gli eventi vitivinicoli piu` salienti del secondo millennio

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gli eventi vitivinicoli piu` salienti del secondo millennio
GLI EVENTI VITIVINICOLI PIU’ SALIENTI DEL SECONDO MILLENNIO
(seconda parte)
di Mario Fregoni
Anno 2000 n. 6
L
’ora della scienza e dei flagelli
Verso la metà del 1800 un grande scienziato dimostrò che molte malattie del vino
erano di origine biologica, dovute cioè a batteri. Pasteur (1822-1895) dimostrò altresì che l’origine dell’alcol non è dovuta ad un fenomeno chimico (come si era creduto
sino ad allora) ma alla fermentazione biologica degli zuccheri ad opera dei lieviti. Così la
fermentazione malolattica è dovuta ai batteri malolattici.
Verso la metà del 1800 giunse in Francia la prima malattia fungina americana, cioè l’oidio,
proveniente dalle serre inglesi, che coltivarono tralci importati dall’America. Molte ricerche condussero all’uso dello zolfo per combattere questa malattia. Nel 1863 in Francia
(Arles) si constatò la fillossera, per la prima volta in Europa, il grande flagello che distrusse centinaia di migliaia di ettari di vigneti ed una solida economia vitivinicola. Le
missioni negli USA degli scienziati francesi e le ricerche successive consentirono di comprendere che la Vitis vinifera ha le foglie resistenti alla fillossera ma possiede radici sensibili. Molte viti americane hanno invece le radici resistenti alla fillossera. Dopo vari
tentativi falliti (importazione di ibridi americani) si scoperse che l’unica strada sicura era
l’innesto delle varietà di Vitis vinifera sul piede (portinnesto) americano, Si salvò la viticoltura con i nuovi ibridi portinnesti americani che per lungo tempo furono banditi in
Francia. La conseguente ricostituzione post-fillosserica dei vigneti comportò l’abbandono
di moltissime varietà, con gravi perdite genetiche e la riduzione della biodiversità, che
continuò e si accrebbe particolarmente nell’ultimo secolo del secondo millennio.
I parassiti terribili non furono però solo l’oidio e la fillossera, poiché nel 1878 in Francia si
constatò il primo attacco di peronospora, fungo di origine americana che abbatté fortemente la produzione di tutta l’Europa, finché non si scoperse –dopo svariati tentativi- il
modo di combatterla, vale a dire con la poltiglia bordolese.
Furono periodi molto tristi
anche per la viticoltura italiana che possedeva addirittura 2.500.000 ettari di vigneto, essendo allora il vino un alimento (attualmente la superficie vitata si è ridotta ad un terzo,
ma la produzione è quasi il doppio di quell’epoca!).
L’Italia darà un ulteriore e particolare contributo al progresso degli spumanti con Martinotti (1895) che mise a punto la rifermentazione in grandi autoclavi (ingiustamente denominato metodo Charmat).
Alla fine del 1800 si registrò il grande sviluppo della viticoltura francese ed in particolare
di quella di Bordeaux. I pochi chateaux esistenti divennero centinaia per gli investimenti
di molti parigini. Di positivo si deve segnalare che nel 1855 si pubblicò il primo regolamento sulla classificazione dei “crus” del bordolese, la cui gerarchia è ancora vigente e
che può essere considerata la più originale, nonché la base di partenza delle leggi sulle
denominazioni di origine.
L’odissea della vite non è, comunque, conclusa poiché in questi ultimi decenni si è registrato il risveglio di un gigante dell’Estremo Oriente, ossia della Cina, che va piantando
vigneti a ritmi impressionanti. Ha così destato l’interesse di altri Paesi asiatici, quali il
Giappone, ecc, dove si sono registrati consumi promettenti di vini rossi.
La viticoltura tropicale
Mentre nel primo millennio la viticoltura si estendeva prevalentemente in Europa, fra 30°
e 50° di latitudine nord, nel secondo millennio ha occupato l’emisfero sud fra 30° e 40° di
latitudine sud, ossia sino agli estremi delle possibilità di resistenza al freddo della Vitis vinifera.
Inoltre ha occupato la fascia centrale della terra a cavallo dell’equatore, fino ai tropici
(complessivamente e grosso modo fra 30° di latitudine nord e 30° di latitudine sud), fascia terrestre che un tempo era considerata improponibile per la viticoltura. Negli ultimi
due secoli, in particolare, sempre al seguito dei missionari, la vite ha messo le radici anche in zone caldo-umide, prive o con ridotte possibilità di riposo, ma dove l’uomo è riusci-
to a farla produrre 2-3 volte all’anno. Questa viticoltura, definita tropicale, si è sviluppata
soprattutto in Africa, in Asia e nell’America centrale e del sud.
Nell’insieme la viticoltura tropicale e sub-tropicale si estende su oltre 50.000 ettari ma è
in continua espansione. I Paesi maggiormente interessati sono: India, Tailandia, Taiwan,
Madagascar, Angola, Nigeria, Tanzania, Zimbawe, Etiopia, Brasile, Colombia, Venezuela,
Ecuador, Repubblica Dominicana, Guatemala, Honduras, Costa Rica, Haiti, Reunion, Filippine, Australia, ecc...
Si può senz’altro affermare che i missionari e gli emigranti italiani hanno fornito un grande contributo all’estensione della viticoltura nel mondo. Questo potrebbe rappresentare
l’oggetto di una vasta ricerca storica e di un futuro libro. Molti Paesi nel nuovo mondo sono stati vitati dagli italiani. In California, ad esempio, Giannini fondò la Bank of Italy (oggi Bank of America) e nella crisi del ’19 pose un tavolo in una strada di S. Francisco per
assegnare prestiti ai viticoltori italiani sulla base di una garanzia molto particolare: la presenza dei calli sulle mani!
L’evoluzione del gusto
Durante il secondo millennio si è verificata una grande sterzata nel gusto dei vini. Infatti
sino al tardo Medio Evo il gusto preferito era quello dolce, dei vini passiti o liquorosi. Si
può dire che grandi vini come lo Champagne ed il Barolo sono nati dolci. Pertanto è solo
nell’800 che il consumo dimostra di gradire i vini secchi. Tuttavia negli ultimi decenni del
‘900 i vini dolci hanno rivelato una ripresa inaspettata.
La religione cristiana ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione e nella salvaguardia
del vino, prima in Europa e poi nel nuovo mondo, tanto che ancora attualmente il consumo del vino ha grosso modo la stessa geografia internazionale della religione cristiana.
Ebbene un’ulteriore influenza ebbe il Concilio di Trento (1545-’63) che decretò la sostituzione del vino rosso con quello bianco nella celebrazione della Messa a causa della difficoltà di pulire le macchie sugli arredi sacri dell’altare. Il cambiamento incrementò notevolmente la produzione ed il consumo del vino bianco.
Le ultime ricerche del secondo millennio stanno ribaltando la tendenza dei consumi indirizzandola verso i vini rossi, più ricchi di resveratrolo e di procianidine, di grande utilità
per la salute umana (contro le malattie cardiocircolatorie, come antiossidanti ed anticancerogeni, ecc.).
La tecnologia e le DOC del XX secolo
I primi cinquant'anni dell’ultimo secolo del secondo millennio non sono stati sconvolgenti
per i progressi tecnologici, anche a causa delle due guerre mondiali. Tuttavia va rilevato
che nel 1935 la Francia promulgò la prima legge sulle denominazioni di origine (AOC =
appellation d’origine controlée), alla quale si ispirarono via via tutti i Paesi europei, ma
non quelli del nuovo mondo, dove i primi albori si constatarono alla fine del millennio.
L’Italia si adeguerà nel 1963 e poi rinnoverà la sua legge sulle DOC-DOCG nel 1992 con la
legge 164, di larga ispirazione dello scrivente.
Va altresì rammentato che nella prima metà del secolo il Prof. Pirovano ottenne, mediante incrocio, la varietà Italia, conosciuta in tutto il mondo.
La viticoltura e l’enologia giunsero al secondo dopoguerra con caratteri famigliari e la tecnologia aveva fatto scarsi progressi. La pigiatura con i piedi (esperienza dell’Autore) era
molto comune. Solo negli ultimi 50 anni circa si sono veramente diffuse la viticoltura e
l’enologia moderne, con l’applicazione delle innovazioni che il progresso scientifico ha
messo a disposizione dei produttori. Si cita a titolo esemplificativo, la vendemmia meccanica, il controllo delle fermentazioni con il freddo, ecc.
La CEE
In questo excursus storico non possiamo dimenticare l’avvento della Comunità Europea
(CEE) negli anni ’50 e l’entrata in vigore del mercato comune vitivinicolo nel 1970. Dai
molti mercati liberi siamo passati ad un solo mercato chiuso e controllato, ma che si aprirà nel terzo millennio. La viticoltura è stata assoggettata ad una valanga di regolamenti
che hanno reso sempre meno elastica la viticoltura dell’Unione Europea, allo scopo di raggiungere l’equilibrio fra la domanda e l’offerta. Molte decisioni prese furono empiriche o
politiche, come la divisione delle zone viticole (A, B, C1A, C1B, C2, C3), che ha conseguenze notevoli sugli arricchimenti (zucchero, mosti concentrati, MCR), sui costi e sulla
libera concorrenza.
Tuttavia bisogna riconoscere che le grandi crisi vinicole del passato non si sono più verificate, ma a caro prezzo, vale a dire con la distillazione (pagata da tutti i cittadini europei)
di svariati milioni di ettolitri di vino, prodotti da una “viticoltura per la distillazione”.
La nuova regolamentazione di fine millennio (OCM) lascia delusioni antiche (vedasi la
conferma delle vecchie pratiche enologiche) ma anche qualche speranza, poiché si prevede un impegno per il miglioramento della qualità della materia prima attraverso i piani di
riconversione dei vigneti.
La viticoltura liberistica
Il millennio si chiude lasciando numerosi problemi irrisolti, ma non possiamo non riconoscere che durante i vari secoli le conquiste ed i nuovi vini inventati furono di grande valore, al punto da resistere agli eventi storici dei secoli e da essere tramandati al terzo millennio. Non sarà facile fare di meglio nel terzo millennio dal lato qualitativo. Forse per le
resistenze della vite alle avversità biotiche ed abiotiche si può prevedere un sensibile progresso.
In linea generale si può affermare che nell’ultimo periodo del secondo millennio si è osservato l’inizio dello scontro epico fra la viticoltura tradizionale dirigistica europea e quella
liberistica industriale del nuovo mondo. La prima contrassegnata da circa 12.000 varietà e
quindi da una miriade di piccoli vini, anche a denominazione di origine, dai diritti
d’impianto, che bloccano la superficie allo status quo, peraltro in forte calo proprio
nell’U.E., e da una serie pesante di regolamenti; la seconda caratterizzata dalla piena libertà di piantare (e come e quanto si pianta!), di scegliere liberamente le varietà, che poi
sono indicate in etichetta (i soliti Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay, Sauvignon,
Syrah), al punto che l’omogeneità qualitativa e ripetitiva è divenuta il tallone d’Achille di
questa nuova viticoltura liberistica, dai bassi costi di produzione per l’ampiezza e la meccanizzazione delle aziende, dalla libera applicazione delle pratiche enologiche, ecc.. Questo scontro nel terzo millennio si farà più acuto e riguarderà la concorrenza fra i DOC ed i
vini con i nomi dei vitigni internazionali predetti.
Il secondo millennio si chiude senza gravi problemi di sovrapproduzione ma i nuovi impianti estesissimi del nuovo mondo stanno per entrare in produzione ed a breve termine
constateremo le prevedibili dure conseguenze, con l’accentuazione della concorrenza nei
confronti dei vini europei.
Il secondo millennio ha visto, infatti, decrescere enormemente sia le superfici vitate che i
consumi pro-capite in Europa, che peraltro sembrano stabilizzarsi. Tuttavia l’U.E. non ha
mai speso un ECU od un EURO per far conoscere il valore igienico sanitario dei vini europei.
Gli ultimi anni del secondo millennio hanno messo in risalto lo scontro di Seattle, dove gli
organismi geneticamente modificati (OGM) hanno rappresentato un punto di incomprensione fra il nuovo mondo innovativo e la vecchia Europa, arroccata sui prodotti tradizionali. La vite non ha ancora OGM in coltivazione, ma ne ha alcuni in sperimentazione e sotto
controllo in luoghi confinati.
I lieviti ed i batteri si prestano più facilmente per produrre OGM e già ne esistono, pare
non ancora impiegati nella grande produzione. Di fatto va rilevata l’avvenuta creazione di
un microrganismo capace di effettuare contemporaneamente la fermentazione alcolica e
la malolattica. L’interesse ad avere viti resistenti alle malattie (virus, flavescenza dorata,
mal dell’esca, peronospora, oidio, botrytris, ecc.) ed alla fillossera, spingerà i ricercatori a
produrre nuovi OGM viticoli nel prossimo millennio, per cui il problema è solo rinviato a
tempi più consapevoli.
Auguriamoci, ma ne siamo sicuri, che il terzo millennio superi i risultati qualitativi del
primo e del secondo millennio, senza distruggere i valori incommensurabili di questi primi
due millenni. Il progresso dovrà pertanto essere ricercato ma controllato con rigore ed
onestà, al fine di costruire un futuro migliore con vini eccelsi sotto il profilo qualitativo,
non solo industriali, ma soprattutto legati al loro territorio originario.
La nostra grande e storica vite ha ormai occupato tutti i terroirs possibili del pianeta terra, ma nessuno può escludere che nel terzo millennio possa superare altre frontiere per
radicarsi nel suolo di altri pianeti.
Mario Fregoni