La Stampa - Le Smart Cit...colo per la democrazia?

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La Stampa - Le Smart Cit...colo per la democrazia?
1/26/2015
La Stampa - Le Smart City sono un pericolo per la democrazia?
TECNOLOGIA
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Le Smart City sono un pericolo per la
democrazia?
La tecnologia può rendere le città più vivibili e più sicure: ma deve essere imposta dall’alto
o nascere dalle proposte dei cittadini? Il rischio è che i vantaggi delle metropoli intelligenti
siano solo per le élite più ricche e più colte
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FEDERICO GUERRINI
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21/01/2015
C’è un passaggio, nell’ultimo libro dello scrittore americano Dave Eggers, “Il
Cerchio ”, che è particolarmente emblematico della tensione crescente fra due
modi di intendere la vita. È quello in cui Mercer, l’ex fidanzato della
protagonista, cerca di rifugiarsi in una zona boscosa, per staccarsi dal cerchio,
le rete che tutto incorpora e ingloba, ma viene scovato, inseguito, braccato.
Perché l’esperimento funzioni, affinché il cerchio sia davvero completo,
occorre che nessuno vi sfugga. L’individuo ha valore soltanto in quanto parte di
una collettività, e ogni tentativo di distaccarsene viene stigmatizzato come
“sospetto”.
È una distopia portata all’estremo, ma è anche il simbolo di qualcosa che
potrebbe davvero avverarsi, soprattutto in ambito urbano, se prevalesse la
visione delle metropoli come entità intelligenti, con al centro un cervello in
grado di gestire ogni aspetto della vita cittadina. È uno dei vari aspetti del
futuro delle città che è stato affrontato nel corso della recente conferenza
M’illumino d’intelligenza: le
lampade diventano smart
BRUNO RUFFILLI
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lancia l’app per donne in
pericolo
londinese “Re.Work – Future Cities Summit ”, in cui esperti, ricercatori e
architetti, hanno sviscerato ogni aspetto di quella che con un’espressione ormai
forse abusata è stata etichettata come “smart” city.
Nata da qualche sessione creativa da parte di esperti di marketing e promossa
Dobbiamo dire per sempre
addio alla privacy su
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da grandi aziende come Cisco e Ibm (per citare le due forse più attive), col
tempo si è come svuotata di senso venendo a contrassegnare cose anche molto
diverse, se non contrapposte.
Da una parte la città pensata da e per i cittadini, con iniziative dal basso verso
l’alto, in cui la tecnologia gioca un ruolo importante ma non viene imposta e
gestita dai governi o dalle amministrazioni municipali: nasce dalle innovazioni
che rivoluzionano il mercato e i servizi pubblici. È il modello degli Stati Uniti,
dove, come ha sottolineato in un recente saggio il direttore del Media Lab del
Mit, il torinese Carlo Ratti, gli investimenti pubblici sono limitati e ci si affida
maggiormente a startup come Uber e AirBnb. Ma è anche, da un’altra
angolazione, la via seguita da città come Medellin e Bogotà in Colombia che
sono riusciti a ridurre drasticamente i livelli di criminalità non ricorrendo a
smartphone o altri dispositivi, ma creando infrastrutture che valorizzassero il
senso di comunità, migliorando davvero la qualità di vita dei cittadini, come gli
impianti sportivi e collegando con una funicolare le zone dove vivono gli
abitanti più disagiati con il centro urbano.
Dall’altra parte c’è il modello della pianificazione, del controllo, degli
investimenti pubblici, in cui primeggia l’Unione Europea che ha stanziato 15
miliardi di euro per il solo periodo 2014-2016, nell’ambito del programma
Horizon 2020. Singapore, con il suo progetto di Smart Nation , gran parte del
resto d’Asia – Cina e India, dove il primo ministro Modi ha annunciato di voler
costruire presto 100 smart city, sono sulla stessa lunghezza d’onda. Così come
alcune città dell’America Latina. Il Centro di Operazioni della prefettura di Rio
de Janeiro, progettato da Ibm e in funzione dal 2010 è forse l’esempio più
famoso di monitoraggio a 360 gradi, 24 ore su 24, di tutti i punti nevralgici di
una grande città. È stato usato, fra l’altro, per contenere i disagi causati dalle
proteste dei cittadini infuriati dalle spese sostenute per l’organizzazione dei
mondiali di Calcio.
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Entrambi gli approcci hanno lati positivi e negativi, e molto dipenderà da come
verranno sviluppati. L’innovazione introdotta dalle startup e spalleggiata dai
Venture Capital (vedi Uber) può sì contribuire a rivitalizzare mercati e città
asfittiche, ma al prezzo di una de-regulation selvaggia che rischia di lasciare
non poche vittime sul suo cammino.
Del resto, come ha scritto l’architetto olandese Rem Koolhaas , una delle
“menti” consultate dall’Unione Europea sul tema, “la retorica sulle smart city
sarebbe più persuasiva se l’ambiente che le società tecnologiche creano fosse
davvero coinvolgente e offrisse un modello per quello che una città dovrebbe
essere”.
Ma, osserva Koolhaas, quello che si vede accadere dove le società IT sono più
forti, come a San Francisco, è in realtà una ghettizzazione di parte della società,
dove i “techie”, gli ingegneri, si isolano in una propria bolla dorata e la qualità di
vita media del resto della popolazione, peggiora. D’altra parte, una città in cui la
promessa di smart city equivalga semplicemente alla creazione di una casa di
vetro connessa, in cui ogni cosa venga gestita e monitorata – sotto l’insegna di
sicurezza, comodità e sostenibilità, la nuova triade che secondo Koolhaas ha
sostituito nell’agenda politica i precedenti mantra fraternità, uguaglianza e
libertà - rischia di diventare magari gradevole, ma totalmente prevedibile e
priva perciò di qualsiasi spinta creativa, se è vero che la vera innovazione nasce
per sconvolgere l’ordine esistente.
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Nel caso estremo in cui ultra liberismo economico e iper controllo tecnologico
si unissero, lo scenario si farebbe davvero cupo, e il cerchio, anzi, Il Cerchio, si
chiuderebbe.
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