notizie - Comunità italiana dell`Arca di Lanza del Vasto

Transcript

notizie - Comunità italiana dell`Arca di Lanza del Vasto
La Conoscenza di Sé
di Kahlil Gibran
E un uomo disse: Parlaci della Conoscenza di sé.
Ed egli disse:
I vostri cuori conoscono in silenzio i segreti dei giorni e delle notti.
Ma gli orecchi hanno sete di sentire quello che il cuore già conosce.
Vorreste sapere con parole quello che avete sempre saputo nella mente.
Vorreste toccare con le dita il corpo nudo dei sogni.
Ed è bene che lo facciate:
La sorgente sotterranea della vostra anima dovrà venire alla luce e scorrere
mormorando verso il mare;
E il tesoro della vostra infinita profondità sarà rivelato ai vostri occhi.
Ma non usate bilance per pesare quell'ignoto tesoro;
E non sondate le profondità della vostra conoscenza con lo scandaglio o la
pertica.
Poiché l'io è un mare sconfinato e immisurabile.
Non dite: "Ho trovato la verità"; dite piuttosto: "Ho trovato una verità".
Non dite: "Ho trovato il sentiero dell'anima".
Dite piuttosto: "Sul mio sentiero ho incontrato l'anima in cammino".
Perché l'anima cammina in tutti i sentieri.
L'anima non cammina sopra un filo, né cresce come una canna.
L'anima apre se stessa come un fiore di loto dagli innumerevoli petali.
ARCA
notizie
N.1/2009
ARCA NOTIZIE è un foglio di collegamento e di riflessione tra i compagni
e gli amici della Comunità dell'Arca in Italia.
Articoli, lettere, disegni vanno inviati a: Francesco Pavanello via Marconi 28
Trieste (e-mail: [email protected].)
Il sito internet dell'ARCA in Italia è: http://arca-di-lanzadelvasto.it
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Comabbio (VA)
Questo numero è stato consegnato per la stampa il 10 marzo 2009
Chi sono io?
Porsi e riporsi questa semplice domanda,
osando dare una risposta,
attraverso le vicende, le crisi,
le fasi che attraverserà il cammino della nostra vita
è il compito che attende ciascuno di noi
per accogliere la nostra unicità
lettura del 9 gennaio 2009 di Enzo Bianchi
anno XXIV NUMERO 1 gennaio/aprile 2009 quadrimestrale della Comunità dell'Arca in Italia
48
Indice
Presentazione del numero
SOMMARIO
Insegnamento
Conoscenza , dono e possesso di sé;
Lanza del Vasto
2
Riflessioni sull'insegnamento
Presentazione di Vermorel
Lavorare per la conoscenza il possesso
e il dono di noi stessi; Frederic Vermorel
Conoscenza di sé; Enzo Bianchi
Riconoscere se stessi; Francesco Pavanello
pag. 3
C
pag. 4
pag. 6
pag. 7
pag. 15
pag. 16
Approfondimenti
la preghiera del fuoco
Karsten Petersen Arca Germania
pag. 21
Appunti per la pratica dello yoga; Guido Farella pag 25
La fondazione dell'etica sociale secondo la nonviolenza;
Antonio Drago
pag. 28
Arca in Italia
Verso la maturità; Dino Dazzani
Pubblicazioni recenti
Campi estivi dell'Arca
pag. 35
pag. 38
pag. 40
Arca nel Mondo
Campo internazionale dell'Arca
pag.43
arissimi
durante la preparazione di questo numero è mancata Alberta Nelli, la
genovese di Ivrea come amava presentarsi, impegnata nell’Arca da tanti
anni. La sua malattia aveva reso questo distacco un evento atteso, ma non
per questo meno doloroso per tutti. Nelle ultime pagine di questo numero
abbiamo raccolto alcuni pensieri che nei giorni immediatamente seguenti la
sua morte ci siamo scambiati tra compagni e amici dell’Arca.
In questo primo numero del 2009 iniziamo a sviluppare il tema che ci siamo
posti per quest’anno che è “Conoscenza, possesso e dono di sé”, argomento
che vorremmo stimolare con una serie di riflessioni provenienti da differenti
punti di vista.
Abbiamo riproposto un testo di Lanza del Vasto da “Introduzione alla vita
interiore”, che usiamo come punto di partenza, allarghiamo con la riflessione
che Frederic Vermorel ha tenuto a Casciago lo scorso dicembre; uno spunto
di Enzo Bianchi e una riflessione che prende l’avvio da un testo di Ricoeur
che ci propone un percorso di riscoperta del nostro sé attraversò le azioni che
compiamo e la capacità di raccontare la nostra storia.
Il numero continua con la ripresa del tema trattato nel numero precedente
sulla yoga e una riflessione che parte della preghiera del fuoco.
Tonino Drago apre una riflessione sulla fondazione dell’etica a partire dai
principi della nonviolenza
Concludiamo il numero con la scoperta di un esperienza di Lanza del Vasto
come attore e con la presentazione dei campi estivi
La redazione.
Notizie varie
Comunicato stampa della manifestazione
di Crotone del 1 marzo 2009
pag.44
In ricordo di Alberta
pag. 45
Conoscenza di sé; Kahlil Gibran
pag. 48
3
CONOSCENZA, POSSESSO E DONO
INSEGNAMENTO
da Introduzione alla Vita Interiore
Lanza del Vasto
4
L'attitudine dominante in
questo mondo è l'ignoranza di
sé, cioè delle cose dell'anima,
l'oblio, la distrazione,
l'indifferenza costante nei
riguardi delle cose dell'anima,
conseguenza di una inversione
dell'intelletto verso il profitto,
verso l'appropriazione e la
dominazione del mondo
esterno, cose e persone.
La Conversione, ossia il
Rovesciamento di ciò che il
Peccato aveva rovesciato, cioè
il Raddrizzamento, la
Conversione consiste nell'uscire
dal Mondo, nell'uscire
dall'esteriore, nel rientrare in
sé. E, prima di tutto, nel farvi
attenzione.
L'anima, da vaporosa e vaga
che era, si fa densa e vivente
sotto l'effetto di questa
attenzione, si illumina al raggio
di questa attenzione e diventa
cosciente, diventa sorgente di
parole e di atti originali e
significativi.
La conoscenza di sé è
unificante e irradiante, a
differenza della conoscenza di
qualsiasi altra cosa (perché la
conoscenza di qualsiasi altra
cosa esteriore non tocca in
niente il suo oggetto).
La stessa sete di possedere le
cose e di soggiogare gli altri ha,
come contropartita, l'incapacità
di possedersi e di dominarsi.
Una conoscenza di sé che fosse
lucida e persino illuminante,
ma impotente e passiva, non
costituirebbe che un
compimento insufficiente
fallace.
La vera conoscenza del vero io
si dimostra attraverso la
sovranità del centro irradiante,
della sua potenza ordinatrice e
pacificatrice su tutte le
persone, addirittura sugli istinti
e le funzioni del corpo. Ne
risulta naturalmente un
distacco dai beni del mondo e
un rispetto della libertà altrui.
È per questo che è detto: «
Beati i poveri in Spirito, perché
di essi è il Regno dei Cieli» (Mt
5,3); poiché posseggono la
sovranità in se stessi e dunque
nella sostanza, perché
dovrebbero inseguire le ombre
e le apparenze nelle tenebre
esterne e in quel mondo
artificiale che è la città degli
uomini?
Ma è possibile dominarsi senza
donarsi. Un tale, con una forte
disciplina ha ricercato,
ottenuto, coltivato il sapere e i
poteri. Colui che è padrone di
sé «ha vinto il mondo ». Ma
attenzione al Principe di questo
Mondo! Si può cadere nelle
mani del Seduttore senza
saperlo, per diventare servitori
del Maligno non è necessario
esercitare i propri poteri e i
propri doni nel fare del male: è
sufficiente amarli come tali e usarli
per se stessi, trarne a sé il Frutto,
perché questa è l'essenza stessa del
peccato originale ed è questo il «
peccato contro lo Spirito».
Sicuramente il possesso di sé
precede, in un certo senso, il dono di
sé, perché non si può dare ciò che
non si possiede. Ma la presa di
possesso deve essere fatta solo in
vista del Dono. Bisogna che, in tutte
le pratiche e in tutti gli sforzi per
ottenere questo possesso, sia
presente la spossessione.
Negli esercizi spirituali, così come
noi li pratichiamo, trovate la
Distensione incessantemente
richiamata come un riflesso corporeo
di questa verità.
In ogni articolazione dell'esercizio,
l'attitudine di abbandono si combina
con l'elemento contrario. Lo sforzo
spirituale esige una tensione, come
tutti gli sforzi. Questo sforzo
fortifica e unifica il centro, ma lo
separa anche da tutto il resto, lo
irrigidisce, lo indurisce ed è la morte
se la tensione non è accompagnata
da una distensione, da un'attesa, da
una apertura.
Nel colmo della lotta e della vittoria,
serenità, indifferenza per il
risultato, umiltà: «Non sono io ad
agire, ma è il Cristo in me », dice S.
Paolo. Modestia e forza, rinuncia e
superamento, sacrificio e gioia
vengono così dati l'uno nell'altro.
Non parlerò della dottrina del
Budda, la sua immagine mi basta:
cosa vedo? Un uomo seduto, il viso
privo di ogni espressione e liscio
come un uovo, le membra slegate
come dei nastri e come l'acqua, le
mani fiorite, i piedi fioriti, il petto
fiorito, i capelli in fiore, il sorriso
appena percettibile.
Non c'è niente che non sia donato,
abbandonato, reso. Ma girategli
attorno e guardategli la schiena: è
un muro, incrollabile nella postura,
esatto nella verticale, è la forza e
l'altezza da cui sgorga la dolcezza.
E i santi re nella grande porta della
cattedrale di Chartres sono colonne
e tronchi, più che forme umane,
nella loro rude rettitudine e nella
loro umile soavità come la sorgente
fra alte rocce.
Sorgente di Carità, apertura agli
altri. Non sono il solo ad essere un
io. Anche questo passante è un io,
tanto quanto lo sono io. L'accesso
alla mia unità intima mi apre la
strada all'unità di ogni essere e di
tutto.
Ma c'è qui un doppio sistema di
difesa, da penetrare senza spezzare.
Se rompo il vaso, il contenuto sarà
perso. Bisogna fare del muro una via,
del velo una rivelazione.
Affinché l'involucro altrui diventi
trasparente, bisogna rendere
trasparente il nostro. Possiamo fare
l'esperienza tutti i giorni: apriamo la
mano e tutto si aprirà.
Stringiamo il pugno e tutto sbatte,
tutto urta, e ne segue la mischia
generale che si chiama « questo
mondo ».
INSEGNAMENTO
5
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
6
All’incontro nazionale tenutosi lo scorso dicembre a Casiago
avevamo chiesto a Frédéric Vermorel di proporci una riflessione
introduttiva sul tema “Conoscenza, possesso e dono di sé”.
Pubblichiamo una breve presentazione di Frédéric e a seguire il
testo integrale della sua riflessione.
Sono nato in Francia nel 1958. Mio papà è veterinario ormai
pensionato e la mia mamma casalinga. Ho tre sorelle e otto
nipoti. Alcuni incontri hanno profondamente segnato la mia vita:
Appena adolescente, scopro la figura di Gandhi tramite gli scritti
di Lanza del Vasto. A 15 anni vivo la mia prima esperienza
ecclesiale forte con un breve soggiorno presso la comunità
ecumenica di Taizé. Dopo la laurea viaggio durante un anno e
mezzo attorno al Mediterraneo e soggiorno alcune settimane nel
Sahara, sulle orme di Charles de Foucauld. Al ritorno, compio il
mio servizio civile presso la comunità dell'Arca di Jean Vanier. Nel
1984 divento membro della fraternità monastica di S. Maria delle
Grazie, a Rossano Calabro, facendo scelta di una terra e di un
popolo amati fin dal primo incontro nel 1979. Nel 1993 un primo
soggiorno presso il Monastero benedettino di Goiás (Brasile) segna
un ulteriore approfondimento della mia ricerca. Dal 1997 al 2002
studio teologia a Bruxelles presso la facoltà della Compagnia di
Gesù. In quei anni condivido la vita della comunità di La Viale,
un'opera della Compagnia di Gesù che riunisce laici e Gesuiti in
un comune progetto di evangelizzazione degli ambienti europei.
Da ottobre 2002 sono ospite per sei mesi del Monastero di
Marango, una comunità d'ispirazione dossetiana, e vi preparo il
mio trasferimento a Sant'Ilarione avvenuto il 22 aprile 2003. Sono
stato accolto dalla gente con infinita generosità. Il 22 luglio 2007
ho pronunciato i voti monastici temporanei nelle mani del vescovo
di Locri-Gerace, p. GianCarlo Bregantini..
Frédéric Vermorel
LAVORARE PER LA CONOSCENZA, IL POSSESSO E
IL DONO DI NOI STESSI
Frédéric Vermorel
“Ci orientiamo pertanto, nel
sostegno e nella verifica reciproca, a
lavorare su noi stessi, cercando di
far evolvere la nostra vita interiore
sulla base dell'insegnamento
dell'Arca, per la conoscenza, il
possesso e il dono di noi stessi,
dedicando un tempo della nostra
giornata alla pratica spirituale
(richiamo, preghiera, meditazione,
yoga...)”
Premessa
Quando Enzo mi ha chiesto non solo
di partecipare ma, addirittura, di
guidare quest'incontro, dopo qualche
tentennamento ho accettato non
perché mi sentissi particolarmente
preparato per affrontare l'argomento
ma semplicemente per non deludere
la sua amichevole insistenza!
So di non essere molto avanti sul
cammino della vita interiore. In
molti ambiti sono tuttora un
principiante e forse neppure un
principiante. Conosco i miei punti di
forza e le mie debolezze, le mie
incoerenze e i miei peccati... Com'è
che dunque oso rivolgervi la parola?
Il motivo l'ho trovato nell'Avvertenza
posta in apertura di “Introduzione
alla vita interiore”. Ivi Shantidas
scrive a proposito della dottrina
dell'Arca: “Questa dottrina non ha
1
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
niente di personale. Il suo valore è
senza proporzione con i meriti o i
demeriti di colui che la porta. Non è
qualcosa di suo che egli dà ai suoi
simili, ma è piuttosto lui che si è
dato ad essa e che ne vive, e chiama
1
altri a darsi e a viverne” .
Nei giorni in cui riflettevo sul nostro
tema, “conoscenza, possesso e dono
di sé”, facevo la lectio quotidiana
sulla seconda lettera di Pietro. É
stata come una illuminazione: i primi
versetti di questo testo molto bello si
sono imposti come il canovaccio sul
quale intessere la presente
meditazione.
Meditazione biblica
“Mettete ogni impegno per
aggiungere alla vostra fede la virtù,
alla virtù la conoscenza, alla
conoscenza il dominio di sé, al
dominio di sé la perseveranza, alla
perseveranza la pietà, alla pietà
l'amore fraterno, all'amore fraterno
la carità.”. (2P 1,5-7)
1) Il contesto
Questi tre versetti si trovano quasi
all'inizio della seconda Lettera di
Pietro. Dopo i saluti, l'autore si
rivolge ai suoi lettori in questi
termini:
“La potenza divina [di Gesù Cristo] ci
Lanza del Vasto, Introduzione alla vita interiore, Milano 1989, p. 10.
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
7
ha fatto dono di ogni bene per
quanto riguarda la vita e la pietà,
mediante la conoscenza di colui che
ci ha chiamati con la sua gloria e
potenza. Con queste ci ha donato i
beni grandissimi e preziosi che erano
stati promessi, perché diventaste
per loro mezzo partecipi della
natura divina, essendo sfuggiti alla
corruzione che è nel mondo a causa
della concupiscenza.”.
Pietro, o chi per lui, muove dunque
da un'affermazione di fede: Cristo
“ci ha fatto dono di ogni bene per
quanto riguarda la vita e la pietà”, e
lo strumento di questo dono è la
rivelazione di Dio. Questo Dio, Gesù
lo manifesta come desideroso di farsi
conoscere e di condividere con gli
esseri umani “la sua gloria e
potenza”, e non solo questo, ma,
addirittura, rendere questi
“partecipi della natura divina”!
La prima cosa che colpisce è che,
nonostante Dio abbia “donato i beni
grandissimi e preziosi che erano
stati promessi”, l'essere umano non
è presentato da Pietro come il
ricettacolo passivo dell'opera divina.
“Il distacco dal mondo è già
avvenuto nel battesimo, ma va
conservato. Perciò l'autore esige
l'impegno in questo tempo di
tensione tra la comunione con Dio
che già si possiede e quella non
ancora raggiunta, perché tipica del
compimento futuro, definitivo e
2
pieno della salvezza” . Il termine
“mondo” ha qui una valenza
negativa, come nel Vangelo di
Giovanni. Non si tratta del creato,
buono perché creato da Dio, ma
dell'umanità ostile a Dio, succube
dello spirito “mondano”, segnata
dalla “corruzione della
concupiscenza”.
Incontriamo qui un tema centrale
nella riflessione di Shantidas. Si sa
l'importanza che riveste ai suoi occhi
il peccato originale, questa
distorsione dello spirito, il quale,
creato per la contemplazione, si
trasforma in spirito di profitto. La
lettura che egli offre del racconto
della Genesi, è certamente uno dei
cardini del suo insegnamento. Ne
“L'homme libre et les ânes
sauvages”, libro purtroppo non
tradotto in italiano, Lanza scrive: “La
natura di questo peccato, distinto da
tutti gli altri e chiamato ' Originale ',
di questo ' peccato contro lo Spirito ',
consiste nell'aver mangiato il frutto
della Conoscenza. Ora la Conoscenza
era il Dono supremo e particolare
fatto da Dio all'uomo e il luminoso
legame che li univa. Cosa c'è dunque
di strano se dalla rottura di questo
legame risultano Ignoranza, Errore,
Tenebre, Separazione, Confusione,
3
Disgrazia e Morte?” . Le conseguenze
di questo dramma, Lanza le analizza
in diverse sue opere: ne “I quattro
flagelli” descrive quelle sociali,
guerra, rivolta, miseria, servitù,
mentre analizza quelle propriamente
spirituali nella “Introduzione alla
vita interiore”: perdita della verità,
perdita dell'intimità con Dio e, al
limite estremo, perdita del sé.
Di fronte alla “corruzione della
2
M. Mazzeo, Lettere di Pietro, Lettera di Giuda, nuova versione, introduzione e
commento, Milano 2002, p. 271.
3
Lanza del Vasto, L'homme libre et les ânes sauvages, Paris 1969, p. 126.
8
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
concupiscenza” che sempre
minaccia, l'autore della 2P invita al
combattimento spirituale vissuto con
impegno, collegando tra di loro otto
virtù il cui elenco mi sembra in
grande consonanza con il
“programma” spirituale dell'Arca. Ma
vediamo questo da vicino.
2) Il testo
Il nostro testo costituisce un
catalogo a catena simile ad altri
presenti tanto nella letteratura
filosofica pagana quanto negli scritti
4
cristiani dei primi secoli . Le otto
virtù elencate vi sono presentate a
coppie, in totale sette. Al centro
s'incontra la coppia autocontrolloperseveranza. Il punto di partenza è
la fede; il punto d'arrivo e vertice
dell'insieme è l'agape, cioè l'amore di
carità. Da sottolineare che punto di
partenza e punto di arrivo sono virtù
teologali: tutto inizia da Dio e tutto
verso di lui converge.
Fede e virtù
La fede costituisce il primo gradino
della scala. Di cosa si tratta? Nella
2P la fede è insieme fiducia in Dio e
Gesù Cristo e conoscenza di Dio e
Gesù Cristo, gratuitamente data da
Dio e Gesù Cristo a quelli che per il
fatto stesso di riceverla sono
diventati credenti.
Ne “L'orée des trois vertus” Lanza
definisce la fede conversione
dell'intelligenza, ossia la scoperta da
5
parte dell'intelligenza che essa è
mistero a sé stessa. In altri termini,
la fede è apertura alla trascendenza,
contemplazione dell'ulteriorità. Di
certo vi è una notevole differenza tra
questa definizione della fede e quella
presupposta dalla 2P. La definizione
di Lanza può al limite prescindere
dalla Rivelazione di Cristo ed essere
percepita come pura apertura. Per
l'autore della 2P la fede è più che
una semplice apertura al mistero; è
precisamente qualificata dalla figura
di Cristo. Ciò detto, la fede
propriamente cristiana, come
d'altronde qualunque altra fede
religiosa, non può prescindere dalla
fede come apertura originaria e vi è
sempre ricondotta per il semplice
fatto che, seppure nominato, il
mistero rimane mistero e l'oltre
oltre.
Ho voluto precisare questo punto
proprio per tenere conto
dell'eventuale presenza tra noi di
persone che non si riconoscono nella
fede cristiana. A loro non posso che
dire ciò che diceva swami Ananda a
Lanza del Vasto: “A voi il compito di
tradurre nella vostra lingua
6
interiore”!
Alla fede bisogna aggiungere la virtù.
Il termine greco, aretē, indica la
potenza o l'energia morale, il vigore
dell'anima. Poco prima, l'autore ha
utilizzato lo stesso termine per
indicare la potenza di Dio.
4
Nel NT s'incontrano cataloghi di virtù in 2Cor 8,7; 1Cor 13,13; 1Tm 4,12; 6,11; 2Tm
2,22; 3,10-11.
5
Lanza del Vasto, A. de Mareuil, L'orée des trois vertus, Parigi 1971, p. 9.
6
Lanza del Vasto, Le Pèlerinage aux sources, in Œuvres complètes I, p. 188. (La
traduzione è mia.)
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
9
In vari luoghi delle sue opere Lanza
del Vasto ricorda che il latino virtus
viene dal radicale vir che significa
forza, virilità, giovinezza. Alla fede
bisogna dunque aggiungere la forza.
“Se si chiede al pacifico, al
nonviolento, ciò che pensa della
forza, la miglior risposta è: 'Penso
che non vi sia nulla di meglio'. Dio
non si chiama invano l'Onnipotente.
L'essere è il prodotto della forza
creatrice di Dio. La forza presente in
ogni essere, nonché quella che esso
dispiega nei movimenti e
cambiamenti da lui compiuti, sono
la manifestazione, il rimbalzare
della forza divina in lui, e la
partecipazione della creatura alla
creazione[...] La forza è la sostanza
7
dell'essere” . Senza forza le migliori
cose non sussistono. Senza virtù la
fede si rivela impotente.
Virtù e conoscenza
Nella seconda coppia alla virtù viene
associata la conoscenza, gnōsis. Ma
di quale conoscenza si tratta? Nella
2P, la gnōsis e l'epignōsis, suo
sinonimo, sono sempre rivolte a Dio
e a Cristo in quanto autori della
salvezza. Da questa conoscenza
8
procedono grazia e pace , tutto ciò
che contribuisce alla vita e alla
9
pietà , nonché alla liberazione dalle
10
sozzure mondane . La gnōsis e' un
processo mai definitivamente
11
compiuto di conversione. La
comprensione di ciò che è conosciuto
come vero, associato alla virtù, che è
dell'ordine della volontà, conduce i
credenti sulla via del possesso e del
dono di sé stesso.
Bisogna notare che l'autore della 2P
mette i suoi interlocutori in guardia
riguardo al pericolo di rimanere
oziosi e sterili in questa opera di
conoscenza. Non penso sia necessario
ribadire l'importanza di una simile
messa in guardia nell'opera di Lanza
del Vasto! Nella “Introduzione alla
vita interiore” scrive: “L'attitudine
dominante di questo mondo è
l'ignoranza di sé, cioè delle cose
dell'anima, l'oblio, la distrazione,
l'indifferenza costante nei riguardi
delle cose dell'anima, conseguenza di
un'inversione dell'intelletto verso il
profitto, verso l'appropriazione e la
dominazione del mondo esterno, cose
13
e persone” . Mi sembra un'ottima
illustrazione di quello che Pietro
scrive a proposito della “sozzura del
mondo”! Lanza prosegue: “La
Conversione, ossia il Rovesciamento
7
Id., L'homme libre..., p. 53. Ne La Trinité spirituelle, Lanza scrive: “In latino, virtù
significa forza: è la forza della coscienza, la forza dell'unità e della coerenza che
combatte tutto ciò che tende alla decomposizione.
La volontà vuole andare verso il suo obiettivo nel modo più efficace possibile; la virtù
ha per obiettivo la forma dell'atto e la sua conformità con l'unità interiore e
superiore.
In latino, virtù significa coraggio. Il coraggio è la sostanza della Virtù, mentre la
giustizia (che è equilibrio dell'esterno e dell'interno) ne è la forma.”
8
2P 1,2.
9
2P 1,3.
10
2P 2,20.
11
Cf. 2P 3,18.
12
Lanza del Vasto, Introduzione..., p. 68.
10
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
di ciò che il Peccato aveva
rovesciato, cioè il Raddrizzamento,
la Conversione consiste nell'uscire
dal Mondo, nell'uscire dall'esteriore,
nel rientrare in sé. E, prima di
tutto, nel farvi attenzione”.
Conoscenza e dominio di sé
L'egkrateia greca è la temperanza,
l'autodisciplina, l'autocontrollo, il
dominio di sé. Il termine è formato
dalla particella en, che indica un
posizionamento con sfumatura
strumentale, e l'etimo krátos, che
significa forza, potere, dominio.
Temperante è la persona libera, che
non si lascia trascinare da alcuna
seduzione. Nella 2P, la temperanza
dei credenti è nettamente
contrapposta alla dissolutezza dei
14
falsi maestri .
Sempre nello stesso capitolo che ho
citato poco anzi, intitolato
“Conoscenza, possesso e dono” ,
Shantidas aggiunge: “Una conoscenza
di sé che fosse lucida e persino
illuminante, ma impotente e
passiva, non costituirebbe che un
compimento insufficiente e fallace.
La vera conoscenza del vero io si
dimostra attraverso la sovranità del
centro irradiante, della sua potenza
ordinatrice e pacificatrice su tutte
le persone, addirittura sugli istinti e
le funzioni del corpo. Ne risulta
naturalmente un distacco dai beni
del mondo e un rispetto della libertà
15
altrui” .
Dominio di sé e perseveranza
Al dominio di sé va unita la
perseveranza nel tempo. L'hypomonē
è pazienza, sopportazione, costanza.
É la tipica virtù dell'attesa
escatologica, abbondantemente
sottolineata dal libro
16
dell'Apocalisse . Questa virtù è la
risposta alla makrothumía divina,
ossia alla pazienza di Dio. Quando
l'autore della 2P scriveva, molti
s'interrogavano sul presunto ritardo
della “parusía”, del ritorno glorioso
del Signore. A questi, Pietro (o chi
per lui) scrive: “Il Signore non ritarda
nell'adempiere la sua promessa,
come certuni credono; ma usa
pazienza verso di voi, non volendo
che alcuno perisca, ma che tutti
17
abbiano modo di pentirsi” . La
pazienza di Dio procede dalla sua
universale volontà salvifica. Il tempo
è misericordia. Sul versante
dell'essere umano, l'hypomonē non è
dunque fatalismo o passività ma
“dominio di sé nel tempo”, cioè
ascesi, perseveranza fondata sulla
conoscenza di Dio. “L'ascesi dice
Arnaud de Mareuil è speranza, cioè
conoscenza e accoglienza della
18
grazia” .
A conclusione del capitolo intitolato
precisamente “Connaissance,
possession et don de soi”, in “Le
grand retour”, Shantidas scrive:
“Questo incidente, questo lutto,
questa malattia, questo incontro,
13
Ibid.14Cf. 2P 2,7.18.
Cf. 2P 2,7.18
15
Lanza del Vasto, Introduzione..., p. 69.
16
Ap 3,10; 13,10; 14,12.
17
2P 3,9.
14
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
11
questa lotta, questa persona sulla
quale inciampo, ecco le occasioni,
ecco i segni. Trasformate gli eventi
casuali in segni. Quale è il
significato di questo incontro, di
questo incidente, di questo
fallimento? Cosa mi è chiesto in tali
circostanze? Sarà un ostacolo da
sormontare? Un invito all'impegno?
Un avvertimento perché mi ferma?
In ogni modo si tratta di una lezione
19
che devo capire” . La storia è
sempre storia di salvezza, purché
apriamo gli occhi!
Perseveranza e pietà
Alla perseveranza che è, come ho
appena detto, dominio di sé nel
tempo, il nostro autore aggiunge la
pietà. Etimologicamente l'eusebeia è
la buona/giusta adorazione. Proprio
perché fondata sulla conoscenza di
Dio e in questo assume i connotati
teologali della speranza la
perseveranza della persona di fede
non può che alimentarsi dalla
contemplazione di Dio.
Nell'insegnamento dell'Arca, accanto
al lavoro e alla meditazione, la
preghiera occupa un posto
privilegiato. Qui vi rimando alle
pagine ad essa dedicate dalla
20
“Introduzione alla vita interiore” ,
21
di cui cito soltanto poche righe : “La
Preghiera è un movimento verso
l'alto: 'É un'elevazione dell'anima',
secondo Origene e Clemente
d'Alessandria. La meditazione è
un'immersione nelle profondità. La
Preghiera si rivolge al Re dei Cieli.
La Meditazione scava le tenebre
interiori per ritrovare l'Immagine
nascosta e rovesciata. La Preghiera
indica lo slancio verso l'Oggetto del
Desiderio e verso 'La fine di tutti i
22
Desideri . La Meditazione è un ritiro,
un ritorno, una rimembranza. La
preghiera è un'effusione del cuore, la
Meditazione è una sospensione
mentale, una concentrazione del
silenzio. La Preghiera è un grido
verso questo Tutto-Altro che risiede
all'altra estremità dei mondi, la
Meditazione è l'incontro meraviglioso
di 'Quest'Altro in me più me stesso di
23
me'.”
Pietà e amore fraterno
Alla pietà, la 2P associa
immediatamente l'amore fraterno, la
philadephia. Nel NT questo termine
indica l'amore che unisce i discepoli
di Gesù tra loro. Essi si riconoscono
fratelli proprio perché figli del
medesimo padre. “É un segno del
vero discepolato. Suggerisce doveri e
impegni concreti verso i fratelli di
fede e necessità di essere
costantemente verificato e
approfondito[...] Esso si manifesta
come sincera benevolenza e carità
fraterna, come fra i membri di una
24
famiglia ” .
Anche qui, non mi sembra casuale
18
Lanza del Vasto, A. de Mareuil, L'orée des trois vertus, Parigi 1971, p. 102.
Lanza del Vasto, Le grand retour, Principato di Monaco 1993, p. 214.
20
Id., Introduzione..., pp. 89-97.
21
Ivi, a p. 89.
22
Dante Alighieri, Paradiso, canto XXXIII.
23
P. Claudel, citando Sant'Agostino.
19
12
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
che l'autore abbia collocato l'amore
fraterno immediatamente accanto
alla pietà. “Un dottore della legge,
lo interrogò per metterlo alla prova:
Maestro, qual è il più grande
comandamento della legge?. Gli
rispose Gesù: Amerai il Signore Dio
tuo con tutto il cuore, con tutta la
tua anima e con tutta la tua mente.
Questo è il più grande e il primo dei
comandamenti. E il secondo è simile
al primo: Amerai il prossimo tuo
come te stesso. Da questi due
comandamenti dipendono tutta la
25
Legge e i Profeti” . Alla profondità
della conoscenza e all'altezza
dell'adorazione deve corrispondere la
larghezza dell'amore. Qui abbiamo il
passaggio dal possesso al dono di sé.
Per ora tocca solo la cerchia dei
fratelli e sorelle ma sappiamo tutti
quanto questo primo passo fuori di
noi è difficoltoso!
Amore fraterno e carità
Eccoci giunti al vertice. Se l'amore
fraterno è ancora limitato, l'amore di
carità non conosce limiti perché Dio
è carità. Su questa virtù teologale
Lanza del Vasto ha scritto delle
pagine bellissime. Ecco ne una:
“Il più alto grado della Carità,
qual è: È l'amore del nemico.
È l'amore del nemico, capite?
Capite! o l'abitudine vi ha un po'
otturato i condotti?
L'amore, sapete che cos'è?
Bene! e il nemico, sapete, che
cos'è?
24
25
Sì, il nemico, lui, sì,
giustamente quel essere li!
E adesso strizzatevi un po' il
cervello fino a mettere i due
insieme.
Ci siete? No, non ci siete per
niente. È come domandarvi di
trovare bianco il nero e rotondo il
quadrato.
Io amo quelli che mi piacciono,
amo quelli che sentono e pensano
come me, quelli che stimo e ammiro,
quelli da cui ricevo e ai quali rendo
del bene. Amo quelli che amo
insomma, anche senza ragione, non
ne ho forse il diritto?
È vostro diritto amare i vostri
amici e fare loro tutto il bene che
volete, ma gli altri?
Sì, gli altri, perché è qui che
incomincia il dovere.
Quale dovere?
Quello di amare il prossimo.
Chi è il mio prossimo?
Qualunque persona, quello che
si trova lì.
Volete una indicazione più
completa del prossimo?
Colui che non ha niente per
piacermi, colui che per me non è
niente, colui che non si impone al
mio rispetto né rapisce la mia
ammirazione, colui dal quale non mi
aspetto niente perché è nella
miseria, in breve colui che a torto o
a ragione non amo. È quello là che
M. Mazzeo, Lettere..., p. 273.
Mt 22,35-40.
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
13
devo “amare come me stesso!”
Ma perché non posso
accontentarmi di amare quelli che
amo, e devo forzarmi ad amare
quelli che non amo?
Perché coloro che ami sono
ancora te, mentre colui che non
ami è veramente l'Altro.
E perché devo amare l'Altro?
Per uscire dalla prigione, per
non morire, per avere la vita
eterna.
Uscire da quale prigione?
Quella dell'io che dice io.
E le mura di questa prigione sono gli
altri, perché è contro di loro che mi
urto. Le dove cominciano, io finisco.
Là dove sono, io non posso andare.
Sono privato di ciò che essi sono, ciò
che essi sono non posso esserlo. Mi
stringono da tutte le parti. Spingo
per guadagnare un po' di spazio, ma
tutti fanno altrettanto e ci
schiacciano.
Devo uscire da li per non morire. Gli
altri sono la mia morte. La morte,
cos'è? La separazione. E colui che è
separato da tutto comincia a
separarsi in sé. La mia morte è che
tutte le parti di me si separano. La
mia morte è diventare, io stesso,
altro.
Ma la vita è unire in me tutto ciò
che mi appartiene. Unire me stesso
ad altri è dunque magnificare la
vita.
Appena amo, una finestra si apre e
da li fuggo. L'amore di un altro
raddoppia in un colpo la distesa del
mio essere rinforzato dal suo. La sua
vita risveglia la mia vita e il suo
pensiero accende il mio pensiero. I
beni dell'uno arricchiscono
14
entrambi. Le pene si condividono e le
gioie si moltiplicano. Le barriere e le
costrizioni cadono e gli orizzonti si
aprono. Sono entrato nel paese della
vita.
Io, il vero io, la mia unità vivente
interiore, è unione, è amore per
antonomasia, e tutto ciò che è amore
mi esalta, mi ingrandisce, mi libera.
Mi diffondo, mi supero e mi affino.
Raggiungo la mia sostanza che è vita,
e la mia vita la sua sostanza che è la
gioia.
E l'amore è Dio, con qualsiasi nome si
nomini Dio, e anche se non lo si
nomina”
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
CONOSCENZA DI SÉ
Il processo della conoscenza di sé
consiste nella risposta a un appello:
l'appello che si fa sentire in noi, per
esempio, quando proviamo il bisogno
di starcene soli per un po' di tempo
per riflettere e pensare, per "tirarci
fuori'' dal quotidiano che rischia di
intontirci con la sua ripetitività o di
travolgerci con i suoi ritmi
esasperati. Si tratta della chiamata a
compiere un esodo attraverso
l'interiorità, un viaggio all'interno di
se stessi, viaggio che si svolge
ponendosi domande, interrogando se
stessi (Chi sono? Da dove vengo?
Dove vado? Che senso ha ciò che
faccio? Chi sono gli altri per me?...),
riflettendo, pensando, elaborando
interiormente ciò che si vive di fuori.
Solo così, attraverso
l'interiorizzazione, si diviene soggetti
della propria vita e non ci si lascia
vivere. Certo, questo cammino nella
propria interiorità, questa discesa
nel proprio cuore è molto faticosa e
dolorosa: normalmente noi la
respingiamo, ne abbiamo paura,
perché temiamo ciò che di noi può
emergere, ciò che di noi può esserci
svelato. Nietzsche ha parlato del
grande dolore di cui fa uso la verità
quando vuole svelarsi all'uomo. La
conoscenza di sé esige attenzione e
vigilanza interiore, quella capacità
di concentrazione e di ascolto del
silenzio che aiuta l'uomo a ritrovare
l'essenziale grazie anche alla
solitudine. Allora si perviene a
habitare secum, ad abitare la
propria vita interiore e si consente
alla propria verità interiore di
dispiegarsi in noi: è anche allora che
la conoscenza di noi stessi diviene
conoscenza dei limiti, delle
negatività, delle lacune che fan
parte di noi e che normalmente
tendiamo a rimuovere pur di non
doverli riconoscere. La conoscenza
della propria miseria, accompagnata
dalla conoscenza di Dio può allora
divenire esperienza della grazia,
della misericordia, del perdono,
dell'amore di Dio. Ciò che prima si
conosceva per sentito dire ora
diviene esperienza personale. Si
tratta di mai scindere questi due
momenti dell'itinerario spirituale: la
conoscenza di sé e la conoscenza di
Dio. Infatti la conoscenza di sé senza
la conoscenza di Dio ingenera la
disperazione, e la conoscenza di Dio
senza la conoscenza di sé produce la
presunzione.
Enzo Bianchi
Lessico della vita interiore pp. 192
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
15
“RICONOSCERSI SÉ STESSI”
“Riconoscersi sé stessi”
mondo che ci circonda.
Un paio di anni fa mi capitò tra le
mani un testo di Paul Ricoeur,
1
“percorsi del riconoscimento ”, il
titolo mi colpi e lo comprai. Come
alle volte capita il libro resto in
sospeso, tra quelli da leggere, fino
ad oggi. Mi aveva colpito il titolo,
“percorsi del riconoscimento”, il
termine “riconoscimento” mi
risuonava in testa dalla metà degli
anni novanta in occasione di un
progetto per il recupero di una parte
del tessuto medievale di Trieste.
Quel lavoro mi aveva posto una serie
di interrogativi di difficile
risoluzione. Mi trovavo di fronte a
ruderi ed edifici di scarsa qualità ma
che contenevano, al loro interno, i
segni, invisibili, di una storia quasi
millenaria. Il momento di svolta era
stato quando avevo iniziato a
riconoscere il valore storico di quelle
mura, di quegl’intonaci, da allora il
progetto si è sviluppato rapidamente
e da allora il termine riconoscere mi
ha accompagnato e incuriosito.
Si tratta di un testo di filosofia, di
non semplice lettura, dove ho
trovato degli spunti interessanti per
il tema della conoscenza di sé.
L'autore (1913-2005) è uno dei
maggiori filosofi del XX secolo e nei
suoi studi parte dall'analisi del
linguaggio come ambito dove porsi il
problema di senso e di significato,
domande dalle quali parte per
giungere ad un'interpretazione del
Il testo è strutturato da tre studi, il
primo, nel quale mi sono ritrovato,
tratta del riconoscimento come
identificazione delle cose, come
catalogo degli elementi che ci
circondano; il secondo studio tratta
del riconoscimento di sé stessi; il
terzo completa la riflessione con il
riconoscimento di sé stessi nel
rapporto con gli altri e nella difficile
dialettica del riconoscimento
reciproco.
In particolare è dal secondo studio
che voglio estrarre alcune riflessioni
su vari aspetti del riconoscersi.
Il percorso proposto da Ricoeur parte
dal riconoscere il ruolo che svolgiamo
nel nostro agire quotidiano alla
ricostituzione della nostra storia per
giungere alla relazione con l'altro.
1
Riconosco il mio agire
Con l'introduzione di alcuni testi
greci, i miti di Ulisse, che rientrato a
Itaca si fa riconoscere gradatamente
dal padre, dal figlio ecc.; di Edipo a
Colorno (ultimo atto della tragedia)
che riconosce che i suoi atti sono
avvenuti non per sua diretta volontà
ma perché costretto dagli dei e dal
fato. ”.. ho ucciso, ho tolto la vita
ma senza sapere quello che
facevo”,” … sono gli dei che hanno
orchestrato tutto”, l'autore ci
introduce il concetto “dell'uomo
come agente, come ente che
interagisce con il mondo fisico e
Percorsi del riconoscimento, Paul Ricoeur, Raffaello Cortina editore, 2005
16
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
relazionale che lo circonda”.
Con la riflessione di Aristotele,
invece, vengono confutate le
affermazione che Eschilo mette in
bocca ad Edipo “sono gli dei che ….”
affermando che “l'azione è svolta
deliberatamente”, l'autore, ci mette
di fronte all'obbligo di riconoscere in
noi una volontarietà nelle nostre
azioni.
La riflessione ci propone di
riconoscere che noi siamo soggetti
che agiamo e interveniamo su questa
terra e che le azioni sono dovute alle
nostre scelte. La tesi sostenuta da
Ricoeur è che vi sia una stretta
parentela tra il riconoscimento di sé
e “il riconoscimento delle
responsabilità” delle nostre azioni.
Ricordo ancora le discussioni con mia
figlia sulla responsabilità delle azioni
che compiva e sulla risposta
stereotipata che mi dava e, che alle
volte danno oggi i miei alunni, “ma
fanno tutti così” oppure “non l'ho
fatto apposta”.
Alle volte di fronte ad azioni che non
erano corrette ho fatto molta fatica
ad assumerne le responsabilità, ma
quelle azioni le avevo fatte io non
altri.
Ma il conoscersi si riferisce anche al
semplice agire, il riconoscere che
non tutte le azioni con le quali
operiamo nella quotidianità sono
coerenti con i fini, con i valori
profondi che ci animano. Questo
porta a riflettere sui nostri errori,
sul compromesso, o ad esempio su
quanto ci sia difficile affrontare
coerentemente le scelte di
semplicità o povertà.
Riconosco la mia storia
La seconda parte dello studio collega
l'uomo che agisce all'uomo che
racconta il proprio agire e scopre le
proprie capacità.
L'aspetto interessante di questo
capitolo è quello di come, attraverso
il racconto di sé, si riesce a
riconoscere e riscoprire parti della
propria storia e, di conseguenza,
costruire la propria identità, il
proprio sé. In particolare l'autore
sottolinea come i soggetti dei miti e
delle tragedie greche sono parlanti,
esprimono sempre il sé e descrivono
in prima persona le proprie azioni.
La riflessione sulla parola e la sua
capacità di rendere visibili itinerari o
percorsi della quotidianità oppure
sulla capacità di rileggere esperienze
che ci hanno segnato assume un
pieno significato solo quando la si
può raccontare e condividere con
l'altro.
C'è un brano, del commento ai primi
versetti del vangelo di Giovanni, dove
Lanza del Vasto anticipa questa
riflessione di Ricoeur quando parla
della capacità di raccontarsi del
“fare con le parole”. Lanza scrive
“logos” in greco significa “parola” e
significa “pensiero”, poiché la
logica, cioè la scienza del logos, non
è altro che la scienza del pensiero.
….. Il pensiero inespresso è
inesistente. Se credete il contrario, è
dovuto al fatto che la vostra
Lanza del vasto: In spirito e fuoco. Commento ai vangeli della nascita, ed La
Meridiana 1991, pag. 66 “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo
era Dio. Egli in principio era Dio.” Gv1; 1,2
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
17
osservazione è carente. …… Ma la
parola pronunciata o scritta è il solo
modo di espressione più completo,
più compiuto, quello che riassume
tutti i possibili modi di espressione”
Il raccontarsi è stato un momento
importante della mia esperienza, il
condividere la mia storia mi ha
aiutato a ricollegarla ridefinirla in un
contesto più ampio della contingente
quotidianità che travolge, con il suo
ritmo incalzante e, alle volte, fa
perdere di vista l'obbiettivo lo scopo
delle azioni.
Ma in questo raccontarsi si
incontrano dei rischi che non
vengono sottaciuti dall'autore: noi
raccontiamo quello che l'altro vuole
sentirsi raccontare oppure narriamo
la nostra storia, le nostre esperienza
profonde.
Mi è capitato di fare sia questo che
quello, dipendeva da come mi
sentivo accolto nel luogo dove mi
raccontavo.
Nell'ambito delle capacità, l'autore
sottolinea anche quella del fare. Del
riconoscere le nostre capacità del
fare.
C'è una canzone che nel ritornello
dice “io non so fare niente”, molte
volte mi sono identificato con
quest'affermazione. Ma se in parte
quest’affermazione rispecchia la mia
ricerca di umiltà forse, ma non mi
rappresenta a pieno. Nel tempo ho
acquisito alcune capacità, alcune
competenze nelle quali sono più
ferrato. Il riconoscerle fa parte della
mia identità, del identificare chi
sono.
L'ultima sottolineatura riguarda
l'imputabilità delle nostre azioni:
citando il dizionario francese Le
Robert, Ricoeur dice “imputare un
18
azione a qualcuno significa
attribuirgliela quale vero e proprio
attore, metterla sul suo conto e
renderlo responsabile”. Si ritorna al
tema della responsabilità delle
proprie azioni, di accettare, non solo
i risultati positivi del nostro fare ma,
anche, riconoscere i nostri sbagli, i
limiti che ci rendono incapaci di
azioni positive.
Il ricordo e l'impegno
Il terzo capitolo affronta i temi della
memoria e della promessa. Sono due
punti centrali nel discorso che sta
svolgendo l'autore, le chiama “due
sommità, una rivolta al passato e
l'altra rivolta al futuro”.
Nel riconoscere noi stessi le nostre
azioni e nel raccontarle noi
utilizziamo lo strumento della
memoria, che ci porta a definire il
riconoscimento di sé. Ma quali sono
gli aspetti della memoria:
- di cosa mi ricordo, quali sono gli
aspetti che dimentico;
- perché alcuni ricordi cadono
nell'oblio, è dovuto alla cattiva
coscienza, all'astuzia del dimenticare
le cose che ci fanno male o a ….
Ma la memoria è anche lo sforzo
positivo di strappare qualche
brandello della nostra vita all'oblio,
alla dimenticanza.
Con la domanda chi ricorda:
introduce due autori S. Agostino e
Locke che aiutano Ricoeur a
precisare quali sono i imiti della
memoria. In particolare è
interessante la riflessione di Locke
che introduce la “coscienza” come
elemento che permette di leggere la
propria storia.“Fin dove questa
coscienza può essere estesa indietro
a un a qualsiasi azione o pensiero del
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
passato, fin li giunge l'identità di
quella persona; si tratta dello stesso
io ora e allora ed è lo steso io che
ora riflette che quell'azione venne
compiuta.”
L'ultimo aspetto riguarda la
“Promessa” l'impegno per il futuro, il
dare la parola del fare del realizzare
qualcosa. Qui introduce il tema
successivo il riconoscimento di sé
attraverso la relazione con l'altro.
L'impegno è certo per me che debbo
svolgere una qualche azione ma
riguarda anche colui verso il quale
mi sono impegnato riguarda anche
l'altro. Anche qui l'autore non
sottace i rischi connessi con la
promessa come il tradimento la
mancanza alla parola data.
Sottolinea la corrispondenza tra
l'oblio della memoria e il tradimento
della parola data.
Promettere significa impegnarsi a
fare qualche azione sia a favore di sé
che dell'altro. Posso promettermi di
fare lo yoga un paio di volte alla
settimana e non mantenere
l'impegno. Come promettere a un
committente di consegnargli il lavoro
entro una data precisa. Ci tengo
abbastanza a rispettare le promesse
fatte verso gli altri ma alle volte
cerco di rinviarle, di posticiparle
perché in quel momento mi pesano.
Più difficile è mantenere le promesse
fatte verso di me, le prendo con
minore seriètà e frequentemente
cadono nell'oblio.
è tra le forme individuali di capacità
di dire, di fare, di raccontarsi e il
rapporto con l'altro sottolineando la
necessità del collegamento tra il
riconoscimento di sé e il mutuo
reciproco riconoscimento con l'altro.
Si tratta del riconoscimento di
identità collettive, noi partecipiamo,
viviamo in una società che ci
condiziona per numerosi aspetti, e le
nostre capacità di fare di agire e di
raccontarsi devono confrontarsi con
quest'appartenenza.
Con Amartya Sen introduce una
riflessione sulla giustizia e sui diritti,
sulla distribuzione dei beni e sulle
pratiche di solidarietà sociale. Con la
riflessione di Amartya Sen si
recuperano gli aspetti di valutazione
“morale”, delle scelte, che spingono
l'uomo nelle azioni quotidiane di
ricerca del benessere. Valutazioni
che trascendono il puro aspetto
mercantile tanto esaltato dall'attuale
contesto sociale. Quello che viene
sottolineato è se siamo capaci di
valutare le situazioni, secondo un
ottica, un parametro, che discende
dalla“morale”, da valori più profondi
del solo denaro. Qui le esperienze
sono tante, la mia ricerca di
benessere, di relazione con l'altro
passa attraverso un gruppo di autoaiuto che negli anni ha costruito una
rete di conoscenza di piccoli
produttori locali e o biologici dai
quali acquistiamo gran parte dei
prodotti che consumiamo.
Verso l'altro
Questo capitolo fa da ponte con
l'ultimo studio del libro che riguarda
l'identificazione di sé attraverso il
confronto con l'altro e l'identità
dell'atro. Affronta il rapporto che vi
Credo di aver colto solo alcuni degli
aspetti del testo, forse i più
superficiali, mi dovrei scusare con
l'autore di aver “dimenticato”
l'infinite citazioni e i rimandi ad altri
filosofi che lui ha utilizzato per
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
19
a.
L'analisi delle mie azioni e le
intenzioni con cui le svolgo;
b.
L'imputabilità delle mie
azioni, l'essere responsabile di quello
che faccio, l'assumermi a pieno la
responsabilità delle mie azioni
quotidiane, in altre parole
l'attenzione ai mezzi che utilizzo
nella vita di ogni giorno, mezzi che,
come Gandhi ci ricorda, sono
importanti come i fini;
c.
L'individuazione delle mie
capacità, delle mie doti, del lavoro
che svolgo su di me per ampliarle;
d.
La capacità di raccontare la
mia storia;
e.
L'uso della memoria, e le sue
difficoltà, quello che ricordo quello
che dimentico;
f.
La promessa, l'impegno che
mi sono preso per migliorare per
crescere.
g. La relazione con l'altro che mi
riconosce e che io riconosco
una citazione di un breve passo di
Ricoeur dove ci ricorda che la
conoscenza di sé non può essere
disgiunta dal riconoscimento
reciproco, dal riconoscere i diritti
dell'altro.
Per l'uomo “che agisce e soffre”,
prima di arrivare sino al
riconoscimento di ciò che egli è in
verità, ossia uomo “capace” di certe
realizzazioni, il cammino è lungo.
Inoltre, questo riconoscimento di sé
richiede, a ogni tappa, l'aiuto di
altri, in mancanza di quel mutuo
riconoscimento, pienamente
reciproco che , …. fa di ciascuno dei
partner un essere riconosciuto. Il
riconoscimento di sé in questione nel
presente studio rimarrà non soltanto
incompiuto, così come rimarrà
incompiuto anche il mutuo
riconoscimento, ma per di più
mutilato in ragione della persistente
dissimmetria del rapporto con altri
secondo il modello dell'aiuto, ma
anche dell'impedimento reale
Francesco Pavanello
LA PREGHIERA DEL FUOCO
(Karsten PETERSEN Arca Germania )
APPROFONDIMENTI
costruire la sua riflessione. Ma
l'obbiettivo della mia lettura era
quello di individuare dei percorsi e
degli spunti di riflessione sulla
“conoscenza, possesso e dono di sé”.
Ho utilizzate alcuni aspetti che mi
risuonavano per raccontare alcune
esperienze che non vogliono essere
interpretazioni assolute ma stimoli
per indicare percorsi concreti e
possibili di conoscenza di sè.
Dalle semplici riflessioni che ho
riportato ne estraggo alcune tracce
che possono portare a dei
suggerimenti per un percorso di
conoscenza di sé. Tracce che
proverei a riassumere nei seguenti
punti:
Karsten Petersen, uno dei tre
fondatori del Friedenshof nel
1990, ci propone qui di seguito
un suo commento sulla
Preghiera del Fuoco,
invitandoci ad una riflessione
sul senso profondo di questo
rituale, colonna portante
dell'Arca.
Vorrei partire dall'esperienza
che ciascuno di noi ha fatto
partecipando alla Preghiera del
Fuoco.
Cerchiamo di tornare con la
mente a quelle sere in cui
siamo entrati nella preghiera
con queste parole: ”Siamo tutti
passanti e pellegrini”.
Ne
siamo stati profondamente
colpiti e affascinati.
.
Abbiamo discusso fra noi a
lungo però, nell'ultimo incontro
di formazione, su alcuni punti
del testo. Vi sono alcuni fra noi
che erano perplessi nel dire la
frase “l'amore è la gioia di
soffrire”, così come “il nostro
cuore di legno morto e di
spine”. Nell'Arca Germania
abbiamo quindi adottato questa
versione : “Amare, è gioia nella
sofferenza “.
La Preghiera del Fuoco, un
processo di trasformazione
Se non ascoltiamo che il testo,
non riusciamo ad accedere al
suo significato più profondo. E'
importante percepire che è
solo una parte di un insieme.
Gli altri elementi sono il riunirsi
delle persone che pregano, il
cerchio, la notte che scende, e
il fuoco.
Il recitare le parole del testo
produce un effetto certamente:
riflette le circostanze e i
pensieri di coloro che si trovano
lì riuniti. Vuole render loro
possibile l'entrare nel processo
di trasformazione che viene a
compiersi davanti ai loro occhi.
Entrarci, con tutta la propria
persona, per vivere così una
trasformazione nel corpo e nell'
anima.
Il testo si rifà ad immagini del
mondo delle religioni, in
particolare della religione
cristiana;
nella Preghiera del Fuoco
riconosciamo dunque non tanto
una preghiera quanto un
rituale, che interessa tutti i
sensi, così come lo spirito di
tutto l'essere, e lo trasforma.
Questo è ciò che ci affascina
nella Preghiera del Fuoco.
L'opera del fuoco
Nella Preghiera del Fuoco,
possiamo distinguere tre
momenti essenziali.
Nel primo, ci troviamo ad
innalzare “un tempio nel
Non posso però non concludere con
20
RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO
APPROFONDIMENTI
21
vento”, nel quale coloro che pregano
si riuniscono attorno ad un centro
comune e divengono “presenti al
Presente”.
Nel secondo, tutta l'attenzione si
volge al fuoco, più precisamente
sull'opera di trasformazione che
compie il fuoco.
Le ultime frasi, poi, evocano gli
effetti e la trasformazione delle
persone stesse che stanno pregando.
Nel secondo tempo, coloro che
pregano hanno completamente
aperto i loro sensi e il loro spirito
all'opera che si sta compiendo
davanti ai loro occhi. La hanno
espressa con le parole :ӏ la morte
delle cose morte e il loro ritorno alla
luce”. E a questo punto - sembra
incredibile la preghiera continua
con una lode dell'opera del fuoco :
“Fuoco di gioia! “ Come possiamo
parlare di gioia quando si tratta di
morte e di sofferenza ?
Notiamo che, concentrati sul fuoco,
ci rallegriamo del calore e della luce
che ci pervengono dalla “morte delle
cose morte” i ceppi che bruciano.
La gioia, legata al processo dello
sparire e dello sbocciare, è insita
nella natura. Il problema si pone
quando cerchiamo di comprendere
con le parole e allora ci chiudiamo
davanti al gioioso messaggio del
fuoco. Le parole separano ciò che in
realtà è “l'una nell'altra”.
La “Preghiera del Fuoco” vuole
aprire anche il nostro spirito a
questa verità, aprire il cammino
verso questa Unità del tutto. Ciò
che noi viviamo come i più opposti,
la gioia e la sofferenza, la vita e la
morte, è inestricabilmente legato e
22
mescolato, nel perpetuo processo di
trasformazione che è la vita. E'
questo processo che produce la vita,
il calore e la luce del vivente. E' la
Verità e l'Amore.
Se ci lasciassimo convincere da
questo messaggio del fuoco,
potremmo prendere su di noi
l'inevitabile “croce della vita
quotidiana” con gioia; i sacrifici e
gli sforzi troverebbero un senso;
potremmo far fronte alla paura
naturale della morte con una fiducia
piena di speranza. E' quanto vuole
dirci questo appello alla gioia nelle
parole della Preghiera del Fuoco.
La Verità divina si manifesta nella
Creazione, nel Fuoco e si manifesta
ancora più direttamente nell'amore
che Dio ci offre. Con la formula :
“L'amore è la gioia nella sofferenza
“, il testo passa, in un'unica riga,
dalla contemplazione del fuoco a
un'affermazione di Dio come Amore.
Per un cristiano come me, questo
amore trova la sua più alta
manifestazione nella vita, la morte e
la resurrezione di Gesù Cristo.
Egli ha vissuto ed è morto in un dono
pieno di amore, per gli uomini che
avevano maggiormente bisogno di lui
: “gioia nella sofferenza “.
Egli ha trionfato sulla morte
mediante la sua resurrezione : “gioia
nella sofferenza “.
L'ultima parola non è per la morte
che tutto divide, ma per l'Amore che
tutto unisce.
Il fuoco, un cammino di vita.
“L'apparenza che si consuma e la
sostanza che appare”
APPROFONDIMENTI
Il gioioso messaggio del fuoco e del
Vangelo non è però un semplice
annuncio. E' promessa che si
realizza già in parte in questo
mondo; lo scopriamo sul cammino
della nostra vita ; ognuno ed ognuna
lo vive nelle relazioni interpersonali.
La vita di coppia può progredire solo
se ognuno rinuncia a qualcosa che
fino ad allora era per lui o per lei
“sacro”, per lasciare posto a dei
valori e delle prospettive “comuni”.
I nostri bambini non possono
sbocciare che se siamo pronti a
consacrare loro una gran parte della
nostra energia, del nostro tempo,
dei nostri introiti.
Le comunità possono esistere solo se
ognuno è disposto ad abbandonare
alcuni punti di vista personali troppo
stretti, e se siamo pronti a limitare il
nostro preteso libero-arbitrio.
E' allora che succede lo
Straordinario, l'esperienza della
prossimità di Dio, nell'estremo
abbandono. Alcuni di noi lo hanno
vissuto: in situazioni in cui tutto
sembra crollare, un profondo
conforto ci invade, una pace e una
gioia illimitata sembrano annullare
ogni sofferenza.
“Soffia su di noi Signore, perché la
nostra preghiera salga in fiamma,
perché il nostro cuore di legno morto
e di spine, e la sua breve e vacillante
scintilla di vita, servano a nutrire un
poco la tua gloria”.
Ora, nell'ultima parte del testo, il
fuoco si propaga anche su coloro che
pregano. Noi preghiamo perché il
nostro cuore desideri interamente
fondersi nel fuoco.
Questa rappresentazione non è solo
pregnante per uno spirito profano, lo
è anche per qualcuno che sia in
ricerca spirituale, che speri
giustamente, nel suo cuore, di
percepire la vicinanza di Dio o del
suo Se più profondo. Ed è' possibile
che, nello svolgersi del rito, siamo
così presi dal fascino delle fiamme
che questo avviene in noi; il fuoco
brucia in noi e noi lo nutriamo con la
nostra pacifica presenza - questa
interiorizzazione del fuoco è anche
in parte un processo del tutto
naturale, condizionato dalla nostra
fondamentale ricettività alle
immagini e a tutte le impressioni
venute dall'esterno.
“ Soffia su di noi, Signore “. A
questo punto, il testo diviene
preghiera, ritorna nella sfera del
religioso. Ci si indirizza
direttamente a Dio e si evoca un
motivo religioso attraverso
l'immagine del “cuore che brucia”.
………..
Siamo arrivati alla fine del rito di
trasformazione; la comunità si
trasforma. Si riunisce nel cerchio
chiuso, intorno al centro comune,
avvicinandosi un poco di più all'unità
originale e autentica di tutte le
creature. Gli individui si sono
trasformati: i loro sensi e il loro
spirito si sono fissati su un punto
esteriore, aprendo la strada per un
orientamento verso il loro centro
interiore. E' qui che avviene l'unità
con il Tutto, che Dio diviene
manifesto, Lui che è “Tutto in Uno”.
La missione dell'Arca : vivere
nell'Unità
La Preghiera del Fuoco è assieme al
APPROFONDIMENTI
23
rappel, alla meditazione e alle feste
un elemento costitutivo della vita
della comunità dell'Arca.
Meditiamo sul senso della Preghiera
del Fuoco. Ritroveremo il senso del
rappel, della meditazione e delle
feste dell'Arca. Si tratta ogni volta
di invertire il nostro sguardo,
d'invertire la direzione dei nostri
movimenti.
Si tratta della “conversione”
dall'esteriore verso l'interiore, dalla
dispersione verso la concentrazione,
dall'apparenza verso l'essenziale, dal
multiplo verso l'Uno.
Si tratta quindi, in ogni situazione, di
ri-legarsi nuovamente all'Unità di
tutti gli esseri e di vivere nella
coscienza di questa Realtà.
Da questa coscienza nasce una
pratica che fa della nostra vita una
lode a questa Unità, e la fiducia
nell'Unità profonda di tutta la
Creazione. La vita personale e
comunitaria prendono forma
anch'esse nello spirito di questa
Unità. Questa è l'idea della
nonviolenza: la Forza del Bene.
Archeforum n.100 nov. 2006
(trad. laura Lanza)
APPUNTI PER LA PRATICA DELLO YOGA
Guido Farella
Quando ho cominciato a
considerare la pratica dello Yoga
parte integrante del mio cammino
spirituale e della mia evoluzione
come essere sociale, ho dedicato
parecchio tempo allo studio di un
libro da molti considerato, non a
torto, tra i migliori mai scritti
sull'argomento: Teoria e pratica
dello Yoga di B.K.S. Iyengar.
L'autore è ritenuto essere uno dei
massimi maestri contemporanei
dell'Hatha Yoga, e la sua scuola ha
trovato allievi ed estimatori ovunque
nel mondo.
Scelgo pertanto di cominciare a
trattare l'argomento attingendo a
piene mani da quel libro, per
introdurre alcuni degli aspetti
secondo me fondamentali per un
approccio allo Yoga che ne voglia
realmente comprendere gli scopi ed i
mezzi per realizzarli. Ho però ridotto
al minimo l'uso dei termini sanscriti
tradizionali, non certo perchè inutili,
ma per alleggerire la lettura e
favorirne una più naturale fluidità.
“La pratica dello Yoga provoca
inizialmente una sensazione di
misura e di equilibrio; applicata al
nostro corpo, c'insegna come farIo
funzionare, traendone la massima
forza ed armonia. Con instancabile
pazienza, perfezioniamo ed
animiamo così tutte le nostre
cellule, tornando giornalmente alla
carica, scoprendo e liberando le
nostre capacità che altrimenti
sarebbero condannate alla
frustrazione e alla morte.
24
APPROFONDIMENTI
Ogni parte non completamente
sviluppata dei tessuti e dei nervi,
del cervello o dei polmoni, è una
sfida alla nostra volontà e sanità,
oppure è causa di abbattimento
fisico e morale”.
YEHUDI MENUHIN
La parola Yoga deriva dalla radice
sanscrita Yug, che significa legare
assieme, aggiogare, dirigere e
concentrare l'attenzione. Significa
anche unione o comunione, e, in
effetti, essa descrive la vera unione
della nostra volontà con quella di
Dio. Significa, inoltre, disciplinare
l'intelletto, la mente, le emozioni, la
volontà, tutti obiettivi presupposti
dallo Yoga; così come significa anche
equilibrio dell'anima, il solo che
rende capaci di guardare
uniformemente a tutti gli aspetti
della vita.
Come un diamante ben tagliato
presenta molte sfaccettature,
ognuna delle quali riflette un diverso
tono di luce, così la parola Yoga, con
ciascuna sfaccettatura, riflette
diversi gradi di significato e rivela
aspetti differenti dell'intera gamma
dello sforzo umano diretto al
raggiungimento della pace interiore
e della felicità.
Nel pensiero indiano, tutto è
permeato dallo Spirito Universale
Supremo, di cui lo spirito umano
individuale è una parte. Il sistema
Yoga è così chiamato poichè insegna
i mezzi con i quali la parte
APPROFONDIMENTI
25
individuale può essere unita in
comunione con il piano universale,
così da assicurare la liberazione.
Quando la pratica dello Yoga placa
l'agitazione della mente,
dell'intelletto e dell'io, lo yogi, con la
grazia dello Spirito in lui, trova
completo appagamento. Conosce così
l'eterna gioia che è al di là del
confine dei sensi e che la ragione non
può affermare. Rimane in questa
realtà e non si allontana da essa. Ha
trovato il tesoro più prezioso di tutti
gli altri; non vi è niente di più alto.
Colui che lo ha capito, non può
essere toccato dalle maggiori
sventure. Questo è il vero significato
di Yoga: una liberazione dal contatto
col dolore e con la sventura.
Lo Yoga è stato inoltre definito
come saggezza, armonia e
moderazione nel lavorare, ovvero un
abile modo di vivere. Lo Yoga non è
per chi mangia con troppa ingordigia,
nè per chi muore di fame. Non è per
chi dorme troppo, nè per chi sta
troppo sveglio. Lo Yoga distrugge
ogni dolore e pena con la
moderazione nel mangiare e nel
riposare, regolando le attività ed
armonizzando il sonno e la veglia.
Lo Yoga è il metodo con cui viene
calmata la mente inquieta, così da
poter dirigere l'energia vitale in
canali costruttivi. Come un potente
fiume, quando appropriatamente
imbrigliato con dighe e canali, crea
un vasto serbatoio d'acqua, previene
la carestia e fornisce una gran
quantità di energia per l'industria,
così anche la mente, quando viene
controllata, fornisce una riserva di
pace e genera abbondante energia
per l'elevazione umana. Quando i
sensi si sono calmati, quando la
26
mente riposa, quando l'intelletto non
tentenna, allora - dice il saggio - il
più alto stadio è raggiunto. Questo
costante controllo dei sensi e della
mente è stato definito Yoga. Chi
raggiunge tale controllo è libero
dalla delusione.
Lo Yoga è uno dei sei sistemi
ortodossi della filosofia indiana. Esso
fu collezionato, coordinato e ridotto
a sistema da Patanjali (II sec. a.C.)
nella sua opera classica, lo Yoga
Sutra, composta da 185 aforismi.
GLI STADI DELLO YOGA
I mezzi corretti sono altrettanto
importanti del fine. Patanjali
enumera tali mezzi come gli 8 ausilii,
o stadi, dello Yoga. Essi sono:
1) Yama (i comandamenti morali
universali)
2) Niyama (l'autopurificazione con
la disciplina)
3) Asana (postura)
4) Pranayama (controllo del
respiro)
5) Pratyahara (emancipazione
della mente dal dominio dei sensi)
6) Dharana (concentrazione)
7) Dhyana (meditazione)
8) Samadhi (unione con lo Spirito
Universale)
come controllare la respirazione e,
per suo mezzo, la mente, cosa che
aiuta a liberare i sensi dalla schiavitù
degli oggetti del desiderio. Questi
due stadi dello Yoga sono conosciuti
come le ricerche interiori.
Gli ultimi tre stadi tengono lo yogi
in armonia con se stesso e il
Creatore. Lo yogi non guarda verso il
cielo per trovare Dio, sa che Egli è in
lui. Dharana, Dhyana e Samadhi
conducono lo yogi nei più intimi
recessi della sua anima, e sono
perciò chiamati ricerca dell'anima.
Con la profonda meditazione, il
sapiente, il sapere e il conosciuto
diventano una cosa sola. Per chi
vede, il vedere e l'oggetto della vista
non hanno vita se rimangono separati
l'uno dall'altro; come per un grande
esecutore musicale, che diventa
tutt'uno col suo strumento e la
musica che da esso proviene, così lo
yogi resta fedele alla propria natura
e capisce se stesso, la parte dello
Spirito Supremo in lui.
Colui che non può controllare la
propria mente troverà difficile
raggiungere questa comunione
divina, ma colui che ha padronanza
di sè può raggiungerla se proverà con
caparbia e se dirigerà la propria
energia con i mezzi idonei.
I primi tre stadi sono le ricerche
esteriori.
Yama e Niyama controllano le
passioni e le emozioni dello yogi e lo
tengono in armonia con i suoi simili.
Le Asanas mantengono il corpo
sano e forte e in armonia con la
natura, rendendolo un mezzo adatto
all'anima.
I due stadi seguenti, Pranayama e
Pratyahara, insegnano all'aspirante
APPROFONDIMENTI
APPROFONDIMENTI
27
LA FONDAZIONE DELL’ETICA SOCIALE SECONDO
LA NONVIOLENZA
Antonino Drago
negativa del Peccato originale (Genesi
3) e finisce (Apocalisse) con i
spaventosi flagelli sull'umanità fino
alle due Bestie, potenze sociali
malefiche, che dominano l'umanità
intera; e in mezzo ci sono tanti
episodi intermedi di atti malvagi
(compiuti anche dall'unto del Signore,
re David). Vuole incutere timore e
tremore o c'è una logica in queste
negatività?
Lanza del Vasto ha scoperto una
interpretazione originale del Peccato
originale, che è di tipo sociale (è il
peccato all'origine non dei tempi, ma
all'origine delle aggregazioni di
uomini). Poi egli l'ha saputo collegare
ai quattro flagelli e alle due bestie
che in Apocalisse 13 dominano
l'umanità. Con questi elementi base
egli ha saputo descrivere il gioco
sociale che, a partire dal singolo e i
suoi rapporti interpersonali, porta
squilibri, ingiustizie, prevaricazioni,
distruzioni, fino a dittature
(Apocalisse 13); cioè ha costruito
un'analisi delle società di tutti i tempi.
Ne deriva un'etica molto semplice, ma
decisiva: comportati e organizzati in
3
modo da rifuggire dai quattro flagelli .
La storia della nonviolenza è legata a
riforme avvenute nelle religioni; esse
sono state compiute da un po' più di
un secolo prima da Tolstoj, per Il
cristianesimo ortodosso, poi da
Gandhi nell'induismo (dal quale egli
ha ricavato la nonviolenza), poi da
Capitini che ha cercato una “riforma
di religione”. Una riforma della
religiosità nel Cristianesimo è stata
realizzata, ancor più che da Martin
Luter King o da Don Tonino Bello, da
1
Lanza del Vasto .
In tutti i maestri della nonviolenza la
riforma è un indirizzare la religiosità
ad essere soprattutto un'etica, più
che una dogmatica (giusto il loro
essere quasi tutti dei laici). In questo
senso tutti i precedenti maestri della
nonviolenza hanno preparato anche
una rifondazione dell'etica nella
direzione di assumere una precisa
dimensione sociale. In effetti il libro
2
principale di Lanza del Vasto, ha
cercato anche una fondazione
dell'etica sociale nonviolenta.
Egli si basa sulla Bibbia (Vecchio e
Nuovo Testamento). La quale colpisce
per come presenta pesantemente
l'etica: inizia con la situazione
1
Lanza del Vasto: Lezioni di Vita, LEF, Firenze, 1976; questa antologia dei suoi scritti
indica il senso di questa riforma. I libri più rappresentativi sono I Quattro Flagelli
(1959), Sei, Torino, 1996 e Introduzione alla vita interiore, Jaca, book, Milano, 1989.
2
Lanza del Vasto: I Quattro Flagelli, op. cit..
3
Lanza del Vasto la esprime quando dichiara di preferire quella organizzazione sociale
che è la meno soggetta ai quattro flagelli, la tribù-villaggio. Questa etica è ben più
precisa della recente rifondazione sociale dell'etica compiuta da H. Jonas: Il principio
di responsabilità (1979), Einaudi, Torino, 1992, la quale chiede di rifuggire solo dal
suicidio dell'intera umanità. Inoltre Lanza del Vasto esprime anche un'etica postiva,
che vedremo più avanti.
28
APPROFONDIMENTI
Quindi c'è da sperare di trovare, con
uno sguardo più attento, ulteriori
collegamenti e indicazioni per la vita
etica nostra e della comunità umana.
Infatti la si può portare a
compimento sviluppando le sue idee
mediante un'aggiunta.
Sappiamo bene che sull'etica la
Bibbia, già migliaia di anni fa, ha
dato il Decalogo (Es 20, 2-17), ovvero
4
i dieci consigli del Padreterno ; essi
sono degli avvertimenti su come
sapersi comportare personalmente al
meglio; a cui il Vangelo aggiunge la
buona novella delle Beatitudini.
Questi ulteriori insegnamenti ci
aprono orizzonti positivi. Che
sarebbero ancor più chiari se,
andando oltre quanto ha fatto Lanza
del Vasto, riuscissimo a collegarli con
quelli negativi in una maniera
coerente e sistematica.
In effetti, a ben guardare, quei dieci
consigli positivi sono collegati ai
quattro Flagelli sociali negativi per
l'umanità. A parte i primi consigli,
che riguardano il rapporto personale
con Dio e con i genitori (cioè con le
autorità morali della vita di ciascun
individuo), gli altri riguardano i
rapporti con le altre persone: Non
ammazzare, Non abusare del sesso,
Non rubare, Non dire il falso, Non
desiderare la cosa d'altri e la donna
d'altri. Essi sono sei; ma guardiamoli
meglio ponendoli in relazione ai
quattro flagelli.
Di solito essi vengono intesi come
comportamento del singolo con un
altro singolo. In realtà sono anche
indicazioni di come comportarsi
socialmente al meglio. Lo capiamo se
ci chiediamo: come, a partire dai
rapporti interpersonali, si deve
rifuggire dal flagello della Guerra, se
lo si vuole evitare sin dall'inizio? E'
evidente che occorre osservare il
primo dei consigli sociali (cioè il
quinto: “Non ammazzare”), anche al
costo di essere un obiettore di
coscienza. Allora ci si accorge che il
secondo consiglio sociale assieme al
terzo (cioè il sesto e il settimo: “Non
abusare del sesso”; e: “Non dire il
falso”) indicano come non appestare e
non sovvertire i rapporti sia con l'altro
sesso che con le altre persone; cioè
non contribuire a nessuna peste
sociale. Il quarto consiglio sociale
(cioè il settimo consiglio: “Non
rubare”) come non arrivare a generare
il flagello della Miseria sugli altri. Il
quinto e il sesto assieme (“Non
desiderare la cosa e la donna d'altri”)
come rifuggire dal fascino del Potere,
che genera il flagello della Servitù
nella società.
Quindi, avendo associato quattro di
essi a coppie, abbiamo ottenuto che i
sei consigli sociali corrispondono bene
ai quattro flagelli. Cosicché i dieci
consigli presentano una etica che,
partendo dalla metafisica del rapporto
personale con Dio (“Io sono il Signore,
Dio tuo,...”) e, passando attraverso il
rapporto con l'autorità morale terrena
(genitori), arriva ad indicare come
porsi nei rapporti con gli altri in una
maniere innocente (= non nuocere),
così da non arrivare mai a generare
alcuno dei quattro Flagelli.
Se rispetto ai mali sociali, anche della
4
Non è chiaro perché Lanza del Vasto non li ricordi. Si noti che A. Chouraqui: I dieci
comandamenti, Mondatori, Milano, 2001 li elenca dividendo il primo in due ed unendo
i due ultimi della tradizionale versione cattolica.
APPROFONDIMENTI
29
peggior specie, la pedagogia religiosa
non ha mai sottolineato questo
stretto legame teologico-sociale dei
consigli, è perché la vita religiosa ha
avuto, sempre e ovunque, un
rapporto molto problematico con la
vita sociale; soprattutto a causa del
5° consiglio, che è proprio il primo
dei consigli sociali. Infatti nel
passato, tutte le religioni l'hanno
inteso sì come un comandamento,
5
ma solo nei rapporti interpersonali ;
invece, quando nel sociale c'era da
organizzare una difesa collettiva,
l'hanno messo da parte; anzi hanno
accettato pienamente il ribaltamento
che ne faceva l'autorità politica del
luogo: “Occorre ammazzare i
nemici”.
In effetti era difficile, anzi sembrava
impossibile, dare un senso sociale al
5° consiglio: come si fa a non
uccidere chi vuole uccidere me, i
miei cari, il mio popolo?
E' un fatto storico che, per insegnarci
che quel consiglio vale anche nella
società, è venuto appositamente il
Figlio di Dio: il quale lo ha dichiarato
espressamente: “Io non sono venuto
per abolire la legge, ma per portarla
a compimento… amate i vostri
nemici” (Mt 5, 17ss.). Sapendo bene
che agli uomini era difficile amare i
propri nemici, Egli, per insegnarcelo,
si è sottoposto personalmente alla
negatività peggiore che può capitare a
chi si impegna in una impresa del
genere: essere ucciso in un modo
6
barbaro . Ma, per dimostrare che
anche in questo caso non si perde, Egli
è poi risorto e ci ha detto che
risorgeremo anche noi se avremo
lottato nonviolentemente, così come
ha fatto Lui.
In definitiva, il Figlio di Dio, portando
il 5° consiglio anche nella vita sociale,
ha fatto quello che può fare un buon
figlio rispetto all'opera del Padre:
completare in maniera esemplare
l'osservanza del suo Decalogo, in modo
da far capire appieno il vero rapporto
con Dio non solo nella fede, ma anche
7
nelle opere sociali . Cosicché la Sua
prima rivelazione è stata di insegnarci
che non si uccidono neanche i nemici;
il che è esattamente la nonviolenza.
Questa sua rivelazione ha fondato
tutta la restante.
Poi per 19 secoli, sempre ci sono stati
testimoni di questa buona novella; ma
la maggioranza degli occidentali, duri
di cuore, non ha capito bene questo
insegnamento del Cristo. Lo ha dovuto
chiarire nella pratica sociale un
piccolo indù, benché questi l'abbia
chiamato con una parola tipica della
sua tradizione spirituale: nonviolenza.
Gandhi ha fatto vedere che
5
Perciò quando la società occidentale (liberale) ha ristretto tutti i consigli ad affari
privati, le religioni non hanno avuto granché da obiettare.
6
Si ricordi anche la parabola dei vignaioli malvagi (Mt 31, 33-39). Si noti che alla fine
Gesù non dice che farà il padre; lo fa dire a chi ha sentito; perché la nonviolenza è
ancora troppo nuova; o per lo meno così era per gli stessi discepoli.
7
Sulla centralità del 5° consiglio si noti che il primo peccato personale presentato
dalla Bibbia (Genesi 4, 3-12) è appunto un assassinio, di Abele da parte di Caino. Il
quale poi è andato a costruire la massima struttura sociale del tempo, la città (Genesi
4, 17); quella da cui rifugge Giovanni il Battista quando vuole raddrizzare le vie del
Signore. Le strutture sociali più grandi, i regni, sono quelli che sono in potere di
30
APPROFONDIMENTI
effettivamente si possono amare i
nemici, anche quelli che hanno il
potere politico più grande della
storia dell'umanità (quello
britannico); e che lo si può fare
assieme ad un popolo intero. Poi
ancora nel 1989 le lotte di
liberazione dei popoli dell'Est hanno
manifestato, questa possibilità di
combattere nonviolentemente, alla
grande e a tutto il mondo. Allora oggi
è diventato chiaro che occorre
cambiare il cuore per accettare il 5°
consiglio anche nel sociale. E che, di
conseguenza, anche tutti i consigli
successivi al 5° dovrebbero essere
osservati nella vita sociale; compreso
naturalmente il 7°: “Non rubare”, né
collettivamente, né alle collettività,
senza equivoci.
Con ciò appare tutta una etica
biblica sul Male, che è coerente e
articolata; essa va dal peccato
costituzionale nella singola persona
(il Peccato originale), ai peccati
personali (indicati dal Decalogo), che
iniziano quelli strutturali, cioè quelli
che nascono com accumulo ed
aggregazione, diventando strutture
collettive (i quattro flagelli), per
infine strutturare la società con il
dominio di tutta la vita sociale;
quello che nel secolo XX hanno subito
tanti popoli, dominati dalle più feroci
dittature; e quello che descrive in
maniera impressionante Lanza del
Vasto nel suo libro a proposito di
8
Apocalisse 13 . In definitiva, con
questa serie di indicazioni bibliche,
abbiamo una visione completa e
coerente del Male, che va dal
personale al sociale totale, fino al
massimo possibile nella vita terrena:
le dittature totalitarie disumanizzanti.
Notiamo pure che questa etica non è
quella di un padrone, ma è di tipo
paterno e materno: mette a parte i
figli di tutte le conseguenze, anche
quelle estreme, alle quali essi si
condannano se tralignano. Se quindi ci
allontaniamo dalla etica “moderna”,
quella gestita dalla Ragione
scientificizzata, e ci affidiamo alla
Bibbia in maniera nonviolenta, in
definitiva accettiamo una etica che ha
già compreso tutta la storia
dell'umanità, anche quella futura, e
che, per di più, vede la storia
dell'umanità con uno sguardo paterno
e materno, attento allo sviluppo della
vita delle persone. D'altronde così
doveva essere la Bibbia: essa è un
libro divino non solo perché tratta di
Dio e dei suoi rapporti con gli uomini;
è divino anche perché dà un
insegnamento completo all'uomo e
all'umanità di tutti i tempi.
Nel Cristianesimo questa etica
Paterna, non poteva che essere
confermata dall'etica del Figlio; ma, si
noti, come compimento nel Bene.
Infatti la sua (nuova) etica si esprime
al massimo grado, come detto dianzi,
col saper dare l'esempio di amare i
nemici, l'atto che ha rotto la barriera
insuperata dall'etica del passato. Ma si
8
La grandezza di Marx è nell'essere stato il primo a rendersi conto che, per capire
l'agire collettivo e anche incosciente degli uomini, la teoria si deve basare sulle
strutture che fondano la società e che sono state costruite dagli uomini stessi. Ma egli
si è riferito allo Spirito Assoluto, identificato col proletariato (e non con gli ultimi); il
quale porterebbe l'umanità alla salvezza secondo una etica collettiva quasi del tutto
eteronoma, in quanto il proletariato verrebbe trasportato dal progresso delle forze
produttive, salvo compiere gli atti risolutivi (rivoluzioni).
APPROFONDIMENTI
31
esprime anche con il ben noto
insegnamento positivo di Cristo: le
Beatitudini. A ben vedere, esse sono
in corrispondenza diretta con i
consigli sociali del Padre, giusto il
compito che si era dato il Figlio di
portare a compimento la Legge.
Per brevità indico le corrispondenze
con la Tab. 1.
Tabella 1 CORRISPONDENZE TRA I CONSIGLI SOCIALI E LE BEATITUDINI
Beatitudini Poveri
8°
Consigli
Miti
5°
Piangono
7°
Assetati
9° e 10°
Le corrispondenze tra le prime due
beatitudini e i corrispondenti due
consigli sono evidenti. La terza
beatitudine risponde al consiglio di
Non dire il falso, perché la falsità ha
conseguenze dalle quali è difficile
districarsi e quindi spesso viene
subita piangendo. Gli ultimi due
consigli (9° e 10°) indicano la china
sulla quale scivola chi cerca il Potere
sulle cose e sulle persone; il quale
Potere va ad opprimere la gente fino
a portarla ad avere sete di giustizia.
La corrispondenza successiva è
chiara: la Misericordia si esercita sui
poveri. La ulteriore corrispondenza
non ha bisogno di spiegazione; come
pure la penultima. L'ultima è chiara
se si ricorda che il Potere arriva a
perseguitare chi vuole la giustizia.
Si noti in più che il 6° e l'8°
consiglio possono essere associati, in
Misericordiosi
8°
Purificatori
6°
Pacificatori
5°
Perseguitati
9° e 10°
quanto, come si diceva dianzi,
riguardano ambedue lo stesso male,
l'impestare i rapporti sociali. Allora le
corrispondenze della tabella rivelano
una struttura: le Beatitudini sono
composte da due quaterne simili. E a
ben guardare, la prima quaterna di
Beatitudini riguarda situazioni
passive; mentre la seconda quaterna
riguarda attività (fatte; o, come le
persecuzioni, subite).
Ma allora se consideriamo le
Beatitudini come una coppia di
quaterne, abbiamo che esse sono in
corrispondenza diretta anche con i
quattro flagelli; proprio come indica
il loro senso spirituale: l'essere le
risposte positive ai flagelli che
imperversano nel mondo.
Per brevità con la Tabella 2
rappresentando le corrispondenze, in
forma unitaria e sintetica.
Tab. 2: CORRISPONDENZE TRA I CONSIGLI SOCIALI, I FLAGELLI E LE BEATITUDINI
I mali sociali
Quattro
Flagelli
I Consigli sociali del
Padre
Le Beatitudini
(passive) (attive)
Uccidere
Abusare del sesso /
Dire il falso (peste nelle
relazioni)
Guerra
Peste
Rubare
Miseria
5° Non uccidere
6° Non abusare del
sesso / 8° Non dire il
falso
7° Non rubare
Miti
Coloro
che
piangono
Poveri
Desiderare le cose e la
donna d’altri (Potere)
Sedizione
M secondo il Padre
A
L
E
32
9° e 10° Non desiderare Assetati di
le cose e la donna
giustizia
d’altri
APPROFONDIMENTI
Pacificatori
Purificatori
del cuore
Misericordiosi
Perseguitati
B
E
N
E
Tre note sulla organizzazione della
Tabella. Per chiarezza ho aggiunto
due colonne, la prima e l'ultima, per
sottolineare la complessiva
contrapposizione tra il Male e il Bene
(le loro parole sono scritte con due
differenti caratteri). Inoltre le
quattro righe della tabella sono in
quell'ordine che ha dato il Padreterno
ai dieci consigli (salvo l'anticipazione
dell'8° col 6°); mi sembra giusto che
questo ordine prevalga su quello
delle Beatitudini, che sono ricordate
da soli due apostoli, a memoria e
differentemente. Dianzi si diceva che
il 6° e 8° consiglio possono essere
associati perché vogliono evitare il
medesimo flagello, la Peste; questa
associazione viene confermata dal
loro corrispondere a due precise
modalità, una attiva e una passiva,
9
della stessa coppia di Beatitudini .
Ora, leggendo la Tabella per riga si
vede una chiara sequenza: il male
compiuto con un preciso atto
negativo, può portare ad un male
sociale che genera un flagello
specifico; a questo male personalesociale risponde, prima
negativamente, uno specifico
consiglio del Padreterno e poi,
positivamente, rispondono due
specifiche beatitudini: una passiva
(come ad es., quella di essere miti)
ed una attiva (nell'esempio
precedente, quella di pacificare);
cioè, due maniere di andare
controcorrente rispetto ai quattro
10
flagelli che colpiscono il mondo .
Quindi il Figlio, non solo ha dato
l'esempio della completa osservanza
dei consigli, ma con le Beatitudini
(chiaramente ispirate a Lui dallo
Spirito Santo) ha indicato le azioni
sociali precise per attuare
socialmente l'etica sociale positiva; in
altri termini, come realizzare il Regno
di Dio il più possibile in Terra. Proprio
così le ha proposte Lanza del Vasto
come risposta ai mali sociali che lui
aveva interpretato; e così le ha intese
progettando e fondando le Comunità
9
In Mt 5 il brano delle Beatitudini (20-49) prosegue con alcuni ammonimenti
sull'importanza del messaggio (13-20) che riguarda “il compimento della legge” (17);
dopodiché nel versetto 20 Gesù annuncia la logica sociale del suo discorso; e poi
ripassa in maniera forte tre consigli sociali, incominciando giustamente dal 5° (21, ma
anche 38 e 43), per passare al 6° consiglio (27-31) e al 7° (33); mancano solo quelli
sul potere (9° e 10°) che certamente non riguardavano gli apostoli e la folla che lo
seguiva. E' diverso in Luca 6, dove ci sono quattro sole Beatitudini contrapposte a
corrispondenti maledizioni. Queste quattro riguardano tutti i consigli sociali: il 7°
consiglio (Poveri e Fame), l'8° (Pianto) e il 9° e il 10° (Perseguitati); ma non il 5°
consiglio; però poco più avanti il testo dice due volte “Amate i vostri nemici…” (27 e
35). Quindi la quaterna di consigli sociali c'è ed è completa, ma non raddoppiata ed è
in ordine scomposto. Ciò non sembra strano, sapendo che gli Apostoli hanno scritto i
Vangeli a memoria, dopo anche alcuni decenni dai fatti; argomenti così superiori non
erano facili da afferrare a primo colpo. Comunque in Luca è forte l'accento sociale,
non solo per le maledizioni di categorie sociali indicate con precisione (“ricchi”,
ecc.), ma anche per la parabola finale della casa sulla roccia (48-49), che deve
resistere agli eventi turbinosi sicuramente di natura sociale, perché di solito nel
Vangelo gli eventi interiori sono attribuiti a demoni). In definitiva, ambedue i brani
sono molto coerenti, anche se in maniera poco ordinata.
APPROFONDIMENTI
33
11
dal basso al massimo grado. Ed essa è
essenzialmente nonviolenta; noi
l'abbiamo trovata solo perché, guidati
dalla nonviolenza, abbiamo accettato
per intero il 5° consiglio del
Padreterno.
Verso la maturità
Dino Dazzani
ARCA IN ITALIA
dell'Arca .
Con ciò l'etica biblica cristiana è
completa, sia nelle indicazioni dei
Mali possibili a tutti i livelli di
complessità sociale, sia nelle
indicazioni di come realizzare il Bene
10
Per articolare e completare la serie di insegnamenti etici biblici basterebbe
aggiungere alla Tabella altre quattro colonne: 1) una dopo il Male, che indichi il
Peccato originale, il quale rende spontaneo, invece del bene che ci sarebbe naturale,
il male, che poi viene precisato dalla colonna successiva; 2) un'altra dopo i quattro
Flagelli, la quale ricordi la situazione ancor più negativa delle due Bestie di Apocalisse
13; 3) un'altra prima dei consigli del Padreterno; essi possono essere seguiti se ci si
converte; quindi occorre porre questa colonna per indicare la conversione; ma
secondo la nuova comprensione sociale che qui viene suggerita, non solo a livello
individuale ma anche a livello sociale; 4) una ulteriore dopo i consigli del Padreterno,
i quali, secondo il Figlio, sono compendiati dai due più grandi precetti; qui dovrebbe
essere ricordato quello sociale, il secondo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”
(Mt 22, 39).
11
Lanza del Vasto: I quattro Flagelli, op.. cit., 472-474, 533-542, 578-585.
34
APPROFONDIMENTI
Uno dei tanti gradini della
vita è quella del passaggio
dall'adolescenza all'età
adulta. Non esiste un'età
uguale per tutti in cui questo
avviene. Sono le circostanze
della vita stessa a
determinare le modalità di
questo percorso. Può essere
graduale o addirittura veloce,
traumatico o dolce,
comunque mai codificabile. È
un viaggio personale, unico
come è la vita e impossibile
da catalogare. Esistono,
altresì dei tratti comuni,
forme diverse sulla stessa
sostanza. Uno di questi tratti
lo si può definire come
“uccidere” il padre. Nel
senso che “bisogna” mettere
in discussione, distruggere e
creare una nuova autorità. La
Verità non viene più
distribuita dalla famiglia di
origine, padre e madre, ma
da sé stessi, dunque una
nuova fonte. Spesso coincide
con la creazione di una nuova
famiglia, nuove unioni. I
genitori vengono messi ai
margini di scelte di vita e
vanno a ricoprire altri ruoli.
Una presenza discreta e
spesso silenziosa, la perdita
di autorità ma non di
autorevolezza, va a creare
anche in loro una nuova
identità. Resta il fatto che
comunque e qualunque cosa
accada i padri rimangono
sempre padri, i figli sempre figli.
Può essere banale, ma non è così
scontato.
Mi ha impressionato molto leggere
un'intervista al padre di Novi
Ligure la cui figlia ha ucciso la
moglie e il figlio. Ricorderete
tutti certamente, una strage di
una violenza inaudita. Ebbene
quel padre invece di erigere un
muro verso di lei, diceva di
volerle stare vicino perché,
nonostante tutto, quella ragazza
era sempre sua figlia e lui il
padre.
Queste meditazioni non sono
casuali. Le mie figlie di 26 e 24
anni stanno intraprendendo vite
di lavoro. La più grande, ora
medico, si sta specializzando in
oncologia. Vive e lavora a Milano.
L'altra comincerà un lavoro a
Busto Arsizio in ottobre. Il
distacco è avvenuto piano piano
con le loro esperienze di vita
universitaria a Bologna. Mi è
“rimasto” un figlio di 13 anni, in
cui si intravedono i primi
turbamenti e problemi legati
all'adolescenza. Ci sono miei
amici coetanei che sono già
diventati nonni. C'è chi ha
divorziato, chi in questa fascia di
età si è depresso e
malinconicamente si lascia vivere,
chi deluso dal mondo, dalle
donne, dal lavoro, dalla politica
ha perso ogni entusiasmo. C'è chi
convive male con i propri lutti,
con i genitori malati e da
accudire. Insomma credo sia
ARCA IN ITALIA
35
comune a chiunque legge queste
righe, basta guardarsi intorno,
sono sicuro che vede quello che
vedo anch'io.
Queste riflessioni si addicono bene
al mio periodo di vita e se
analizziamo bene anche all'Arca.
Con la morte di Shantidas l'Arca è
rimasta orfana del padre
fondatore. Dopo di lui c'è stata la
crescita verso un'età adulta che,
credo, si è compiuta con l'ultimo
Capitolo Generale e in questi
ultimi anni di nuovo cammino.
Venticinque anni sono molti nella
vita di una persona ma poca cosa
per un Ordine come l'Arca. Questo
percorso non è stato facile e
nemmeno indolore. Tanti hanno
lasciato, tanti anche con acredine.
Questo nuovo indirizzo può
diventare anche uno strumento
per riconciliare e per sanare
conflitti e ferite interiori aperte.
Facciamo tutti un piccolo passo
affinché questo sia possibile,
affinché il tesoro dell'Arca possa
tornare a dare frutti!
Devo però onestamente
riconoscere che alcuni Compagni
vivono ancora alcune situazioni
tipiche del passaggio tra
l'adolescenza e l'età adulta.
Shantidas era un po' burbero nella
vita comunitaria, lui stesso l'ha
riconosciuto più volte, ma mettere
in discussione la sua autorevolezza
non fa che fermare il cammino
verso la maturità. Si rimane fermi
nella fase della contestazione
tipica dell'adolescenza. In questo
caso “uccidere” il padre fa solo
del male perché è come se
rinnegassimo la nostra identità
perdendo una parte importante di
36
noi stessi. Non è terapeutico e non
serve per crescere.
Il mio atteggiamento ha un che, forse,
di infantile. Io vivo ancora
nell'atteggiamento tipico dell'ultimo
figlio: un misto di riconoscenza e di
devozione filiale. Non so se devo
ancora crescere o sono cresciuto
troppo. Non so se questo è un segnale
positivo o negativo, di progresso o di
regresso. So per certo che questo
comportamento lo sento come un
approfondimento del mio essere e della
mia identità. Per la mia vita gli incontri
con Shantidas sono stati la chiave di
svolta per la conoscenza di me stesso,
per capire il mio essere e il senso della
mia vita. Capire e conoscere la vita di
Shantidas è come indagare su di me, un
ulteriore tassello ed aiuto per
comprendere perché sono così e non in
un altro modo.
Anche nei dettagli.
A me piacciono le storie vissute, le
vicende umane mi appassionano. La
chiamano storia, ma io cerco la storia
di quelli considerati piccoli ma che
hanno fatto e tramandato valori
importanti. I santi, certamente, ma
anche coloro che, consapevolmente o
no, hanno vissuto storie che ai miei
occhi riluce di nonviolenza. Ad
esempio: sant'Ambrogio nonostante sia
il patrono di Milano è sconosciuto ai
più, ma la sua vita e le sue azioni sanno
di nonviolenza senza ombra di dubbio.
Questo vuol dire che influenza anche la
mia vita, perché il filo “antico come le
montagne” mi avvolge e avvolge noi
tutti.
La vita di Shantidas è una continua e
strabiliante scoperta. La biografia di
Arnaud de Mareuil è importante e
molto esauriente, ma non coglie i
dettagli.
ARCA IN ITALIA
Ne voglio raccontare uno. A pag.
81 di tale libro, brevemente, si
cita che agli inizi degli anni '30
Lanza del Vasto partecipò come
attore in un film. Si sapeva che il
film era diretto da Alessandro
Blasetti e il titolo “1860” e Lanza
vi ebbe una piccola parte. Poco
altro. Questo film in bianco e nero
dal valore storico è ora uscito in
dvd. Fa sorridere se confrontato
con le tecniche odierne ma se
pensiamo ai mezzi di allora si
capisce perché è considerato
importante. È la storia della
rivolta dei picciotti siciliani in
attesa dell'arrivo dei mille di
Garibaldi con la battaglia di
Calatafimi come finale. In allegato
al dvd c'è un libretto con alcuni
testi dello scambio epistolare tra
Blasetti e la produzione.
Quest'ultima invita il regista a
dare una parte a tal Del Vasto.
Allego qui sotto questo scambio di
vedute, a mio avviso,
interessante. (1)
Si capisce ad esempio perché nel
film a Lanza non vengono date
delle battute da recitare, ma solo
espressioni del volto.
Sono pure riuscito ad extrapolare
alcune immagini dal film in cui
compare il nostro. Allego anche
alcune di queste a beneficio dei
curiosi.
Qual è il senso di tutto questo? Il
senso, cioè, della mia ricerca?
Io credo che se facciamo dei
santini e mettiamo sul piedistallo
le persone che riteniamo
importanti, speciali e fuori dal
normale, esse rimarranno fuori
dalla nostra portata e resteranno
sopra l'altarino mentale dove le
abbiamo collocate. Forse questo serve
affinché questo distacco non possa
intaccare e condizionare più di tanto la
nostra vita. Allora l'Arca, per noi, sarà
un hobby, un passatempo ma niente di
più. Ma se rendiamo più umane le loro
esistenze, con i limiti, il peccato, i
fallimenti e le burrasche che hanno
vissuto, allora diventeranno più vicini a
noi e non avremo più alibi per cercare
di imitarli e fare nostri i comuni valori,
le speranze, la bellezza, le lotte, i
sogni di questi grandi della storia della
nonviolenza che sono entrati nella
nostra vita.
Dino Dazzani
ARCA IN ITALIA
37
FILO DI LUCE
PUBBLICAZIONI RECENTI
LA FILOSOFIA DI LANZA DEL VASTO
Tonino Drago ha curato la pubblicazione degli atti del convegno su “La filosofia
di Lanza del Vasto” tenutosi presso l'Università di Pisa all'inizio del 2007 con il
patrocinio del Dipartimento di Filosofia e del
Corso di laurea in Scienze della Pace.
Il testo, pubblicato dalle edizioni Jaka book,
raccoglie una riflessione collettiva sulla
filosofia di Lanza del Vasto e viene a colmare
una lacuna poichè in Italia mancava uno studio
sul suo lavoro filosofico.
Esso è caratterizzabile come sicuramente
originale e profondo; ma finora è stato poco
frequentato, anche perché lo stesso Lanza del
Vasto l'ha distinto dal suo insegnamento
spirituale e di nonviolenza e, ad un primo
esame, esso appare lontano dagli usuali
parametri della filosofia occidentale.
Il libro raccoglie quattordici contributi che
hanno esaminato la riflessione filosofica del
fondatore dell'Arca; alcuni ne approfondiscono
particolari aspetti culturali del suo pensiero,
altri cercano di ricostruire lo sviluppo della sua
personalità filosofica e sono concentrati sui
problemi propriamente filosofici.
L'aspetto più significativo che emerge è quello che, fin dalla sua tesi di laurea in
Filosofia Lanza del Vasto, aveva pensato un sistema di relazioni trinitarie, che
egli trovava sia nella realtà divina che nella realtà umana. Sistema più volte
rielaborato e pubblicato, solo in tarda età, nel “La Trinité Spirituelle.
Che significato ha questo originale sistema di relazioni trinitarie?
Molti relatori hanno sottolineato che su questo sistema trinitario fonda tutta la
sua vita, per lui è la relazione che costituisce tutto ciò che è conoscibile e che fa
convergere il divino e l'umano. Anche il suo ritorno al cristianesimo, avvenne
quando (come racconta lui stesso) ritrovò in una frase di S. Tommaso la sua idea
originaria di un mondo di relazioni trinitarie. Da allora egli ha legato il suo
sistema intellettuale alla concezione cristiana di Dio trinitario. Questa
congiunzione così forte lo ha indotto a considerarsi ancor più al servizio delle
sue idee fondamentali. Ma si tratta di un “trinitarismo” di relazioni dove la
frase: “In principio è il rapporto”; dà una direzione di lavoro molto promettente
per la ricerca, anche quella odierna. Lanza ha inoltre il merito di aver proposto
una sua metafisica trinitaria che si colloca nel fondo intellettuale comune
dell'Occidente e dell'Oriente, tanto da costruire un ponte filosofico tra i due
mondi.
38
ARCA IN ITALIA
recensione
Casciago 5 febbraio 2009
Bel racconto coinvolgente, si resta presi
dalla lettura in una cavalcata dentro
duemila anni di storia, da Gesù fino ai
giorni nostri, cogliendo il filo di un
profondo amore per la ricerca della
verità, trovata di volta in volta e vissuta
con profonda partecipazione,
testimoniando così quel filo di Luce che
lega le vicende di tanti personaggi che
nel tempo testimoniano l'amore per la
vita, la nonviolenza e la profonda Fede
nella buona novella di Gesù di Nazaret.
L'autore mi sorprende per intensità e
tenacia nello svolgimento, la narrazione,
introduce in un percorso terreno che già
fa percepire la bellezza dell'eterno.
Si potrebbe parlare anche dell'altra
Storia, non quella dei potenti e degli
eserciti, ma quella della semplicità della
vita quotidiana, fatta di persone forti e
coraggiose che seguendo il richiamo della
propria coscienza, perseguono con
tenacia il cammino della fede e
dell'amore iniziato da Gesù e i suoi apostoli più di duemila anni fa.
Così il racconto assume una dimensione unitaria che manifesta, oltre ad un
grande amore per la vita, una libertà di spirito che si trasmette nelle intense
relazioni che il protagonista vive con le persone che incontra sul suo
cammino. Il richiamo alla festa è una costante che sublima di volta in volta i
momenti forti, quasi come un passaggio ad una nuova consapevolezza che
conferma la bontà del cammino e la voglia di ricominciare, senza indugiare
sulla bellezza del presente.
Ricominciare, aprirsi all'ignoto, partire con la speranza che coltiva la
certezza di un nuovo incontro, che permette al cammino di continuare anche
in contesti nuovi e completamente cambiati, senza perdere lo slancio vitale
dell'inizio. Saper rinnovare le motivazioni restando fedeli allo spirito, vivere
in luoghi e tempi diversi le stesse ragioni dell'origine, evolvendo in una
spirale virtuosa che attraverso il Filo di Luce, conduce la creatura a
contemplare il Creatore.
Giampiero Zendali
ARCA IN ITALIA
39
CAMPI DELL'ARCA 2009
BELPASSO 2-8 agosto
Entriamo nel cerchio e diamoci la mano
L'insegnamento dell'Arca nel nostro
tempo.
comune
Sede: Casa dell'Arca C.ta Tre
Finestre Belpasso (CT).
Attività previste: Sessioni di pratica
Yoga; canto e danza ; attività per la
preparazione di una festa comune;
approfondimento di temi
dell'insegnamento dell'Arca; lavoro
per conduzione della casa e la
preparazione dei pasti. È prevista una
passeggiata sull'Etna.
Data: 2-8 agosto 2009. Il campo
inizierà nella mattinata del 2 con
sistemazione e pranzo alle ore 13.30
si concluderà con la colazione dell'8 .
Accoglienza dalle ore 10,00 del 2
agosto.
Quota di partecipazione: € 160,00
comprendente vitto, alloggio, spese
organizzative. La questione
economica non deve essere un
impedimento. Chi avesse difficoltà ne
può parlare con gli organizzatori.
Numero massimo di partecipanti: 30
(15 in dormitorio con letti a castello,
15 in tenda propria).
Iscrizioni: Ad esaurimento dei posti
previsti e non oltre il 10 luglio 2009
con pagamento del 50% della quota
tramite vaglia postale o altra
modalità da concordare entro la data
indicata.Info: Enzo Sanfilippo Via E.
Carnevale 4 - 90145 Palermo. e-mail:
[email protected] cell. 338.6808484
Gruppi proponenti:
Comunità
dell'Arca di Lanza del Vasto Fraternità delle Tre Finestre
Belpasso (CT)
Portare: Sacco a pelo, abiti da
lavoro, abiti comodi, stuoino e
coperta (per lo Yoga), abiti bianchi
per la festa; per chi dorme in tenda:
torcia.
Finalità del Campo:
Il Campo, si propone di presentare
l'insegnamento nell'Arca, la sua
fondazione, la sua evoluzione, il suo
essere proposta per il nostro tempo .
Lavoro su di sé, semplificazione di
vita, lavoro manuale, nonviolenza,
canto, danza, yoga, punti cardine
della proposta dell'Arca saranno
sperimentati in una settimana di,
convivialità, lavoro, riflessione
40
Come raggiungere le Tre Finestre:
Da Palermo: Autostrada PA-CT. Subito
dopo l'area di servizio “Gelso Bianco”
uscita per MESSINA (tangenziale).
Proseguire fino all'uscita PATERNO' e
continuare per la SS 121 fino
all'uscita PIANO TAVOLA BELPASSO.
Seguire le indicazioni per BELPASSO.
Giunti a Belpasso attraversare il
paese in direzione ETNA NICOLOSI
fino alla Piazza di Borrello, dove si
trova la Pasticceria Condorelli
ARCA IN ITALIA
(attenzione: a Belpasso ci sono altri
Bar che hanno lo stesso nome).
Da qui seguire le indicazioni
RAGALNA. Sulla destra incontrerete
degli impianti sportivi comunali e
ancora, sempre sulla destra la
Fabbrica Condorelli. Dopo circa 100
m. sulla sinistra imboccare una
stradina sterrata all'inizio della quale
c'è un cartello con l'indicazione
“Strada Vicinale Sciddicuni”.
Proseguire fin quando la strada
diviene asfaltata. Il primo cancello
sulla destra porta ad una casa di
colore rosa: siete arrivati.
Da Messina: Austrada ME-CT.
Tangenziale per Palermo.Uscita
PATERNO'. A questo proseguire punto
come nelle indicazioni da Palermo.
CASCIAGO (VA)
Dal 17 agosto al 23 agosto
Il campo è un'occasione di incontro
per chi vuole conoscere attraverso
testimoni l'Arca di Lanza Del Vasto e
le esperienze che propone.
La missione dei membri della
Comunità dell'Arca è di vivere lo
spirito e i modi della nonviolenza la
dove si trovano a vivere secondo la
vocazione personale di ognuno.
Formando gruppi, fraternità di vita o
comunità residenziali, assumendo un
impegno con se stessi e con gli altri,
dentro una dimensione ecumenica
che si pone in un atteggiamento di
rispetto per ogni tradizione religiosa.
Questo impegno, viene rinnovato
ogni anno.
Il programma del campo prevede
tempi di incontro dedicati agli
argomenti che costituiscono la
Comunità dell'Arca. Momenti di
condivisione sulla sua possibile
attualizzazione nella vita quotidiana.
Un tempo di lavoro manuale e di
servizio per la casa. Un tempo per le
danze e il canto.
La giornata sarà ritmata da momenti
di preghiera a carattere ecumenico.
Dove: presso il condominio solidale
dell'Ass. “Mondo di Comunità e
Famiglia”
“Giuseppe Riganti” Via Angela
Dell'Acqua 24 CASCIAGO 21020
Varese
Date: il Campo inizierà con la cena
di lunedì 17 Agosto e terminerà con
la colazione di domenica 23 Agosto
il numero dei partecipanti è limitato
a 40 posti disponibili
Alloggio: Sarà possibile alloggiare in
camere a più letti, lo stile sarà
semplice, portate il vostro sacco a
pelo o le lenzuola. La cucina sarà
semplice e vegetariana.
Quota di partecipazione: Per il
Campo chiediamo un contributo
spese di € 160 per gli adulti e di € 60
per i bambini sotto i 12 anni. E'
necessario inviare una quota
d'iscrizione pari a
€ 50. Se non potete partecipare
avvertiteci al più presto in modo tale
da poter accogliere qualcun altro al
vostro posto. L'acconto non verrà
restituito. Come sempre però la
questione economica non deve
ARCA IN ITALIA
41
IN AUTOMOBILE
Autostrada A8 dei Laghi (MilanoVarese) fino a Varese
Sempre diritto lungo la Via
Magenta, (si lascia sulla sinistra la
Piazza Repubblica con il Centro
Commerciale Le CORTI)*, Via
Volta, Via Sacco (si lascia sulla
sinistra il palazzo Estense, grande
costruzione rosa). Si prosegue su
Via Sanvito e Via Caracciolo,
superando alcuni semafori.
Alla rotonda di Masnago sulla
destra supermercato Esselunga e
diritto è segnalato per Laveno,
girare a sinistra in direzione
“Casciago Morosolo”.
Dopo pochissimo stradina sulla
sinistra e si arriva al cancello della
42
Villa Galimberti, dopo aver girato a
sinistra dalla rotonda non dovete
superare un ponticello che passa sopra
alla strada, altrimenti siete andati
troppo avanti.
IN TRENO
Dalla Stazione delle Ferrovie dello
Stato di Varese, prendere l'autobus di
città della linea “E” in direzione
“AVIGNO”.
Scendere alla fermata di Via Borghi,
davanti all'ESSELUNGA DI MASNAGO.
Poi valgono le indicazioni date prima
per chi arriva in auto.
Dalla fermata alla casa ci sono circa
cinquecento metri.
Per l'iscrizione: Contattate PATRIZIA
ZENDALI Tel. 335 6928031
GIAMPIERO ZENDALI Tel. 347 9814021
BOLLETTINO D'ISCRIZIONE = CCP N°
14079214 da inviare a :
PATRIZIA ZENDALI Via Sotto Campagna
65 21020 COMABBIO
SPECIFICARE CUSALE ; CAMPO
DELL'ARCA
ISCRIZIONE -NOME E COGNOME - ETA' e
PROFESSIONE -INDIRIZZO - N°
TELEFONO n°
ARCA IN ITALIA
CAMPO-CANTIERE INTERNAZIONALE
“GIOVENTU' E NONVIOLENZA”
ARCA NEL MONDO
essere un impedimento per
nessuno, basterà parlarne con gli
organizzatori.
Consigli pratici: Non portate
animali ma la vostra chitarra o il
vostro flauto saranno preziosi per
animare la festa che concluderà il
Campo. Portare abiti bianchi per
la festa.
E' prevista a metà Campo una gita
che organizzeremo nei dintorni.
Come arrivare a Casciago
Francia, Jaoul (La Borie Noble, Herault, a due ore da Montpellier)
6-20 luglio 2009
Questo campo-cantiere internazionale è un luogo di incontro dove
si condividono le conoscenze e le esperienze di ciascuno per
approfondire i temi relativi alla nonviolenza mediante attività di
cantiere, laboratori pedagogici e attività artistiche.
Questo campo è indirizzato ai giovani e agli adolescenti, così
come alle famiglie che li volessero accompagnare.
Il campo accoglie tre gruppi di partecipanti così suddivisi: “giovani
dai 14 ai 17 anni”, “giovani di oltre 18 anni” “ accompagnatori e
famiglie”.
Il campo si svolge a “Jaoul”, a due Km. da La Borie Noble,
sistemazione in tenda. Ognuno deve portare la propria tenda, un
sacco a pelo e un tappeto per le attività.
Gli istruttori che seguono i minorenni hanno una formazione
specifica per l'animazione di campi di giovani e i diplomi
necessari( pronto soccorso, BAFA ecc...).
Il campo non è però una colonia; è essenziale che i partecipanti
abbiano deciso autonomamente di parteciparvi; il loro interesse
per la nonviolenza è condizione essenziale per gli scambi fra le
persone. I partecipanti sono essi stessi anche organizzatori;
vengono suddivisi in vari gruppi che a turno animano le giornate e
le veglie. Accogliamo giovani dell'Europa e dei paesi vicini in
partenariato con il Servizio Civile Internazionale.
Il campo è bi-lingue, francese-inglese.
Quello che lo caratterizza, dal punto di vista pedagogico e
relazionale, è che gli animatori dei laboratori non sono lì per
insegnare, utilizzano certo le loro competenze per dirigere meglio
la dinamica degli scambi, ma la teoria viene costruita insieme
attraverso la condivisione dell'esperienza e il vissuto di ciascuno.
Partiamo dal principio di imparare gli uni dagli altri. Il nostro
scopo è rafforzare una cultura di pace mediante l'educazione,
sviluppare la comprensione, la tolleranza e la solidarietà;
incentivare la comunicazione partecipativa e la libera circolazione
dell'informazione e della conoscenza. Pensiamo infatti che
l'educazione dei giovani alla nonviolenza sia il miglior modo per
assicurare un avvenire di pace, dando loro i mezzi per apprendere
a risolvere i conflitti in modo pacifico.
Per iscrizione e informazioni: e.mail: [email protected], sito:
www.jeunesse-non-violence.org
ARCA NEL MONDO
43
COMUNICATO STAMPA
Crotone 1 Marzo 2009
Grande successo della Manifestazione “Crotone, 1 Marzo 2009 - Dall'Alleanza
al Progetto”. Circa 10.000 partecipanti al corteo, provenienti da ogni parte
d'Italia, sopratutto della Calabria, che hanno riempito le strade della città.
La rete dell'Alleanza con la Locride e la Calabria, contro la 'ndrangheta e le
massonerie deviate, per la democrazia ed il bene comune, scesa in piazza il
1 Marzo 2008 a Locri, in questo ultimo anno si è ampliata e consolidata,
portando a Crotone entusiasmo e speranza di cambiamento.
Dal palco, i saluti delle istituzioni locali, del presidente del Consiglio
Comunale di Firenze, presente con il Gonfalone, del Vescovo della Diocesi di
Crotone - Santa Severina, Mons. Domenico Graziani, che ha seguito dal palco
tutta la manifestazione. Di seguito, gli interventi dei responsabili degli enti
facenti parte delle cabine di regia, nazionale e regionale, che oggi governano
l'Alleanza.
Il Presidente del Consorzio Goel, Vincenzo Linarello, ha illustrato nel suo
intervento i progetti concreti su cui, da domani, si andrà a lavorare per
realizzare gli obiettivi contenuti nel manifesto dell'Alleanza:
1.Comunità Mutualistiche
2.Fondazione di Comunità
3.Scuola per Dirigenti di Imprese Comunitarie
4.Combattere le infiltrazioni al nord
Primo passo di questo progetto di cambiamento, la costituzione di un
organismo che raccoglierà tutti coloro che hanno sottoscritto l'Alleanza,
singoli ed enti, e che avrà lo scopo di fungere da comitato promotore della
Fondazione di Comunità e delle Comunità Mutualistiche.
Un cammino, oltre che di speranza, di comunione, teso a valorizzare ed
esaltare le diversità, facendole convergere nei progetti di cambiamento,
locali e nazionali, cui tutti sono chiamati a far parte.
La sera del 28 marzo, grande partecipazione alla Veglia di preghiera per la
democrazia e la libertà in Calabria, che ha preceduto l'evento, presso la
Cattedrale di Crotone.
Stamattina nell'edificio della Comunità di Liberazione (di cui è responsabile
Vincenzo Linarello) e della cooperativa sociale l'Utopia (entrambi soci del
consorzio sociale GOEL) è stato rilevato un furto di monitor LDC ad opera di
ignoti. Anche lo scorso anno, dopo il 1 Marzo, vi sono stati pesanti
danneggiamenti ad una struttura per malati psichiatrici destinata al
Consorzio Sociale GOEL.
Gioiosa Jonica 04.03.2009
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RICORDANDO ALBERTA
Giovedì 26 febbraio è mancata. Alberta Nelli, la genovese di Ivrea, alleata
della comunità dell'Arca. Raccogliamo in questa pagina i messaggi ed i
pensieri che ci siamo scambiati nelle giornate immediatamente successive.
" Cara Alberta
in tutti questi anni abbiamo condiviso in quella che oggi è la Comunità
dell'Arca gioie, fatiche, impegno e speranze, abbiamo creduto e crediamo
ancora con te che un mondo diverso è possibile.
Abbiamo camminato con te, compagna generosa e disponibile lungo questa
strada tracciata da Gandhi e Lanza del Vasto credendo nella nonviolenza
come scelta di vita.
Oggi tu continui questo cammino in una dimensione diversa.
Grazie Alberta per quello che sei stata e ci hai donato. vogliamo salutarti con
la preghiera che tante volte abbiamo recitato insieme, la preghiera del
fuoco"
Mi sono sentita e permessa di dire queste parole per ricordarla
come Comunità dell'Arca al termine della celebrazione. Non ho
potuto concordarle con voi e me ne
scuso, ma spero possiate
condividerle.
Patrizia Zendali
Vogliamo tenere nella nostra mente un momento dell'ultima volta che Alberta
venne a Palermo. Volle fare il bagno nell'acqua fresca e trasparente di
Mondello. Vogliamo ricordarla cosi': temeraria e felice tra le onde del mare
nella tarda estate siciliana di novembre. Ci manchera' la nostra forte e
fragile compagna di viaggio. Restera' sempre nel nostro cuore il suo sorriso
luminoso, intelligente e gioioso.
Pace Forza e Gioia
Enzo e Maria Santifilippo
Carissimi,
Vanna ed io ci uniamo a tutti voi nel dolore per il passaggio di Alberta,
nonostante la sua vitalità e lo sforzo che ha fatto, insieme al nostro piccolo
aiuto di preghiera, per resistere al male.
A me piace ricordarla quando passando io per Ivrea, mi invitò a cena per
presentarmi Leo, che aveva appena felicemente sposato; aveva assunto una
nuova dimensione. E poi quando, quattro anni fa, essendo lei in vacanza sul
Tirreno, venne a trovarci e, io con la gamba zoppa per l'incidente che avevo
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avuto col motorino, andammo a pranzare assieme, in una giornata piena di
sole. Suo nonno era originario di qui di Calci e lei si interrogava su questo
luogo come luogo delle sue radici.
Che lei continui a darci il sostegno che ha sempre voluto darci
Pace Forza e Gioia
Tonino
In onore di Alberta, che era anche alleata della Comunità dell'Arca, dal libro
di Lanza Del Vasto cito le ultime parole della lettera che la moglie
Chanterelle scrisse due mesi prima di morire e le parole conclusive dei sette
voti:
Ed ecco! Sono infine stata esaudita! Sono finalmente sola davanti a Te solo.
Cari compagni, cari amici, tutto il bene che mi volete ricada su di voi,
qualunque cosa succeda.
Lodiamo dunque e benediciamo il Signore e serviamoLo con tutte le nostre
forze, finchè abbiamo forze, ed Egli si glorifichi nella nostra debolezza
quando non ne abbiamo più.
così come Mario, e io ero lì per sostituirlo. Poi tutta la famiglia è venuta per
due anni a La Longuera con altre famiglie italiane; era già malata ma piena
di speranza, quella speranza che ci permette di vivere nei momenti difficili
della vita. Ma la vita umana è molto fragile e vulnerabile. Solo Dio conosce il
momento in cui termina la nostra missione in questa forma di esistenza. La
sofferenza di Alberta è ora finita e la sua anima ha iniziato il suo volo fino alla
LUCE, la PACE e l'AMORE ETERNO.
I momenti difficili della perdita e assenza della sua presenza fisica
cominciano ora per la sua famiglia. Quelli che sono lontani, come noi,
possono solo pregare per inviare a loro la nostra energia; ma voi che siete
vicini dovete star loro accanto nel loro dolore e aiutarli a superare questo
momento così difficile. Mio marito ed io e tutta l'Arca Spagnola inviamo a loro
e a voi tutti il nostro forte abbraccio di pace e forza nella sofferenza. Rosa
Rosa Valles Spagna
Dacci, Signore, di portyare il nostro voto fino alla fine,
di conoscerTi, di amarTi, di servirTi,
infine di essere. AMEN
Pierangelo Monti
Cara Laura, la notizia della morte di Alberta ci dà profonda pena. Marta e
Antonio hanno un bellissimo ricordo di lei, del suo impegno e fiducia nell'arca,
della bella persona che era. Come credenti sappiamo che questo è solo un
passaggio e che ora starà godendo della totale pienezza là dove si trova. Il
nostro affettuoso ricordo a suo marito e ai suoi figli, il nostro cuore è con lei
assieme a tutti i compagni dell'Arca. Che la pace, la forza e la gioia siano in
tutti noi . Un abbraccio Casa del Arca di Buenos Aires.
Monica Alonso Casa del Arca di Buenos Aires
Sono commossa dalla notizia della scomparsa di Alberta, che ora è presso
l'Amato/a. E' stata una grande grazia per voi l'aver ricevuto tanta saggezza e
forza da lei come per me per il tempo che ebbi modo di conoscerla. Sono con
voi nella preghiera, per la quale le distanze non esistono. La consolazione
viene dalla gioia interiore. Ad ognuno auguro pace, forza e gioia. Martha
Bonilla
Martha Bonilla - Ecuador
Cara Laura, grazie di farci partecipi di questa triste notizia. Ieri, mio marito
José Luis et io, abbiamo molto pensato a tutta la sua famiglia e pregato per
loro affinché Dio li protegga con il suo amore e la sua misericordia, e che
possano far fronte a tanta sofferenza e dolore. Alberta era una donna piena di
gioia e di tenerezza. L'ho incontrata la prima volta nel gennaio 2004, in
occasione del Capitolo dell'Ordine a St. Antoine; lei faceva parte della CIMA,
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