiste>>.
Sul primo elemento che fa esplicito riferimento a un problema di salute, c’è da notare che in una
successiva versione di W troviamo che <<un bandage herniaire>> si è sostituito all’espressione
<<bras dans le plâtre>> e nel paragrafo preliminare del capitolo VIII si fa menzione d’<<un bras en
écharpe>>, precisando in modo risoluto che nessun arto è rotto e che la madre aveva acquistato al
figlio un <<Charlot>>. Infine nel lungo testo dal titolo<<Le Départ>> che conclude il capitoloX,
l’ultimo della prima parte di W, Perec ritorna sulla situazione appena evocata e sostiene che la
presenza d’<<un bras en écharpe>> è giustificata dalla natura del viaggio, un convoglio organizzato
dalla Croce Rossa per scopi umanitari. Ma subito affermato, l’argomento è smentito: nessun<<bras
en écharpe>>, né evacuazione di feriti. É allora che è introdotto un ipotetico riferimento a <<un
bandage herniaire>>. C’è stata una lunga e appassionata polemica per determinare quando, dove e
come G. Perec fu operato di ernia e anche di appendice.
Ricapitolando, la data della partenza è sbagliata, le circostanze falsificate, gli avvenimenti inventati.
A ciò Philippe Lejeune aggiunge che la mistificazione realizzata è sgradevole e grossolana.
Come rileva il critico letterario:
5
Cf. Philippe LEJEUNE, La Mémoire et l’Oblique, op. cit., p.83.
12
<<(…) est-il possible qu’on vende à la gare de Lyon, en 1942, un illustré représentant Charlot
parachutiste? Chaplin est l’auteur du Dictateur (1940), l’Allemagne est en guerre avec les États-Unis depuis
décembre 1941, et les parachutistes ennemis n’ont jamais bonne presse…>> 6
In modo abbastanza chiaro, Perec, entusiastico sostenitore de l’OuLiPo, ha fatto sua la regola del
ricorso a una forma di devianza, <<la contrainte>>, per confondere ancor più le piste. È noto che il
convoglio della Croce Rossa era diretto a Grenoble mentre il giovane Jijo stava andando
incontestabilmente a Villard-de-Lans.
E allora è lecito chiedersi quale collegamento possa esserci tra la scena di separazione da sua madre
e il suo primo salto col paracadute avvenuto all’epoca del servizio militare. È Georges PEREC
stesso che risponde scrivendo in basso alla nota n°26, l’ultima del capitolo VIII:
<<Ma mère n’a pas de tombe. C’est seulement le 13 octobre 1958 qu’un décret la déclara officiellement
décedée, le 11 février 1943, à Drancy (France)>> (W…p.57).
La figura della madre di Perec appare poco consistente in seno a questa dolorosa scena e in questo
capitolo VIII mentre il bambino, invece, é onnipresente nel tentativo di riallacciare i fili della sua
vita. Il capitolo IV parla di fili che si sono rotti o più precisamente c’è un filo, quello del racconto,
che collega questi fili che si sono lacerati. Dunque:
<<Je ne sais pas où se sont brisés les fils qui me rattachent à mon enfance>> (W…p.21).
Infatti, è in seno a questa <<coupure>> che si dissolve Gaspard Winckler 7, peraltro personaggio
ricorrente nell’opera di Perec e che, da Le Condottiere alla Vie mode d’emploi, rappresenta il
falsario, il manipolatore e il falsificatore.
6
Cf. Philippe LEJEUNE, ibid., p.82
Nel 1960 Gaspard WINCKLER è un pittore falsario. Nel 1975 Gaspard WINCKLER è un bimbo sordomuto. Nel
1978 Gaspard WINCKLER è un artigiano che fabbrica cinquecento puzzle. Ma Garspard WINCKLER, chi era costui?
E appurato che sia soltanto un personaggio inventato da Georges Perec, come si spiega la sua presenza simultanea in tre
romanzi diversi, in vesti diverse eppure caratterialmente affini? Perché quel cognome con quella W iniziale che dà
addirittura il titolo a uno dei tre libri, W ou le souvenir d’enfance, che torna come pezzo finale dell’ultimo irrisolto
puzzle di Bartlebooth, La Vie mode d’emploi ? E se Perec condividesse con Italo Calvino l’idea che scrivere fosse
come nascondere qualcosa in modo che poi fosse scoperto? (Ne La Disparition (1969) Perec fa sparire la lettera
<<E>> che ricompare nella dedica anteposta al libro successivo, appunto W ou le souvenir d’enfance).
Ma andiamo per ordine cronologico e vediamo che Gaspard WINCKLER appare per la prima volta nel romanzo breve
Le Condottière per sparire infine nel modo più assurdo per un manoscritto: chiuso in una valigetta di cartone pressato
smarrita durante un trasloco. Perec morì credendo perduto per sempre quello che in W definisce come il primo romanzo
che era riuscito a scrivere e che non aveva potuto pubblicare (il manoscritto rifiutato dalle edizioni du Seuil ma
accettato da Gallimard è poi inspiegabilmente bocciato tanto che Perec aveva deciso di accantonarlo con l’intenzione di
riprenderlo in futuro). Il manoscritto non originale (una copia dimenticata) fu difatti ritrovato in una remota scansia in
casa o nella cantina del giornalista de l’Humanité, Alain Guérin.
Ne Le Condottière Gaspard WINCKLER è un falsario geniale che non riesce a rifare un Antonello da Messina e che,
in seguito a quel fallimento, è indotto all’assassinio di chi glielo ha commissionato. Dopo l’omicidio G. WINCKLER
sparisce e lo ritroviamo dentro un altro libro, appunto W, e in un bambino di otto anni sordomuto, rachitico e gracile,
condannato dalla sua infermità a un isolamento pressoché totale. Per aiutarlo a superare le sue problematiche, la madre
lo porta a fare un giro del mondo a bordo del Sylvandre, un panfilo di venticinque metri su cui s’imbarcano. Fanno
naufragio al largo della Terra del Fuoco, non molto lontano dalle coste cilene e Gaspard WINCKLER scompare di
nuovo dal mondo letterario. Il libro prosegue con un parallelo tra il tentativo da parte di Perec di ricostruire la propria
infanzia e il mondo straordinario di W dove vige un sistema sociale basato esclusivamente sullo sport ma che si rivela
nel corso della narrazione di una vera e propria parodia dei campi di concentramento nazisti. Tre anni dopo l’uscita di
W Perec pubblica il capolavoro La Vie mode d’emploi con cui vince il Prix Médicis e nel quale ritroviamo Gaspard
WINCKLER uno dei protagonisti. Qui è un artigiano che è reclutato dall’eccentrico miliardario Bartlebooth.
7
13
Perec all’inizio del capitolo XII, primo capitolo della seconda parte, dichiara:
<<Désormais, les souvenirs existent, fugaces ou tenaces, futiles ou pesants, mais rien ne les rassemble>>
(W…p.93).
Basta dunque incrociare i fili per convincersi che chi fu all’improvviso e così violentemente privato
di suo padre e poi di sua madre non può essere che un individuo distrutto i cui ricordi sono
contrastanti e disgiunti e la cui scrittura è sconvolta.
Ci sembra di cogliere nel libro di Perec il desiderio di incoraggiare il lettore a procedere a una
lettura unitaria superando con la voglia e l’attenzione tutte quelle forme d’incertezze e di
disgiunzione che pur ci sono in W, unicamente attribuite alla memoria perecchiana fragile ed
enigmatica come la misteriosa dedica del libro indicata con la lettera maiuscola E che potrebbe
essere, com’è stato ampiamente suggerito, Esther, la zia paterna che ha accolto con amore il
piccolo Georges a Villard-de-Lans, poi adottato, oppure Ela, l’affettuosa sua cugina. Ma ciò
sarebbe come mettere in secondo piano il ricordo d’infanzia, W e la continua ricerca di quel padre e
di quella madre così poco conosciuti. Per noi E è un pronome personale e indica quelli che Perec
non può più chiamare, i suoi cari genitori.
Grazie al lettore, la loro memoria si perpetuerà e Cyrla Perec, infine, avrà una tomba.
<<(…) il testo non è produttore di sapere, ma produttore di finzione, di finzione di sapere, di sapere-finzione
o fantasapere…>>.
Georges PEREC, Entretien avec Jean-Marie Le Sidaner, in L’Arc n°76, Paris, 1979.
W ou le souvenir d’enfance : il libro che consente a G. Perec di
ritrovare la famiglia che gli mancava.
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Diversi studiosi e ricercatori universitari considerano W come una revisione del
patto autobiografico. Secondo Philippe LEJEUNE questo patto stabilisce che
l’autore, il narratore e il personaggio principale siano una sola e stessa persona a
garanzia della verità. Perec non condivide questa tesi. Infatti, la memoria è così fragile che non
merita incondizionata fiducia, coscientemente o no, essa modifica certi fatti, ne immagina altri e ne
cancella alcuni. È di tutta evidenza che un’autobiografia non può essere una verità assoluta, il
racconto autobiografico diventa così una sorta di auto fiction nel senso che l’autore è anche il
narratore e il personaggio principale, e la forma del racconto è romanzata giacché la memoria
modifica automaticamente gli avvenimenti e li riscrive.
Contrariamente ai modelli autobiografici classici, Perec scrive al presente, non ritorna il bambino
che è stato, ma osserva da adulto la sua infanzia. Il lettore può leggere i suoi problemi,
comprenderne la natura, apprendere le sue incertezze, le sue ricerche e le sue difficoltà. Se
prestiamo attenzione alla genesi del racconto W scopriamo che per l’autore la redazione del libro è
Quest’ultimo incarica Winckler d’inventare cinquecento puzzle perfetti ma diseguali tra loro. Il libro termina con la
ribellione di Winckler alla sua condizione di sottomissione e Bartlbooth è ucciso da un enigma insolubile: davanti a lui
è il quattrocento novantesimo puzzle in cui manca un pezzo che disegna la sagoma quasi perfetta di una X, ma il pezzo
che il morto regge tra le dita ha la forma di una lettera W, come W di WINCKLER, ovviamente.
14
stata molto difficile quasi dolorosa. Innanzitutto la parte <<fictive>> è stata pubblicata sotto forma di
episodi sulla rivista La Quinzaine littéraire tra il gennaio 1969 e ottobre 1970. Come nel libro, il
racconto di Gaspard Winckler si chiude all’improvviso per lasciar posto alla descrizione di W, ciò
che creò non pochi malumori e un’ondata di proteste nei lettori. Riprenderà, infatti, la redazione
dello stesso nel 1974 che terminerà in alcune settimane8.
C’è da rilevare inoltre che le sedute di psicanalisi non tendevano solo a far ritrovare dei ricordi
lontani e frammentari ma piuttosto a far sì che Perec prendesse coscienza dei vuoti e la fragile
intersezione dei due testi che formano W ou le souvenir d’enfance non è servita a ricostruire
semplicemente i ricordi assenti dalla memoria di Perec, ma anche alla riappropriazione della sua
identità. Perec stesso scrive:
<<Je sais que j’ai beaucoup raconté W(par la parole ou le dessin) et que je peux ,aujourd’hui, raconter W, raconter
mon enfance>> (David BELLOS, op. cit,. p. 458),
La scrittura quindi era da lui considerata un’indispensabile tappa del processo di ricostruzione
identitaria e nonostante gli ostacoli che l’autore incontrava i suoi ricordi sono vaghi, fugaci,
indeterminati e senza un’evidente coerenza e all’inizio del testo autobiografico Perec dichiara di
non avere ricordi d’infanzia. Quest’asserzione di amnesia rappresenta l’incapacità di Perec di
stabilire un legame con un passato dal quale è stato tenuto lontano Da ciò, si percepisce
agevolmente un’angustiata condizione di blocco, la difficoltà di Perec a dire l’indicibile, a
raccontarsi. Non è sicuro di sé e i suoi ricordi sono cosparsi da <<peut-être>>, da supposizioni e da
molteplici note che li modificano.
Va alla ricerca di chiari e inequivocabili punti di riferimento al fine di assimilarli nella speranza così
di assumere gli anticorpi necessari per far fronte a orrori e sofferenze ancora più forti e assurdi.
Perec mostra così difficoltà nel ricordarsi e nel ripercorrere il suo devastato passato anche se scende
il buio totale quando ritorna al momento che giudica il più decisivo e il più traumatico e cioè la
separazione dalla madre alla gare de Lyon a Parigi. Comincia a raccontare che la madre l’aveva
condotto alla stazione ma si sofferma su dettagli di poco conto come il fumetto da lei comprato
raffigurante Charlot che salta col paracadute attaccato alle bretelle del suo pantalone o il fatto che
Georges portasse o no una fasciatura attorno ad un braccio. Perec non arriva al nucleo più profondo
di questo ricordo, brutalmente interrotto e seguito da una pagina bianca che separa le due parti di W
dove vediamo soltanto questo segno: <<(…)>.
Il lettore attende anche lui di conoscere la totalità della scena e i sentimenti dell’autore. La narrativa
fantastica del libro rispecchia il mistero della perdita che c’è nella sua autobiografia e lo trasferisce
nella rappresentazione allegorica di un enigma. Si mette in contatto così con l’indicibile pena delle
memorie della sua infanzia e fa capire che ciò che manca alla narrazione potrebbe essere recuperata
attraverso la visione di un mondo <<fictionnel>>.
L’illustrazione dei ricordi d’infanzia in W ci porta a riconsiderare come non assoluta la distinzione
delle due sezioni, a caratteri romani quelle <<autobiografiche>>. Perché ricordarsi è sempre, in parte,
un atto creativo e soprattutto quando si pretende di non avere ricordi d’infanzia, l’atto di cercare
sembra un fatto inventivo con la conseguenza che la separazione tra <<fiction>> e <<reale>> non è
più chiara e definita.
8
David BELLOS, nella sua monumentale biografia dal titolo Georges Perec une vie dans les mots, Édit. Du Seuil,
Paris, 1994, a pagina 565 scrive che <<la psychanalyse aidait évidemment Perec à prendre possession de son
passé>>.
15
In un racconto segnato dall’amnesia e da un abissale vuoto informativo ed emozionale, non è
sorprendente vedere la triplice versione di un solo avvenimento come per esempio la separazione
dalla madre. Questo ricordo sarà fondamentale nella vita di Perec retrospettivamente poiché Perec
non sa in quel momento che sarà l’ultima volta che vedrà sua madre. Soltanto a guerra finita
scoprirà che quella separazione è stata definitiva e considererà l’avvenimento del distacco alla
stazione ancora più angosciante. Per Eleanor KAUFMAN l’immagine della separazione racchiude
in sé diversi simboli. Essa spiega che una caduta e una partenza sono figure dello spazio legate alle
idee di vita e di morte. Da un lato Perec prende un treno che lo condurrà verso la libertà e dunque
alla vita, dall’altro il treno che prende la madre la condurrà alla morte nel campo di sterminio di
Auschwitz (?).
Una parte del traumatismo di Perec è dovuta alla sua sopravvivenza che contrasta con la morte dei
suoi genitori e la stazione è un simbolo di questa distinzione. La separazione da sua madre riprende
l’immagine pericolosa della caduta, spesso presente negli incubi. Nella sua vita, nel 1958, Perec è
diventato paracadutista e sa cosa si prova quando si scende col paracadute, è la metafora della vita,
di quella vita senza sostegno che Perec ha provato interiormente durante il periodo di guerra.
Quando Perec analizza il suo ricordo in W parla della sua esperienza in quanto paracadutista:
<<Seize ans plus tard, en 1958, je pus lire un texte déchiffré de ce souvenir: Je fus précipité dans le vide;
tous les fils furent rompus; je tombai, seul et sans soutien. Le parachute s’ouvrit. La corolle se déploya,
fragile et sûr suspens avant la chute maîtrisée>> (W…p.77)
In fase di caduta o discesa é sempre possibile che il paracadute non si apra e che il restare in aria
faccia pensare alla morte. Essa prefigura questo momento di terrore come oscillazione tra la vita e
la morte.
Come scrive lo stesso Perec nel quarto di copertina dell’edizione Gallimard, i due testi non possono
esistere da soli:
<<Ils sont inextricablement enchevêtrés comme si aucun des deux ne pouvait exister seul, comme si de leur
rencontre seule de cette lumière lointaine qu’ils jettent l’un sur l’autre, jamais tout à fait dit dans l’autre,
mais seulement dans leur fragile intersection>>.
Lo scrittore è convinto che per definire la sua identità occorra passare attraverso la storia ma quando
essa è inaccessibile, incomprensibile, l’unica cosa da fare è di far ricorso al mondo fantastico ideale.
Dopo <<la clôture de 1942>> inizia la seconda parte che vede alternarsi un testo fittizio in carattere
corsivo a un racconto autobiografico in carattere tondo. La seconda parte comincia pure con un
testo immaginativo ma qualcosa è cambiato. L’ex narratore, il falso Gaspard Winckler, è scomparso
come la madre di Perec, per essere sostituito da un altro narratore che si esprime ricorrendo a un
<<il>> impersonale e distante. La storia prende così una strada radicalmente diversa: la ricerca del
bambino è interrotta definitivamente e l’autore passa alla descrizione di un’isola, W, posta tra gli
isolotti della Terra di fuoco, dove esiste una comunità di persone che vive un’utopia sociale fondata
sull’ideale olimpico. Tutte le circostanze misteriose e incomprensibili della prima parte sembrano
essere state accantonate.
Tuttavia, è di tutta evidenza che questo secondo racconto <<fictionnel>> è il più importante dei due
che compongono W; Perec vi allude nel suo racconto autobiografico quando dice:
<<A treize ans, j’inventai, racontai et dessinai une histoire. Plus tard je l’oubliai. Il y a sept ans, un soir, à
Venise, je me souvins tout à coup de cette histoire W et qu’elle était, d’une certaine façon, sinon l’histoire,
du moins une histoire de mon enfance>>. (W…p.14)
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Infatti, c’é da dire con Claude BURGELIN che il mito dell’isola W dice più verità sul piccolo
Georges che non le tre o quattro foto sfocate che lo riprendono insieme ai suoi genitori. È
precisamente per questa ragione che una distinzione tra la <<fiction>> e la <<verità>> non è
applicabile a W ou le souvenir d’enfance: è nell’immaginazione che ritroviamo la verità sul
passato perecchiano mentre i ricordi d’infanzia che ci parlano di Perec sono dipendenti da una
memoria confusa e incerta.
La descrizione minuziosa del mondo di W comincia con una frase al condizionale in testa al
capitolo XII:
<<Il y aurait, là-bas, à l’autre bout du monde, une île. Elle s’appelle W>> (W…p.89),
Una rivelazione di un mondo di stampo esotico-romantico, un altrove dove tutto sarebbe possibile.
Tuttavia i copiosi dettagli che propone il narratore, dapprima con l’entusiasmo di una guida
turistica, a un certo punto modificano la tonalità del racconto. Il tono del narratore sempre più
freddo e impersonale destabilizza il lettore che d’altra parte non è in grado di contestare la
razionalità delle concatenazioni in atto nel libro. Troviamo, infatti, espressioni quali <<il est clair
que>> (W…p.119) , <<un simple calcul monte en effet que>> (W..p.122) e <<on comprend aisément
pourquoi>> (W..p.124).
La competizione sportiva si rivela a poco a poco essere un mezzo per la cancellazione della dignità
dell’uomo permessa dalla legge nella quale è previsto persino l’ingiustizia. Vi si legge, infatti, che:
<<La Loi est implacable mais la Loi est imprévisible. Nul n’est censé l’ignorer, mais nul ne peut la
connaître>> (W..p.155).
La continua lotta a tutti i livelli della vita quotidiana che affascinava all’inizio é diventata una
questione cruciale di vita e di morte. L’esaltazione del corpo sull’isola rimanda alla retorica nazista
della razza ariana e c’è pure un riferimento implicito al documentario Les Dieux du stade di Leni
RIEFENSTAHL, film di propaganda girato durante i giochi olimpici di Berlino 1936 e finanziato
dal regime nazista per esaltare esteticamente i corpi degli atleti. Alla fine del testo, Georges PEREC
cita L’univers concentrationnaire di David ROUSSET ed è in quel momento che W si allontana
dalla <<fiction>> e dalla ricerca del ricordo per essere quanto mai attuale. Entra in gioco l’elemento
della collettività poiché l’Olocausto ha privato Perec della possibilità di ricostruire la sua storia,
una storia collettiva l’ha oscurata con il tema della guerra e dei campi di sterminio. Immaginando
l’isola di W Perec ha voluto materializzare la crudeltà di cui è stato indirettamente vittima.
Siamo concordi con Claude BURGELIN quando giudica W un modo per uscire dall’orrore bianco
e per entrare nella storia degli orrori e delle atrocità nazisti, mostrando altresì l’inutilità di
distinguere l’affabulazione dalla realtà, l’assurdo dalla razionalità.
È dunque attraverso la scrittura, l’immaginazione creativa, che Perec riesce a superare la sua
ossessione, il suo trauma. Come altri scrittori Perec è convinto che spesso le opere d’immaginazione
e romanzate permettono una chiara rappresentazione degli effetti della guerra più delle opere
storiche e sociologiche.
Vale la pena, a questo proposito, ricordare il ruolo importante che ha avuto la psicanalisi non
soltanto nella redazione del libro W ma anche nella vita di Perec stesso. Lo scrittore ha, infatti,
seguito, fin dal 1949, una prima terapia di natura psichica con la dott.ssa Françoise DOLTO e poi
due psicoanalisi9. Questi incontri gli hanno fatto prendere coscienza che la sua apparente assenza di
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1956-57 un’analisi con Michel de M’Uzan e negli anni 1971-75 un’altra, abbastanza lunga e continua con il dott.
Jean-Bertrand PONTALIS. Questo triplice ricorso all’analisi è decisamente significativo della volontà di Perec di
dare senso alla sua vita e di collegare i fili disordinati e fragili della sua storia personale in un’unità più coerente.
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ricordi era da considerarsi non come una sorta di trauma ma come una forma di protezione dagli
orrori e dalle atrocità del mondo.
Perec scrive nel capitolo II:
<<Cette absence d’histoire m’a longtemps rassuré: sa sécheresse objective, son évidence apparente, son
innocence, me protégeaient, mais de quoi me protégeaient-elles, sinon précisément de mon histoire, de mon
histoire vécue, de mon histoire réelle, de mon histoire à moi qui, on peut le supposer, n’était ni sèche, ni
objective, ni apparemment évidente, ni évidemment innocente ?>> (W..p.13).
Secondo la psicanalisi la rimozione é radicale quando il soggetto diventa sordo e cieco e soprattutto
indifferente alla sua storia, quando cioè decide di non leggerla. È certo però che quest’oblio voluto
maschera una sofferenza che accresce nell’uomo Perec il tormento e la sua angoscia. Soltanto
l’analisi e la scrittura possono riaprire una vecchia ferita per dare senso a questo devastante vuoto
interiore. E W è il risultato dell’analisi che gli permette non soltanto di comunicare una storia,
quella di Georges PEREC ma anche di seguire il percorso interiore di un uomo in costante cerca di
sé.
E la scrittura diventa anche un’arma potente per denunciare lo scandalo delle infanzie rubate e
dell’universo concentrazionario in continuità con altre <<fictions>>, quali quelle di Jules VERNE,
di Aldous HUZLEY e di George ORWELL.
La scrittura appare allora come il miglior modo per capire ciò che si trova nascosto in lui. L’autore
di W cerca Georges (il bambino) e PEREC (l’uomo). Al bambino chiamato Georges PEREC la
Storia ha cancellato i ricordi più intimi, allontanandolo dalla dolcezza di uno sguardo materno, è un
mondo perduto che l’autore cerca di ritrovare.
W è certamente un testo dedicato anche all’Olocausto, a tutti gli Olocausti passati e futuri, è una
denuncia di tutti i totalitarismi e degli orrori commessi nei campi di distruzione di massa.
Scrivere diventa un atto di civiltà e d’umanità; è il segno di un uomo che afferma la sua dignità e si
serve di ciò che è comune a tutti gli uomini, il linguaggio, per lottare contro ciò che li minaccia: la
loro disumanità. Nessuna parola di odio, nessun appello alla violenza nell’opera di PEREC, tutt’al
più una costatazione desolata e a volte ironica delle sevizie dei carnefici.
<<Écrire est essayer méticuleusement de retenir quelque chose, de faire suive quelque chose; arracher
quelques bribes précises au vide qui se creuse, laisser, quelque part, un sillon, une trace, une marque ou
quelques signes>>.
Georges PEREC, Espèces d’espaces, Éditions Galilée, Paris, 1974.
<<Le projet d’écrire mon histoire s’est formé presque en même temps que mon projet d’écrire>>.
Georges PEREC, W ou le souvenir d’enfance, Éditions Gallimard/ coll. L’imaginaire, Paris,
1975, p.41>>.
<<Je peux aujourd’hui, racontant W, raconter mon enfance>>.
Isabelle DAGNY, Étude sur W et le souvenir d’enfance, Ellipses Edition Marketing S.A., Paris,
2002, p.18.
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GEORGES PEREC e la scrittura come ricerca di sé.
**********
Perec è stato staccato dai suoi genitori, il suo nome è stato francesizzato per non far
sorgere sospetti ed è stato battezzato secondo la religione cristiana. Come gli atleti
della comunità di W, egli non ha più nome, identità. Vuole conoscere il suo
passato<<suspendu>> e <<diffracté>> per riuscire a capirsi. Purtroppo sa davvero
poco di sua madre, ignora le circostanze della sua morte e non trova nessun disposto a raccontargli
questo doloroso avvenimento e a spiegarglielo. Soltanto più tardi capirà ciò che è successo e
collegherà ciò che ha scritto, gli orrori dell’isola W e la realtà.
Sa soltanto che dopo la scomparsa di sua madre, tutti i fili si sono spezzati e non ha più punti di
riferimento sui quali ricostruire la sua vita. Perec dice che << tout ce que l’on sait, c’est que ça a duré
très longtemps, et puis un jour ça c’est arrêté>> (W..p.95) e che questa separazione è vissuta come una
perdita d’identità nel senso che non conosce le sue origini né chi egli sia, egli stesso esplicita le
ragioni che lo hanno spinto a scrivere il libro W:
<<(…)J’écris parce que nous avons vécu ensemble, parce que j’ai été un parmi eux, ombre au milieu de
leurs ombres, corps près de leur corps; j’écris parce qu’ils ont laissé en moi leur manque indélébile et que la
trace en est l’écriture>>. (W…p.99).
Attraverso la scrittura che é vita Perec recupererà ciò che la <<Grande Histoire>> gli ha rubato.
Le pagine 58 e 59 di W racchiudono preziose indicazioni sulla finalità della scrittura perecchiana. Il
commento dello scrittore comincia con una costatazione d’insuccesso e d’impotenza, egli si rende
conto che i testi sui suoi genitori sono stati scritti da lui quindici anni prima, nel 1960 all’incirca, e
che le nove pagine di note aggiunte non sono servite a dissolvere le incertezze e i dubbi. Come se la
separazione dalla madre l’avesse privato della possibilità di conoscere le parti mancanti della sua
ricostruzione. È importante rilevare che la confessione di questo limite della scrittura è anche una
costatazione di morte e che la ricerca del ricordo è condannata in anticipo a una sorta di
<<ressassement sans issue>> (W…p.58) e l’assenza è peggiore della sofferenza. Questa costatazione
d’impotenza risuona pure nell’uso delle parole ripetitive come un gioco:
<<Je ne sais pas si je n’ai rien à dire, je sais que je ne dis rien; je ne sais pas si ce que j’aurais à dire n’est
pas dit parce qu’il est indicible(…) ; je sais que ce que je dis est blanc, est neutre, est signe une fois pour
toutes d’un anéantissement une fois pour toutes>> (W…pp.58-59).
L’uso ripetuto di <<Je/io>> che viene a scandire il testo é del tutto caratteristico della Letteratura
della Shoah la cui espressione é impacciata a causa di una fondamentale incapacità linguistica. È un
<<Je/io>> che cerca di contrastare l’assenza, il sentimento di vuoto iniziale, punto di partenza della
scrittura, attribuibile non solo alla cancellazione dell’infanzia evocata in precedenza ma anche
all’impossibilità di esprimere l’indicibile che spesso traspare da locuzioni quali <<mots à trouver>>,
<<rien à dire>> e altre.
La scrittura diventa per Perec un esercizio puramente esistenziale, si confonde con la vita. È il solo
modo per recuperare il passato cancellato, distrutto, e ricordare tutti quelli che sono morti senza
sepoltura, quelli che sono morti bruciati nei forni crematori di Auschwitz.
Georges PEREC non ha vissuto gli avvenimenti che l’hanno reso orfano da protagonista e in
particolare rispetto al genocidio perpetrato contro gli ebrei egli è stato un testimone distante.
Tra la separazione dalla madre alla gare de Lyon (1942 ?) e l’anno di pubblicazione di W passano
trentatré anni, un lungo periodo di occultazione dell’infanzia di Perec, una sorta di rifiuto del
passato e anche dell’appartenenza allo giudaismo.
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Nel frattempo, Georges PEREC aveva pubblicato diverse opere importanti quali Les Choses (1965)
che gli valse il Prix Renaudot e La Vie mode d’emploi (Prix Médicis, 1978) a cui seguono Un
homme qui dort (1967), <<une non-histoire du non-choix d’une non-vie>> e La Disparition (1969),
<<monstrueux lipogramma en “e”>> a cui risponde nel 1972 Les Revenentes, capolavoro OuLiPien.
Perec resta, ricordiamolo sempre, un assente della sua storia giacché fa parte di quella generazione
di scrittori del dopo-Shoah, questa specie di <<survivants>> come li chiama Herbert ROSENFELD
A., che non erano nei luoghi degli orrori ma le cui esistenze sono state profondamente segnate dalle
atrocità degli ebrei. Come altri scrittori (il premio Nobel 2014 Patrick MODIANO) è nato negli
anni che hanno visto la fine della Seconda Guerra mondiale e tanti ebrei privati delle loro radici
condividere lo stesso dramma, lo stesso trauma: un’assenza che ostacola la memoria. Perec non ha
vissuto direttamente la <<Solution Finale>>, non è neanche considerato come uno scrittore della
generazione di Auschwitz perché non è sopravvissuto ai campi di sterminio e non ha in sé la
memoria dell’avvenimento che gli darebbe il diritto di testimoniare.
Escluso dai ricordi, dalle atrocità perpetrate nei lager nazisti, la sola ferita che ha ricevuto e che gli
brucia continuamente è quella di un immenso vuoto esistenziale.
GEORGES PEREC e i suoi genitori, ricordi, foto e testimonianze.
W è un libro di recupero dei ricordi. La descrizione di alcuni fatti legati ai
genitori e alla loro scomparsa è particolarmente efficace. Il racconto laconico
che Perec fa della loro morte ne è una palese testimonianza. Egli racconta così
come suo padre morì il giorno dell’armistizio, <<une morte idiote et lente>>
(W…p.44) ed evoca poi (W..p.57) la probabile morte di sua madre ad Auschwitz
(?).
In entrambi i casi Perec
utilizza il vocabolario dei
documenti amministrativi, documenti che sono
tutto ciò che gli resta di queste due care
persone, particolarmente nel caso di sua madre
che non ha avuto sepoltura, contrariamente al
padre la cui morte è materializzata nella tomba
del cimitero militare di Nogent-sur-Seine, con
la menzione <<Mort pour la France>>, alla
quale la madre non avrà diritto.
La voce neutra del linguaggio burocratico fa eco a quella, fredda e del tutto priva di emozione della
seconda parte della <fiction> in cui il narratore espone dettagliatamente le torture più atroci inflitte
agli atleti W; le sue cavillose precisazioni, a volte anche pedanti, sono anche un’evidente parodia
della retorica delle autorità naziste.
La tristezza di Perec non si fa per niente sentire se non in modo <<oblique>>, per riprendere un
termine utilizzato da Philippe LEJEUNE per qualificare le strategie autobiografiche di Perec10 ,
come, per esempio, quando commentò un messaggio di un suo libro di scuola:
<<Moi, j’aurais aimé aider ma mère à débarrasser la table de la cuisine après le dîner. Sur la table, il y
aurait eu une toile cirée à petits carreaux bleus ; au-dessus de la table, il y aurait eu une suspension avec un
abat-jour presque en forme d’assiette, en porcelaine blanche ou en tôle émaillée, et un système de poulies
10
Cf. La Mémoire et l’Oblique: Georges PEREC autobiographe, op. cit., 1991.
20
avec un contrepoids en forme de poire. Puis je serais allé chercher mon cartable, j’aurais sorti mon livre,
mes cahiers et mon plumier de bois, je les aurais posés sur la table et j’aurais fait mes devoirs. C’est comme
ça que ça se passait dans mes livres de classe>> (W…p.95).
Il dispiacere, la mancanza provata dal bambino si manifestano nel <revers> dell’evocazione di
questa immagine d’Épinal un po’ convenzionale.
Del padre Perec ricorda con più varianti un fatto curioso quanto singolare o piuttosto un <sogno>.
Una sera, dal padre che era appena ritornato dal lavoro, ricevette in regalo una chiave d’oro o forse
una moneta che il piccolo Jojo inaspettatamente inghiottì facendo spaventare non poco tutti i
familiari presenti. Al capitolo IV, il secondo della serie autobiografica, la zia Esther interviene nella
descrizione del primo ricordo evocato aggiungendo che il bambino di tre anni si trovava nel retro
bottega della nonna attorniato dalla sua famiglia. Il bambino sentiva su di sé una calorosa
protezione, amore e grande affetto. Ricorda ancora quando tutti i suoi familiari si erano
entusiasmati per il fatto che aveva identificato una lettera ebraica, un segno o una lettera chiamata
<gammeth o gammel>. Quest’abitudine o piacere di decifrare non lo abbandonerà mai, anzi possiamo
dire che quest’attitudine iniziata per gioco e del tutto inconsapevole sarà fondamentale per la sua
futura attività di scrittore.
Sempre la zia adottiva Esther racconta nella nota n°1 che accompagna l’episodio riproposto nel
capitolo IV di W, che la zia Fanny, la sorella più giovane della madre Cécile, portava spesso il
nipotino,nel 1939, spesso a giocare lungo la Senna e aveva notato con meraviglia che il piccolo
Georges di appena tre anni amava giocare a decifrare le lettere nei giornali non solo yiddish ma
anche francesi.
Se Perec rimette costantemente in discussione i pochi ricordi che possiede, si fida tuttavia quasi
ciecamente degli episodi o frammenti di avvenimenti della sua storia frutto della memoria degli
altri. Le testimonianze dei membri della sua famiglia adottiva, in particolare quelle di sua zia Esther
e di sua cugina Ela, gli servono per verificare le rappresentazioni che si era fatto degli avvenimenti
e delle persone a lui vicine.
Circa le immagini fotografiche l’unica foto che gli resta ritrae suo padre sorridente e vestito da
semplice soldato. André Perec aveva fatto diversi mestieri da quando si era stabilito a Parigi con
tutta la sua famiglia, tornitore di oggetti di metallo, formatore, fonditore e anche parrucchiere, ma
suo figlio Jojo lo vede solo come soldato tanto che un giorno che rimane molto stupito perché
indossava abiti civili. La sola foto che Perec aveva del padre gli fornì, però, più indicazioni e
informazioni utili che non le cinque foto che ritraevano la madre.
Perec amava del padre la sua <<insouciance>>. Seppe, poi, da sua zia che André o meglio Icek
Judko, il suo vero nome, era un poeta, che non gli piaceva andare a scuola, che non amava portare
le cravatte e che si sentiva a suo agio solo in compagnia dei suoi compagni e colleghi di lavoro. Gli
è di conforto sapere che c’era nel padre <<de la sensibilità et de l’intelligence>> (W..p.45).
Georges PEREC almeno fino a un certo tempo della sua vita, coltivò una grande
passione per i soldatini di piombo. Sua zia ricorda a questo riguardo che in
occasione delle festività natalizie il piccolo Jojo li soleva chiedere in regalo.
Esther aggiunge che, quando il nipote cominciava a frequentare il liceo,
preferiva andare a scuola a piedi e arrivava spesso in ritardo ma ciò gli
permetteva di risparmiare ogni mattina due franchi per comprare un soldatino
d’argilla che aveva visto nella vetrina di un negozietto situato sulla strada per la
scuola. Perec ricorda pure di aver comprato un soldato accovacciato con un
telefono di campagna associandolo a suo padre addetto alle trasmissioni. Dal giorno dopo
21
l’acquisto, il soldatino inserito nel piccolo esercito ebbe un ruolo centrale nelle operazioni
strategiche e tattiche che il piccolo Georges gli faceva assumere per gioco.
La stima e la considerazione per il padre erano così grandi che Perec immaginava diverse
morti<<glorieuses>>. La più bella era che il padre era ucciso da una serie di colpi partiti da una
mitragliatrice mentre portava al suo superiore il messaggio della vittoria. Ma, invece, suo padre
<<était mort d’une mort idiote et lente>> (W…p.44). Si era trovato a camminare su di una mina
dimenticata e l’esplosione l’aveva talmente ferito, dilaniato che fu d’urgenza trasportato nella
chiesa di Nogent-sur-Seine, una cittadina situata a un centinaio di chilometri da Parigi, trasformata
in ospedale per i prigionieri di guerra. Suo padre non fu fortunato poiché quell’atipica struttura
medica poteva contare sulla presenza di un solo infermiere. Perse così molto sangue e all’età di
trentuno anni morì prima ancora di essere operato.
Perec ricorda non molto chiaramente con nota n°12 al capitolo VIII che nel 1955 o 1956, era il
primo di novembre, fece una breve visita al cimitero militare di Nogent-sur-Seine. Ricorda anche
com’era vestito in quella triste occasione. Indossava un paio di scarpe nere, un vestito scuro a righe
bianche, veramente <<hideux>> (W..ibidem) prestatogli da un membro della famiglia adottiva. Un
vestito a lutto ricoperto di fango che subito, al suo ritorno, portò in lavanderia e che si augurò di non
rimetterlo più. Non fu difficile, così ci racconta, trovare la tomba del padre. Le parole Perec Icek
Judko seguite da un numero di matricola e inscritte sulla croce di legno erano ancora ben leggibili.
L’adulto Perec sulla tomba del padre si stupì nel vedere inciso il nome, << un balancement confus
entre une émotion incoercibile à la limite du balbutiement et une indifférence à la limite du délibéré>>
(W…p.54) e provò una serenità segreta legata al fatto che questa morte cessava infine di essere
astratta come se la scoperta della tomba mettesse un punto fermo nella sua ricerca.
Sulla madre, Cyrla Schulevitz, che chiamavano più comunemente Cécile, il narratore non ha che
brevi dati informativi presi da alcuni documenti ufficiali e cioè che era arrivata a Parigi con la sua
famiglia probabilmente immediatamente dopo la fine della Prima guerra mondiale e che insieme ai
suoi familiari si era sistemata nel XXe arrondissement in una strada di cui non ricorda il nome.
Cécile apprese il mestiere di parrucchiere per signora, all’età di ventuno anni sposò, il 30 agosto
1934, il padre di Perec e si sistemarono in rue Vilin dopo aver preso in gestione un salone di
parrucchiere.
Di lei Perec ha cinque foto e un solo ricordo quasi completo: quello della separazione alla gare de
Lyon a Parigi.
Il paragrafo intitolato <<Le Départ>> descrive la scena che, secondo il noto critico Philippe.
Lejeune, costituisce il <clou> del libro e della storia personale di Perec.
Di questo episodio fondamentale ci sono le testimonianze contraddittorie di Esther e della cugina
Ela. La versione della fasciatura al braccio ferito come pretesto per giustificare la messa in salvo del
piccolo Jojo è contraddetta dalla testimonianza di Esther che nega l’esistenza della fasciatura.
Secondo la zia, infatti, il bambino che aveva perduto il padre ucciso in guerra era stato incluso
nell’elenco di chi faceva parte del convoglio della Croce Rossa perché <fils de tué>, <orphelin de
guerre> (W..p.77) e quindi il piccolo non aveva alcuna ragione di fingere la ferita al braccio. In
conformità a questa versione, Perec mette in dubbio il suo ricordo dell’episodio e formula l’ipotesi
secondo la quale egli avrebbe subito un’operazione a un’ernia e all’appendice, ma subito dopo il
suo arrivo a Grenoble.
A sentire Esther, il piccolo sarebbe stato effettivamente operato all’appendice ma molto più tardi e
secondo Ela, il bambino fu sì operato ma di ernia e molto prima della separazione dalla madre. La
nota che accompagna il paragrafo in cui si oppongono le diverse testimonianze rende l’idea di
quanto sia arduo mettere insieme le differenti versioni del ricordo che inevitabilmente subisce una
metamorfosi.
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Consapevole che le diverse informazioni intervenute non possono ricostituire con estrema fedeltà la
scena, lo scrittore prende cura di precisare:<<Cela ne change rien au fantasme, mais permet d’en tracer
une des origines>> (W..p.78) e qualifica come <<une affabulation>> il ricordo dell’episodio.
Delle altre foto sull’infanzia di Perec è interessante quella scattata probabilmente nel 1938 da
Photofeder, 47 bd. De Belleville-Paris 11e in cui la mamma è ritratta abbracciata al figlio, <<nos
tempes se touchent. Ma mère a des cheveux sombres gonflés par devant et retombant en boucles sur sa
nuque….Ses yeux sont plus sombres que les miens et d’une forme légèrement plus allongée…Ma mère sourit
en decouvrant ses dents, sourire un peu niais mais qui ne lui est pas habituel, mais qui répond sans doute à
la demande du photographe>> (w…p.70).
Il piccolo ha :
<<des cheveux blonds avec un très joli cran sur le front (de tous les souvenirs qui me manquent, celui-là est
peut-être celui que j’aimerais le plus fortement avoir : ma mère me coiffant, me faisant cette ondulation
savante).. et de grandes oreilles, des joues rebondies, un petit menton, un sourire et un regard de biais déjà
très reconnaissables.>> (W…ibidem).
Una seconda foto scattata nell’autunno del 1939 vede la madre di Perec ritratta appoggiata a una
struttura di legno e ferro come se ne vedono frequentemente nei parchi pubblici, la sua mano
sinistra ricoperta da un guanto nero è posta sulla spalla sinistra del piccolo Jojo in piedi vicino a lei.
All’estrema destra si nota qualcosa, forse il mantello del fotografo o quello del padre. Sua madre
indossa un mantello con grandi risvolti in tessuto scuro, una gonna grigia a righe, calze grigie e
curiose scarpe e un grande cappello di feltro circondato da un nastro che le copre gli occhi. Il
piccolo Georges porta un berretto, un mantello scuro con collo a raglan chiuso da due grossi
bottoni. Le ginocchia sono libere e le calze di lana scura sono arrotolate sulle caviglie. Perec nota
non tanto le sue grandi orecchie quanto piuttosto la triste espressione del viso della madre nelle foto
scattate dopo la morte del padre.
Un’altra immagine fotografica, scattata probabilmente nel 1940, ritrae Cécile nel Parc Montsouris,
seduta su di una sedia da giardino ai bordi di un prato. Porta un gran cappello nero, il mantello è
forse lo stesso che indossava nella foto scattata al parco di Vincennes. La borsa, i guanti, le calze e
le scarpe allacciate sono di colore nero perché è vedova. Sorride ma con un velo di tristezza.
La foto scattata al parco di Vincennes ritrae il piccolo Jojo con sua madre nel luogo in cui il padre
era di servizio. Sembra ci sia anche suo padre con addosso un’uniforme quasi nuova.
L’autore è stimolato a scrivere da questi preziosi documenti, ma le descrizioni scrupolose di queste
immagini fotografiche lo pongono come distante osservatore. Si sofferma sulle foto in cui è ripreso
insieme alla madre senza però sforzarsi di ricordare il momento e le circostanze in cui la foto è stata
scattata, quasi volesse difendersi da un logico coinvolgimento emotivo. Gli basta la concretezza di
ciò che vede. Descrive, cioè, il bambino che è stato come se si trattasse di uno sconosciuto. Stenta a
ricordarsi della gioia provata tra le braccia di sua madre e assume il ruolo di critico esterno come se
si trovasse davanti a un quadro che potrebbe essere un Rembrant dal probabile titolo <<Gesù in mezzo
ai Dottori>>.
Nella seconda parte del libro, quella in cui <<Désormais les souvenirs existent>> (W..p.93), le
fotografie e i molteplici disegni raccolti in quaderni o album, <<dissociés, disloqués, dont les éléments
épars ne parvenaient presque jamais à se relier les uns aux autres>> (W..ibidem), continuano a suscitare
in lui deduzioni. Per esempio, descrivendo uno dei luoghi della sua infanzia, la casa dove abitava
sua zia Berthe, Perec scrive:
23
<< Je sais qu’il y a un escalier extérieur…parce que trois de ces boules sont visible sur une photo où,
groupés sur l’escalier un jour d’été, apparaissent quelques adolescents parmi lesquels on peut reconnaître
ma cousine Ela et mon cousin Paul>> W…pp.104-5).
Si produce dunque un’interazione tra le fotografie e i ricordi elencati. Quelli riguardanti gli anni
successivi alla partenza del piccolo Jojo certamente più numerosi di quelli che riguardano l’epoca in
cui viveva insieme ai suoi genitori.
Il ruolo dei ricordi resta pertanto
importante nell’elaborazione del testo di
W. Il romanziere che ci dice di essere
ritornato, alcuni anni prima della
redazione di W ou le souvenir
d’enfance,
sui
luoghi
che
caratterizzano questa epoca si prende
cura di descrivere anche le case in cui è
cresciuto. Il lavoro di ricerca messo in
atto per ricostruire un passato
dimenticato e distrutto è continuo ed
esplicito.
Georges PEREC e la <<Grande Histoire>>.
*************
L’infanzia di Perec é impregnata del terribile contesto della Seconda Guerra mondiale. Lo scrittore
sottolinea fin dalla prima pagina di W il peso del passato collettivo che ha subito anche nella
ricostruzione della sua storia esistenziale:
<<Je n’ai pas de souvenir d’enfance: je posais cette affirmation avec assurance, avec presque une sorte de
défi>> (W…p.13).
La punta d’ironia che troviamo nel gioco di parole <<l’Histoire avec une grande ache>> (W..ibidem)
annuncia abbastanza nettamente il distacco che l’autore prenderà di fronte alla Storia lungo tutto il
suo testo. Infatti, piuttosto che rimarcare l’aspetto patetico della sua storia presentandosi come una
vittima dell’Olocausto, Perec ha
scelto d’ironizzare sulla Storia
che ha ucciso i suoi genitori
facendola
intervenire
lateralmente. Così le allusioni
alla Shoah in W sono
generalmente laconiche e prive
d’interpretazione. Il metodo
adottato da Perec è più
chiaramente
espresso
nel
capitolo VI del libro in cui Perec
affronta l’argomento della sua
nascita. Lo scrittore ci informa
della sua nascita il 7 marzo
1936, poi, nel successivo
paragrafo, ci confessa di aver a
lungo pensato <<que c’était le 7
mars 1936 qu’Hitler était entré en
Pologne>> (W..p.31).
È un’ipotesi certamente errata, ma l’autore non si preoccupa di verificare la vera data dell’inizio
della Seconda Guerra mondiale perché il sistema nazista si era già reso responsabile di massacri
ancor prima della nascita di Georges. Nell’intenzione di ricostruire la sua storia personale, Perec
legge <<par acquit de conscience>> ( W..p.32) nei giornali dell’epoca ciò che era successo nel mondo
contemporaneamente alla data della sua nascita. Nella nota n°3 al capitolo VI, il romanziere
enumera i titoli selezionati che ci informano della situazione politica e sociale dell’epoca, vi si
ritrovano pure fatti di cronaca e titoli riguardanti avvenimenti sportivi e culturali. Questa
elencazione di fatti disparati ha per effetto di banalizzare la guerra che segnò il destino del bambino
Perec. Nella sezione autobiografica di W la Storia è onnipresente ma le notizie non sono
commentate e quindi essa è relegata in secondo piano come un semplice sfondo al racconto.
24
La famiglia PERETZ (PEREC) a Parigi negli anni immediatamente precedenti
l’occupazione nazista.
Sappiamo che la famiglia di Cyrla Schlevitz, << elle était juive et pauvre>> (W…p.46), comunemente
chiamata Cécile, nativa di Varsavia si trasferì a Parigi insieme alle sorelle subito dopo la fine della
prima guerra mondiale e si sistemarono in 24 rue Vilin. Morta la madre Laja, Cécile imparò il
mestiere di parrucchiere per signora e cominciò a lavorare a tempo pieno nel suo salone preso in
gestione. Il marito Isie lavorava in una fabbrica come fonditore e nel tempo libero aiutava la nonna
Rose nella gestione di una drogheria. Per quanto riguarda il vecchio David Peretz, egli preferiva
giocare con il nipotino Georges facendolo saltare sulle sue ginocchia raccontandogli storie tratte
dalla Bibbia piuttosto che badare al negozio. Della nonna materna Laja e di suo nonno Aaron
Szulevicz non abbiamo alcuna testimonianza. Sappiamo soltanto che Aron era un commerciante
ambulante. Lo stesso Perec in W ci dice che Aron non era un artigiano ma che vendeva frutta e
verdura. Fu la sorella più piccola di Cécile, Fanny che era più grande di dieci anni rispetto a Jojo
che divenne la sua tata.
Durante i primi anni della vita di Georges PEREC molti profughi
arrivavano costantemente e regolarmente a Belleville diffondendo notizie
sempre più inquietanti sulla situazione in Polonia, in Germania, in
Cecoslovacchia e in Austria. Anche se l’antisemitismo non era assente
dagli argini della Senna, la Francia restava ancora <<une terre d’accueil>>.
Dopo l’invasione della Polonia, nel settembre 1939, la Francia e la Gran
Bretagna intervennero nel conflitto a difesa della sovranità polacca. Fu
proclamata la mobilitazione generale in Francia. David Bienenfeld che era
già riservista, essendosi arruolato nell’esercito della vecchia Austria, fu subito richiamato alle armi.
Per quanto riguarda Izie, essendo di nazionalità polacca, non poteva arruolarsi nelle forze militari
regolari francesi. Ma quando le regole d’ingaggio per entrare nella Legione straniera furono
modificate in modo da permettere ai numerosi immigrati di partecipare alla difesa della Francia, la
Legione accettò tutti quelli che volevano farne parte ma <<per la sola durata della guerra>>.
Izie era un uomo di trent’anni in buona salute. Le ragioni che lo spinsero a entrare volontariamente
nell’esercito francese rischiando la vita erano diverse ma certamente il fatto che la Germania aveva
occupato la Polonia dichiarando guerra a tutto il mondo ebraico ebbe un peso notevole. A ciò si
aggiunse una motivazione più pratica ed egoistica e cioè che l’arruolamento di Izie avrebbe,
secondo Esther, facilitato l’attribuzione del diritto di cittadinanza per sé e la sua famiglia. È
possibile pure che Izie si sia lasciato convincere dalla propaganda dei media e da un ambiente
particolarmente scosso dalle preoccupanti notizie che arrivavano dal fronte di guerra che lasciavano
presagire un’imminente catastrofe. Comunque è onesto affermare che la decisione di Izie di far
parte dell’esercito francese non fu un colpo di testa né dipese da motivi strettamente personali, ma
fu il frutto di un’attenta presa di posizione, approvata e sostenuta dai membri della sua famiglia
allargata.
Il 5 ottobre 1939 Izie è sottoposto a visita medica ed essendo in buone condizioni fisiche, è
dichiarato abile al servizio. Dopo aver firmato il contratto di arruolamento parte per raggiungere, l’8
ottobre 1939, la base principale della Legione, a Valbonne, vicino a Cannes, dove era situato il
campo di addestramento.
25
Nel corso dell’inverno 1940 ci fu del trambusto in seno all’esercito francese; furono creati nuovi
gruppi militari, tra cui il 25 febbraio 1940 il XII° reggimento straniero di fanteria di cui Izie faceva
parte.
L’offensiva tedesca comincia il 10 maggio 1940 e invece di attaccare la Francia dalle pianure delle
Fiandre come gli strateghi militari avevano previsto, i tedeschi fecero avanzare le loro colonne di
blindati dalle Ardenne raggiungendo la costa della Manica a livello d’Abbeville. In pochi giorni le
truppe francesi e inglesi si trovarono separate dal resto delle forze alleate. Il XII° reggimento
ricevette l’ordine di lasciare Valbonne e Lyon e di dirigersi verso nord. L’incarico assegnato al
reggimento di Izie consisteva nel difendere il settore della cittadina di Soissons a un centinaio di
chilometri da Parigi. La città di Soissons subì pesanti bombardamenti aerei e, dopo alcuni giorni di
resistenza, fu presa la decisione di arretrare sensibilmente la linea di difesa verso sud. La Luftwaffe
era padrona dello spazio aereo e distrusse tredici dei quindici convogli di rifornimento del
reggimento. Nonostante gli attacchi aerei e il fuoco delle mitragliatrici tedesche, il XII° reggimento
volontari italiani, spagnoli, polacchi ed ebrei erano i difensori presenti sul fiume.
Nel frattempo un indicibile panico si diffonde. Profughi e cittadini non facevano altro che
attraversare Parigi senza fermarsi in direzione sud, verso le campagne dove si pensava che i rischi
di bombardamenti fossero minori. L’idea che i tedeschi fossero alle porte della città e che la disfatta
fosse inevitabile spingeva i residenti alla fuga con tutti i mezzi. Alle undici e venti del mattino del
15 giugno dopo che il XII° reggimento senza la più piccola copertura tentò di uscire dalla posizione
che occupava dietro la Seine in direzione del ponte che scavalcava l’Yonne a Champigny, Izie fu
colpito dallo scoppio di una mina e portato con urgenza nella chiesa di Nogent-sur-Seine, destinata
ad ospedale.
Ma Izie non fu operato e morì il 16 giugno 1940. Fu sepolto nella parte militare del cimitero
cittadino sotto una semplice croce di legno con il suo nome e il numero di matricola stampato:
PEREC ICEK JUDKO E.V.3716.
La maggioranza dei soldati che facevano parte del XII° reggimento fu fatta prigioniera dai tedeschi.
Ufficiali, semplici soldati, volontari trovarono la morte ma il nome di Izie non è presente nella lista
dei caduti e l’ufficiale incaricato di compilarla annotò le difficoltà a stimare il numero delle perdite,
il loro grado e nome.
A questo riguardo il noto biografo inglese David BELLOS ritiene che a suo parere Georges Perec
sbaglia quando scrive che la morte del padre fu inutile, in verità la firma dell’armistizio, il 22
giugno a Rethondes, sopravvenne sei giorni dopo la certificazione dell’avvenuta morte di Izie, se
quest’ultima si fosse verificata qualche giorno dopo, Izie avrebbe potuto essere riconosciuto a tutti
gli effetti cittadino francese. Izie è morto combattendo in un’unità di volontari esclusivamente
composta di stranieri che si batteva per frenare l’avanzata tedesca, ma che non ebbe sul terreno di
battaglia il sostegno dei colleghi d’arme francesi.
Il riprovevole armistizio divise la Francia in due zone: la ZO (<zone
occupée>) che comprendeva tutta la parte nord della Loira, più la parte
costiera lungo l’atlantico, fino alla frontiera spagnola e la ZNO (<zone
non-occupée>) detta anche <<zone libre>> che andava dalla Loira alla
costa mediterranea.
La Francia sarebbe stata governata da
Vichy
nella
persona-eroe di Verdun, il maresciallo
Philippe
PÉTAIN. In pratica la zona occupata
passava sotto
l’amministrazione militare tedesca
mentre
il
governo di Vichy s’impegnava a promulgare una legislazione
conforme agli
orientamenti nazional-socialisti, in modo particolare per ciò che
riguardava gli
ebrei.
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Molti francesi che erano fuggiti verso il sud della Loira emisero un sospiro di sollievo
nell’apprendere i termini dell’armistizio e si stabilirono nel luogo in cui si trovavano. Così la sorella
di David Bienenfeld, Berthe, restò a Villard-de-Lans insieme al figlio Henri, invece Gisèle con suo
marito e la loro figlia Simone decisero di lasciare immediatamente l’Europa per imbarcarsi verso gli
Stati Uniti dove si stabilirono
diventando cittadini americani. David
e Esther avevano preso la strade
verso ovest ma decisero di non
andare più in Inghilterra preferendo
restare in Francia per tutelare i propri
interessi commerciali. Forse un
giorno sarebbero partiti per l’America
al fine d’intensificare il commercio
delle perle già fiorente ma per il
momento, non avendo il visto per
entrare negli Stati Uniti, rimandarono
il progetto e fecero rientro nella capitale. Furono stupiti e contenti di ritrovare una città, Parigi,
senza il minimo danno, non un solo monumento, un edificio era stato bombardato tanto che sembrò
loro che la battaglia di Parigi non si fosse svolta. La sera stessa del loro ritorno Bianca ritrovò i
vecchi amici della Sorbone come se avessero tutti qualcosa da festeggiare. Georges Perec fu
probabilmente ricondotto a Belleville da <<la femme très grosse et très gentille>> (W…p.73) che
l’aveva portato in campagna durante le ostilità della guerra. Fu là che Georges apprese molto
probabilmente della morte del padre non solo e non tanto da sua madre ma anche dalle numerose
persone e conoscenti che frequentavano rue Vilin.
C’è da credere altresì che qualcuno gli raccontasse che suo padre era morto da eroe per difendere la
Francia e gli ebrei e che forse se ne compiacque.
Per Cécile, per Rose, per Esther la morte d’Izie fu una sciagura che avvicinò le tre donne e ridusse il
fossato esistente tra la borghese Passy e la popolare Belleville.
Jojo era così un bambino senza padre e Cécile, una povera vedova. Rose aveva perduto il figlio che
le era rimasto più vicino e l’aiutava ogni giorno dal momento che David Peretz, suo marito, non le
era mai stato d’aiuto e passava gran parte del suo tempo a pregare. Esther portava in sé una parte di
responsabilità in questa <débâcle> e si sentiva doppiamente in debito verso il ragazzino che stava
crescendo, prima perché era la primogenita di suo padre e poi perché era stata lei a spingerlo ad
arruolarsi.
La Biografia di GEORGES PEREC. Epilogo.
Il discorso autobiografico fin qui seguito inserito in W ou le souvenir
d’enfance di Georges PEREC ci presenta da un lato un bambino i cui punti di
riferimento sono sconvolti a volte distrutti comunque disordinati e fugaci e
dall’altro uno scrittore che stenta a raccontarsi perché l’archivio principale a
cui attinge la sua memoria personale è povero e frammentario. Non avendo accesso alla sua
memoria se non parzialmente l’autobiografia di Perec fa appello alla memoria collettiva costituita
dalle tante e non sempre fedeli informazioni attinte all’archivio storico e familiare.
Così il personaggio Perec cerca di ricostruire la sua identità in conformità a testimonianze di
persone e conoscenti a lui molto vicini che fanno parte della comunità ebraica. Al ricordo della
lettera ebraica si aggiungono altri riferimenti alla genealogia dello scrittore, partendo dal nome di
famiglia del romanziere: <<Peretz>>, versione ebraica di Perec. Attraverso il racconto dei suoi primi
anni vissuti come membro della comunità ebraica Perec si pone dunque come testimone di un’epoca
e di un popolo che è stato devastato, della grande famiglia letteraria che gli ha consentito di
superare gli orrori e le conseguenze della guerra.
L’autobiografia che troviamo in W tenta, attraverso la scrittura, di stabilire dei legami tra la sua
storia di bambino e l’individuo che è diventato.
Perec insiste sulla sua precoce passione da bambino per la scrittura e la Letteratura. C’é un intero
capitolo del libro dedicato alle sue prime letture. Nel capitolo XXXI, infatti, l’autore ricorda e ci fa
27
partecipi delle prime storie che ha letto. Presentandoci Le tour du monde d’un petit Parisien,
Michaël, chien de cirque e Vingt ans après, il romanziere non si limita a enumerarne i titoli; egli
attribuisce a questi testi un posto molto importante nella sua vita. Parlando dei libri Perec scrive:
<<(…) il me semble, non seulement je les ai toujours connus, mais plus encore, à la limite, qu’ils m’ont
servi d’histoire: source d’une mémoire inépuisable, d’un ressassement, d’une certitude(…)ce plaisir ne s’est
jamais tari : je lis peu mais je relis sans cesse, Flaubert, et Jules Verne, Roussel et Kafka, Leiris et
Queneau ;je relis ces livres que j’aime et j’aime les livres que je relis, et chaque fois avec la même
jouissance(…) :celle d’une complicité, d’une connivence, ou plus encore, au-delà, celle d’une parenté enfin
retrouvée>> (W…p.193).
Questo breve estratto che passa dal passato al presente stabilisce abbastanza chiaramente qual é il
legame che unisce il bambino all’adulto e viceversa: l’incontestata passione per la buona
Letteratura. Il bambino che si è a lungo rifugiato nelle storie di avventura che gli facevano
dimenticare il disastroso presente di cui conosceva poche cose, si è appropriato attraverso la lettura,
prima e la scrittura dopo, dei mondi immaginari proposti da altri scrittori ritrovando una nuova
famiglia, virtuale certamente, ma che gli permette di formarsi un’identità.
All’incertezza e al vuoto che segnano l’autobiografia e l’infanzia di Perec si oppone il sentimento di
felicità provato dal bambino prima e dall’adulto poi durante la lettura di un’opera letteraria.
L’autore quando riporta i fatti o si attarda a dare una personale visione degli avvenimenti della sua
infanzia, rifiuta l’uso del <Je> soggettivo e segue sempre il cammino della verità poggiandolo su
documenti. Decostruendo i suoi ricordi, poi ricostruendoli in base a testimonianze più credibili,
Perec inserisce la <fiction> nell’autobiografia.
Possiamo dire allora a mò di conclusione che W ou le souvenir d’enfance non è una pura
autobiografia, né un racconto unicamente fantastico: è un tentativo di considerare la realtà da due
angolazioni distinte, la conoscenza di sé da una parte e la <<fiction>> dall’altra.
Il testo perecchiano denuncia, inoltre, il dramma storico della Shoah che ha attraversato la sua
infanzia, la disumanità che rischia, in ogni momento della storia, di cancellare per sempre i nostri
fragili principi etici.
È pure interessante considerare la parte finale di W che Perec ha voluto per la sua opera:
l’evocazione del presente attraverso l’attualità degli anni ’70:
<<J’ai oublié les raisons qui, à douze ans, m’ont fait choisir la Terre de Feu pour y installer W: les fascistes
de Pinochet se sont chargés de donner à mon fantasme une ultime résonance: plusieurs îlots de la Terre de
Feu sont aujourd’hui des camps de déportations>> (W…p.220).
La denuncia del fascismo non é più relativo a un preciso momento storico e W non é la critica di un
particolare sistema concentrazionario: il suo obiettivo é di denunciare tutte le oppressioni presenti e
future. Lungi dal monopolizzare l’attenzione esclusivamente sul doloroso ricordo del suo passato,
l’analisi e l’opera letteraria vanno oltre lo stretto ambito della sua soggettività. I tiranni babilonesi
chiedevano agli ebrei di suonare i loro strumenti musicali e di cantare per loro; le SS formarono
orchestre di deportati che suonavano nei campi di sterminio mentre si formavano lunghe file di
prigionieri davanti ai forni crematori; il chitarrista Victor Jara ebbe le mani tagliate dagli sbirri di
Pinochet che gli dicevano <<chante maintenant Jara>>.
*I numeri tra parentesi rimandano all’edizione francese del libro di Georges PEREC, W ou le souvenir
d’enfance, Éditions Gallimard, coll.: L’imaginaire, Paris, 1993.
Prof. Raffaele FRANGIONE
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