W ou le souvenir d`enfance * di Georges PEREC. La scrittura come
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W ou le souvenir d`enfance * di Georges PEREC. La scrittura come
<<L’identité des personnes réside (…) dans la mémoire et la connaissance du soi passé et de ses propres actions qui est continûment soumise à LA CONSCIENCE d’être la même personne ; par où tout homme se possède et s’avoue lui-même>>. John LOCKE. <<Certi ricordi si accavallano, si urtano, si giustappongono…>>. André GIDE. W ou le souvenir d’enfance * di Georges PEREC. La scrittura come la sola possibilità di accesso all’infanzia perecchiana. ************* Georges PEREC (Parigi 1936-Ivry 1982) e i fatti che hanno segnato la sua vita. Nella primavera del 1942, secondo Georges Perec, o nell’autunno del 1941, secondo altri, Cyrla Perec, ebrea di origine polacca, accompagna suo figlio Georges di sei anni alla gare de Lyon di Parigi e lo affida ad un convoglio interzona della Croce-Rossa che lo porterà insieme ad altri ragazzi verso Grenoble. Nel 1939, suo padre Icek si era arruolato nell’esercito francese per lottare contro l’invasione tedesca ed era morto nel 1940 in seguito alle ferite riportate dopo lo scoppio di una mina. L’orfano di guerra non rivedrà mai più anche sua madre che dopo aver vanamente tentato di passare nella <<zone libre>> sarà arrestata a Parigi il 17 gennaio 1943 nel corso di un rastrellamento ed internata per alcuni giorni nel campo di raccolta di Drancy per essere infine deportata l’11 febbraio ad Auschwitz o in un altro campo di sterminio da cui non farà mai più ritorno. Perec che certamente ignorava il suo status di orfano, visse nelle Alpi dal 1942 al 1945, dapprima a Villard-de-Lans presso i suoi zii Esther e David Bienenfield e poi a Lans-en-Vercors con sua nonna paterna, infine di nuovo a Villard-de-Lans presso sua zia Berthe, la cognata di Esther. Alla fine dell’estate del 1945, Georges Perec lasciò definitivamente Villard-deLans e andò ad abitare a Parigi presso sua zia Esther e suo marito David Bienenfield cui era affidata ufficialmente la tutela del piccolo Georges di nove anni. In seno a questa famiglia il piccolo Jojo trascorre momenti positivi superando inevitabili problemi di adattamento anche grazie alle amorevoli attenzioni di Ela, sua cugina, che più grande di età gli fa da sorella maggiore. Ora di là dal fatto certamente positivo di aver vissuto in un ambito familiare accogliente e aperto è del tutto fuori dubbio che <<la brisure de 1942>>, espressione usata da Claude BURGELIN nel suo <<Georges PEREC, Édition du Seuil, coll. Les contemporains, Parigi, 2002, p.31>> ha profondamente segnato la vita dello scrittore e le sue opere. Perec proverà sempre un sentimento di turbamento, all’idea di aver vissuto un’esistenza spensierata nelle montagne svizzere mentre parallelamente sua madre era esposta all’umiliazione, alla sofferenza e poi alla morte. È oppresso dalla vergogna di essere l’unico sopravvissuto della sua famiglia e di non ricordare nulla, di non poter testimoniare niente di loro. 1 Nel 1958 Perec scrisse al suo amico Jacques Lederer questa terribile frase ( Paulette Perec, Portraits de Georges Perec, BNF, 2001, p.15) che rivela il suo terribile stato di mancanza: <<Il valait mieux en fait crever à Auschwitz qu’en revenir>>. Ripercorrere a ritroso il suo cammino per recuperare la sua infanzia, raccontare con il peso di un’indicibile assenza le paure del passato, e soprattutto cercare d’immaginare le vite e le sensazioni che l’assenza ha reso mute, questo è l’obiettivo cui tendere, la missione che Perec assegna alla sua scrittura. Il filo sottile, sinuoso e fragile di questa ricerca dell’identità si coglie in modo particolare in W ou le souvenir d’enfance. W ou le souvenir d’enfance: una autobiografia atipica? Nel 1967 è pubblicato L’homme qui dort, e Georges PEREC comincia già a lavorare alla sua opera più sconcertante, La Disparition, un romanzo scritto interamente senza la lettera <<e>>, la più frequente della lingua francese. Il procedimento con il quale uno scrittore si priva di una o più lettere si chiama <<lipogramma>>. L’interesse di Perec per simili strutture rare e difficili lo avvicinò all’<<Ouvroir de la Littérature Potentielle>>(OuLiPo) nel quale venne accolto nel 1967, per lui fu un avvenimento importante tanto che dirà in seguito di considerarsi un prodotto dell’OuLiPo, associazione fondata nel 1961 da François Le Lionnais e Raymond Queneau che si consacrava alla creazione e alla riscoperta delle cosiddette <<contraintes littéraires>>, cioè delle forme e dei procedimenti così perentori nelle loro pretese che nessuno scrittore, utilizzandoli, poteva evitare di sottomettere le proprie predilezioni alle loro esigenze. L’OuLiPo ha così fornito a Perec il luogo privilegiato in cui sperimentare liberamente ogni genere di esperienza fu la stesura, un decennio più <<contrainte>>. L’esito di questa tardi, de La Vie mode d’emploi che gli valse il Prix Médicis e che gli procurò un largo successo di vendite. Nel frattempo, Perec aveva abbandonato il romanzo, a eccezione dei Revenentes, complemento de La Disparition, per produrre una serie di opere a carattere biografico: La Boutique obscure (1973), trascrizione dei suoi sogni nell’arco di tre anni; Espèces d’espaces (1974), Tentative d’inventaire des aliments solides et liquides que j’ai engurgités au cours de l’année (1974) in cui Perec gioca con i codici dell’autobiografia e propone un modo originale di raccontarsi, Je me souviens (1978), una sorta di elenco-litania di 480 ricordi in prosa e non per ultimo il più riuscito e toccante W ou le souvenir d’enfance (1975). A questi testi occorre aggiungere La Clôture et autres poèmes (1976) 1 raccolta di poesie di Perec pure autobiografica. 1 Questa pubblicazione è una sorta di cofanetto contenente diciassette poemi <<hétérogrammatiques>> redatti a mano su fogli volanti di ottima carta non numerati e diciassette foto in bianco e nero della rue Vilin scattati da Christine Lipinska. I poemi di La Clôture… sono degli <<hétérogrammes>> di dodici lettere, <esartulinoc+1>, la lettera supplementare poteva essere scelta liberamente a ogni verso. Diciassette poemi di dodici versi in cui ciascun verso contiene dodici lettere danno un totale di 2448 caratteri. Bernard MAGNÉ formula l’ipotesi che questi numeri furono scelti perché nel totale risulti il 24, rue Vilin, tema esplicito della maggior parte delle foto e metaforico dei poemi. Il titolo fa riferimento alle chiusure dei siti delle case demolite della rue Vilin di Parigi. Ma per il biografo inglese D.Bellos la parola Clôture è <un double adieu> (D.Bellos, op. cit., p.605) all’infanzia di Perec a Belleville, ai suoi vaghi ricordi, a sua madre 2 Di questi libri, W è senza dubbio il più efficace. Benché questo testo sia da inserire nel novero dei libri autobiografici, c’è da riconoscere come scrive Zeinep MENNAN che l’autobiografia perecchiana è profondamente atipica. In quest’opera che Perec stesso non definisce <romanzo> l’autore giustappone al racconto autobiografico tradizionale un’avventura immaginaria. Perec intreccia la realtà e la finzione, anche se il senso del libro non deriva né dall’una né dall’altra ma da una fragile intersezione. L’esistenza di Perec inizia da un vuoto, dalla perdita dei suoi genitori. Quest’assenza sarà l’elemento che lo spingerà a scrivere per dare un valore alla sua vita segnata dal duplice dolore. La Letteratura diventa così per lui il modo più idoneo per recuperare il percorso della sua infanzia distrutta, il luogo dove ricrearsi una famiglia. È così che Perec nel 1975 decide di scrivere questo libro autobiografico nel quale troviamo due testi apparentemente differenti l’uno dall’altro. Decide di raccontare l’orrore e le sofferenze vissute da sua madre, dai suoi genitori, da sei milioni di ebrei assassinati nei campi di sterminio, ricorrendo a un’allegoria del nazismo rappresentata dalla città olimpica di W. I capitoli impari della <fiction> si alternano con quelli pari e autobiografici. Il libro è diviso in due grandi sezioni, separate da una pagina bianca dove sono iscritti tre punti sospensivi tra parentesi. Il primo racconto, scritto in corsivo, è stato redatto da Perec durante la sua adolescenza e inizia come un racconto di avventure. Il narratore, Gaspard WINCKLER, decide di svelarci il suo viaggio sull’isola W. Dopo aver disertato durante una battaglia, non si sa quale, gli era stata data una falsa identità per raggiungere la Germania, ma un giorno un certo Otto APFELSTAHL gli invia una lettera perché vuole parlargli. Nel corso dell’incontro, il misterioso autore della lettera gli comunica che il vero Gaspard Winckler, un ragazzo affetto da mutismo è scomparso nel naufragio dell’yacht Sylvandre vicino alla Terre de Feu. La madre Caecilia, che aveva organizzato il viaggio per favorire la guarigione del figlio, e gli altri passeggeri dell’imbarcazione erano stati tutti ritrovati senza vita, risultava disperso soltanto il corpo di Gaspard 2. Otto Apfelstahl propone allora al narratore di partire alla ricerca del probabile superstite. Il racconto di avventura si ferma lì. Per il lettore questa chiusura è assai deludente poiché non sa se il narratore accetterà la proposta di Otto. L’ultimo capitolo in corsivo della prima parte termina su di un’incertezza: <<Je me tus. Un bref instant, j’eus envie de demander à Otto Apfelstahl s’il croyait que j’aurais plus de chance que les garde-côtes. Mais c’était une question à laquelle, désormais, je pouvais seul répondre..>> (W…p.83). Il lettore può immaginare che il viaggio sia stato compiuto, ma in realtà ignora la sorte del bambino e quella del narratore. Cécile, di cui non ricordava più il viso. Attraverso la commemorazione visiva e verbale della rue Vilin, La Clôture dà voce anche alla nostalgia della casa materna abbattuta e, con la loro forma, i poemi evocano sentimenti di Georges per Catherine, <muse> della maggior parte della sua produzione <hétérogrammatique>. 2 I soccorritori argentini e cileni accorsi prontamente sul luogo del naufragio costatarono che il fissaggio delle scialuppe di salvataggio non era stato sbloccato e che le cinque persone facenti parte dell’equipaggio del Sylvandre erano tutte morte. Ma la morte più orribile fu quella di Caecilia, la madre del piccolo Gaspard, trovata nella sua cabina, <<ses ongles en sang avaient profondément entaillé la porte de chêne>> (W…p.81), schiacciata sotto il peso di un baule che le aveva probabilmente impedito di aprire la porta della sua cabina. Del figlio nessuna traccia soltanto una grande confusione nella sua cabina. I sommozzatori non trovarono nulla che si riferisse alla sua scomparsa, non il più piccolo indizio, del sangue, un indumento, una scarpa. Nulla. Rimasero stupiti perché erano convinti che se il piccolo fosse stato sbalzato in mare, qualcosa di lui avrebbero ritrovato sulle rocce degli scogli antistanti le coste cilene. Qualcuno avanzò l’ipotesi che il bambino fosse stato abbandonato prima del sopraggiungere della tempesta e che, poi, vinti dal pentimento, fossero ritornati sui loro passi facendo così entrare il panfilo nell’occhio del ciclone che aveva colpito la fragile imbarcazione. 3 Poiché la seconda parte di questa <fiction> inizia con la descrizione molto dettagliata ed enciclopedica dell’isola di W, ma il narratore Gaspard Winckler sembra scomparire come il suo omonimo. W è descritta come un’isola in cui lo sport è la disciplina praticata da tutti. La comunità è divisa in quattro villaggi: W, Nord-W, Ovest-W, NordOvest-W. Fin dal suo inizio il narratore che non usa più <io> non è più identificabile in quanto personaggio. Ci si chiede come il narratore abbia acquisito tante conoscenze su questa misteriosa isola di W, come sia potuto penetrare in questa realtà chiusa e con quale ruolo. Il racconto sembra prendere un’altra piega e la descrizione di cui sopra non sembra avere alcun rapporto con i capitoli della prima parte. La voce narrante anonima assolve il compito di illustrare lo spazio e il modo di vivere in questa misteriosa realtà, fa una descrizione geografica, topografica e anche climatica dell’isola, elenca le diverse discipline praticate sull’isola nelle varie competizioni quali le Atlandiade, le Olimpiade e le Spartakiade. Il testo ha carattere informativo e illustrativo e la società di W sembra molto viva e dinamica mentre nella prima parte del testo <fictionnel> Gaspard Winckler aveva annunciato al lettore la morte di una civiltà dicendo: <<J’ai visité ce monde déreglé et voici ce que j’ai vu>>(W…p.14). Il narratore analizza a fondo la portata sociale della vita a W e si pone come testimone diretto delle abitudini, dei costumi di quel popolo, della gerarchia sociale, delle leggi e delle regole, dell’uso delle espressioni e dei soprannomi che nel corso del tempo sono divenuti in un certo senso ereditari. Affronta anche la questione delle origini raccontando in modo puntuale le diverse versioni riguardanti la nascita di questa comunità al punto che a volte il testo sembra scientifico, simile a un trattato, per l’estrema precisione con cui espone i dati numerici degli abitanti sulle discipline sportive praticate apprezzate dal narratore. Questi apprezzamenti stridono con il racconto degli orrori di questo mondo immaginario e crudele. Così è possibile leggervi per esempio: <<On comprend aisément pourquoi..> (W..p.124) o <<Qui ne serait enthousiasmé par cette discipline audacieuse, par ces prouesses quotidiennes..>>(W…p.92) o ancora <<C’est ici que l’on pourra apprécier à quel système d’alimentation W s’insère d’une manière subtile dans le système global de la société..>>(W...p.122). La determinazione del narratore a sostenere questo sistema, in considerazione del principio di autorità, é chiaramente percepibile quando si legge il capitolo XVIII. Vi si trovano, infatti, le scene orribili e cruente delle gare, le crudeltà delle prove di selezione, l’esclusione dei vinti dalle feste o dalle grandiose cerimonie di premiazione <<selon justice>>(W…p.125) dice il narratore, manifestando così un certo consenso. Tuttavia assistiamo nel corso degli ultimi capitoli a un cambiamento: quanto più la descrizione di questo disumano sistema si amplifica, tanto più la denuncia di questo regime cresce. Quando il narratore riferisce delle pene corporali che possono sfociare nella morte, sembra provare un certo disagio, una crescente inquietudine di fronte alla diversità dei trattamenti riservati ai vincitori e ai vinti e parla d’<<injustice systématique dans la vie de W>> (W…p.147). E via via che si scoprono gli aspetti più violenti della vita nella comunità di W, numerosi indizi come la nudità inflitta come un’umiliazione, le sfilate, le grandiose feste, le tute bianche degli atleti sulle quali è disegnata una grande W nera, le interminabili sedute di rimproveri che sono costretti a subire, l’acqua bollente o ghiacciata delle docce, i maltrattamenti, la violenza esercitata dall’uomo sull’uomo, gli ordini in tedesco <<Raus! Raus!, Schnell! Schnell!>> inveiti dalle guardie, evocano irresistibilmente il nazismo e in particolare il sistema concentrazionario messo in atto nei campi di sterminio all’epoca della Seconda guerra mondiale. La descrizione dell’ideologia sportiva diventa come Damien ZANONE l’ha ben precisato in un suo libro del 1996 <<una chiara parabola del fascismo>>. Le misere condizioni di vita privano gli atleti della loro umanità. Il mondo di W è fatto così per distruggere negli abitanti per quanto possibile quella che Isabelle DAGNY nel 2002 definisce <<la coscienza di essere creature umane>>. La scomparsa dei nomi a favore delle matricole dimostra questo processo di decadenza così come la sottomissione ai maltrattamenti fisici e alle 4 umiliazioni, l’obbligo per i vinti di prendere parte alle sfilate e a forme di parodie che <<tolgono alla persona umana il rispetto che le è dovuto>> scrive ancora Isabelle Dagny. L’ultimo capitolo del racconto <fictionnel> termina con un’immagine che fa chiaro riferimento all’uso dei forni crematori durante la guerra: <<Celui qui pénétrera un jour dans la Forteresse n’y trouvera d’abord qu’une succession de pièces vides, longues et grises.., mais il faudra qu’il poursuive longtemps son chemin avant de découvrir, enfouis dans les profondeurs du sol, les vestiges souterrains d’un monde qu’il croira avoir oublié : des tas de dents d’or, d’alliances, de lunettes, des milliers de vêtements en tas, des fichiers poussiéreux, des stocks de savons de mauvaise qualité..>> (W…p.218). Ritorniamo adesso, come nel gioco dell’oca, al punto d’inizio dell’altro testo, quello autobiografico. Scritto a caratteri romani, racconta l’infanzia dell’autore e raggruppa frammenti di ricordi confusi. L’autore tenta di recuperare il percorso della sua lontana infanzia rievocando i suoi primi sei anni quando i suoi genitori erano ancora in vita. I suoi ricordi sono volatili e frammentari e deve ricorrere ad alcune foto ingiallite e a sprazzi di memoria lacunosi e incerti per descrivere fisicamente i suoi genitori. A dispetto della sua debole memoria Perec sente il bisogno di confrontarsi con la sua infanzia distrutta e cancellata dalla <<Histoire avec sa grande hache>> (W..p.13) e attinge alle memorie degli altri, dei suoi parenti, soprattutto di sua zia Esther e di sua cugina Ela. L’autore è certo che questa ricerca gli permetterà di svelare i segreti di questo periodo dimenticato e vago della sua vita. La prima parte del testo autobiografico come tutto il suo libro svela un’assenza: assenza dei ricordi, dei genitori. Egli dice: <<Je n’ai pas de souvenirs d’enfance. Jusqu’à ma douzième année à peu près, mon histoire tient en quelques lignes: j’ai perdu mon père à quatre ans, ma mère à six; j’ai passé la guerre dans diverses pensions de Villard-de-Lans. En 1945, la sœur de mon père et son mari m’adoptèrent>>. (W…p.13) Il punto di partenza é contraddetto dalla presenza, nel testo, di ricordi dapprima rari, poi più numerosi, spesso precisi fino a un eccesso di scrupolo. L’autore vuole sottrarre il passato all’oblio e far rivivere lontani ricordi per ritrovare tracce smarrite e costruire tracce future. La scrittura aiuterà così l’orfanello Perec a definire alcuni frammenti di vita sottratti al vuoto: <<..j’écris parce qu’ils ont laissé en moi leur marque indélébile et que la trace en est l’écriture>> (W..p.59), Evocando i suoi genitori, Perec afferma: <<..l’écriture est le souvenir de leur mort et l’affirmation de ma vie>> (W.. ibidem) Dando senso alla sua vita, la scrittura e la memoria si confondono : <<Le projet d’écrire mon histoire s’est formé presque en même temps que mon projet d’écrire>> (W…p.41). Così si spiegano le due costanti del progetto autobiografico di Georges PEREC: precisare i ricordi incerti sulla base delle foto di suo padre e di sua madre, di testimonianze e di altri documenti e approfondire i ricordi di cui ecco un esempio: il narratore credeva di avere, frequentando la scuola comunale, tre ricordi ma in fase di scrittura ne recupera un quarto, <<celui des napperons de papier que l’on faisait à l’école>> (W..p.76, Note n°1), benché questi non avessero alcun rapporto tra di loro. Dal terzo capitolo in poi le indicazioni dei riferimenti biografici (la data di nascita, il nome di Georges, il paese di origine dei suoi genitori, l’evocazione dell’invasione della Polonia da parte 5 della Germania di Hitler, la citazione degli avvenimenti sui giornali e quotidiani, la descrizione delle foto dei suoi genitori che il narratore possiede mostra una continua progressione. Questa prima serie di brevi episodi autobiografici termina con l’evocazione dei luoghi dove viveva con la sua famiglia e dove lavoravano i suoi genitori, con la descrizione delle foto di sua madre con lui accanto e con il ricordo della sua partenza per il Vercors; in altre parole, con la separazione definitiva da sua madre alla gare de Lyon nel 1942 (?), il solo ricordo nitido che Perec aveva di lei. Il passaggio dalla prima alla seconda parte avviene per il tramite di una pagina bianca con tre puntini di sospensione al centro della pagina e tra parentesi. Questa punteggiatura che equivale a un vuoto, a un silenzio, a una perdita, associando la figura della madre a un’assenza, segna una frattura netta: la scomparsa della madre corrisponde alla fine di un’epoca. L’articolatore temporale, <<Désormais>> (W…p.93), che è la prima parola del primo capitolo del racconto autobiografico( seconda parte del libro), mostra chiaramente che l’orfanello Perec sta per vivere in un’epoca caratterizzata da <<son absence de repères>> (W…p.93). In questa parte sono riportati altri ricordi inerenti al tempo in cui viveva con sua madre, ma questi <<souvenirs sont des morceaux de vie arrachés au vide>> (W…Ibidem). Circa i ricordi del periodo di Villard-de-Lans, la località in cui si era rifugiata la sua famiglia adottiva, sono presenti quelli della <<home d’enfants>> (W..p.117) in cui Georges era stato collegiale, quelli del suo soggiorno al Collegio Turenne chiamato anche <<le Clocher>> e <<dirigé par des soeurs vêtues de longues robes grises et portant à la ceinture d’énormes trousseaux de clés. Elles étaient sévères et peu inclines à la tendresse>> (W…p.125), e del suo battesimo (un giorno d’estate del 1943) segnati da un’incertezza di fondo <<C’est peut-être en cet hiver- là que…>>, <<je ne sais pas si j’ai vraiment vécu cet incident-là ou si j’ai tout inventé ou emprunté>> e ancora <<Cet évanescent souvenir pose des questions auxquelles je n’ai jamais su donner des réponses claires>> (W…p.161). Infine, dopo la Libération, il piccolo Georges fa ritorno a Parigi per vivere oramai con la sua famiglia adottiva in rue de l’Assomption. Perec evoca diversi episodi riguardanti le sue letture, le sue passeggiate e la visita alla mostra sui campi di concentramento dal lato di La Motte-PicquetGrenelle in cui il lettore ritrova, nei<<murs des fours lacérés par les angle des gazés>>(W..p.213) una eco dell’agonia di Caecilia Winckler, e nel <<jeu d’échecs fabriqué avec des boulette de pain>> un equivalente dei giochi premonitori <<en mie de pain>> di W (W…ibidem). Nell’ultimo capitolo del libro sono evocati non soltanto i disegni degli adolescenti in quanto<< sportifs aux corps rigides, aux facies inhumains>> (W..p.219) ma anche, riportando una citazione presa da L’Univers concentrationnaire di David ROUSSET, le funzioni e la caricatura dello sport nei campi di sterminio nazisti durante la Seconda guerra mondiale. La prima parte del testo autobiografico sembra interrogare il passato, togliere la nebbia ai ricordi indistinti mentre la seconda parte è orientata piuttosto verso il futuro. A dispetto della sua affermazione posta all’inizio del libro <<Je n’ai pas de souvenirs d’enfance>> (W..p.13), Perec cerca di rivivere per il tramite di diversi documenti le tracce del suo passato cancellato. La scrittura autobiografica tenta di unire i due racconti (quello autobiografico e quello immaginario) che si alternano a vicenda in un’ideologia tematica: lo scrittore si rappresenta con l’aiuto di parecchi personaggi, divenendo nel contempo il narratore del racconto autobiografico e l’alter ego di Gaspard Winckler, il narratore del racconto <<fictionnel>>. Le due voci narranti si somigliano per molti aspetti. Esse appartengono a due orfani che hanno lo stesso scopo: ritrovare le tracce delle persone scomparse. Tutte e due sono state accolte da parenti e tutte e due hanno a lungo esitato 6 prima di impegnarsi nella realizzazione della loro missione che altro non è se non la scrittura della storia sul loro modo di approcciare la vita. Perec ricuce i fili spezzati che lo collegavano all’infanzia e di cui dice di non sapere dove si sono rotti, l’accento è posto particolarmente sui vuoti della memoria. Sembra che Perec adotti un atteggiamento critico oggettivo e nello stesso tempo ricorra all’immaginario che serve a completare ed approfondire la sua storia personale. Grazie a questo espediente ha potuto esprimere senza cadere nel patetico l’indicibile che non è soltanto tutto ciò che non si può dire o pensare in modo consapevole, ma anche l’intollerabile orrore dei campi di sterminio. Il libro di Georges PEREC è quindi un’autobiografia atipica per la sua inconsueta struttura. La sua autenticità risiede tanto nella sua particolare struttura quanto nel suo senso: la dimensione collettiva di una storia personale che è incentrata sul fatto di non aver mai veramente conosciuto sua madre. La sua scrittura è dunque da considerare come l’unica risposta a quest’assenza, inquadrata in una storia ancora più grande, la Seconda guerra mondiale, rappresentata nel libro dall’isola di W, che ha profondamente sconvolto l’equilibrio psico-affettivo di milioni di persone, di milioni di <<piccole storie>> che non sono state vissute in modo umano e solidale. Così i due testi che compongono W ou le souvenir d’enfance, sulle prime, sembrano radicalmente differenti ed è lecito chiedersi perché Perec abbia deciso di raggrupparli in un unico libro, ma se li esaminiamo minuziosamente e da vicino diventa evidente che sono indissociabili. È l’autore stesso che rivela il tema che li tiene legati: la dittatura. Infatti, se W è dapprima presentata come un’isola ideale e utopica, diventa man mano una contro-utopia, una comunità in cui gli sportivi sono torturati, uccisi, affamati e privati della loro identità fino a non essere chiamati con il loro vero nome ma con i loro titoli. Nella società di W siamo alla presenza di una selezione fin dalla nascita; le ragazze sono brutalmente uccise per lasciare più spazio ai maschi, poi sono tenute chiuse perché utili alla riproduzione. Gli atleti che Perec adolescente ha disegnato sono scarnificati, scompaginati, i loro visi scheletrici e disumani. È del tutto evidente il legame con il nazismo di cui la famiglia di Georges è stata una delle numerose vittime. Esistono numerose similitudini tra Gaspard Winckler (il vero come il falso) e Perec. Il vero Gaspard è muto e questo ricorda il silenzio dell’entourage di Georges sulla scomparsa della madre e rimanda alla situazione di blocco che lo scrittore francese ha provato nel momento di scrivere il suo capolavoro. Cyrla Perec e Caecilia Winckler hanno tutte e due sacrificato la loro vita per salvare il loro unico figlio, lasciandoli come abbandonati. Il narratore, il falso Gaspard, è orfano di padre così come Perec. Il vocabolario della sofferenza costella tutto il libro sia che si tratti degli atleti torturati o del giovane Perec che immagina di aver avuto diverse ferite, un braccio fratturato o un intervento ad un’ernia. W ou le souvenir d’enfance è certamente un racconto autobiografico ma nel contempo un’autobiografia vera e falsa in cui i ricordi del piccolo Georges non sono mai certi e completi, a volte sono acquisiti da altri personaggi a lui vicini ma riportati con inesattezze. Sono dei frammenti, delle ipotesi a volte incoerenti, degli aneddoti apparentemente poco indicativi ma che in verità appaiono più veri dei racconti ben strutturati di Jules VALLES o di J. J. ROUSSEAU. Georges PEREC non nasconde la difficoltà di scrivere su di sé e sulla sua infanzia lontana e distante segnata dalla guerra e dal trauma subito. W raggruppa 7 due testi radicalmente diversi sul piano della scrittura. Si potrebbe definire W come il racconto crudo di una società immaginaria ma con una punta d’ironia, è un disordinato assemblaggio di ricordi che comunque si tengono insieme. Non si può restare impassibili di fronte a un testo la cui intensità drammatica è sempre di più alta in una tragedia classica di Jean RACINE dove il momento di maggiore intensità emotiva e drammatica si situa nelle ultime frasi, nelle ultime parole. Certamente W ou le souvenir d’enfance si serve della <<fiction>> per far passare potuto immaginare. Non potendo utilizza la distanza tipica della che ha segnato una parte della sua è un nuovo modo di scrivere di sé. Esso ciò che nessuna mente umana avrebbe scriverla frontalmente Georges PEREC <<fiction>> per far conoscere il trauma infanzia, della sua vita. Con W Perec non fa una semplice lettura della sua vita ma scrive o meglio riscrive una storia, la sua storia, facendo appello come <<source>> a due racconti narrativi intrecciati, l’uno fittizio, l’altro autobiografico. Il primo dei testi è il rovescio o lo specchio dell’altro. È perciò che W è il risultato di una decostruzione che Perec ha operato su di sé. È il tentativo da parte dello scrittore di mettere un po’ di ordine all’interno di più vite demolendo impalcature di sostegno che le tenevano nascoste. È fare apparire il vuoto con la scrittura mettendo al centro della sua esistenza la scomparsa dei suoi genitori ancora più inquieta perché non è stata detta, ancora più strana perché non é stata capita e rappresentata. Ma Perec colmerà il suo vuoto, anche se gli accadrà ancora di smarrirsi, di fuggire e tutto ciò sarà raccontato nel film per la televisione Les Lieux d’une fugue, un film che collega più intimamente il ricordo agli oggetti e ai luoghi ritrovati. Le due storie sono dunque come due quadri che formano un dittico e Perec solleva lentamente una sorta di lenzuolo che li ricopre, riempie come è sua abitudine il suo racconto di dettagli, di segni, di simboli (come quando ricorre al segno della croce per spiegare l’W fittizio o quando sotto la sua penna trasforma l’X in crocefisso, in svastica), di riferimenti indeterminati e vaghi, di digressioni. Alla fine questo modo di procedere, questa sorta di contiguità tra il reale e il fittizio, tra il ricostruito e il decostruito, tra la memoria e l’immaginazione, permette a PEREC di superare le sue incertezze. Philippe LEJEUNE distorsioni. 3 e la genesi di W ou le souvenir d’enfance, tappe, dubbi e ************** Sulla questione sempre aperta e interessante della genesi di W ou le souvenir d’enfance, lo studioso e critico letterario Philippe LEJEUNE che già in un suo precedente studio sul testo perecchiano, La Mémoire et l’Oblique del 1991, aveva osservato alcune incongruenze o distorsioni, ritorna su alcune parti del libro di Perec che se non proprio misteriose certamente appaiono oscure e contraddittorie. Sappiamo che lo scrittore Perec aveva bloccato la pubblicazione del suo W già in parte apparso sulla rivista diretta dallo scrittore Maurice NADEAU. Aveva elaborato un piano audace e sofisticato che consisteva nell’alternare tre serie di testi: i capitolo di W, i ricordi d’infanzia e ciò che chiamava <<intertexte>>, una serie di capitoli che ripercorrevano la storia del rapporto con la sua infanzia e della scrittura del libro stesso. Aveva steso un inventario dei suoi ricordi d’infanzia e iniziato la ricerca di documenti ma inciampava in qualcosa che gli impediva di proseguire. 3 Teorico della Letteratura e studioso di Georges Perec e grande specialista dell’autobiografia fantastica Philippe LEJEUNE è autore di pubblicazioni imponenti quanto fondamentali quali: 1)Georges Perec autobiographe, Édit. P.O.L., Coll. <<Essais>>, Paris, 1991; 2) La Mémoire et l’Oblique, Paris, 1991 e 3)Le pacte autobiographique, Édit. Du Seuil, Paris, 1996. 8 Ma agli inizi del 1975 Georges PEREC era più fiducioso, aveva finito di scrivere il suo testo redatto secondo un piano diverso. Delle tre serie previste ne restavano due: la <fiction> W e i ricordi d’infanzia, l’intertesto era stato cancellato per lasciar posto al confronto tra i due testi. Qualcosa d’importante, suscettibile di modificare atteggiamenti e situazioni, era certamente intervenuto. Ma cosa era successo di preciso tra il 1971 e il 1974, nel momento in cui Perec aveva scritto la versione definitiva del libro? Impossibile rispondere a questa domanda che intriga il critico francese Lejeune anche perché il manoscritto della scrittura definitiva era scomparso. Lo studioso avrebbe voluto sapere se l’idea di passare da tre serie a due fosse la causa o la conseguenza della sua ritrovata tranquillità. A fronte di tante indeterminazioni non c’è che una sola certezza e cioè che la redazione finale del racconto ebbe luogo nel 1974 perché è lo stesso Perec che lo precisa in uno dei suoi testi dei Lieux (n°115). Certamente doveva esserci stato un rapporto tra la scrittura definitiva di W e le sedute di psicanalisi con Jean-Bertrand Pontalis. Philippe Lejeune ne è molto convinto e lo afferma nel suo saggio La Mémoire et l’Oblique quando scrive che : <<Il y a une certaine analogie entre le mouvement de <<destruction>> qui, au cours de l’analyse a permis à Perec d’avoir accès à son histoire et à sa voix, et le geste de suppression ou de simplification qu’il effectue sur le projet complexe conçu en 1970>>. Nel riprendere lo studio a suo tempo iniziato Lejeune prende in analisi alcune tracce spesso enigmatiche ma anche parziali sulle quali elaborare ipotesi meritevoli di attenzione in attesa che il possibile ritrovamento di ulteriori documenti le confermasse o contestasse. Un primo nuovo elemento è rappresentato da una lettera di Georges Perec a Maurice Nadeau datata l’8 marzo 1973, il giorno dopo il suo compleanno (compiva trentasette anni). Ecco il testo completo: Cher Maurice Nadeau, je vais bientôt reprendre-et finir-: depuis trois ans la nécessité s’en faisait sentir mais ce n’est que depuis très peu de temps que la possibilité s’en fait jour. Avec les numéros de la Quinzaine et mes manuscrits j’ai pu reconstituer la presque totalité du feuilletton (ou feuilleton ?). Mais il me manque un épisode qui, si mes souvenirs sont exacts, était trop long et a été reparti entre les nos 90 et 91 de la Quinzaine. Peux-tu donc me faire renvoyer ces deux livraisons de la Quinzaine. Je t’en remercie à l’avance. Amitié G. L’analisi di questa lettera mostra che, nel marzo 1973, due anni dopo l’inizio del trattamento psicanalitico (maggio 1971), Georges PEREC supera le sue inibizioni, riacquista più equilibrio e serenità tanto che riprende la stesura di W e la porta a termine. Nella sua agenda, G.Perec annota che spesso si chiede nel corso delle sedute da Pon (Pontalis) se quegli incontri potessero essere gli ultimi. Nel 1973 è in atto un cambiamento che vede Perec in grado di avviare un lavoro di revisione e di riscrittura di una parte sensibile del libro(riscrive i vecchi testi sui suoi genitori). Ma Perec non ha fretta. È impegnato in altri progetti, in particolare nelle riprese del film Un homme qui dort tratto dal suo omonimo libro. Appare però ancora incerto circa la realizzazione del grande progetto autobiografico (Lieux è messo da parte nel 1973 e sarà ripreso solo nell’autunno del 1974). I sedici mesi che separano marzo 1973 dall’agosto 1974 sono un periodo di <<veille stratégique>>. 9 Quando il 14 agosto del 1974 parte per una vacanza (una settimana) a Blévy nella casa di campagna della famiglia Bienenfeld vicino a Dreux, in sette giorni dal 15 al 21 agosto termina la fase preparatoria di W scrivendo a mano su di un quadernone, ma una volta terminato questo lavoro può finalmente pensare a riposare la mente e il corpo. Il 22 agosto Perec la dà da leggere a Lili (Ela Bienenfeld) e rientra a Parigi, anche se prova difficoltà a scrivere l’inizio della seconda parte, molto probabilmente il capitolo XIII che completa il 1° settembre. Il 9 settembre abbandona provvisoriamente la redazione della seconda parte per ricopiare il lavoro già fatto cosa che si risolve in sette giorni dal 9 al 15 settembre. In altre parole Perec dattilografa su fogli liberi ciò che era scritto sul quadernone manoscritto. Quest’attività di riscrittura non è per Perec una semplice operazione tecnica, la minuziosità con la quale l’autore ne annota la progressione mostra la sua importanza. Quattro giorni dopo la fine della riscrittura Perec rilegge quanto ha copiato, ha bisogno di rassicurarsi giacché dopo aver trascorso una settimana di calma a Blévy, ritornato a Parigi, trova che la difficoltà e il disagio di un tempo si sono manifestati di nuovo. Il 21 settembre egli annota, infatti, di non essere riuscito a scrivere niente per W. Dal 28 settembre all’11 novembre Perec riprende il suo progetto compatibilmente con le oscillazioni del suo umore. Perec continua a scrivere a mano sul quadernone e la definitiva scrittura del libro finisce l’11 novembre e nel frattempo muore sua zia Esther, il 13 novembre. Ricopia in quattro giorni la seconda parte di W e il 18 novembre scrive di aver consegnato W a Nadeau in rue Malebranche. C’è da osservare che quando Perec arriva a Blévy il 14 agosto il progetto di W che prevedeva tre serie era quello stabilito dall’autore. Quando riparte il 22 agosto, il piano in tre parti è cancellato. Il 28 settembre Perec elaborerà un nuovo piano più curato per la seconda parte ed è a Blévy, probabilmente in più volte che Perec baderà a cancellare e a modificare elementi e descrizioni già utilizzate riducendo il testo a due serie, la storia che ora leggiamo. Contemporaneamente Georges PEREC ha appena finito di scrivere Espèces d’espaces e anche il progetto W è pronto a decollare. L’intera settimana di vacanze a Blévy fu dunque una parentesi opportuna, un periodo proficuo di riposo, un tuffo nella calma dell’atmosfera familiare in compagnia di sua zia Esther e di Lili. Una sorta di rifugio in uno spazio protetto. Georges occupa al primo piano la stanza di Esther che già molto malata è sistemata da sua figlia Lili al pianterreno. Perec che ha ben ordinato le sue cose su di una grande tavola posta vicino alla finestra che dà sul giardino alterna il suo intensivo lavoro con letture, giochi e attività di innaffiamento nel giardino. Stanco si mette a dormire in ore tarde della notte. Durante questa settimana lo scrittore si convince della necessità di ripensare il piano del suo racconto passando da un sistema ternario a quello binario. Nel raccontare i suoi primi due ricordi, si rende conto che sono confusi e incerti e che sarebbe stato più conveniente rivedere l’organizzazione interna del libro. Tornato a Parigi molto probabilmente l’autore prende atto della ricomparsa della depressione che nel settembre 1970 lo aveva colpito provocandogli un insopportabile fenomeno inibitorio. Anche se Perec annota che il lavoro di revisione presenta difficoltà d’organizzazione, il suo progetto avanza, si è arricchito di ventisei note scritte a Blévy su doppi fogli strappati al centro da un quaderno di scuola a grandi quadri. Le note sono ben costruite con aggiunte e rettifiche in serie fatte con inchiostro nero e a matita. Si trova in allegato una ricostruzione più attenta del lavoro fatto sull’ultima nota, la n° 26 del capitolo VIII di W che, a giusta ragione, secondo Philippe Lejeune, è considerata il centro del libro e il centro della vita di Perec. Essa è senza dubbio la più importante, è quella in cui Perec esita sul luogo della deportazione e di morte di sua madre: Auschwitz o Ravensbrük? Il manoscritto di W è stato ritrovato dopo che era stato venduto all’asta nel novembre del 1975. Georges PEREC l’aveva dato a Maurice NADEAU scrittore, editore, collaboratore e fondatore dal 1966 per la vendita i cui proventi sarebbero andati alla rivista bimensile stessa La Quinzaine 10 littéraire, insieme ad altri documenti (otto pagine di quaderno datate marzo 1948, un inizio di scrittura scolastica sulla neve, seguito da sette pagine di disegni che rappresentavano figure di sportivi, profili, teste e persino uno scheletro e alcuni brevi testi che mostravano come il giovane Georges organizzasse le gare nella sua isola W e una bella copia dei Lieux d’une fugue e ancora altri inediti). Questo ricco lotto era stato comprato da un collezionista svedese, Carl-Gustav Bjurström. David BELLOS seppe del fatto nel novembre del 1996 nel corso di una cena organizzata a Oslo in occasione della traduzione in lingua norvegese di La Vie mode d’emploi fatta dallo stesso Bjurström che gli consegnò una copia del manoscritto. In un primo tempo, David BELLOS credette di trovare nel documento ricevuto alcuni indizi a sostegno della tesi che aveva esposto nella sua monumentale biografia consacrata allo scrittore francese e cioè che Georges PEREC avrebbe volontariamente truccato e falsificato i suoi ricordi d’infanzia4. In un secondo momento, nel corso di una tavola rotonda organizzata dall’Association Perec a Parigi il 5 giugno 1999, David Bellos riconobbe di essersi sbagliato. Dispiace comunque che la sua biografia continui a riportare questo errore che dà una falsa idea del progetto di G. Perec. Nel 1997 il signor Bjurström donò la sua collezione, tra cui i manoscritti Perec, alla Biblioteca regale di Svezia a Stockholm e nel 1998, Ela Bienenfeld ricevette dalla Biblioteca una copia della donazione che anche Philippe Lejeune poté leggere in occasione di un viaggio in Svezia che fece nel settembre del 2001. Il documento è importante, assolutamente necessario per comprendere la genesi di W, la disposizione e l’impaginazione, il <<collage>> dei documenti, e per distinguere le parti sulle quali l’autore era intervenuto. Philippe LEJEUNE, noto critico e specialista del genere autobiografico, auspica la pubblicazione di un’edizione critica del manoscritto e degli avantesti. Uno studio che riguarda l’origine e la struttura della parte <fiction> di W è stato già proposto da Delphine GODARD nella sua tesi di dottorato in Letteratura francese sostenuta nel 1977 dal titolo <<L’identité en question. Une lecture de W ou le souvenir d’enfance>> che aveva elaborato un inventario degli avantesti allora disponibili (i dossiers N°71 e 116 della fondazione privata Georges Perec). Adesso possediamo l’insieme dei documenti del puzzle. La raccolta-dati conservata a Stockholm permette di seguire in modo più puntuale la progressione generale e la realizzazione del testo W. È da augurarsi altresì che un’edizione critica globale sia messa quanto prima a disposizione di un pubblico sempre più esigente e interessato a che si sviluppino studi e approfondimenti come quelli acuti e pertinenti di Bernard MAGNÉ, teorico e abile oratore particolarmente attratto da G. Perec e dai suoi scritti, in particolare da W ou le souvenir d’enfance. Lo stesso Ph. LEJEUNE riconosce, dopo aver spulciato l’agenda 1975 per seguire le tappe della pubblicazione di W, che il vuoto rilevato in Perec tra il 1971 e il 1974 nel suo studio del 1991 di fatto non c’era e che in quel periodo la redazione finale di W era già in via di svolgimento. Dal 12 agosto alla fine di dicembre 1975, difatti Perec riporta nel suo taccuino in maniera dettagliatamente continua, le varie tappe del suo progetto autobiografico. La revisione delle parti che il critico letterario ritiene <<mostrueuse>> ha secondo l’autore de Le Pacte autobiographique due conseguenze sul ritmo del libro. Sul piano generale la nuova struttura impone il passaggio al sistema binario, sul piano testuale, introduce un’irregolarità che colpisce. L’estetica del testo a puntate suppone non soltanto una periodicità regolare ma fascicoli di formato equivalente. La <fiction> è tarata in unità di circa quattro/cinque pagine. È un racconto assertivo e lineare che non comporta alcuna soppressione di commento, meta discorsi o note. A questo racconto regolare e semplice la nuova organizzazione binaria metterà a confronto un testo (quello autobiografico) irregolare e complesso almeno nella prima parte, poi il gioco ritornerà uguale. 4 Cf. David BELLOS, Georges Perec, une vie dans les mots, Édit. Du Seuil, Paris, 1994. 11 Calma piatta dal lato <fiction>, tempesta e animazione dal lato dei ricordi che chiuderanno la prima parte con puntini di sospensione tra parentesi. In altre parole, alla regolarità un po’ meccanica del piano strutturale iniziale, si sostituisce un sottile e variabile gioco tra regolarità e irregolarità. A riprova di questo discorso segnaliamo il capitolo VIII che alimenta problemi di comprensione e confusione. Il testo è eccessivamente sovraccaricato tanto da suscitare difficoltà trasformandolo in una sorta di labirinto. Lo stesso Philippe LEJEUNE confessa di aver avuto bisogno di qualche tempo per fugare un piccolo stato confusionale e che, solo dopo la consultazione del manoscritto a Stockholm e il confronto con altri documenti conservati a Parigi, è stato in grado di risolvere i suoi molteplici dubbi e d’indicare le incoerenze e incertezze rimarcate nel libro. Con riferimento alla scena cruciale della separazione definitiva del piccolo Jojo dalla madre alla gare de Lyon di Parigi inserita da Perec nel capitolo VIII di W e descritta con estrema concisione, c’è da osservare che la descrizione dell’avvenimento che Philippe LEJEUNE giudica <<le centre du livre et le centre de l’histoire>>5 lascia il lettore e anche gran parte della critica universitaria alquanto nel dubbio. Il noto studioso dell’intera opera di G. Perec, Ph. Lejeune, contesta infatti e in modo deciso l’esattezza di due fatti. Perec scrive sui tempi de <<La brisure>> che segna il doloroso distacco di Georges dalla madre <<C’était en 1942>> (W..p.48). Per Philippe Lejeune questa data è falsa e precisa a proposito dell’avvenimento : <<Georges Perec et sa mère n’étaient pas venus seuls à la gare de Lyon. Cécile était accompagnée de sa nièce Bianca LAMBLIN. Selon cette dernière, G. Perec se trompe en situant en 1942 ce départ, qu’elle situait plutôt à l’automne 1941>> 4 Sulla base di questa importante testimonianza é affermato che le circostanze ricordate e riportate nel testo non sono vere e che i fatti risultano alterati se non distorti. Il secondo frammento testuale mette l’accento su due elementi situazionali legati a questa partenza: il braccio ingessato di Georges e l’acquisto di un fumetto, indicato questa volta senza esitazione con il nome di <<un Charlot>>.Nell’avantesto del 5 marzo 1970 si precisa che il fumetto aveva come titolo <<Charlot parachutiste>>. Sul primo elemento che fa esplicito riferimento a un problema di salute, c’è da notare che in una successiva versione di W troviamo che <<un bandage herniaire>> si è sostituito all’espressione <<bras dans le plâtre>> e nel paragrafo preliminare del capitolo VIII si fa menzione d’<<un bras en écharpe>>, precisando in modo risoluto che nessun arto è rotto e che la madre aveva acquistato al figlio un <<Charlot>>. Infine nel lungo testo dal titolo<<Le Départ>> che conclude il capitoloX, l’ultimo della prima parte di W, Perec ritorna sulla situazione appena evocata e sostiene che la presenza d’<<un bras en écharpe>> è giustificata dalla natura del viaggio, un convoglio organizzato dalla Croce Rossa per scopi umanitari. Ma subito affermato, l’argomento è smentito: nessun<<bras en écharpe>>, né evacuazione di feriti. É allora che è introdotto un ipotetico riferimento a <<un bandage herniaire>>. C’è stata una lunga e appassionata polemica per determinare quando, dove e come G. Perec fu operato di ernia e anche di appendice. Ricapitolando, la data della partenza è sbagliata, le circostanze falsificate, gli avvenimenti inventati. A ciò Philippe Lejeune aggiunge che la mistificazione realizzata è sgradevole e grossolana. Come rileva il critico letterario: 5 Cf. Philippe LEJEUNE, La Mémoire et l’Oblique, op. cit., p.83. 12 <<(…) est-il possible qu’on vende à la gare de Lyon, en 1942, un illustré représentant Charlot parachutiste? Chaplin est l’auteur du Dictateur (1940), l’Allemagne est en guerre avec les États-Unis depuis décembre 1941, et les parachutistes ennemis n’ont jamais bonne presse…>> 6 In modo abbastanza chiaro, Perec, entusiastico sostenitore de l’OuLiPo, ha fatto sua la regola del ricorso a una forma di devianza, <<la contrainte>>, per confondere ancor più le piste. È noto che il convoglio della Croce Rossa era diretto a Grenoble mentre il giovane Jijo stava andando incontestabilmente a Villard-de-Lans. E allora è lecito chiedersi quale collegamento possa esserci tra la scena di separazione da sua madre e il suo primo salto col paracadute avvenuto all’epoca del servizio militare. È Georges PEREC stesso che risponde scrivendo in basso alla nota n°26, l’ultima del capitolo VIII: <<Ma mère n’a pas de tombe. C’est seulement le 13 octobre 1958 qu’un décret la déclara officiellement décedée, le 11 février 1943, à Drancy (France)>> (W…p.57). La figura della madre di Perec appare poco consistente in seno a questa dolorosa scena e in questo capitolo VIII mentre il bambino, invece, é onnipresente nel tentativo di riallacciare i fili della sua vita. Il capitolo IV parla di fili che si sono rotti o più precisamente c’è un filo, quello del racconto, che collega questi fili che si sono lacerati. Dunque: <<Je ne sais pas où se sont brisés les fils qui me rattachent à mon enfance>> (W…p.21). Infatti, è in seno a questa <<coupure>> che si dissolve Gaspard Winckler 7, peraltro personaggio ricorrente nell’opera di Perec e che, da Le Condottiere alla Vie mode d’emploi, rappresenta il falsario, il manipolatore e il falsificatore. 6 Cf. Philippe LEJEUNE, ibid., p.82 Nel 1960 Gaspard WINCKLER è un pittore falsario. Nel 1975 Gaspard WINCKLER è un bimbo sordomuto. Nel 1978 Gaspard WINCKLER è un artigiano che fabbrica cinquecento puzzle. Ma Garspard WINCKLER, chi era costui? E appurato che sia soltanto un personaggio inventato da Georges Perec, come si spiega la sua presenza simultanea in tre romanzi diversi, in vesti diverse eppure caratterialmente affini? Perché quel cognome con quella W iniziale che dà addirittura il titolo a uno dei tre libri, W ou le souvenir d’enfance, che torna come pezzo finale dell’ultimo irrisolto puzzle di Bartlebooth, La Vie mode d’emploi ? E se Perec condividesse con Italo Calvino l’idea che scrivere fosse come nascondere qualcosa in modo che poi fosse scoperto? (Ne La Disparition (1969) Perec fa sparire la lettera <<E>> che ricompare nella dedica anteposta al libro successivo, appunto W ou le souvenir d’enfance). Ma andiamo per ordine cronologico e vediamo che Gaspard WINCKLER appare per la prima volta nel romanzo breve Le Condottière per sparire infine nel modo più assurdo per un manoscritto: chiuso in una valigetta di cartone pressato smarrita durante un trasloco. Perec morì credendo perduto per sempre quello che in W definisce come il primo romanzo che era riuscito a scrivere e che non aveva potuto pubblicare (il manoscritto rifiutato dalle edizioni du Seuil ma accettato da Gallimard è poi inspiegabilmente bocciato tanto che Perec aveva deciso di accantonarlo con l’intenzione di riprenderlo in futuro). Il manoscritto non originale (una copia dimenticata) fu difatti ritrovato in una remota scansia in casa o nella cantina del giornalista de l’Humanité, Alain Guérin. Ne Le Condottière Gaspard WINCKLER è un falsario geniale che non riesce a rifare un Antonello da Messina e che, in seguito a quel fallimento, è indotto all’assassinio di chi glielo ha commissionato. Dopo l’omicidio G. WINCKLER sparisce e lo ritroviamo dentro un altro libro, appunto W, e in un bambino di otto anni sordomuto, rachitico e gracile, condannato dalla sua infermità a un isolamento pressoché totale. Per aiutarlo a superare le sue problematiche, la madre lo porta a fare un giro del mondo a bordo del Sylvandre, un panfilo di venticinque metri su cui s’imbarcano. Fanno naufragio al largo della Terra del Fuoco, non molto lontano dalle coste cilene e Gaspard WINCKLER scompare di nuovo dal mondo letterario. Il libro prosegue con un parallelo tra il tentativo da parte di Perec di ricostruire la propria infanzia e il mondo straordinario di W dove vige un sistema sociale basato esclusivamente sullo sport ma che si rivela nel corso della narrazione di una vera e propria parodia dei campi di concentramento nazisti. Tre anni dopo l’uscita di W Perec pubblica il capolavoro La Vie mode d’emploi con cui vince il Prix Médicis e nel quale ritroviamo Gaspard WINCKLER uno dei protagonisti. Qui è un artigiano che è reclutato dall’eccentrico miliardario Bartlebooth. 7 13 Perec all’inizio del capitolo XII, primo capitolo della seconda parte, dichiara: <<Désormais, les souvenirs existent, fugaces ou tenaces, futiles ou pesants, mais rien ne les rassemble>> (W…p.93). Basta dunque incrociare i fili per convincersi che chi fu all’improvviso e così violentemente privato di suo padre e poi di sua madre non può essere che un individuo distrutto i cui ricordi sono contrastanti e disgiunti e la cui scrittura è sconvolta. Ci sembra di cogliere nel libro di Perec il desiderio di incoraggiare il lettore a procedere a una lettura unitaria superando con la voglia e l’attenzione tutte quelle forme d’incertezze e di disgiunzione che pur ci sono in W, unicamente attribuite alla memoria perecchiana fragile ed enigmatica come la misteriosa dedica del libro indicata con la lettera maiuscola E che potrebbe essere, com’è stato ampiamente suggerito, Esther, la zia paterna che ha accolto con amore il piccolo Georges a Villard-de-Lans, poi adottato, oppure Ela, l’affettuosa sua cugina. Ma ciò sarebbe come mettere in secondo piano il ricordo d’infanzia, W e la continua ricerca di quel padre e di quella madre così poco conosciuti. Per noi E è un pronome personale e indica quelli che Perec non può più chiamare, i suoi cari genitori. Grazie al lettore, la loro memoria si perpetuerà e Cyrla Perec, infine, avrà una tomba. <<(…) il testo non è produttore di sapere, ma produttore di finzione, di finzione di sapere, di sapere-finzione o fantasapere…>>. Georges PEREC, Entretien avec Jean-Marie Le Sidaner, in L’Arc n°76, Paris, 1979. W ou le souvenir d’enfance : il libro che consente a G. Perec di ritrovare la famiglia che gli mancava. *********** Diversi studiosi e ricercatori universitari considerano W come una revisione del patto autobiografico. Secondo Philippe LEJEUNE questo patto stabilisce che l’autore, il narratore e il personaggio principale siano una sola e stessa persona a garanzia della verità. Perec non condivide questa tesi. Infatti, la memoria è così fragile che non merita incondizionata fiducia, coscientemente o no, essa modifica certi fatti, ne immagina altri e ne cancella alcuni. È di tutta evidenza che un’autobiografia non può essere una verità assoluta, il racconto autobiografico diventa così una sorta di auto fiction nel senso che l’autore è anche il narratore e il personaggio principale, e la forma del racconto è romanzata giacché la memoria modifica automaticamente gli avvenimenti e li riscrive. Contrariamente ai modelli autobiografici classici, Perec scrive al presente, non ritorna il bambino che è stato, ma osserva da adulto la sua infanzia. Il lettore può leggere i suoi problemi, comprenderne la natura, apprendere le sue incertezze, le sue ricerche e le sue difficoltà. Se prestiamo attenzione alla genesi del racconto W scopriamo che per l’autore la redazione del libro è Quest’ultimo incarica Winckler d’inventare cinquecento puzzle perfetti ma diseguali tra loro. Il libro termina con la ribellione di Winckler alla sua condizione di sottomissione e Bartlbooth è ucciso da un enigma insolubile: davanti a lui è il quattrocento novantesimo puzzle in cui manca un pezzo che disegna la sagoma quasi perfetta di una X, ma il pezzo che il morto regge tra le dita ha la forma di una lettera W, come W di WINCKLER, ovviamente. 14 stata molto difficile quasi dolorosa. Innanzitutto la parte <<fictive>> è stata pubblicata sotto forma di episodi sulla rivista La Quinzaine littéraire tra il gennaio 1969 e ottobre 1970. Come nel libro, il racconto di Gaspard Winckler si chiude all’improvviso per lasciar posto alla descrizione di W, ciò che creò non pochi malumori e un’ondata di proteste nei lettori. Riprenderà, infatti, la redazione dello stesso nel 1974 che terminerà in alcune settimane8. C’è da rilevare inoltre che le sedute di psicanalisi non tendevano solo a far ritrovare dei ricordi lontani e frammentari ma piuttosto a far sì che Perec prendesse coscienza dei vuoti e la fragile intersezione dei due testi che formano W ou le souvenir d’enfance non è servita a ricostruire semplicemente i ricordi assenti dalla memoria di Perec, ma anche alla riappropriazione della sua identità. Perec stesso scrive: <<Je sais que j’ai beaucoup raconté W(par la parole ou le dessin) et que je peux ,aujourd’hui, raconter W, raconter mon enfance>> (David BELLOS, op. cit,. p. 458), La scrittura quindi era da lui considerata un’indispensabile tappa del processo di ricostruzione identitaria e nonostante gli ostacoli che l’autore incontrava i suoi ricordi sono vaghi, fugaci, indeterminati e senza un’evidente coerenza e all’inizio del testo autobiografico Perec dichiara di non avere ricordi d’infanzia. Quest’asserzione di amnesia rappresenta l’incapacità di Perec di stabilire un legame con un passato dal quale è stato tenuto lontano Da ciò, si percepisce agevolmente un’angustiata condizione di blocco, la difficoltà di Perec a dire l’indicibile, a raccontarsi. Non è sicuro di sé e i suoi ricordi sono cosparsi da <<peut-être>>, da supposizioni e da molteplici note che li modificano. Va alla ricerca di chiari e inequivocabili punti di riferimento al fine di assimilarli nella speranza così di assumere gli anticorpi necessari per far fronte a orrori e sofferenze ancora più forti e assurdi. Perec mostra così difficoltà nel ricordarsi e nel ripercorrere il suo devastato passato anche se scende il buio totale quando ritorna al momento che giudica il più decisivo e il più traumatico e cioè la separazione dalla madre alla gare de Lyon a Parigi. Comincia a raccontare che la madre l’aveva condotto alla stazione ma si sofferma su dettagli di poco conto come il fumetto da lei comprato raffigurante Charlot che salta col paracadute attaccato alle bretelle del suo pantalone o il fatto che Georges portasse o no una fasciatura attorno ad un braccio. Perec non arriva al nucleo più profondo di questo ricordo, brutalmente interrotto e seguito da una pagina bianca che separa le due parti di W dove vediamo soltanto questo segno: <<(…)>. Il lettore attende anche lui di conoscere la totalità della scena e i sentimenti dell’autore. La narrativa fantastica del libro rispecchia il mistero della perdita che c’è nella sua autobiografia e lo trasferisce nella rappresentazione allegorica di un enigma. Si mette in contatto così con l’indicibile pena delle memorie della sua infanzia e fa capire che ciò che manca alla narrazione potrebbe essere recuperata attraverso la visione di un mondo <<fictionnel>>. L’illustrazione dei ricordi d’infanzia in W ci porta a riconsiderare come non assoluta la distinzione delle due sezioni, a caratteri romani quelle <<autobiografiche>>. Perché ricordarsi è sempre, in parte, un atto creativo e soprattutto quando si pretende di non avere ricordi d’infanzia, l’atto di cercare sembra un fatto inventivo con la conseguenza che la separazione tra <<fiction>> e <<reale>> non è più chiara e definita. 8 David BELLOS, nella sua monumentale biografia dal titolo Georges Perec une vie dans les mots, Édit. Du Seuil, Paris, 1994, a pagina 565 scrive che <<la psychanalyse aidait évidemment Perec à prendre possession de son passé>>. 15 In un racconto segnato dall’amnesia e da un abissale vuoto informativo ed emozionale, non è sorprendente vedere la triplice versione di un solo avvenimento come per esempio la separazione dalla madre. Questo ricordo sarà fondamentale nella vita di Perec retrospettivamente poiché Perec non sa in quel momento che sarà l’ultima volta che vedrà sua madre. Soltanto a guerra finita scoprirà che quella separazione è stata definitiva e considererà l’avvenimento del distacco alla stazione ancora più angosciante. Per Eleanor KAUFMAN l’immagine della separazione racchiude in sé diversi simboli. Essa spiega che una caduta e una partenza sono figure dello spazio legate alle idee di vita e di morte. Da un lato Perec prende un treno che lo condurrà verso la libertà e dunque alla vita, dall’altro il treno che prende la madre la condurrà alla morte nel campo di sterminio di Auschwitz (?). Una parte del traumatismo di Perec è dovuta alla sua sopravvivenza che contrasta con la morte dei suoi genitori e la stazione è un simbolo di questa distinzione. La separazione da sua madre riprende l’immagine pericolosa della caduta, spesso presente negli incubi. Nella sua vita, nel 1958, Perec è diventato paracadutista e sa cosa si prova quando si scende col paracadute, è la metafora della vita, di quella vita senza sostegno che Perec ha provato interiormente durante il periodo di guerra. Quando Perec analizza il suo ricordo in W parla della sua esperienza in quanto paracadutista: <<Seize ans plus tard, en 1958, je pus lire un texte déchiffré de ce souvenir: Je fus précipité dans le vide; tous les fils furent rompus; je tombai, seul et sans soutien. Le parachute s’ouvrit. La corolle se déploya, fragile et sûr suspens avant la chute maîtrisée>> (W…p.77) In fase di caduta o discesa é sempre possibile che il paracadute non si apra e che il restare in aria faccia pensare alla morte. Essa prefigura questo momento di terrore come oscillazione tra la vita e la morte. Come scrive lo stesso Perec nel quarto di copertina dell’edizione Gallimard, i due testi non possono esistere da soli: <<Ils sont inextricablement enchevêtrés comme si aucun des deux ne pouvait exister seul, comme si de leur rencontre seule de cette lumière lointaine qu’ils jettent l’un sur l’autre, jamais tout à fait dit dans l’autre, mais seulement dans leur fragile intersection>>. Lo scrittore è convinto che per definire la sua identità occorra passare attraverso la storia ma quando essa è inaccessibile, incomprensibile, l’unica cosa da fare è di far ricorso al mondo fantastico ideale. Dopo <<la clôture de 1942>> inizia la seconda parte che vede alternarsi un testo fittizio in carattere corsivo a un racconto autobiografico in carattere tondo. La seconda parte comincia pure con un testo immaginativo ma qualcosa è cambiato. L’ex narratore, il falso Gaspard Winckler, è scomparso come la madre di Perec, per essere sostituito da un altro narratore che si esprime ricorrendo a un <<il>> impersonale e distante. La storia prende così una strada radicalmente diversa: la ricerca del bambino è interrotta definitivamente e l’autore passa alla descrizione di un’isola, W, posta tra gli isolotti della Terra di fuoco, dove esiste una comunità di persone che vive un’utopia sociale fondata sull’ideale olimpico. Tutte le circostanze misteriose e incomprensibili della prima parte sembrano essere state accantonate. Tuttavia, è di tutta evidenza che questo secondo racconto <<fictionnel>> è il più importante dei due che compongono W; Perec vi allude nel suo racconto autobiografico quando dice: <<A treize ans, j’inventai, racontai et dessinai une histoire. Plus tard je l’oubliai. Il y a sept ans, un soir, à Venise, je me souvins tout à coup de cette histoire W et qu’elle était, d’une certaine façon, sinon l’histoire, du moins une histoire de mon enfance>>. (W…p.14) 16 Infatti, c’é da dire con Claude BURGELIN che il mito dell’isola W dice più verità sul piccolo Georges che non le tre o quattro foto sfocate che lo riprendono insieme ai suoi genitori. È precisamente per questa ragione che una distinzione tra la <<fiction>> e la <<verità>> non è applicabile a W ou le souvenir d’enfance: è nell’immaginazione che ritroviamo la verità sul passato perecchiano mentre i ricordi d’infanzia che ci parlano di Perec sono dipendenti da una memoria confusa e incerta. La descrizione minuziosa del mondo di W comincia con una frase al condizionale in testa al capitolo XII: <<Il y aurait, là-bas, à l’autre bout du monde, une île. Elle s’appelle W>> (W…p.89), Una rivelazione di un mondo di stampo esotico-romantico, un altrove dove tutto sarebbe possibile. Tuttavia i copiosi dettagli che propone il narratore, dapprima con l’entusiasmo di una guida turistica, a un certo punto modificano la tonalità del racconto. Il tono del narratore sempre più freddo e impersonale destabilizza il lettore che d’altra parte non è in grado di contestare la razionalità delle concatenazioni in atto nel libro. Troviamo, infatti, espressioni quali <<il est clair que>> (W…p.119) , <<un simple calcul monte en effet que>> (W..p.122) e <<on comprend aisément pourquoi>> (W..p.124). La competizione sportiva si rivela a poco a poco essere un mezzo per la cancellazione della dignità dell’uomo permessa dalla legge nella quale è previsto persino l’ingiustizia. Vi si legge, infatti, che: <<La Loi est implacable mais la Loi est imprévisible. Nul n’est censé l’ignorer, mais nul ne peut la connaître>> (W..p.155). La continua lotta a tutti i livelli della vita quotidiana che affascinava all’inizio é diventata una questione cruciale di vita e di morte. L’esaltazione del corpo sull’isola rimanda alla retorica nazista della razza ariana e c’è pure un riferimento implicito al documentario Les Dieux du stade di Leni RIEFENSTAHL, film di propaganda girato durante i giochi olimpici di Berlino 1936 e finanziato dal regime nazista per esaltare esteticamente i corpi degli atleti. Alla fine del testo, Georges PEREC cita L’univers concentrationnaire di David ROUSSET ed è in quel momento che W si allontana dalla <<fiction>> e dalla ricerca del ricordo per essere quanto mai attuale. Entra in gioco l’elemento della collettività poiché l’Olocausto ha privato Perec della possibilità di ricostruire la sua storia, una storia collettiva l’ha oscurata con il tema della guerra e dei campi di sterminio. Immaginando l’isola di W Perec ha voluto materializzare la crudeltà di cui è stato indirettamente vittima. Siamo concordi con Claude BURGELIN quando giudica W un modo per uscire dall’orrore bianco e per entrare nella storia degli orrori e delle atrocità nazisti, mostrando altresì l’inutilità di distinguere l’affabulazione dalla realtà, l’assurdo dalla razionalità. È dunque attraverso la scrittura, l’immaginazione creativa, che Perec riesce a superare la sua ossessione, il suo trauma. Come altri scrittori Perec è convinto che spesso le opere d’immaginazione e romanzate permettono una chiara rappresentazione degli effetti della guerra più delle opere storiche e sociologiche. Vale la pena, a questo proposito, ricordare il ruolo importante che ha avuto la psicanalisi non soltanto nella redazione del libro W ma anche nella vita di Perec stesso. Lo scrittore ha, infatti, seguito, fin dal 1949, una prima terapia di natura psichica con la dott.ssa Françoise DOLTO e poi due psicoanalisi9. Questi incontri gli hanno fatto prendere coscienza che la sua apparente assenza di 9 1956-57 un’analisi con Michel de M’Uzan e negli anni 1971-75 un’altra, abbastanza lunga e continua con il dott. Jean-Bertrand PONTALIS. Questo triplice ricorso all’analisi è decisamente significativo della volontà di Perec di dare senso alla sua vita e di collegare i fili disordinati e fragili della sua storia personale in un’unità più coerente. 17 ricordi era da considerarsi non come una sorta di trauma ma come una forma di protezione dagli orrori e dalle atrocità del mondo. Perec scrive nel capitolo II: <<Cette absence d’histoire m’a longtemps rassuré: sa sécheresse objective, son évidence apparente, son innocence, me protégeaient, mais de quoi me protégeaient-elles, sinon précisément de mon histoire, de mon histoire vécue, de mon histoire réelle, de mon histoire à moi qui, on peut le supposer, n’était ni sèche, ni objective, ni apparemment évidente, ni évidemment innocente ?>> (W..p.13). Secondo la psicanalisi la rimozione é radicale quando il soggetto diventa sordo e cieco e soprattutto indifferente alla sua storia, quando cioè decide di non leggerla. È certo però che quest’oblio voluto maschera una sofferenza che accresce nell’uomo Perec il tormento e la sua angoscia. Soltanto l’analisi e la scrittura possono riaprire una vecchia ferita per dare senso a questo devastante vuoto interiore. E W è il risultato dell’analisi che gli permette non soltanto di comunicare una storia, quella di Georges PEREC ma anche di seguire il percorso interiore di un uomo in costante cerca di sé. E la scrittura diventa anche un’arma potente per denunciare lo scandalo delle infanzie rubate e dell’universo concentrazionario in continuità con altre <<fictions>>, quali quelle di Jules VERNE, di Aldous HUZLEY e di George ORWELL. La scrittura appare allora come il miglior modo per capire ciò che si trova nascosto in lui. L’autore di W cerca Georges (il bambino) e PEREC (l’uomo). Al bambino chiamato Georges PEREC la Storia ha cancellato i ricordi più intimi, allontanandolo dalla dolcezza di uno sguardo materno, è un mondo perduto che l’autore cerca di ritrovare. W è certamente un testo dedicato anche all’Olocausto, a tutti gli Olocausti passati e futuri, è una denuncia di tutti i totalitarismi e degli orrori commessi nei campi di distruzione di massa. Scrivere diventa un atto di civiltà e d’umanità; è il segno di un uomo che afferma la sua dignità e si serve di ciò che è comune a tutti gli uomini, il linguaggio, per lottare contro ciò che li minaccia: la loro disumanità. Nessuna parola di odio, nessun appello alla violenza nell’opera di PEREC, tutt’al più una costatazione desolata e a volte ironica delle sevizie dei carnefici. <<Écrire est essayer méticuleusement de retenir quelque chose, de faire suive quelque chose; arracher quelques bribes précises au vide qui se creuse, laisser, quelque part, un sillon, une trace, une marque ou quelques signes>>. Georges PEREC, Espèces d’espaces, Éditions Galilée, Paris, 1974. <<Le projet d’écrire mon histoire s’est formé presque en même temps que mon projet d’écrire>>. Georges PEREC, W ou le souvenir d’enfance, Éditions Gallimard/ coll. L’imaginaire, Paris, 1975, p.41>>. <<Je peux aujourd’hui, racontant W, raconter mon enfance>>. Isabelle DAGNY, Étude sur W et le souvenir d’enfance, Ellipses Edition Marketing S.A., Paris, 2002, p.18. 18 GEORGES PEREC e la scrittura come ricerca di sé. ********** Perec è stato staccato dai suoi genitori, il suo nome è stato francesizzato per non far sorgere sospetti ed è stato battezzato secondo la religione cristiana. Come gli atleti della comunità di W, egli non ha più nome, identità. Vuole conoscere il suo passato<<suspendu>> e <<diffracté>> per riuscire a capirsi. Purtroppo sa davvero poco di sua madre, ignora le circostanze della sua morte e non trova nessun disposto a raccontargli questo doloroso avvenimento e a spiegarglielo. Soltanto più tardi capirà ciò che è successo e collegherà ciò che ha scritto, gli orrori dell’isola W e la realtà. Sa soltanto che dopo la scomparsa di sua madre, tutti i fili si sono spezzati e non ha più punti di riferimento sui quali ricostruire la sua vita. Perec dice che << tout ce que l’on sait, c’est que ça a duré très longtemps, et puis un jour ça c’est arrêté>> (W..p.95) e che questa separazione è vissuta come una perdita d’identità nel senso che non conosce le sue origini né chi egli sia, egli stesso esplicita le ragioni che lo hanno spinto a scrivere il libro W: <<(…)J’écris parce que nous avons vécu ensemble, parce que j’ai été un parmi eux, ombre au milieu de leurs ombres, corps près de leur corps; j’écris parce qu’ils ont laissé en moi leur manque indélébile et que la trace en est l’écriture>>. (W…p.99). Attraverso la scrittura che é vita Perec recupererà ciò che la <<Grande Histoire>> gli ha rubato. Le pagine 58 e 59 di W racchiudono preziose indicazioni sulla finalità della scrittura perecchiana. Il commento dello scrittore comincia con una costatazione d’insuccesso e d’impotenza, egli si rende conto che i testi sui suoi genitori sono stati scritti da lui quindici anni prima, nel 1960 all’incirca, e che le nove pagine di note aggiunte non sono servite a dissolvere le incertezze e i dubbi. Come se la separazione dalla madre l’avesse privato della possibilità di conoscere le parti mancanti della sua ricostruzione. È importante rilevare che la confessione di questo limite della scrittura è anche una costatazione di morte e che la ricerca del ricordo è condannata in anticipo a una sorta di <<ressassement sans issue>> (W…p.58) e l’assenza è peggiore della sofferenza. Questa costatazione d’impotenza risuona pure nell’uso delle parole ripetitive come un gioco: <<Je ne sais pas si je n’ai rien à dire, je sais que je ne dis rien; je ne sais pas si ce que j’aurais à dire n’est pas dit parce qu’il est indicible(…) ; je sais que ce que je dis est blanc, est neutre, est signe une fois pour toutes d’un anéantissement une fois pour toutes>> (W…pp.58-59). L’uso ripetuto di <<Je/io>> che viene a scandire il testo é del tutto caratteristico della Letteratura della Shoah la cui espressione é impacciata a causa di una fondamentale incapacità linguistica. È un <<Je/io>> che cerca di contrastare l’assenza, il sentimento di vuoto iniziale, punto di partenza della scrittura, attribuibile non solo alla cancellazione dell’infanzia evocata in precedenza ma anche all’impossibilità di esprimere l’indicibile che spesso traspare da locuzioni quali <<mots à trouver>>, <<rien à dire>> e altre. La scrittura diventa per Perec un esercizio puramente esistenziale, si confonde con la vita. È il solo modo per recuperare il passato cancellato, distrutto, e ricordare tutti quelli che sono morti senza sepoltura, quelli che sono morti bruciati nei forni crematori di Auschwitz. Georges PEREC non ha vissuto gli avvenimenti che l’hanno reso orfano da protagonista e in particolare rispetto al genocidio perpetrato contro gli ebrei egli è stato un testimone distante. Tra la separazione dalla madre alla gare de Lyon (1942 ?) e l’anno di pubblicazione di W passano trentatré anni, un lungo periodo di occultazione dell’infanzia di Perec, una sorta di rifiuto del passato e anche dell’appartenenza allo giudaismo. 19 Nel frattempo, Georges PEREC aveva pubblicato diverse opere importanti quali Les Choses (1965) che gli valse il Prix Renaudot e La Vie mode d’emploi (Prix Médicis, 1978) a cui seguono Un homme qui dort (1967), <<une non-histoire du non-choix d’une non-vie>> e La Disparition (1969), <<monstrueux lipogramma en “e”>> a cui risponde nel 1972 Les Revenentes, capolavoro OuLiPien. Perec resta, ricordiamolo sempre, un assente della sua storia giacché fa parte di quella generazione di scrittori del dopo-Shoah, questa specie di <<survivants>> come li chiama Herbert ROSENFELD A., che non erano nei luoghi degli orrori ma le cui esistenze sono state profondamente segnate dalle atrocità degli ebrei. Come altri scrittori (il premio Nobel 2014 Patrick MODIANO) è nato negli anni che hanno visto la fine della Seconda Guerra mondiale e tanti ebrei privati delle loro radici condividere lo stesso dramma, lo stesso trauma: un’assenza che ostacola la memoria. Perec non ha vissuto direttamente la <<Solution Finale>>, non è neanche considerato come uno scrittore della generazione di Auschwitz perché non è sopravvissuto ai campi di sterminio e non ha in sé la memoria dell’avvenimento che gli darebbe il diritto di testimoniare. Escluso dai ricordi, dalle atrocità perpetrate nei lager nazisti, la sola ferita che ha ricevuto e che gli brucia continuamente è quella di un immenso vuoto esistenziale. GEORGES PEREC e i suoi genitori, ricordi, foto e testimonianze. W è un libro di recupero dei ricordi. La descrizione di alcuni fatti legati ai genitori e alla loro scomparsa è particolarmente efficace. Il racconto laconico che Perec fa della loro morte ne è una palese testimonianza. Egli racconta così come suo padre morì il giorno dell’armistizio, <<une morte idiote et lente>> (W…p.44) ed evoca poi (W..p.57) la probabile morte di sua madre ad Auschwitz (?). In entrambi i casi Perec utilizza il vocabolario dei documenti amministrativi, documenti che sono tutto ciò che gli resta di queste due care persone, particolarmente nel caso di sua madre che non ha avuto sepoltura, contrariamente al padre la cui morte è materializzata nella tomba del cimitero militare di Nogent-sur-Seine, con la menzione <<Mort pour la France>>, alla quale la madre non avrà diritto. La voce neutra del linguaggio burocratico fa eco a quella, fredda e del tutto priva di emozione della seconda parte della <fiction> in cui il narratore espone dettagliatamente le torture più atroci inflitte agli atleti W; le sue cavillose precisazioni, a volte anche pedanti, sono anche un’evidente parodia della retorica delle autorità naziste. La tristezza di Perec non si fa per niente sentire se non in modo <<oblique>>, per riprendere un termine utilizzato da Philippe LEJEUNE per qualificare le strategie autobiografiche di Perec10 , come, per esempio, quando commentò un messaggio di un suo libro di scuola: <<Moi, j’aurais aimé aider ma mère à débarrasser la table de la cuisine après le dîner. Sur la table, il y aurait eu une toile cirée à petits carreaux bleus ; au-dessus de la table, il y aurait eu une suspension avec un abat-jour presque en forme d’assiette, en porcelaine blanche ou en tôle émaillée, et un système de poulies 10 Cf. La Mémoire et l’Oblique: Georges PEREC autobiographe, op. cit., 1991. 20 avec un contrepoids en forme de poire. Puis je serais allé chercher mon cartable, j’aurais sorti mon livre, mes cahiers et mon plumier de bois, je les aurais posés sur la table et j’aurais fait mes devoirs. C’est comme ça que ça se passait dans mes livres de classe>> (W…p.95). Il dispiacere, la mancanza provata dal bambino si manifestano nel <revers> dell’evocazione di questa immagine d’Épinal un po’ convenzionale. Del padre Perec ricorda con più varianti un fatto curioso quanto singolare o piuttosto un <sogno>. Una sera, dal padre che era appena ritornato dal lavoro, ricevette in regalo una chiave d’oro o forse una moneta che il piccolo Jojo inaspettatamente inghiottì facendo spaventare non poco tutti i familiari presenti. Al capitolo IV, il secondo della serie autobiografica, la zia Esther interviene nella descrizione del primo ricordo evocato aggiungendo che il bambino di tre anni si trovava nel retro bottega della nonna attorniato dalla sua famiglia. Il bambino sentiva su di sé una calorosa protezione, amore e grande affetto. Ricorda ancora quando tutti i suoi familiari si erano entusiasmati per il fatto che aveva identificato una lettera ebraica, un segno o una lettera chiamata <gammeth o gammel>. Quest’abitudine o piacere di decifrare non lo abbandonerà mai, anzi possiamo dire che quest’attitudine iniziata per gioco e del tutto inconsapevole sarà fondamentale per la sua futura attività di scrittore. Sempre la zia adottiva Esther racconta nella nota n°1 che accompagna l’episodio riproposto nel capitolo IV di W, che la zia Fanny, la sorella più giovane della madre Cécile, portava spesso il nipotino,nel 1939, spesso a giocare lungo la Senna e aveva notato con meraviglia che il piccolo Georges di appena tre anni amava giocare a decifrare le lettere nei giornali non solo yiddish ma anche francesi. Se Perec rimette costantemente in discussione i pochi ricordi che possiede, si fida tuttavia quasi ciecamente degli episodi o frammenti di avvenimenti della sua storia frutto della memoria degli altri. Le testimonianze dei membri della sua famiglia adottiva, in particolare quelle di sua zia Esther e di sua cugina Ela, gli servono per verificare le rappresentazioni che si era fatto degli avvenimenti e delle persone a lui vicine. Circa le immagini fotografiche l’unica foto che gli resta ritrae suo padre sorridente e vestito da semplice soldato. André Perec aveva fatto diversi mestieri da quando si era stabilito a Parigi con tutta la sua famiglia, tornitore di oggetti di metallo, formatore, fonditore e anche parrucchiere, ma suo figlio Jojo lo vede solo come soldato tanto che un giorno che rimane molto stupito perché indossava abiti civili. La sola foto che Perec aveva del padre gli fornì, però, più indicazioni e informazioni utili che non le cinque foto che ritraevano la madre. Perec amava del padre la sua <<insouciance>>. Seppe, poi, da sua zia che André o meglio Icek Judko, il suo vero nome, era un poeta, che non gli piaceva andare a scuola, che non amava portare le cravatte e che si sentiva a suo agio solo in compagnia dei suoi compagni e colleghi di lavoro. Gli è di conforto sapere che c’era nel padre <<de la sensibilità et de l’intelligence>> (W..p.45). Georges PEREC almeno fino a un certo tempo della sua vita, coltivò una grande passione per i soldatini di piombo. Sua zia ricorda a questo riguardo che in occasione delle festività natalizie il piccolo Jojo li soleva chiedere in regalo. Esther aggiunge che, quando il nipote cominciava a frequentare il liceo, preferiva andare a scuola a piedi e arrivava spesso in ritardo ma ciò gli permetteva di risparmiare ogni mattina due franchi per comprare un soldatino d’argilla che aveva visto nella vetrina di un negozietto situato sulla strada per la scuola. Perec ricorda pure di aver comprato un soldato accovacciato con un telefono di campagna associandolo a suo padre addetto alle trasmissioni. Dal giorno dopo 21 l’acquisto, il soldatino inserito nel piccolo esercito ebbe un ruolo centrale nelle operazioni strategiche e tattiche che il piccolo Georges gli faceva assumere per gioco. La stima e la considerazione per il padre erano così grandi che Perec immaginava diverse morti<<glorieuses>>. La più bella era che il padre era ucciso da una serie di colpi partiti da una mitragliatrice mentre portava al suo superiore il messaggio della vittoria. Ma, invece, suo padre <<était mort d’une mort idiote et lente>> (W…p.44). Si era trovato a camminare su di una mina dimenticata e l’esplosione l’aveva talmente ferito, dilaniato che fu d’urgenza trasportato nella chiesa di Nogent-sur-Seine, una cittadina situata a un centinaio di chilometri da Parigi, trasformata in ospedale per i prigionieri di guerra. Suo padre non fu fortunato poiché quell’atipica struttura medica poteva contare sulla presenza di un solo infermiere. Perse così molto sangue e all’età di trentuno anni morì prima ancora di essere operato. Perec ricorda non molto chiaramente con nota n°12 al capitolo VIII che nel 1955 o 1956, era il primo di novembre, fece una breve visita al cimitero militare di Nogent-sur-Seine. Ricorda anche com’era vestito in quella triste occasione. Indossava un paio di scarpe nere, un vestito scuro a righe bianche, veramente <<hideux>> (W..ibidem) prestatogli da un membro della famiglia adottiva. Un vestito a lutto ricoperto di fango che subito, al suo ritorno, portò in lavanderia e che si augurò di non rimetterlo più. Non fu difficile, così ci racconta, trovare la tomba del padre. Le parole Perec Icek Judko seguite da un numero di matricola e inscritte sulla croce di legno erano ancora ben leggibili. L’adulto Perec sulla tomba del padre si stupì nel vedere inciso il nome, << un balancement confus entre une émotion incoercibile à la limite du balbutiement et une indifférence à la limite du délibéré>> (W…p.54) e provò una serenità segreta legata al fatto che questa morte cessava infine di essere astratta come se la scoperta della tomba mettesse un punto fermo nella sua ricerca. Sulla madre, Cyrla Schulevitz, che chiamavano più comunemente Cécile, il narratore non ha che brevi dati informativi presi da alcuni documenti ufficiali e cioè che era arrivata a Parigi con la sua famiglia probabilmente immediatamente dopo la fine della Prima guerra mondiale e che insieme ai suoi familiari si era sistemata nel XXe arrondissement in una strada di cui non ricorda il nome. Cécile apprese il mestiere di parrucchiere per signora, all’età di ventuno anni sposò, il 30 agosto 1934, il padre di Perec e si sistemarono in rue Vilin dopo aver preso in gestione un salone di parrucchiere. Di lei Perec ha cinque foto e un solo ricordo quasi completo: quello della separazione alla gare de Lyon a Parigi. Il paragrafo intitolato <<Le Départ>> descrive la scena che, secondo il noto critico Philippe. Lejeune, costituisce il <clou> del libro e della storia personale di Perec. Di questo episodio fondamentale ci sono le testimonianze contraddittorie di Esther e della cugina Ela. La versione della fasciatura al braccio ferito come pretesto per giustificare la messa in salvo del piccolo Jojo è contraddetta dalla testimonianza di Esther che nega l’esistenza della fasciatura. Secondo la zia, infatti, il bambino che aveva perduto il padre ucciso in guerra era stato incluso nell’elenco di chi faceva parte del convoglio della Croce Rossa perché <fils de tué>, <orphelin de guerre> (W..p.77) e quindi il piccolo non aveva alcuna ragione di fingere la ferita al braccio. In conformità a questa versione, Perec mette in dubbio il suo ricordo dell’episodio e formula l’ipotesi secondo la quale egli avrebbe subito un’operazione a un’ernia e all’appendice, ma subito dopo il suo arrivo a Grenoble. A sentire Esther, il piccolo sarebbe stato effettivamente operato all’appendice ma molto più tardi e secondo Ela, il bambino fu sì operato ma di ernia e molto prima della separazione dalla madre. La nota che accompagna il paragrafo in cui si oppongono le diverse testimonianze rende l’idea di quanto sia arduo mettere insieme le differenti versioni del ricordo che inevitabilmente subisce una metamorfosi. 22 Consapevole che le diverse informazioni intervenute non possono ricostituire con estrema fedeltà la scena, lo scrittore prende cura di precisare:<<Cela ne change rien au fantasme, mais permet d’en tracer une des origines>> (W..p.78) e qualifica come <<une affabulation>> il ricordo dell’episodio. Delle altre foto sull’infanzia di Perec è interessante quella scattata probabilmente nel 1938 da Photofeder, 47 bd. De Belleville-Paris 11e in cui la mamma è ritratta abbracciata al figlio, <<nos tempes se touchent. Ma mère a des cheveux sombres gonflés par devant et retombant en boucles sur sa nuque….Ses yeux sont plus sombres que les miens et d’une forme légèrement plus allongée…Ma mère sourit en decouvrant ses dents, sourire un peu niais mais qui ne lui est pas habituel, mais qui répond sans doute à la demande du photographe>> (w…p.70). Il piccolo ha : <<des cheveux blonds avec un très joli cran sur le front (de tous les souvenirs qui me manquent, celui-là est peut-être celui que j’aimerais le plus fortement avoir : ma mère me coiffant, me faisant cette ondulation savante).. et de grandes oreilles, des joues rebondies, un petit menton, un sourire et un regard de biais déjà très reconnaissables.>> (W…ibidem). Una seconda foto scattata nell’autunno del 1939 vede la madre di Perec ritratta appoggiata a una struttura di legno e ferro come se ne vedono frequentemente nei parchi pubblici, la sua mano sinistra ricoperta da un guanto nero è posta sulla spalla sinistra del piccolo Jojo in piedi vicino a lei. All’estrema destra si nota qualcosa, forse il mantello del fotografo o quello del padre. Sua madre indossa un mantello con grandi risvolti in tessuto scuro, una gonna grigia a righe, calze grigie e curiose scarpe e un grande cappello di feltro circondato da un nastro che le copre gli occhi. Il piccolo Georges porta un berretto, un mantello scuro con collo a raglan chiuso da due grossi bottoni. Le ginocchia sono libere e le calze di lana scura sono arrotolate sulle caviglie. Perec nota non tanto le sue grandi orecchie quanto piuttosto la triste espressione del viso della madre nelle foto scattate dopo la morte del padre. Un’altra immagine fotografica, scattata probabilmente nel 1940, ritrae Cécile nel Parc Montsouris, seduta su di una sedia da giardino ai bordi di un prato. Porta un gran cappello nero, il mantello è forse lo stesso che indossava nella foto scattata al parco di Vincennes. La borsa, i guanti, le calze e le scarpe allacciate sono di colore nero perché è vedova. Sorride ma con un velo di tristezza. La foto scattata al parco di Vincennes ritrae il piccolo Jojo con sua madre nel luogo in cui il padre era di servizio. Sembra ci sia anche suo padre con addosso un’uniforme quasi nuova. L’autore è stimolato a scrivere da questi preziosi documenti, ma le descrizioni scrupolose di queste immagini fotografiche lo pongono come distante osservatore. Si sofferma sulle foto in cui è ripreso insieme alla madre senza però sforzarsi di ricordare il momento e le circostanze in cui la foto è stata scattata, quasi volesse difendersi da un logico coinvolgimento emotivo. Gli basta la concretezza di ciò che vede. Descrive, cioè, il bambino che è stato come se si trattasse di uno sconosciuto. Stenta a ricordarsi della gioia provata tra le braccia di sua madre e assume il ruolo di critico esterno come se si trovasse davanti a un quadro che potrebbe essere un Rembrant dal probabile titolo <<Gesù in mezzo ai Dottori>>. Nella seconda parte del libro, quella in cui <<Désormais les souvenirs existent>> (W..p.93), le fotografie e i molteplici disegni raccolti in quaderni o album, <<dissociés, disloqués, dont les éléments épars ne parvenaient presque jamais à se relier les uns aux autres>> (W..ibidem), continuano a suscitare in lui deduzioni. Per esempio, descrivendo uno dei luoghi della sua infanzia, la casa dove abitava sua zia Berthe, Perec scrive: 23 << Je sais qu’il y a un escalier extérieur…parce que trois de ces boules sont visible sur une photo où, groupés sur l’escalier un jour d’été, apparaissent quelques adolescents parmi lesquels on peut reconnaître ma cousine Ela et mon cousin Paul>> W…pp.104-5). Si produce dunque un’interazione tra le fotografie e i ricordi elencati. Quelli riguardanti gli anni successivi alla partenza del piccolo Jojo certamente più numerosi di quelli che riguardano l’epoca in cui viveva insieme ai suoi genitori. Il ruolo dei ricordi resta pertanto importante nell’elaborazione del testo di W. Il romanziere che ci dice di essere ritornato, alcuni anni prima della redazione di W ou le souvenir d’enfance, sui luoghi che caratterizzano questa epoca si prende cura di descrivere anche le case in cui è cresciuto. Il lavoro di ricerca messo in atto per ricostruire un passato dimenticato e distrutto è continuo ed esplicito. Georges PEREC e la <<Grande Histoire>>. ************* L’infanzia di Perec é impregnata del terribile contesto della Seconda Guerra mondiale. Lo scrittore sottolinea fin dalla prima pagina di W il peso del passato collettivo che ha subito anche nella ricostruzione della sua storia esistenziale: <<Je n’ai pas de souvenir d’enfance: je posais cette affirmation avec assurance, avec presque une sorte de défi>> (W…p.13). La punta d’ironia che troviamo nel gioco di parole <<l’Histoire avec une grande ache>> (W..ibidem) annuncia abbastanza nettamente il distacco che l’autore prenderà di fronte alla Storia lungo tutto il suo testo. Infatti, piuttosto che rimarcare l’aspetto patetico della sua storia presentandosi come una vittima dell’Olocausto, Perec ha scelto d’ironizzare sulla Storia che ha ucciso i suoi genitori facendola intervenire lateralmente. Così le allusioni alla Shoah in W sono generalmente laconiche e prive d’interpretazione. Il metodo adottato da Perec è più chiaramente espresso nel capitolo VI del libro in cui Perec affronta l’argomento della sua nascita. Lo scrittore ci informa della sua nascita il 7 marzo 1936, poi, nel successivo paragrafo, ci confessa di aver a lungo pensato <<que c’était le 7 mars 1936 qu’Hitler était entré en Pologne>> (W..p.31). È un’ipotesi certamente errata, ma l’autore non si preoccupa di verificare la vera data dell’inizio della Seconda Guerra mondiale perché il sistema nazista si era già reso responsabile di massacri ancor prima della nascita di Georges. Nell’intenzione di ricostruire la sua storia personale, Perec legge <<par acquit de conscience>> ( W..p.32) nei giornali dell’epoca ciò che era successo nel mondo contemporaneamente alla data della sua nascita. Nella nota n°3 al capitolo VI, il romanziere enumera i titoli selezionati che ci informano della situazione politica e sociale dell’epoca, vi si ritrovano pure fatti di cronaca e titoli riguardanti avvenimenti sportivi e culturali. Questa elencazione di fatti disparati ha per effetto di banalizzare la guerra che segnò il destino del bambino Perec. Nella sezione autobiografica di W la Storia è onnipresente ma le notizie non sono commentate e quindi essa è relegata in secondo piano come un semplice sfondo al racconto. 24 La famiglia PERETZ (PEREC) a Parigi negli anni immediatamente precedenti l’occupazione nazista. Sappiamo che la famiglia di Cyrla Schlevitz, << elle était juive et pauvre>> (W…p.46), comunemente chiamata Cécile, nativa di Varsavia si trasferì a Parigi insieme alle sorelle subito dopo la fine della prima guerra mondiale e si sistemarono in 24 rue Vilin. Morta la madre Laja, Cécile imparò il mestiere di parrucchiere per signora e cominciò a lavorare a tempo pieno nel suo salone preso in gestione. Il marito Isie lavorava in una fabbrica come fonditore e nel tempo libero aiutava la nonna Rose nella gestione di una drogheria. Per quanto riguarda il vecchio David Peretz, egli preferiva giocare con il nipotino Georges facendolo saltare sulle sue ginocchia raccontandogli storie tratte dalla Bibbia piuttosto che badare al negozio. Della nonna materna Laja e di suo nonno Aaron Szulevicz non abbiamo alcuna testimonianza. Sappiamo soltanto che Aron era un commerciante ambulante. Lo stesso Perec in W ci dice che Aron non era un artigiano ma che vendeva frutta e verdura. Fu la sorella più piccola di Cécile, Fanny che era più grande di dieci anni rispetto a Jojo che divenne la sua tata. Durante i primi anni della vita di Georges PEREC molti profughi arrivavano costantemente e regolarmente a Belleville diffondendo notizie sempre più inquietanti sulla situazione in Polonia, in Germania, in Cecoslovacchia e in Austria. Anche se l’antisemitismo non era assente dagli argini della Senna, la Francia restava ancora <<une terre d’accueil>>. Dopo l’invasione della Polonia, nel settembre 1939, la Francia e la Gran Bretagna intervennero nel conflitto a difesa della sovranità polacca. Fu proclamata la mobilitazione generale in Francia. David Bienenfeld che era già riservista, essendosi arruolato nell’esercito della vecchia Austria, fu subito richiamato alle armi. Per quanto riguarda Izie, essendo di nazionalità polacca, non poteva arruolarsi nelle forze militari regolari francesi. Ma quando le regole d’ingaggio per entrare nella Legione straniera furono modificate in modo da permettere ai numerosi immigrati di partecipare alla difesa della Francia, la Legione accettò tutti quelli che volevano farne parte ma <<per la sola durata della guerra>>. Izie era un uomo di trent’anni in buona salute. Le ragioni che lo spinsero a entrare volontariamente nell’esercito francese rischiando la vita erano diverse ma certamente il fatto che la Germania aveva occupato la Polonia dichiarando guerra a tutto il mondo ebraico ebbe un peso notevole. A ciò si aggiunse una motivazione più pratica ed egoistica e cioè che l’arruolamento di Izie avrebbe, secondo Esther, facilitato l’attribuzione del diritto di cittadinanza per sé e la sua famiglia. È possibile pure che Izie si sia lasciato convincere dalla propaganda dei media e da un ambiente particolarmente scosso dalle preoccupanti notizie che arrivavano dal fronte di guerra che lasciavano presagire un’imminente catastrofe. Comunque è onesto affermare che la decisione di Izie di far parte dell’esercito francese non fu un colpo di testa né dipese da motivi strettamente personali, ma fu il frutto di un’attenta presa di posizione, approvata e sostenuta dai membri della sua famiglia allargata. Il 5 ottobre 1939 Izie è sottoposto a visita medica ed essendo in buone condizioni fisiche, è dichiarato abile al servizio. Dopo aver firmato il contratto di arruolamento parte per raggiungere, l’8 ottobre 1939, la base principale della Legione, a Valbonne, vicino a Cannes, dove era situato il campo di addestramento. 25 Nel corso dell’inverno 1940 ci fu del trambusto in seno all’esercito francese; furono creati nuovi gruppi militari, tra cui il 25 febbraio 1940 il XII° reggimento straniero di fanteria di cui Izie faceva parte. L’offensiva tedesca comincia il 10 maggio 1940 e invece di attaccare la Francia dalle pianure delle Fiandre come gli strateghi militari avevano previsto, i tedeschi fecero avanzare le loro colonne di blindati dalle Ardenne raggiungendo la costa della Manica a livello d’Abbeville. In pochi giorni le truppe francesi e inglesi si trovarono separate dal resto delle forze alleate. Il XII° reggimento ricevette l’ordine di lasciare Valbonne e Lyon e di dirigersi verso nord. L’incarico assegnato al reggimento di Izie consisteva nel difendere il settore della cittadina di Soissons a un centinaio di chilometri da Parigi. La città di Soissons subì pesanti bombardamenti aerei e, dopo alcuni giorni di resistenza, fu presa la decisione di arretrare sensibilmente la linea di difesa verso sud. La Luftwaffe era padrona dello spazio aereo e distrusse tredici dei quindici convogli di rifornimento del reggimento. Nonostante gli attacchi aerei e il fuoco delle mitragliatrici tedesche, il XII° reggimento volontari italiani, spagnoli, polacchi ed ebrei erano i difensori presenti sul fiume. Nel frattempo un indicibile panico si diffonde. Profughi e cittadini non facevano altro che attraversare Parigi senza fermarsi in direzione sud, verso le campagne dove si pensava che i rischi di bombardamenti fossero minori. L’idea che i tedeschi fossero alle porte della città e che la disfatta fosse inevitabile spingeva i residenti alla fuga con tutti i mezzi. Alle undici e venti del mattino del 15 giugno dopo che il XII° reggimento senza la più piccola copertura tentò di uscire dalla posizione che occupava dietro la Seine in direzione del ponte che scavalcava l’Yonne a Champigny, Izie fu colpito dallo scoppio di una mina e portato con urgenza nella chiesa di Nogent-sur-Seine, destinata ad ospedale. Ma Izie non fu operato e morì il 16 giugno 1940. Fu sepolto nella parte militare del cimitero cittadino sotto una semplice croce di legno con il suo nome e il numero di matricola stampato: PEREC ICEK JUDKO E.V.3716. La maggioranza dei soldati che facevano parte del XII° reggimento fu fatta prigioniera dai tedeschi. Ufficiali, semplici soldati, volontari trovarono la morte ma il nome di Izie non è presente nella lista dei caduti e l’ufficiale incaricato di compilarla annotò le difficoltà a stimare il numero delle perdite, il loro grado e nome. A questo riguardo il noto biografo inglese David BELLOS ritiene che a suo parere Georges Perec sbaglia quando scrive che la morte del padre fu inutile, in verità la firma dell’armistizio, il 22 giugno a Rethondes, sopravvenne sei giorni dopo la certificazione dell’avvenuta morte di Izie, se quest’ultima si fosse verificata qualche giorno dopo, Izie avrebbe potuto essere riconosciuto a tutti gli effetti cittadino francese. Izie è morto combattendo in un’unità di volontari esclusivamente composta di stranieri che si batteva per frenare l’avanzata tedesca, ma che non ebbe sul terreno di battaglia il sostegno dei colleghi d’arme francesi. Il riprovevole armistizio divise la Francia in due zone: la ZO (<zone occupée>) che comprendeva tutta la parte nord della Loira, più la parte costiera lungo l’atlantico, fino alla frontiera spagnola e la ZNO (<zone non-occupée>) detta anche <<zone libre>> che andava dalla Loira alla costa mediterranea. La Francia sarebbe stata governata da Vichy nella persona-eroe di Verdun, il maresciallo Philippe PÉTAIN. In pratica la zona occupata passava sotto l’amministrazione militare tedesca mentre il governo di Vichy s’impegnava a promulgare una legislazione conforme agli orientamenti nazional-socialisti, in modo particolare per ciò che riguardava gli ebrei. 26 Molti francesi che erano fuggiti verso il sud della Loira emisero un sospiro di sollievo nell’apprendere i termini dell’armistizio e si stabilirono nel luogo in cui si trovavano. Così la sorella di David Bienenfeld, Berthe, restò a Villard-de-Lans insieme al figlio Henri, invece Gisèle con suo marito e la loro figlia Simone decisero di lasciare immediatamente l’Europa per imbarcarsi verso gli Stati Uniti dove si stabilirono diventando cittadini americani. David e Esther avevano preso la strade verso ovest ma decisero di non andare più in Inghilterra preferendo restare in Francia per tutelare i propri interessi commerciali. Forse un giorno sarebbero partiti per l’America al fine d’intensificare il commercio delle perle già fiorente ma per il momento, non avendo il visto per entrare negli Stati Uniti, rimandarono il progetto e fecero rientro nella capitale. Furono stupiti e contenti di ritrovare una città, Parigi, senza il minimo danno, non un solo monumento, un edificio era stato bombardato tanto che sembrò loro che la battaglia di Parigi non si fosse svolta. La sera stessa del loro ritorno Bianca ritrovò i vecchi amici della Sorbone come se avessero tutti qualcosa da festeggiare. Georges Perec fu probabilmente ricondotto a Belleville da <<la femme très grosse et très gentille>> (W…p.73) che l’aveva portato in campagna durante le ostilità della guerra. Fu là che Georges apprese molto probabilmente della morte del padre non solo e non tanto da sua madre ma anche dalle numerose persone e conoscenti che frequentavano rue Vilin. C’è da credere altresì che qualcuno gli raccontasse che suo padre era morto da eroe per difendere la Francia e gli ebrei e che forse se ne compiacque. Per Cécile, per Rose, per Esther la morte d’Izie fu una sciagura che avvicinò le tre donne e ridusse il fossato esistente tra la borghese Passy e la popolare Belleville. Jojo era così un bambino senza padre e Cécile, una povera vedova. Rose aveva perduto il figlio che le era rimasto più vicino e l’aiutava ogni giorno dal momento che David Peretz, suo marito, non le era mai stato d’aiuto e passava gran parte del suo tempo a pregare. Esther portava in sé una parte di responsabilità in questa <débâcle> e si sentiva doppiamente in debito verso il ragazzino che stava crescendo, prima perché era la primogenita di suo padre e poi perché era stata lei a spingerlo ad arruolarsi. La Biografia di GEORGES PEREC. Epilogo. Il discorso autobiografico fin qui seguito inserito in W ou le souvenir d’enfance di Georges PEREC ci presenta da un lato un bambino i cui punti di riferimento sono sconvolti a volte distrutti comunque disordinati e fugaci e dall’altro uno scrittore che stenta a raccontarsi perché l’archivio principale a cui attinge la sua memoria personale è povero e frammentario. Non avendo accesso alla sua memoria se non parzialmente l’autobiografia di Perec fa appello alla memoria collettiva costituita dalle tante e non sempre fedeli informazioni attinte all’archivio storico e familiare. Così il personaggio Perec cerca di ricostruire la sua identità in conformità a testimonianze di persone e conoscenti a lui molto vicini che fanno parte della comunità ebraica. Al ricordo della lettera ebraica si aggiungono altri riferimenti alla genealogia dello scrittore, partendo dal nome di famiglia del romanziere: <<Peretz>>, versione ebraica di Perec. Attraverso il racconto dei suoi primi anni vissuti come membro della comunità ebraica Perec si pone dunque come testimone di un’epoca e di un popolo che è stato devastato, della grande famiglia letteraria che gli ha consentito di superare gli orrori e le conseguenze della guerra. L’autobiografia che troviamo in W tenta, attraverso la scrittura, di stabilire dei legami tra la sua storia di bambino e l’individuo che è diventato. Perec insiste sulla sua precoce passione da bambino per la scrittura e la Letteratura. C’é un intero capitolo del libro dedicato alle sue prime letture. Nel capitolo XXXI, infatti, l’autore ricorda e ci fa 27 partecipi delle prime storie che ha letto. Presentandoci Le tour du monde d’un petit Parisien, Michaël, chien de cirque e Vingt ans après, il romanziere non si limita a enumerarne i titoli; egli attribuisce a questi testi un posto molto importante nella sua vita. Parlando dei libri Perec scrive: <<(…) il me semble, non seulement je les ai toujours connus, mais plus encore, à la limite, qu’ils m’ont servi d’histoire: source d’une mémoire inépuisable, d’un ressassement, d’une certitude(…)ce plaisir ne s’est jamais tari : je lis peu mais je relis sans cesse, Flaubert, et Jules Verne, Roussel et Kafka, Leiris et Queneau ;je relis ces livres que j’aime et j’aime les livres que je relis, et chaque fois avec la même jouissance(…) :celle d’une complicité, d’une connivence, ou plus encore, au-delà, celle d’une parenté enfin retrouvée>> (W…p.193). Questo breve estratto che passa dal passato al presente stabilisce abbastanza chiaramente qual é il legame che unisce il bambino all’adulto e viceversa: l’incontestata passione per la buona Letteratura. Il bambino che si è a lungo rifugiato nelle storie di avventura che gli facevano dimenticare il disastroso presente di cui conosceva poche cose, si è appropriato attraverso la lettura, prima e la scrittura dopo, dei mondi immaginari proposti da altri scrittori ritrovando una nuova famiglia, virtuale certamente, ma che gli permette di formarsi un’identità. All’incertezza e al vuoto che segnano l’autobiografia e l’infanzia di Perec si oppone il sentimento di felicità provato dal bambino prima e dall’adulto poi durante la lettura di un’opera letteraria. L’autore quando riporta i fatti o si attarda a dare una personale visione degli avvenimenti della sua infanzia, rifiuta l’uso del <Je> soggettivo e segue sempre il cammino della verità poggiandolo su documenti. Decostruendo i suoi ricordi, poi ricostruendoli in base a testimonianze più credibili, Perec inserisce la <fiction> nell’autobiografia. Possiamo dire allora a mò di conclusione che W ou le souvenir d’enfance non è una pura autobiografia, né un racconto unicamente fantastico: è un tentativo di considerare la realtà da due angolazioni distinte, la conoscenza di sé da una parte e la <<fiction>> dall’altra. Il testo perecchiano denuncia, inoltre, il dramma storico della Shoah che ha attraversato la sua infanzia, la disumanità che rischia, in ogni momento della storia, di cancellare per sempre i nostri fragili principi etici. È pure interessante considerare la parte finale di W che Perec ha voluto per la sua opera: l’evocazione del presente attraverso l’attualità degli anni ’70: <<J’ai oublié les raisons qui, à douze ans, m’ont fait choisir la Terre de Feu pour y installer W: les fascistes de Pinochet se sont chargés de donner à mon fantasme une ultime résonance: plusieurs îlots de la Terre de Feu sont aujourd’hui des camps de déportations>> (W…p.220). La denuncia del fascismo non é più relativo a un preciso momento storico e W non é la critica di un particolare sistema concentrazionario: il suo obiettivo é di denunciare tutte le oppressioni presenti e future. Lungi dal monopolizzare l’attenzione esclusivamente sul doloroso ricordo del suo passato, l’analisi e l’opera letteraria vanno oltre lo stretto ambito della sua soggettività. I tiranni babilonesi chiedevano agli ebrei di suonare i loro strumenti musicali e di cantare per loro; le SS formarono orchestre di deportati che suonavano nei campi di sterminio mentre si formavano lunghe file di prigionieri davanti ai forni crematori; il chitarrista Victor Jara ebbe le mani tagliate dagli sbirri di Pinochet che gli dicevano <<chante maintenant Jara>>. *I numeri tra parentesi rimandano all’edizione francese del libro di Georges PEREC, W ou le souvenir d’enfance, Éditions Gallimard, coll.: L’imaginaire, Paris, 1993. Prof. Raffaele FRANGIONE ____________________________________ 28 29