notizie - Comunità italiana dell`Arca di Lanza del Vasto
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notizie - Comunità italiana dell`Arca di Lanza del Vasto
La Conoscenza di Sé di Kahlil Gibran E un uomo disse: Parlaci della Conoscenza di sé. Ed egli disse: I vostri cuori conoscono in silenzio i segreti dei giorni e delle notti. Ma gli orecchi hanno sete di sentire quello che il cuore già conosce. Vorreste sapere con parole quello che avete sempre saputo nella mente. Vorreste toccare con le dita il corpo nudo dei sogni. Ed è bene che lo facciate: La sorgente sotterranea della vostra anima dovrà venire alla luce e scorrere mormorando verso il mare; E il tesoro della vostra infinita profondità sarà rivelato ai vostri occhi. Ma non usate bilance per pesare quell'ignoto tesoro; E non sondate le profondità della vostra conoscenza con lo scandaglio o la pertica. Poiché l'io è un mare sconfinato e immisurabile. Non dite: "Ho trovato la verità"; dite piuttosto: "Ho trovato una verità". Non dite: "Ho trovato il sentiero dell'anima". Dite piuttosto: "Sul mio sentiero ho incontrato l'anima in cammino". Perché l'anima cammina in tutti i sentieri. L'anima non cammina sopra un filo, né cresce come una canna. L'anima apre se stessa come un fiore di loto dagli innumerevoli petali. ARCA notizie N.1/2009 ARCA NOTIZIE è un foglio di collegamento e di riflessione tra i compagni e gli amici della Comunità dell'Arca in Italia. Articoli, lettere, disegni vanno inviati a: Francesco Pavanello via Marconi 28 Trieste (e-mail: [email protected].) Il sito internet dell'ARCA in Italia è: http://arca-di-lanzadelvasto.it Per continuare a ricevere Arca Notizie, il contributo per il 2009 è di 20 euro (10 per l'abbonamento on-line) da versare sul conto corrente postale numero 14079214 intestato a: Patrizia Brambilla Via Sottocampagna 65 21020 Comabbio (VA) Questo numero è stato consegnato per la stampa il 10 marzo 2009 Chi sono io? Porsi e riporsi questa semplice domanda, osando dare una risposta, attraverso le vicende, le crisi, le fasi che attraverserà il cammino della nostra vita è il compito che attende ciascuno di noi per accogliere la nostra unicità lettura del 9 gennaio 2009 di Enzo Bianchi anno XXIV NUMERO 1 gennaio/aprile 2009 quadrimestrale della Comunità dell'Arca in Italia 48 Indice Presentazione del numero SOMMARIO Insegnamento Conoscenza , dono e possesso di sé; Lanza del Vasto 2 Riflessioni sull'insegnamento Presentazione di Vermorel Lavorare per la conoscenza il possesso e il dono di noi stessi; Frederic Vermorel Conoscenza di sé; Enzo Bianchi Riconoscere se stessi; Francesco Pavanello pag. 3 C pag. 4 pag. 6 pag. 7 pag. 15 pag. 16 Approfondimenti la preghiera del fuoco Karsten Petersen Arca Germania pag. 21 Appunti per la pratica dello yoga; Guido Farella pag 25 La fondazione dell'etica sociale secondo la nonviolenza; Antonio Drago pag. 28 Arca in Italia Verso la maturità; Dino Dazzani Pubblicazioni recenti Campi estivi dell'Arca pag. 35 pag. 38 pag. 40 Arca nel Mondo Campo internazionale dell'Arca pag.43 arissimi durante la preparazione di questo numero è mancata Alberta Nelli, la genovese di Ivrea come amava presentarsi, impegnata nell’Arca da tanti anni. La sua malattia aveva reso questo distacco un evento atteso, ma non per questo meno doloroso per tutti. Nelle ultime pagine di questo numero abbiamo raccolto alcuni pensieri che nei giorni immediatamente seguenti la sua morte ci siamo scambiati tra compagni e amici dell’Arca. In questo primo numero del 2009 iniziamo a sviluppare il tema che ci siamo posti per quest’anno che è “Conoscenza, possesso e dono di sé”, argomento che vorremmo stimolare con una serie di riflessioni provenienti da differenti punti di vista. Abbiamo riproposto un testo di Lanza del Vasto da “Introduzione alla vita interiore”, che usiamo come punto di partenza, allarghiamo con la riflessione che Frederic Vermorel ha tenuto a Casciago lo scorso dicembre; uno spunto di Enzo Bianchi e una riflessione che prende l’avvio da un testo di Ricoeur che ci propone un percorso di riscoperta del nostro sé attraversò le azioni che compiamo e la capacità di raccontare la nostra storia. Il numero continua con la ripresa del tema trattato nel numero precedente sulla yoga e una riflessione che parte della preghiera del fuoco. Tonino Drago apre una riflessione sulla fondazione dell’etica a partire dai principi della nonviolenza Concludiamo il numero con la scoperta di un esperienza di Lanza del Vasto come attore e con la presentazione dei campi estivi La redazione. Notizie varie Comunicato stampa della manifestazione di Crotone del 1 marzo 2009 pag.44 In ricordo di Alberta pag. 45 Conoscenza di sé; Kahlil Gibran pag. 48 3 CONOSCENZA, POSSESSO E DONO INSEGNAMENTO da Introduzione alla Vita Interiore Lanza del Vasto 4 L'attitudine dominante in questo mondo è l'ignoranza di sé, cioè delle cose dell'anima, l'oblio, la distrazione, l'indifferenza costante nei riguardi delle cose dell'anima, conseguenza di una inversione dell'intelletto verso il profitto, verso l'appropriazione e la dominazione del mondo esterno, cose e persone. La Conversione, ossia il Rovesciamento di ciò che il Peccato aveva rovesciato, cioè il Raddrizzamento, la Conversione consiste nell'uscire dal Mondo, nell'uscire dall'esteriore, nel rientrare in sé. E, prima di tutto, nel farvi attenzione. L'anima, da vaporosa e vaga che era, si fa densa e vivente sotto l'effetto di questa attenzione, si illumina al raggio di questa attenzione e diventa cosciente, diventa sorgente di parole e di atti originali e significativi. La conoscenza di sé è unificante e irradiante, a differenza della conoscenza di qualsiasi altra cosa (perché la conoscenza di qualsiasi altra cosa esteriore non tocca in niente il suo oggetto). La stessa sete di possedere le cose e di soggiogare gli altri ha, come contropartita, l'incapacità di possedersi e di dominarsi. Una conoscenza di sé che fosse lucida e persino illuminante, ma impotente e passiva, non costituirebbe che un compimento insufficiente fallace. La vera conoscenza del vero io si dimostra attraverso la sovranità del centro irradiante, della sua potenza ordinatrice e pacificatrice su tutte le persone, addirittura sugli istinti e le funzioni del corpo. Ne risulta naturalmente un distacco dai beni del mondo e un rispetto della libertà altrui. È per questo che è detto: « Beati i poveri in Spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli» (Mt 5,3); poiché posseggono la sovranità in se stessi e dunque nella sostanza, perché dovrebbero inseguire le ombre e le apparenze nelle tenebre esterne e in quel mondo artificiale che è la città degli uomini? Ma è possibile dominarsi senza donarsi. Un tale, con una forte disciplina ha ricercato, ottenuto, coltivato il sapere e i poteri. Colui che è padrone di sé «ha vinto il mondo ». Ma attenzione al Principe di questo Mondo! Si può cadere nelle mani del Seduttore senza saperlo, per diventare servitori del Maligno non è necessario esercitare i propri poteri e i propri doni nel fare del male: è sufficiente amarli come tali e usarli per se stessi, trarne a sé il Frutto, perché questa è l'essenza stessa del peccato originale ed è questo il « peccato contro lo Spirito». Sicuramente il possesso di sé precede, in un certo senso, il dono di sé, perché non si può dare ciò che non si possiede. Ma la presa di possesso deve essere fatta solo in vista del Dono. Bisogna che, in tutte le pratiche e in tutti gli sforzi per ottenere questo possesso, sia presente la spossessione. Negli esercizi spirituali, così come noi li pratichiamo, trovate la Distensione incessantemente richiamata come un riflesso corporeo di questa verità. In ogni articolazione dell'esercizio, l'attitudine di abbandono si combina con l'elemento contrario. Lo sforzo spirituale esige una tensione, come tutti gli sforzi. Questo sforzo fortifica e unifica il centro, ma lo separa anche da tutto il resto, lo irrigidisce, lo indurisce ed è la morte se la tensione non è accompagnata da una distensione, da un'attesa, da una apertura. Nel colmo della lotta e della vittoria, serenità, indifferenza per il risultato, umiltà: «Non sono io ad agire, ma è il Cristo in me », dice S. Paolo. Modestia e forza, rinuncia e superamento, sacrificio e gioia vengono così dati l'uno nell'altro. Non parlerò della dottrina del Budda, la sua immagine mi basta: cosa vedo? Un uomo seduto, il viso privo di ogni espressione e liscio come un uovo, le membra slegate come dei nastri e come l'acqua, le mani fiorite, i piedi fioriti, il petto fiorito, i capelli in fiore, il sorriso appena percettibile. Non c'è niente che non sia donato, abbandonato, reso. Ma girategli attorno e guardategli la schiena: è un muro, incrollabile nella postura, esatto nella verticale, è la forza e l'altezza da cui sgorga la dolcezza. E i santi re nella grande porta della cattedrale di Chartres sono colonne e tronchi, più che forme umane, nella loro rude rettitudine e nella loro umile soavità come la sorgente fra alte rocce. Sorgente di Carità, apertura agli altri. Non sono il solo ad essere un io. Anche questo passante è un io, tanto quanto lo sono io. L'accesso alla mia unità intima mi apre la strada all'unità di ogni essere e di tutto. Ma c'è qui un doppio sistema di difesa, da penetrare senza spezzare. Se rompo il vaso, il contenuto sarà perso. Bisogna fare del muro una via, del velo una rivelazione. Affinché l'involucro altrui diventi trasparente, bisogna rendere trasparente il nostro. Possiamo fare l'esperienza tutti i giorni: apriamo la mano e tutto si aprirà. Stringiamo il pugno e tutto sbatte, tutto urta, e ne segue la mischia generale che si chiama « questo mondo ». INSEGNAMENTO 5 RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO 6 All’incontro nazionale tenutosi lo scorso dicembre a Casiago avevamo chiesto a Frédéric Vermorel di proporci una riflessione introduttiva sul tema “Conoscenza, possesso e dono di sé”. Pubblichiamo una breve presentazione di Frédéric e a seguire il testo integrale della sua riflessione. Sono nato in Francia nel 1958. Mio papà è veterinario ormai pensionato e la mia mamma casalinga. Ho tre sorelle e otto nipoti. Alcuni incontri hanno profondamente segnato la mia vita: Appena adolescente, scopro la figura di Gandhi tramite gli scritti di Lanza del Vasto. A 15 anni vivo la mia prima esperienza ecclesiale forte con un breve soggiorno presso la comunità ecumenica di Taizé. Dopo la laurea viaggio durante un anno e mezzo attorno al Mediterraneo e soggiorno alcune settimane nel Sahara, sulle orme di Charles de Foucauld. Al ritorno, compio il mio servizio civile presso la comunità dell'Arca di Jean Vanier. Nel 1984 divento membro della fraternità monastica di S. Maria delle Grazie, a Rossano Calabro, facendo scelta di una terra e di un popolo amati fin dal primo incontro nel 1979. Nel 1993 un primo soggiorno presso il Monastero benedettino di Goiás (Brasile) segna un ulteriore approfondimento della mia ricerca. Dal 1997 al 2002 studio teologia a Bruxelles presso la facoltà della Compagnia di Gesù. In quei anni condivido la vita della comunità di La Viale, un'opera della Compagnia di Gesù che riunisce laici e Gesuiti in un comune progetto di evangelizzazione degli ambienti europei. Da ottobre 2002 sono ospite per sei mesi del Monastero di Marango, una comunità d'ispirazione dossetiana, e vi preparo il mio trasferimento a Sant'Ilarione avvenuto il 22 aprile 2003. Sono stato accolto dalla gente con infinita generosità. Il 22 luglio 2007 ho pronunciato i voti monastici temporanei nelle mani del vescovo di Locri-Gerace, p. GianCarlo Bregantini.. Frédéric Vermorel LAVORARE PER LA CONOSCENZA, IL POSSESSO E IL DONO DI NOI STESSI Frédéric Vermorel “Ci orientiamo pertanto, nel sostegno e nella verifica reciproca, a lavorare su noi stessi, cercando di far evolvere la nostra vita interiore sulla base dell'insegnamento dell'Arca, per la conoscenza, il possesso e il dono di noi stessi, dedicando un tempo della nostra giornata alla pratica spirituale (richiamo, preghiera, meditazione, yoga...)” Premessa Quando Enzo mi ha chiesto non solo di partecipare ma, addirittura, di guidare quest'incontro, dopo qualche tentennamento ho accettato non perché mi sentissi particolarmente preparato per affrontare l'argomento ma semplicemente per non deludere la sua amichevole insistenza! So di non essere molto avanti sul cammino della vita interiore. In molti ambiti sono tuttora un principiante e forse neppure un principiante. Conosco i miei punti di forza e le mie debolezze, le mie incoerenze e i miei peccati... Com'è che dunque oso rivolgervi la parola? Il motivo l'ho trovato nell'Avvertenza posta in apertura di “Introduzione alla vita interiore”. Ivi Shantidas scrive a proposito della dottrina dell'Arca: “Questa dottrina non ha 1 RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO niente di personale. Il suo valore è senza proporzione con i meriti o i demeriti di colui che la porta. Non è qualcosa di suo che egli dà ai suoi simili, ma è piuttosto lui che si è dato ad essa e che ne vive, e chiama 1 altri a darsi e a viverne” . Nei giorni in cui riflettevo sul nostro tema, “conoscenza, possesso e dono di sé”, facevo la lectio quotidiana sulla seconda lettera di Pietro. É stata come una illuminazione: i primi versetti di questo testo molto bello si sono imposti come il canovaccio sul quale intessere la presente meditazione. Meditazione biblica “Mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza il dominio di sé, al dominio di sé la perseveranza, alla perseveranza la pietà, alla pietà l'amore fraterno, all'amore fraterno la carità.”. (2P 1,5-7) 1) Il contesto Questi tre versetti si trovano quasi all'inizio della seconda Lettera di Pietro. Dopo i saluti, l'autore si rivolge ai suoi lettori in questi termini: “La potenza divina [di Gesù Cristo] ci Lanza del Vasto, Introduzione alla vita interiore, Milano 1989, p. 10. RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO 7 ha fatto dono di ogni bene per quanto riguarda la vita e la pietà, mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati con la sua gloria e potenza. Con queste ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventaste per loro mezzo partecipi della natura divina, essendo sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza.”. Pietro, o chi per lui, muove dunque da un'affermazione di fede: Cristo “ci ha fatto dono di ogni bene per quanto riguarda la vita e la pietà”, e lo strumento di questo dono è la rivelazione di Dio. Questo Dio, Gesù lo manifesta come desideroso di farsi conoscere e di condividere con gli esseri umani “la sua gloria e potenza”, e non solo questo, ma, addirittura, rendere questi “partecipi della natura divina”! La prima cosa che colpisce è che, nonostante Dio abbia “donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi”, l'essere umano non è presentato da Pietro come il ricettacolo passivo dell'opera divina. “Il distacco dal mondo è già avvenuto nel battesimo, ma va conservato. Perciò l'autore esige l'impegno in questo tempo di tensione tra la comunione con Dio che già si possiede e quella non ancora raggiunta, perché tipica del compimento futuro, definitivo e 2 pieno della salvezza” . Il termine “mondo” ha qui una valenza negativa, come nel Vangelo di Giovanni. Non si tratta del creato, buono perché creato da Dio, ma dell'umanità ostile a Dio, succube dello spirito “mondano”, segnata dalla “corruzione della concupiscenza”. Incontriamo qui un tema centrale nella riflessione di Shantidas. Si sa l'importanza che riveste ai suoi occhi il peccato originale, questa distorsione dello spirito, il quale, creato per la contemplazione, si trasforma in spirito di profitto. La lettura che egli offre del racconto della Genesi, è certamente uno dei cardini del suo insegnamento. Ne “L'homme libre et les ânes sauvages”, libro purtroppo non tradotto in italiano, Lanza scrive: “La natura di questo peccato, distinto da tutti gli altri e chiamato ' Originale ', di questo ' peccato contro lo Spirito ', consiste nell'aver mangiato il frutto della Conoscenza. Ora la Conoscenza era il Dono supremo e particolare fatto da Dio all'uomo e il luminoso legame che li univa. Cosa c'è dunque di strano se dalla rottura di questo legame risultano Ignoranza, Errore, Tenebre, Separazione, Confusione, 3 Disgrazia e Morte?” . Le conseguenze di questo dramma, Lanza le analizza in diverse sue opere: ne “I quattro flagelli” descrive quelle sociali, guerra, rivolta, miseria, servitù, mentre analizza quelle propriamente spirituali nella “Introduzione alla vita interiore”: perdita della verità, perdita dell'intimità con Dio e, al limite estremo, perdita del sé. Di fronte alla “corruzione della 2 M. Mazzeo, Lettere di Pietro, Lettera di Giuda, nuova versione, introduzione e commento, Milano 2002, p. 271. 3 Lanza del Vasto, L'homme libre et les ânes sauvages, Paris 1969, p. 126. 8 RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO concupiscenza” che sempre minaccia, l'autore della 2P invita al combattimento spirituale vissuto con impegno, collegando tra di loro otto virtù il cui elenco mi sembra in grande consonanza con il “programma” spirituale dell'Arca. Ma vediamo questo da vicino. 2) Il testo Il nostro testo costituisce un catalogo a catena simile ad altri presenti tanto nella letteratura filosofica pagana quanto negli scritti 4 cristiani dei primi secoli . Le otto virtù elencate vi sono presentate a coppie, in totale sette. Al centro s'incontra la coppia autocontrolloperseveranza. Il punto di partenza è la fede; il punto d'arrivo e vertice dell'insieme è l'agape, cioè l'amore di carità. Da sottolineare che punto di partenza e punto di arrivo sono virtù teologali: tutto inizia da Dio e tutto verso di lui converge. Fede e virtù La fede costituisce il primo gradino della scala. Di cosa si tratta? Nella 2P la fede è insieme fiducia in Dio e Gesù Cristo e conoscenza di Dio e Gesù Cristo, gratuitamente data da Dio e Gesù Cristo a quelli che per il fatto stesso di riceverla sono diventati credenti. Ne “L'orée des trois vertus” Lanza definisce la fede conversione dell'intelligenza, ossia la scoperta da 5 parte dell'intelligenza che essa è mistero a sé stessa. In altri termini, la fede è apertura alla trascendenza, contemplazione dell'ulteriorità. Di certo vi è una notevole differenza tra questa definizione della fede e quella presupposta dalla 2P. La definizione di Lanza può al limite prescindere dalla Rivelazione di Cristo ed essere percepita come pura apertura. Per l'autore della 2P la fede è più che una semplice apertura al mistero; è precisamente qualificata dalla figura di Cristo. Ciò detto, la fede propriamente cristiana, come d'altronde qualunque altra fede religiosa, non può prescindere dalla fede come apertura originaria e vi è sempre ricondotta per il semplice fatto che, seppure nominato, il mistero rimane mistero e l'oltre oltre. Ho voluto precisare questo punto proprio per tenere conto dell'eventuale presenza tra noi di persone che non si riconoscono nella fede cristiana. A loro non posso che dire ciò che diceva swami Ananda a Lanza del Vasto: “A voi il compito di tradurre nella vostra lingua 6 interiore”! Alla fede bisogna aggiungere la virtù. Il termine greco, aretē, indica la potenza o l'energia morale, il vigore dell'anima. Poco prima, l'autore ha utilizzato lo stesso termine per indicare la potenza di Dio. 4 Nel NT s'incontrano cataloghi di virtù in 2Cor 8,7; 1Cor 13,13; 1Tm 4,12; 6,11; 2Tm 2,22; 3,10-11. 5 Lanza del Vasto, A. de Mareuil, L'orée des trois vertus, Parigi 1971, p. 9. 6 Lanza del Vasto, Le Pèlerinage aux sources, in Œuvres complètes I, p. 188. (La traduzione è mia.) RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO 9 In vari luoghi delle sue opere Lanza del Vasto ricorda che il latino virtus viene dal radicale vir che significa forza, virilità, giovinezza. Alla fede bisogna dunque aggiungere la forza. “Se si chiede al pacifico, al nonviolento, ciò che pensa della forza, la miglior risposta è: 'Penso che non vi sia nulla di meglio'. Dio non si chiama invano l'Onnipotente. L'essere è il prodotto della forza creatrice di Dio. La forza presente in ogni essere, nonché quella che esso dispiega nei movimenti e cambiamenti da lui compiuti, sono la manifestazione, il rimbalzare della forza divina in lui, e la partecipazione della creatura alla creazione[...] La forza è la sostanza 7 dell'essere” . Senza forza le migliori cose non sussistono. Senza virtù la fede si rivela impotente. Virtù e conoscenza Nella seconda coppia alla virtù viene associata la conoscenza, gnōsis. Ma di quale conoscenza si tratta? Nella 2P, la gnōsis e l'epignōsis, suo sinonimo, sono sempre rivolte a Dio e a Cristo in quanto autori della salvezza. Da questa conoscenza 8 procedono grazia e pace , tutto ciò che contribuisce alla vita e alla 9 pietà , nonché alla liberazione dalle 10 sozzure mondane . La gnōsis e' un processo mai definitivamente 11 compiuto di conversione. La comprensione di ciò che è conosciuto come vero, associato alla virtù, che è dell'ordine della volontà, conduce i credenti sulla via del possesso e del dono di sé stesso. Bisogna notare che l'autore della 2P mette i suoi interlocutori in guardia riguardo al pericolo di rimanere oziosi e sterili in questa opera di conoscenza. Non penso sia necessario ribadire l'importanza di una simile messa in guardia nell'opera di Lanza del Vasto! Nella “Introduzione alla vita interiore” scrive: “L'attitudine dominante di questo mondo è l'ignoranza di sé, cioè delle cose dell'anima, l'oblio, la distrazione, l'indifferenza costante nei riguardi delle cose dell'anima, conseguenza di un'inversione dell'intelletto verso il profitto, verso l'appropriazione e la dominazione del mondo esterno, cose 13 e persone” . Mi sembra un'ottima illustrazione di quello che Pietro scrive a proposito della “sozzura del mondo”! Lanza prosegue: “La Conversione, ossia il Rovesciamento 7 Id., L'homme libre..., p. 53. Ne La Trinité spirituelle, Lanza scrive: “In latino, virtù significa forza: è la forza della coscienza, la forza dell'unità e della coerenza che combatte tutto ciò che tende alla decomposizione. La volontà vuole andare verso il suo obiettivo nel modo più efficace possibile; la virtù ha per obiettivo la forma dell'atto e la sua conformità con l'unità interiore e superiore. In latino, virtù significa coraggio. Il coraggio è la sostanza della Virtù, mentre la giustizia (che è equilibrio dell'esterno e dell'interno) ne è la forma.” 8 2P 1,2. 9 2P 1,3. 10 2P 2,20. 11 Cf. 2P 3,18. 12 Lanza del Vasto, Introduzione..., p. 68. 10 RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO di ciò che il Peccato aveva rovesciato, cioè il Raddrizzamento, la Conversione consiste nell'uscire dal Mondo, nell'uscire dall'esteriore, nel rientrare in sé. E, prima di tutto, nel farvi attenzione”. Conoscenza e dominio di sé L'egkrateia greca è la temperanza, l'autodisciplina, l'autocontrollo, il dominio di sé. Il termine è formato dalla particella en, che indica un posizionamento con sfumatura strumentale, e l'etimo krátos, che significa forza, potere, dominio. Temperante è la persona libera, che non si lascia trascinare da alcuna seduzione. Nella 2P, la temperanza dei credenti è nettamente contrapposta alla dissolutezza dei 14 falsi maestri . Sempre nello stesso capitolo che ho citato poco anzi, intitolato “Conoscenza, possesso e dono” , Shantidas aggiunge: “Una conoscenza di sé che fosse lucida e persino illuminante, ma impotente e passiva, non costituirebbe che un compimento insufficiente e fallace. La vera conoscenza del vero io si dimostra attraverso la sovranità del centro irradiante, della sua potenza ordinatrice e pacificatrice su tutte le persone, addirittura sugli istinti e le funzioni del corpo. Ne risulta naturalmente un distacco dai beni del mondo e un rispetto della libertà 15 altrui” . Dominio di sé e perseveranza Al dominio di sé va unita la perseveranza nel tempo. L'hypomonē è pazienza, sopportazione, costanza. É la tipica virtù dell'attesa escatologica, abbondantemente sottolineata dal libro 16 dell'Apocalisse . Questa virtù è la risposta alla makrothumía divina, ossia alla pazienza di Dio. Quando l'autore della 2P scriveva, molti s'interrogavano sul presunto ritardo della “parusía”, del ritorno glorioso del Signore. A questi, Pietro (o chi per lui) scrive: “Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti 17 abbiano modo di pentirsi” . La pazienza di Dio procede dalla sua universale volontà salvifica. Il tempo è misericordia. Sul versante dell'essere umano, l'hypomonē non è dunque fatalismo o passività ma “dominio di sé nel tempo”, cioè ascesi, perseveranza fondata sulla conoscenza di Dio. “L'ascesi dice Arnaud de Mareuil è speranza, cioè conoscenza e accoglienza della 18 grazia” . A conclusione del capitolo intitolato precisamente “Connaissance, possession et don de soi”, in “Le grand retour”, Shantidas scrive: “Questo incidente, questo lutto, questa malattia, questo incontro, 13 Ibid.14Cf. 2P 2,7.18. Cf. 2P 2,7.18 15 Lanza del Vasto, Introduzione..., p. 69. 16 Ap 3,10; 13,10; 14,12. 17 2P 3,9. 14 RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO 11 questa lotta, questa persona sulla quale inciampo, ecco le occasioni, ecco i segni. Trasformate gli eventi casuali in segni. Quale è il significato di questo incontro, di questo incidente, di questo fallimento? Cosa mi è chiesto in tali circostanze? Sarà un ostacolo da sormontare? Un invito all'impegno? Un avvertimento perché mi ferma? In ogni modo si tratta di una lezione 19 che devo capire” . La storia è sempre storia di salvezza, purché apriamo gli occhi! Perseveranza e pietà Alla perseveranza che è, come ho appena detto, dominio di sé nel tempo, il nostro autore aggiunge la pietà. Etimologicamente l'eusebeia è la buona/giusta adorazione. Proprio perché fondata sulla conoscenza di Dio e in questo assume i connotati teologali della speranza la perseveranza della persona di fede non può che alimentarsi dalla contemplazione di Dio. Nell'insegnamento dell'Arca, accanto al lavoro e alla meditazione, la preghiera occupa un posto privilegiato. Qui vi rimando alle pagine ad essa dedicate dalla 20 “Introduzione alla vita interiore” , 21 di cui cito soltanto poche righe : “La Preghiera è un movimento verso l'alto: 'É un'elevazione dell'anima', secondo Origene e Clemente d'Alessandria. La meditazione è un'immersione nelle profondità. La Preghiera si rivolge al Re dei Cieli. La Meditazione scava le tenebre interiori per ritrovare l'Immagine nascosta e rovesciata. La Preghiera indica lo slancio verso l'Oggetto del Desiderio e verso 'La fine di tutti i 22 Desideri . La Meditazione è un ritiro, un ritorno, una rimembranza. La preghiera è un'effusione del cuore, la Meditazione è una sospensione mentale, una concentrazione del silenzio. La Preghiera è un grido verso questo Tutto-Altro che risiede all'altra estremità dei mondi, la Meditazione è l'incontro meraviglioso di 'Quest'Altro in me più me stesso di 23 me'.” Pietà e amore fraterno Alla pietà, la 2P associa immediatamente l'amore fraterno, la philadephia. Nel NT questo termine indica l'amore che unisce i discepoli di Gesù tra loro. Essi si riconoscono fratelli proprio perché figli del medesimo padre. “É un segno del vero discepolato. Suggerisce doveri e impegni concreti verso i fratelli di fede e necessità di essere costantemente verificato e approfondito[...] Esso si manifesta come sincera benevolenza e carità fraterna, come fra i membri di una 24 famiglia ” . Anche qui, non mi sembra casuale 18 Lanza del Vasto, A. de Mareuil, L'orée des trois vertus, Parigi 1971, p. 102. Lanza del Vasto, Le grand retour, Principato di Monaco 1993, p. 214. 20 Id., Introduzione..., pp. 89-97. 21 Ivi, a p. 89. 22 Dante Alighieri, Paradiso, canto XXXIII. 23 P. Claudel, citando Sant'Agostino. 19 12 RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO che l'autore abbia collocato l'amore fraterno immediatamente accanto alla pietà. “Un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?. Gli rispose Gesù: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la 25 Legge e i Profeti” . Alla profondità della conoscenza e all'altezza dell'adorazione deve corrispondere la larghezza dell'amore. Qui abbiamo il passaggio dal possesso al dono di sé. Per ora tocca solo la cerchia dei fratelli e sorelle ma sappiamo tutti quanto questo primo passo fuori di noi è difficoltoso! Amore fraterno e carità Eccoci giunti al vertice. Se l'amore fraterno è ancora limitato, l'amore di carità non conosce limiti perché Dio è carità. Su questa virtù teologale Lanza del Vasto ha scritto delle pagine bellissime. Ecco ne una: “Il più alto grado della Carità, qual è: È l'amore del nemico. È l'amore del nemico, capite? Capite! o l'abitudine vi ha un po' otturato i condotti? L'amore, sapete che cos'è? Bene! e il nemico, sapete, che cos'è? 24 25 Sì, il nemico, lui, sì, giustamente quel essere li! E adesso strizzatevi un po' il cervello fino a mettere i due insieme. Ci siete? No, non ci siete per niente. È come domandarvi di trovare bianco il nero e rotondo il quadrato. Io amo quelli che mi piacciono, amo quelli che sentono e pensano come me, quelli che stimo e ammiro, quelli da cui ricevo e ai quali rendo del bene. Amo quelli che amo insomma, anche senza ragione, non ne ho forse il diritto? È vostro diritto amare i vostri amici e fare loro tutto il bene che volete, ma gli altri? Sì, gli altri, perché è qui che incomincia il dovere. Quale dovere? Quello di amare il prossimo. Chi è il mio prossimo? Qualunque persona, quello che si trova lì. Volete una indicazione più completa del prossimo? Colui che non ha niente per piacermi, colui che per me non è niente, colui che non si impone al mio rispetto né rapisce la mia ammirazione, colui dal quale non mi aspetto niente perché è nella miseria, in breve colui che a torto o a ragione non amo. È quello là che M. Mazzeo, Lettere..., p. 273. Mt 22,35-40. RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO 13 devo “amare come me stesso!” Ma perché non posso accontentarmi di amare quelli che amo, e devo forzarmi ad amare quelli che non amo? Perché coloro che ami sono ancora te, mentre colui che non ami è veramente l'Altro. E perché devo amare l'Altro? Per uscire dalla prigione, per non morire, per avere la vita eterna. Uscire da quale prigione? Quella dell'io che dice io. E le mura di questa prigione sono gli altri, perché è contro di loro che mi urto. Le dove cominciano, io finisco. Là dove sono, io non posso andare. Sono privato di ciò che essi sono, ciò che essi sono non posso esserlo. Mi stringono da tutte le parti. Spingo per guadagnare un po' di spazio, ma tutti fanno altrettanto e ci schiacciano. Devo uscire da li per non morire. Gli altri sono la mia morte. La morte, cos'è? La separazione. E colui che è separato da tutto comincia a separarsi in sé. La mia morte è che tutte le parti di me si separano. La mia morte è diventare, io stesso, altro. Ma la vita è unire in me tutto ciò che mi appartiene. Unire me stesso ad altri è dunque magnificare la vita. Appena amo, una finestra si apre e da li fuggo. L'amore di un altro raddoppia in un colpo la distesa del mio essere rinforzato dal suo. La sua vita risveglia la mia vita e il suo pensiero accende il mio pensiero. I beni dell'uno arricchiscono 14 entrambi. Le pene si condividono e le gioie si moltiplicano. Le barriere e le costrizioni cadono e gli orizzonti si aprono. Sono entrato nel paese della vita. Io, il vero io, la mia unità vivente interiore, è unione, è amore per antonomasia, e tutto ciò che è amore mi esalta, mi ingrandisce, mi libera. Mi diffondo, mi supero e mi affino. Raggiungo la mia sostanza che è vita, e la mia vita la sua sostanza che è la gioia. E l'amore è Dio, con qualsiasi nome si nomini Dio, e anche se non lo si nomina” RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO CONOSCENZA DI SÉ Il processo della conoscenza di sé consiste nella risposta a un appello: l'appello che si fa sentire in noi, per esempio, quando proviamo il bisogno di starcene soli per un po' di tempo per riflettere e pensare, per "tirarci fuori'' dal quotidiano che rischia di intontirci con la sua ripetitività o di travolgerci con i suoi ritmi esasperati. Si tratta della chiamata a compiere un esodo attraverso l'interiorità, un viaggio all'interno di se stessi, viaggio che si svolge ponendosi domande, interrogando se stessi (Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Che senso ha ciò che faccio? Chi sono gli altri per me?...), riflettendo, pensando, elaborando interiormente ciò che si vive di fuori. Solo così, attraverso l'interiorizzazione, si diviene soggetti della propria vita e non ci si lascia vivere. Certo, questo cammino nella propria interiorità, questa discesa nel proprio cuore è molto faticosa e dolorosa: normalmente noi la respingiamo, ne abbiamo paura, perché temiamo ciò che di noi può emergere, ciò che di noi può esserci svelato. Nietzsche ha parlato del grande dolore di cui fa uso la verità quando vuole svelarsi all'uomo. La conoscenza di sé esige attenzione e vigilanza interiore, quella capacità di concentrazione e di ascolto del silenzio che aiuta l'uomo a ritrovare l'essenziale grazie anche alla solitudine. Allora si perviene a habitare secum, ad abitare la propria vita interiore e si consente alla propria verità interiore di dispiegarsi in noi: è anche allora che la conoscenza di noi stessi diviene conoscenza dei limiti, delle negatività, delle lacune che fan parte di noi e che normalmente tendiamo a rimuovere pur di non doverli riconoscere. La conoscenza della propria miseria, accompagnata dalla conoscenza di Dio può allora divenire esperienza della grazia, della misericordia, del perdono, dell'amore di Dio. Ciò che prima si conosceva per sentito dire ora diviene esperienza personale. Si tratta di mai scindere questi due momenti dell'itinerario spirituale: la conoscenza di sé e la conoscenza di Dio. Infatti la conoscenza di sé senza la conoscenza di Dio ingenera la disperazione, e la conoscenza di Dio senza la conoscenza di sé produce la presunzione. Enzo Bianchi Lessico della vita interiore pp. 192 RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO 15 “RICONOSCERSI SÉ STESSI” “Riconoscersi sé stessi” mondo che ci circonda. Un paio di anni fa mi capitò tra le mani un testo di Paul Ricoeur, 1 “percorsi del riconoscimento ”, il titolo mi colpi e lo comprai. Come alle volte capita il libro resto in sospeso, tra quelli da leggere, fino ad oggi. Mi aveva colpito il titolo, “percorsi del riconoscimento”, il termine “riconoscimento” mi risuonava in testa dalla metà degli anni novanta in occasione di un progetto per il recupero di una parte del tessuto medievale di Trieste. Quel lavoro mi aveva posto una serie di interrogativi di difficile risoluzione. Mi trovavo di fronte a ruderi ed edifici di scarsa qualità ma che contenevano, al loro interno, i segni, invisibili, di una storia quasi millenaria. Il momento di svolta era stato quando avevo iniziato a riconoscere il valore storico di quelle mura, di quegl’intonaci, da allora il progetto si è sviluppato rapidamente e da allora il termine riconoscere mi ha accompagnato e incuriosito. Si tratta di un testo di filosofia, di non semplice lettura, dove ho trovato degli spunti interessanti per il tema della conoscenza di sé. L'autore (1913-2005) è uno dei maggiori filosofi del XX secolo e nei suoi studi parte dall'analisi del linguaggio come ambito dove porsi il problema di senso e di significato, domande dalle quali parte per giungere ad un'interpretazione del Il testo è strutturato da tre studi, il primo, nel quale mi sono ritrovato, tratta del riconoscimento come identificazione delle cose, come catalogo degli elementi che ci circondano; il secondo studio tratta del riconoscimento di sé stessi; il terzo completa la riflessione con il riconoscimento di sé stessi nel rapporto con gli altri e nella difficile dialettica del riconoscimento reciproco. In particolare è dal secondo studio che voglio estrarre alcune riflessioni su vari aspetti del riconoscersi. Il percorso proposto da Ricoeur parte dal riconoscere il ruolo che svolgiamo nel nostro agire quotidiano alla ricostituzione della nostra storia per giungere alla relazione con l'altro. 1 Riconosco il mio agire Con l'introduzione di alcuni testi greci, i miti di Ulisse, che rientrato a Itaca si fa riconoscere gradatamente dal padre, dal figlio ecc.; di Edipo a Colorno (ultimo atto della tragedia) che riconosce che i suoi atti sono avvenuti non per sua diretta volontà ma perché costretto dagli dei e dal fato. ”.. ho ucciso, ho tolto la vita ma senza sapere quello che facevo”,” … sono gli dei che hanno orchestrato tutto”, l'autore ci introduce il concetto “dell'uomo come agente, come ente che interagisce con il mondo fisico e Percorsi del riconoscimento, Paul Ricoeur, Raffaello Cortina editore, 2005 16 RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO relazionale che lo circonda”. Con la riflessione di Aristotele, invece, vengono confutate le affermazione che Eschilo mette in bocca ad Edipo “sono gli dei che ….” affermando che “l'azione è svolta deliberatamente”, l'autore, ci mette di fronte all'obbligo di riconoscere in noi una volontarietà nelle nostre azioni. La riflessione ci propone di riconoscere che noi siamo soggetti che agiamo e interveniamo su questa terra e che le azioni sono dovute alle nostre scelte. La tesi sostenuta da Ricoeur è che vi sia una stretta parentela tra il riconoscimento di sé e “il riconoscimento delle responsabilità” delle nostre azioni. Ricordo ancora le discussioni con mia figlia sulla responsabilità delle azioni che compiva e sulla risposta stereotipata che mi dava e, che alle volte danno oggi i miei alunni, “ma fanno tutti così” oppure “non l'ho fatto apposta”. Alle volte di fronte ad azioni che non erano corrette ho fatto molta fatica ad assumerne le responsabilità, ma quelle azioni le avevo fatte io non altri. Ma il conoscersi si riferisce anche al semplice agire, il riconoscere che non tutte le azioni con le quali operiamo nella quotidianità sono coerenti con i fini, con i valori profondi che ci animano. Questo porta a riflettere sui nostri errori, sul compromesso, o ad esempio su quanto ci sia difficile affrontare coerentemente le scelte di semplicità o povertà. Riconosco la mia storia La seconda parte dello studio collega l'uomo che agisce all'uomo che racconta il proprio agire e scopre le proprie capacità. L'aspetto interessante di questo capitolo è quello di come, attraverso il racconto di sé, si riesce a riconoscere e riscoprire parti della propria storia e, di conseguenza, costruire la propria identità, il proprio sé. In particolare l'autore sottolinea come i soggetti dei miti e delle tragedie greche sono parlanti, esprimono sempre il sé e descrivono in prima persona le proprie azioni. La riflessione sulla parola e la sua capacità di rendere visibili itinerari o percorsi della quotidianità oppure sulla capacità di rileggere esperienze che ci hanno segnato assume un pieno significato solo quando la si può raccontare e condividere con l'altro. C'è un brano, del commento ai primi versetti del vangelo di Giovanni, dove Lanza del Vasto anticipa questa riflessione di Ricoeur quando parla della capacità di raccontarsi del “fare con le parole”. Lanza scrive “logos” in greco significa “parola” e significa “pensiero”, poiché la logica, cioè la scienza del logos, non è altro che la scienza del pensiero. ….. Il pensiero inespresso è inesistente. Se credete il contrario, è dovuto al fatto che la vostra Lanza del vasto: In spirito e fuoco. Commento ai vangeli della nascita, ed La Meridiana 1991, pag. 66 “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio. Egli in principio era Dio.” Gv1; 1,2 RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO 17 osservazione è carente. …… Ma la parola pronunciata o scritta è il solo modo di espressione più completo, più compiuto, quello che riassume tutti i possibili modi di espressione” Il raccontarsi è stato un momento importante della mia esperienza, il condividere la mia storia mi ha aiutato a ricollegarla ridefinirla in un contesto più ampio della contingente quotidianità che travolge, con il suo ritmo incalzante e, alle volte, fa perdere di vista l'obbiettivo lo scopo delle azioni. Ma in questo raccontarsi si incontrano dei rischi che non vengono sottaciuti dall'autore: noi raccontiamo quello che l'altro vuole sentirsi raccontare oppure narriamo la nostra storia, le nostre esperienza profonde. Mi è capitato di fare sia questo che quello, dipendeva da come mi sentivo accolto nel luogo dove mi raccontavo. Nell'ambito delle capacità, l'autore sottolinea anche quella del fare. Del riconoscere le nostre capacità del fare. C'è una canzone che nel ritornello dice “io non so fare niente”, molte volte mi sono identificato con quest'affermazione. Ma se in parte quest’affermazione rispecchia la mia ricerca di umiltà forse, ma non mi rappresenta a pieno. Nel tempo ho acquisito alcune capacità, alcune competenze nelle quali sono più ferrato. Il riconoscerle fa parte della mia identità, del identificare chi sono. L'ultima sottolineatura riguarda l'imputabilità delle nostre azioni: citando il dizionario francese Le Robert, Ricoeur dice “imputare un 18 azione a qualcuno significa attribuirgliela quale vero e proprio attore, metterla sul suo conto e renderlo responsabile”. Si ritorna al tema della responsabilità delle proprie azioni, di accettare, non solo i risultati positivi del nostro fare ma, anche, riconoscere i nostri sbagli, i limiti che ci rendono incapaci di azioni positive. Il ricordo e l'impegno Il terzo capitolo affronta i temi della memoria e della promessa. Sono due punti centrali nel discorso che sta svolgendo l'autore, le chiama “due sommità, una rivolta al passato e l'altra rivolta al futuro”. Nel riconoscere noi stessi le nostre azioni e nel raccontarle noi utilizziamo lo strumento della memoria, che ci porta a definire il riconoscimento di sé. Ma quali sono gli aspetti della memoria: - di cosa mi ricordo, quali sono gli aspetti che dimentico; - perché alcuni ricordi cadono nell'oblio, è dovuto alla cattiva coscienza, all'astuzia del dimenticare le cose che ci fanno male o a …. Ma la memoria è anche lo sforzo positivo di strappare qualche brandello della nostra vita all'oblio, alla dimenticanza. Con la domanda chi ricorda: introduce due autori S. Agostino e Locke che aiutano Ricoeur a precisare quali sono i imiti della memoria. In particolare è interessante la riflessione di Locke che introduce la “coscienza” come elemento che permette di leggere la propria storia.“Fin dove questa coscienza può essere estesa indietro a un a qualsiasi azione o pensiero del RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO passato, fin li giunge l'identità di quella persona; si tratta dello stesso io ora e allora ed è lo steso io che ora riflette che quell'azione venne compiuta.” L'ultimo aspetto riguarda la “Promessa” l'impegno per il futuro, il dare la parola del fare del realizzare qualcosa. Qui introduce il tema successivo il riconoscimento di sé attraverso la relazione con l'altro. L'impegno è certo per me che debbo svolgere una qualche azione ma riguarda anche colui verso il quale mi sono impegnato riguarda anche l'altro. Anche qui l'autore non sottace i rischi connessi con la promessa come il tradimento la mancanza alla parola data. Sottolinea la corrispondenza tra l'oblio della memoria e il tradimento della parola data. Promettere significa impegnarsi a fare qualche azione sia a favore di sé che dell'altro. Posso promettermi di fare lo yoga un paio di volte alla settimana e non mantenere l'impegno. Come promettere a un committente di consegnargli il lavoro entro una data precisa. Ci tengo abbastanza a rispettare le promesse fatte verso gli altri ma alle volte cerco di rinviarle, di posticiparle perché in quel momento mi pesano. Più difficile è mantenere le promesse fatte verso di me, le prendo con minore seriètà e frequentemente cadono nell'oblio. è tra le forme individuali di capacità di dire, di fare, di raccontarsi e il rapporto con l'altro sottolineando la necessità del collegamento tra il riconoscimento di sé e il mutuo reciproco riconoscimento con l'altro. Si tratta del riconoscimento di identità collettive, noi partecipiamo, viviamo in una società che ci condiziona per numerosi aspetti, e le nostre capacità di fare di agire e di raccontarsi devono confrontarsi con quest'appartenenza. Con Amartya Sen introduce una riflessione sulla giustizia e sui diritti, sulla distribuzione dei beni e sulle pratiche di solidarietà sociale. Con la riflessione di Amartya Sen si recuperano gli aspetti di valutazione “morale”, delle scelte, che spingono l'uomo nelle azioni quotidiane di ricerca del benessere. Valutazioni che trascendono il puro aspetto mercantile tanto esaltato dall'attuale contesto sociale. Quello che viene sottolineato è se siamo capaci di valutare le situazioni, secondo un ottica, un parametro, che discende dalla“morale”, da valori più profondi del solo denaro. Qui le esperienze sono tante, la mia ricerca di benessere, di relazione con l'altro passa attraverso un gruppo di autoaiuto che negli anni ha costruito una rete di conoscenza di piccoli produttori locali e o biologici dai quali acquistiamo gran parte dei prodotti che consumiamo. Verso l'altro Questo capitolo fa da ponte con l'ultimo studio del libro che riguarda l'identificazione di sé attraverso il confronto con l'altro e l'identità dell'atro. Affronta il rapporto che vi Credo di aver colto solo alcuni degli aspetti del testo, forse i più superficiali, mi dovrei scusare con l'autore di aver “dimenticato” l'infinite citazioni e i rimandi ad altri filosofi che lui ha utilizzato per RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO 19 a. L'analisi delle mie azioni e le intenzioni con cui le svolgo; b. L'imputabilità delle mie azioni, l'essere responsabile di quello che faccio, l'assumermi a pieno la responsabilità delle mie azioni quotidiane, in altre parole l'attenzione ai mezzi che utilizzo nella vita di ogni giorno, mezzi che, come Gandhi ci ricorda, sono importanti come i fini; c. L'individuazione delle mie capacità, delle mie doti, del lavoro che svolgo su di me per ampliarle; d. La capacità di raccontare la mia storia; e. L'uso della memoria, e le sue difficoltà, quello che ricordo quello che dimentico; f. La promessa, l'impegno che mi sono preso per migliorare per crescere. g. La relazione con l'altro che mi riconosce e che io riconosco una citazione di un breve passo di Ricoeur dove ci ricorda che la conoscenza di sé non può essere disgiunta dal riconoscimento reciproco, dal riconoscere i diritti dell'altro. Per l'uomo “che agisce e soffre”, prima di arrivare sino al riconoscimento di ciò che egli è in verità, ossia uomo “capace” di certe realizzazioni, il cammino è lungo. Inoltre, questo riconoscimento di sé richiede, a ogni tappa, l'aiuto di altri, in mancanza di quel mutuo riconoscimento, pienamente reciproco che , …. fa di ciascuno dei partner un essere riconosciuto. Il riconoscimento di sé in questione nel presente studio rimarrà non soltanto incompiuto, così come rimarrà incompiuto anche il mutuo riconoscimento, ma per di più mutilato in ragione della persistente dissimmetria del rapporto con altri secondo il modello dell'aiuto, ma anche dell'impedimento reale Francesco Pavanello LA PREGHIERA DEL FUOCO (Karsten PETERSEN Arca Germania ) APPROFONDIMENTI costruire la sua riflessione. Ma l'obbiettivo della mia lettura era quello di individuare dei percorsi e degli spunti di riflessione sulla “conoscenza, possesso e dono di sé”. Ho utilizzate alcuni aspetti che mi risuonavano per raccontare alcune esperienze che non vogliono essere interpretazioni assolute ma stimoli per indicare percorsi concreti e possibili di conoscenza di sè. Dalle semplici riflessioni che ho riportato ne estraggo alcune tracce che possono portare a dei suggerimenti per un percorso di conoscenza di sé. Tracce che proverei a riassumere nei seguenti punti: Karsten Petersen, uno dei tre fondatori del Friedenshof nel 1990, ci propone qui di seguito un suo commento sulla Preghiera del Fuoco, invitandoci ad una riflessione sul senso profondo di questo rituale, colonna portante dell'Arca. Vorrei partire dall'esperienza che ciascuno di noi ha fatto partecipando alla Preghiera del Fuoco. Cerchiamo di tornare con la mente a quelle sere in cui siamo entrati nella preghiera con queste parole: ”Siamo tutti passanti e pellegrini”. Ne siamo stati profondamente colpiti e affascinati. . Abbiamo discusso fra noi a lungo però, nell'ultimo incontro di formazione, su alcuni punti del testo. Vi sono alcuni fra noi che erano perplessi nel dire la frase “l'amore è la gioia di soffrire”, così come “il nostro cuore di legno morto e di spine”. Nell'Arca Germania abbiamo quindi adottato questa versione : “Amare, è gioia nella sofferenza “. La Preghiera del Fuoco, un processo di trasformazione Se non ascoltiamo che il testo, non riusciamo ad accedere al suo significato più profondo. E' importante percepire che è solo una parte di un insieme. Gli altri elementi sono il riunirsi delle persone che pregano, il cerchio, la notte che scende, e il fuoco. Il recitare le parole del testo produce un effetto certamente: riflette le circostanze e i pensieri di coloro che si trovano lì riuniti. Vuole render loro possibile l'entrare nel processo di trasformazione che viene a compiersi davanti ai loro occhi. Entrarci, con tutta la propria persona, per vivere così una trasformazione nel corpo e nell' anima. Il testo si rifà ad immagini del mondo delle religioni, in particolare della religione cristiana; nella Preghiera del Fuoco riconosciamo dunque non tanto una preghiera quanto un rituale, che interessa tutti i sensi, così come lo spirito di tutto l'essere, e lo trasforma. Questo è ciò che ci affascina nella Preghiera del Fuoco. L'opera del fuoco Nella Preghiera del Fuoco, possiamo distinguere tre momenti essenziali. Nel primo, ci troviamo ad innalzare “un tempio nel Non posso però non concludere con 20 RIFLESSIONI SULL’INSEGNAMENTO APPROFONDIMENTI 21 vento”, nel quale coloro che pregano si riuniscono attorno ad un centro comune e divengono “presenti al Presente”. Nel secondo, tutta l'attenzione si volge al fuoco, più precisamente sull'opera di trasformazione che compie il fuoco. Le ultime frasi, poi, evocano gli effetti e la trasformazione delle persone stesse che stanno pregando. Nel secondo tempo, coloro che pregano hanno completamente aperto i loro sensi e il loro spirito all'opera che si sta compiendo davanti ai loro occhi. La hanno espressa con le parole :”è la morte delle cose morte e il loro ritorno alla luce”. E a questo punto - sembra incredibile la preghiera continua con una lode dell'opera del fuoco : “Fuoco di gioia! “ Come possiamo parlare di gioia quando si tratta di morte e di sofferenza ? Notiamo che, concentrati sul fuoco, ci rallegriamo del calore e della luce che ci pervengono dalla “morte delle cose morte” i ceppi che bruciano. La gioia, legata al processo dello sparire e dello sbocciare, è insita nella natura. Il problema si pone quando cerchiamo di comprendere con le parole e allora ci chiudiamo davanti al gioioso messaggio del fuoco. Le parole separano ciò che in realtà è “l'una nell'altra”. La “Preghiera del Fuoco” vuole aprire anche il nostro spirito a questa verità, aprire il cammino verso questa Unità del tutto. Ciò che noi viviamo come i più opposti, la gioia e la sofferenza, la vita e la morte, è inestricabilmente legato e 22 mescolato, nel perpetuo processo di trasformazione che è la vita. E' questo processo che produce la vita, il calore e la luce del vivente. E' la Verità e l'Amore. Se ci lasciassimo convincere da questo messaggio del fuoco, potremmo prendere su di noi l'inevitabile “croce della vita quotidiana” con gioia; i sacrifici e gli sforzi troverebbero un senso; potremmo far fronte alla paura naturale della morte con una fiducia piena di speranza. E' quanto vuole dirci questo appello alla gioia nelle parole della Preghiera del Fuoco. La Verità divina si manifesta nella Creazione, nel Fuoco e si manifesta ancora più direttamente nell'amore che Dio ci offre. Con la formula : “L'amore è la gioia nella sofferenza “, il testo passa, in un'unica riga, dalla contemplazione del fuoco a un'affermazione di Dio come Amore. Per un cristiano come me, questo amore trova la sua più alta manifestazione nella vita, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo. Egli ha vissuto ed è morto in un dono pieno di amore, per gli uomini che avevano maggiormente bisogno di lui : “gioia nella sofferenza “. Egli ha trionfato sulla morte mediante la sua resurrezione : “gioia nella sofferenza “. L'ultima parola non è per la morte che tutto divide, ma per l'Amore che tutto unisce. Il fuoco, un cammino di vita. “L'apparenza che si consuma e la sostanza che appare” APPROFONDIMENTI Il gioioso messaggio del fuoco e del Vangelo non è però un semplice annuncio. E' promessa che si realizza già in parte in questo mondo; lo scopriamo sul cammino della nostra vita ; ognuno ed ognuna lo vive nelle relazioni interpersonali. La vita di coppia può progredire solo se ognuno rinuncia a qualcosa che fino ad allora era per lui o per lei “sacro”, per lasciare posto a dei valori e delle prospettive “comuni”. I nostri bambini non possono sbocciare che se siamo pronti a consacrare loro una gran parte della nostra energia, del nostro tempo, dei nostri introiti. Le comunità possono esistere solo se ognuno è disposto ad abbandonare alcuni punti di vista personali troppo stretti, e se siamo pronti a limitare il nostro preteso libero-arbitrio. E' allora che succede lo Straordinario, l'esperienza della prossimità di Dio, nell'estremo abbandono. Alcuni di noi lo hanno vissuto: in situazioni in cui tutto sembra crollare, un profondo conforto ci invade, una pace e una gioia illimitata sembrano annullare ogni sofferenza. “Soffia su di noi Signore, perché la nostra preghiera salga in fiamma, perché il nostro cuore di legno morto e di spine, e la sua breve e vacillante scintilla di vita, servano a nutrire un poco la tua gloria”. Ora, nell'ultima parte del testo, il fuoco si propaga anche su coloro che pregano. Noi preghiamo perché il nostro cuore desideri interamente fondersi nel fuoco. Questa rappresentazione non è solo pregnante per uno spirito profano, lo è anche per qualcuno che sia in ricerca spirituale, che speri giustamente, nel suo cuore, di percepire la vicinanza di Dio o del suo Se più profondo. Ed è' possibile che, nello svolgersi del rito, siamo così presi dal fascino delle fiamme che questo avviene in noi; il fuoco brucia in noi e noi lo nutriamo con la nostra pacifica presenza - questa interiorizzazione del fuoco è anche in parte un processo del tutto naturale, condizionato dalla nostra fondamentale ricettività alle immagini e a tutte le impressioni venute dall'esterno. “ Soffia su di noi, Signore “. A questo punto, il testo diviene preghiera, ritorna nella sfera del religioso. Ci si indirizza direttamente a Dio e si evoca un motivo religioso attraverso l'immagine del “cuore che brucia”. ……….. Siamo arrivati alla fine del rito di trasformazione; la comunità si trasforma. Si riunisce nel cerchio chiuso, intorno al centro comune, avvicinandosi un poco di più all'unità originale e autentica di tutte le creature. Gli individui si sono trasformati: i loro sensi e il loro spirito si sono fissati su un punto esteriore, aprendo la strada per un orientamento verso il loro centro interiore. E' qui che avviene l'unità con il Tutto, che Dio diviene manifesto, Lui che è “Tutto in Uno”. La missione dell'Arca : vivere nell'Unità La Preghiera del Fuoco è assieme al APPROFONDIMENTI 23 rappel, alla meditazione e alle feste un elemento costitutivo della vita della comunità dell'Arca. Meditiamo sul senso della Preghiera del Fuoco. Ritroveremo il senso del rappel, della meditazione e delle feste dell'Arca. Si tratta ogni volta di invertire il nostro sguardo, d'invertire la direzione dei nostri movimenti. Si tratta della “conversione” dall'esteriore verso l'interiore, dalla dispersione verso la concentrazione, dall'apparenza verso l'essenziale, dal multiplo verso l'Uno. Si tratta quindi, in ogni situazione, di ri-legarsi nuovamente all'Unità di tutti gli esseri e di vivere nella coscienza di questa Realtà. Da questa coscienza nasce una pratica che fa della nostra vita una lode a questa Unità, e la fiducia nell'Unità profonda di tutta la Creazione. La vita personale e comunitaria prendono forma anch'esse nello spirito di questa Unità. Questa è l'idea della nonviolenza: la Forza del Bene. Archeforum n.100 nov. 2006 (trad. laura Lanza) APPUNTI PER LA PRATICA DELLO YOGA Guido Farella Quando ho cominciato a considerare la pratica dello Yoga parte integrante del mio cammino spirituale e della mia evoluzione come essere sociale, ho dedicato parecchio tempo allo studio di un libro da molti considerato, non a torto, tra i migliori mai scritti sull'argomento: Teoria e pratica dello Yoga di B.K.S. Iyengar. L'autore è ritenuto essere uno dei massimi maestri contemporanei dell'Hatha Yoga, e la sua scuola ha trovato allievi ed estimatori ovunque nel mondo. Scelgo pertanto di cominciare a trattare l'argomento attingendo a piene mani da quel libro, per introdurre alcuni degli aspetti secondo me fondamentali per un approccio allo Yoga che ne voglia realmente comprendere gli scopi ed i mezzi per realizzarli. Ho però ridotto al minimo l'uso dei termini sanscriti tradizionali, non certo perchè inutili, ma per alleggerire la lettura e favorirne una più naturale fluidità. “La pratica dello Yoga provoca inizialmente una sensazione di misura e di equilibrio; applicata al nostro corpo, c'insegna come farIo funzionare, traendone la massima forza ed armonia. Con instancabile pazienza, perfezioniamo ed animiamo così tutte le nostre cellule, tornando giornalmente alla carica, scoprendo e liberando le nostre capacità che altrimenti sarebbero condannate alla frustrazione e alla morte. 24 APPROFONDIMENTI Ogni parte non completamente sviluppata dei tessuti e dei nervi, del cervello o dei polmoni, è una sfida alla nostra volontà e sanità, oppure è causa di abbattimento fisico e morale”. YEHUDI MENUHIN La parola Yoga deriva dalla radice sanscrita Yug, che significa legare assieme, aggiogare, dirigere e concentrare l'attenzione. Significa anche unione o comunione, e, in effetti, essa descrive la vera unione della nostra volontà con quella di Dio. Significa, inoltre, disciplinare l'intelletto, la mente, le emozioni, la volontà, tutti obiettivi presupposti dallo Yoga; così come significa anche equilibrio dell'anima, il solo che rende capaci di guardare uniformemente a tutti gli aspetti della vita. Come un diamante ben tagliato presenta molte sfaccettature, ognuna delle quali riflette un diverso tono di luce, così la parola Yoga, con ciascuna sfaccettatura, riflette diversi gradi di significato e rivela aspetti differenti dell'intera gamma dello sforzo umano diretto al raggiungimento della pace interiore e della felicità. Nel pensiero indiano, tutto è permeato dallo Spirito Universale Supremo, di cui lo spirito umano individuale è una parte. Il sistema Yoga è così chiamato poichè insegna i mezzi con i quali la parte APPROFONDIMENTI 25 individuale può essere unita in comunione con il piano universale, così da assicurare la liberazione. Quando la pratica dello Yoga placa l'agitazione della mente, dell'intelletto e dell'io, lo yogi, con la grazia dello Spirito in lui, trova completo appagamento. Conosce così l'eterna gioia che è al di là del confine dei sensi e che la ragione non può affermare. Rimane in questa realtà e non si allontana da essa. Ha trovato il tesoro più prezioso di tutti gli altri; non vi è niente di più alto. Colui che lo ha capito, non può essere toccato dalle maggiori sventure. Questo è il vero significato di Yoga: una liberazione dal contatto col dolore e con la sventura. Lo Yoga è stato inoltre definito come saggezza, armonia e moderazione nel lavorare, ovvero un abile modo di vivere. Lo Yoga non è per chi mangia con troppa ingordigia, nè per chi muore di fame. Non è per chi dorme troppo, nè per chi sta troppo sveglio. Lo Yoga distrugge ogni dolore e pena con la moderazione nel mangiare e nel riposare, regolando le attività ed armonizzando il sonno e la veglia. Lo Yoga è il metodo con cui viene calmata la mente inquieta, così da poter dirigere l'energia vitale in canali costruttivi. Come un potente fiume, quando appropriatamente imbrigliato con dighe e canali, crea un vasto serbatoio d'acqua, previene la carestia e fornisce una gran quantità di energia per l'industria, così anche la mente, quando viene controllata, fornisce una riserva di pace e genera abbondante energia per l'elevazione umana. Quando i sensi si sono calmati, quando la 26 mente riposa, quando l'intelletto non tentenna, allora - dice il saggio - il più alto stadio è raggiunto. Questo costante controllo dei sensi e della mente è stato definito Yoga. Chi raggiunge tale controllo è libero dalla delusione. Lo Yoga è uno dei sei sistemi ortodossi della filosofia indiana. Esso fu collezionato, coordinato e ridotto a sistema da Patanjali (II sec. a.C.) nella sua opera classica, lo Yoga Sutra, composta da 185 aforismi. GLI STADI DELLO YOGA I mezzi corretti sono altrettanto importanti del fine. Patanjali enumera tali mezzi come gli 8 ausilii, o stadi, dello Yoga. Essi sono: 1) Yama (i comandamenti morali universali) 2) Niyama (l'autopurificazione con la disciplina) 3) Asana (postura) 4) Pranayama (controllo del respiro) 5) Pratyahara (emancipazione della mente dal dominio dei sensi) 6) Dharana (concentrazione) 7) Dhyana (meditazione) 8) Samadhi (unione con lo Spirito Universale) come controllare la respirazione e, per suo mezzo, la mente, cosa che aiuta a liberare i sensi dalla schiavitù degli oggetti del desiderio. Questi due stadi dello Yoga sono conosciuti come le ricerche interiori. Gli ultimi tre stadi tengono lo yogi in armonia con se stesso e il Creatore. Lo yogi non guarda verso il cielo per trovare Dio, sa che Egli è in lui. Dharana, Dhyana e Samadhi conducono lo yogi nei più intimi recessi della sua anima, e sono perciò chiamati ricerca dell'anima. Con la profonda meditazione, il sapiente, il sapere e il conosciuto diventano una cosa sola. Per chi vede, il vedere e l'oggetto della vista non hanno vita se rimangono separati l'uno dall'altro; come per un grande esecutore musicale, che diventa tutt'uno col suo strumento e la musica che da esso proviene, così lo yogi resta fedele alla propria natura e capisce se stesso, la parte dello Spirito Supremo in lui. Colui che non può controllare la propria mente troverà difficile raggiungere questa comunione divina, ma colui che ha padronanza di sè può raggiungerla se proverà con caparbia e se dirigerà la propria energia con i mezzi idonei. I primi tre stadi sono le ricerche esteriori. Yama e Niyama controllano le passioni e le emozioni dello yogi e lo tengono in armonia con i suoi simili. Le Asanas mantengono il corpo sano e forte e in armonia con la natura, rendendolo un mezzo adatto all'anima. I due stadi seguenti, Pranayama e Pratyahara, insegnano all'aspirante APPROFONDIMENTI APPROFONDIMENTI 27 LA FONDAZIONE DELL’ETICA SOCIALE SECONDO LA NONVIOLENZA Antonino Drago negativa del Peccato originale (Genesi 3) e finisce (Apocalisse) con i spaventosi flagelli sull'umanità fino alle due Bestie, potenze sociali malefiche, che dominano l'umanità intera; e in mezzo ci sono tanti episodi intermedi di atti malvagi (compiuti anche dall'unto del Signore, re David). Vuole incutere timore e tremore o c'è una logica in queste negatività? Lanza del Vasto ha scoperto una interpretazione originale del Peccato originale, che è di tipo sociale (è il peccato all'origine non dei tempi, ma all'origine delle aggregazioni di uomini). Poi egli l'ha saputo collegare ai quattro flagelli e alle due bestie che in Apocalisse 13 dominano l'umanità. Con questi elementi base egli ha saputo descrivere il gioco sociale che, a partire dal singolo e i suoi rapporti interpersonali, porta squilibri, ingiustizie, prevaricazioni, distruzioni, fino a dittature (Apocalisse 13); cioè ha costruito un'analisi delle società di tutti i tempi. Ne deriva un'etica molto semplice, ma decisiva: comportati e organizzati in 3 modo da rifuggire dai quattro flagelli . La storia della nonviolenza è legata a riforme avvenute nelle religioni; esse sono state compiute da un po' più di un secolo prima da Tolstoj, per Il cristianesimo ortodosso, poi da Gandhi nell'induismo (dal quale egli ha ricavato la nonviolenza), poi da Capitini che ha cercato una “riforma di religione”. Una riforma della religiosità nel Cristianesimo è stata realizzata, ancor più che da Martin Luter King o da Don Tonino Bello, da 1 Lanza del Vasto . In tutti i maestri della nonviolenza la riforma è un indirizzare la religiosità ad essere soprattutto un'etica, più che una dogmatica (giusto il loro essere quasi tutti dei laici). In questo senso tutti i precedenti maestri della nonviolenza hanno preparato anche una rifondazione dell'etica nella direzione di assumere una precisa dimensione sociale. In effetti il libro 2 principale di Lanza del Vasto, ha cercato anche una fondazione dell'etica sociale nonviolenta. Egli si basa sulla Bibbia (Vecchio e Nuovo Testamento). La quale colpisce per come presenta pesantemente l'etica: inizia con la situazione 1 Lanza del Vasto: Lezioni di Vita, LEF, Firenze, 1976; questa antologia dei suoi scritti indica il senso di questa riforma. I libri più rappresentativi sono I Quattro Flagelli (1959), Sei, Torino, 1996 e Introduzione alla vita interiore, Jaca, book, Milano, 1989. 2 Lanza del Vasto: I Quattro Flagelli, op. cit.. 3 Lanza del Vasto la esprime quando dichiara di preferire quella organizzazione sociale che è la meno soggetta ai quattro flagelli, la tribù-villaggio. Questa etica è ben più precisa della recente rifondazione sociale dell'etica compiuta da H. Jonas: Il principio di responsabilità (1979), Einaudi, Torino, 1992, la quale chiede di rifuggire solo dal suicidio dell'intera umanità. Inoltre Lanza del Vasto esprime anche un'etica postiva, che vedremo più avanti. 28 APPROFONDIMENTI Quindi c'è da sperare di trovare, con uno sguardo più attento, ulteriori collegamenti e indicazioni per la vita etica nostra e della comunità umana. Infatti la si può portare a compimento sviluppando le sue idee mediante un'aggiunta. Sappiamo bene che sull'etica la Bibbia, già migliaia di anni fa, ha dato il Decalogo (Es 20, 2-17), ovvero 4 i dieci consigli del Padreterno ; essi sono degli avvertimenti su come sapersi comportare personalmente al meglio; a cui il Vangelo aggiunge la buona novella delle Beatitudini. Questi ulteriori insegnamenti ci aprono orizzonti positivi. Che sarebbero ancor più chiari se, andando oltre quanto ha fatto Lanza del Vasto, riuscissimo a collegarli con quelli negativi in una maniera coerente e sistematica. In effetti, a ben guardare, quei dieci consigli positivi sono collegati ai quattro Flagelli sociali negativi per l'umanità. A parte i primi consigli, che riguardano il rapporto personale con Dio e con i genitori (cioè con le autorità morali della vita di ciascun individuo), gli altri riguardano i rapporti con le altre persone: Non ammazzare, Non abusare del sesso, Non rubare, Non dire il falso, Non desiderare la cosa d'altri e la donna d'altri. Essi sono sei; ma guardiamoli meglio ponendoli in relazione ai quattro flagelli. Di solito essi vengono intesi come comportamento del singolo con un altro singolo. In realtà sono anche indicazioni di come comportarsi socialmente al meglio. Lo capiamo se ci chiediamo: come, a partire dai rapporti interpersonali, si deve rifuggire dal flagello della Guerra, se lo si vuole evitare sin dall'inizio? E' evidente che occorre osservare il primo dei consigli sociali (cioè il quinto: “Non ammazzare”), anche al costo di essere un obiettore di coscienza. Allora ci si accorge che il secondo consiglio sociale assieme al terzo (cioè il sesto e il settimo: “Non abusare del sesso”; e: “Non dire il falso”) indicano come non appestare e non sovvertire i rapporti sia con l'altro sesso che con le altre persone; cioè non contribuire a nessuna peste sociale. Il quarto consiglio sociale (cioè il settimo consiglio: “Non rubare”) come non arrivare a generare il flagello della Miseria sugli altri. Il quinto e il sesto assieme (“Non desiderare la cosa e la donna d'altri”) come rifuggire dal fascino del Potere, che genera il flagello della Servitù nella società. Quindi, avendo associato quattro di essi a coppie, abbiamo ottenuto che i sei consigli sociali corrispondono bene ai quattro flagelli. Cosicché i dieci consigli presentano una etica che, partendo dalla metafisica del rapporto personale con Dio (“Io sono il Signore, Dio tuo,...”) e, passando attraverso il rapporto con l'autorità morale terrena (genitori), arriva ad indicare come porsi nei rapporti con gli altri in una maniere innocente (= non nuocere), così da non arrivare mai a generare alcuno dei quattro Flagelli. Se rispetto ai mali sociali, anche della 4 Non è chiaro perché Lanza del Vasto non li ricordi. Si noti che A. Chouraqui: I dieci comandamenti, Mondatori, Milano, 2001 li elenca dividendo il primo in due ed unendo i due ultimi della tradizionale versione cattolica. APPROFONDIMENTI 29 peggior specie, la pedagogia religiosa non ha mai sottolineato questo stretto legame teologico-sociale dei consigli, è perché la vita religiosa ha avuto, sempre e ovunque, un rapporto molto problematico con la vita sociale; soprattutto a causa del 5° consiglio, che è proprio il primo dei consigli sociali. Infatti nel passato, tutte le religioni l'hanno inteso sì come un comandamento, 5 ma solo nei rapporti interpersonali ; invece, quando nel sociale c'era da organizzare una difesa collettiva, l'hanno messo da parte; anzi hanno accettato pienamente il ribaltamento che ne faceva l'autorità politica del luogo: “Occorre ammazzare i nemici”. In effetti era difficile, anzi sembrava impossibile, dare un senso sociale al 5° consiglio: come si fa a non uccidere chi vuole uccidere me, i miei cari, il mio popolo? E' un fatto storico che, per insegnarci che quel consiglio vale anche nella società, è venuto appositamente il Figlio di Dio: il quale lo ha dichiarato espressamente: “Io non sono venuto per abolire la legge, ma per portarla a compimento… amate i vostri nemici” (Mt 5, 17ss.). Sapendo bene che agli uomini era difficile amare i propri nemici, Egli, per insegnarcelo, si è sottoposto personalmente alla negatività peggiore che può capitare a chi si impegna in una impresa del genere: essere ucciso in un modo 6 barbaro . Ma, per dimostrare che anche in questo caso non si perde, Egli è poi risorto e ci ha detto che risorgeremo anche noi se avremo lottato nonviolentemente, così come ha fatto Lui. In definitiva, il Figlio di Dio, portando il 5° consiglio anche nella vita sociale, ha fatto quello che può fare un buon figlio rispetto all'opera del Padre: completare in maniera esemplare l'osservanza del suo Decalogo, in modo da far capire appieno il vero rapporto con Dio non solo nella fede, ma anche 7 nelle opere sociali . Cosicché la Sua prima rivelazione è stata di insegnarci che non si uccidono neanche i nemici; il che è esattamente la nonviolenza. Questa sua rivelazione ha fondato tutta la restante. Poi per 19 secoli, sempre ci sono stati testimoni di questa buona novella; ma la maggioranza degli occidentali, duri di cuore, non ha capito bene questo insegnamento del Cristo. Lo ha dovuto chiarire nella pratica sociale un piccolo indù, benché questi l'abbia chiamato con una parola tipica della sua tradizione spirituale: nonviolenza. Gandhi ha fatto vedere che 5 Perciò quando la società occidentale (liberale) ha ristretto tutti i consigli ad affari privati, le religioni non hanno avuto granché da obiettare. 6 Si ricordi anche la parabola dei vignaioli malvagi (Mt 31, 33-39). Si noti che alla fine Gesù non dice che farà il padre; lo fa dire a chi ha sentito; perché la nonviolenza è ancora troppo nuova; o per lo meno così era per gli stessi discepoli. 7 Sulla centralità del 5° consiglio si noti che il primo peccato personale presentato dalla Bibbia (Genesi 4, 3-12) è appunto un assassinio, di Abele da parte di Caino. Il quale poi è andato a costruire la massima struttura sociale del tempo, la città (Genesi 4, 17); quella da cui rifugge Giovanni il Battista quando vuole raddrizzare le vie del Signore. Le strutture sociali più grandi, i regni, sono quelli che sono in potere di 30 APPROFONDIMENTI effettivamente si possono amare i nemici, anche quelli che hanno il potere politico più grande della storia dell'umanità (quello britannico); e che lo si può fare assieme ad un popolo intero. Poi ancora nel 1989 le lotte di liberazione dei popoli dell'Est hanno manifestato, questa possibilità di combattere nonviolentemente, alla grande e a tutto il mondo. Allora oggi è diventato chiaro che occorre cambiare il cuore per accettare il 5° consiglio anche nel sociale. E che, di conseguenza, anche tutti i consigli successivi al 5° dovrebbero essere osservati nella vita sociale; compreso naturalmente il 7°: “Non rubare”, né collettivamente, né alle collettività, senza equivoci. Con ciò appare tutta una etica biblica sul Male, che è coerente e articolata; essa va dal peccato costituzionale nella singola persona (il Peccato originale), ai peccati personali (indicati dal Decalogo), che iniziano quelli strutturali, cioè quelli che nascono com accumulo ed aggregazione, diventando strutture collettive (i quattro flagelli), per infine strutturare la società con il dominio di tutta la vita sociale; quello che nel secolo XX hanno subito tanti popoli, dominati dalle più feroci dittature; e quello che descrive in maniera impressionante Lanza del Vasto nel suo libro a proposito di 8 Apocalisse 13 . In definitiva, con questa serie di indicazioni bibliche, abbiamo una visione completa e coerente del Male, che va dal personale al sociale totale, fino al massimo possibile nella vita terrena: le dittature totalitarie disumanizzanti. Notiamo pure che questa etica non è quella di un padrone, ma è di tipo paterno e materno: mette a parte i figli di tutte le conseguenze, anche quelle estreme, alle quali essi si condannano se tralignano. Se quindi ci allontaniamo dalla etica “moderna”, quella gestita dalla Ragione scientificizzata, e ci affidiamo alla Bibbia in maniera nonviolenta, in definitiva accettiamo una etica che ha già compreso tutta la storia dell'umanità, anche quella futura, e che, per di più, vede la storia dell'umanità con uno sguardo paterno e materno, attento allo sviluppo della vita delle persone. D'altronde così doveva essere la Bibbia: essa è un libro divino non solo perché tratta di Dio e dei suoi rapporti con gli uomini; è divino anche perché dà un insegnamento completo all'uomo e all'umanità di tutti i tempi. Nel Cristianesimo questa etica Paterna, non poteva che essere confermata dall'etica del Figlio; ma, si noti, come compimento nel Bene. Infatti la sua (nuova) etica si esprime al massimo grado, come detto dianzi, col saper dare l'esempio di amare i nemici, l'atto che ha rotto la barriera insuperata dall'etica del passato. Ma si 8 La grandezza di Marx è nell'essere stato il primo a rendersi conto che, per capire l'agire collettivo e anche incosciente degli uomini, la teoria si deve basare sulle strutture che fondano la società e che sono state costruite dagli uomini stessi. Ma egli si è riferito allo Spirito Assoluto, identificato col proletariato (e non con gli ultimi); il quale porterebbe l'umanità alla salvezza secondo una etica collettiva quasi del tutto eteronoma, in quanto il proletariato verrebbe trasportato dal progresso delle forze produttive, salvo compiere gli atti risolutivi (rivoluzioni). APPROFONDIMENTI 31 esprime anche con il ben noto insegnamento positivo di Cristo: le Beatitudini. A ben vedere, esse sono in corrispondenza diretta con i consigli sociali del Padre, giusto il compito che si era dato il Figlio di portare a compimento la Legge. Per brevità indico le corrispondenze con la Tab. 1. Tabella 1 CORRISPONDENZE TRA I CONSIGLI SOCIALI E LE BEATITUDINI Beatitudini Poveri 8° Consigli Miti 5° Piangono 7° Assetati 9° e 10° Le corrispondenze tra le prime due beatitudini e i corrispondenti due consigli sono evidenti. La terza beatitudine risponde al consiglio di Non dire il falso, perché la falsità ha conseguenze dalle quali è difficile districarsi e quindi spesso viene subita piangendo. Gli ultimi due consigli (9° e 10°) indicano la china sulla quale scivola chi cerca il Potere sulle cose e sulle persone; il quale Potere va ad opprimere la gente fino a portarla ad avere sete di giustizia. La corrispondenza successiva è chiara: la Misericordia si esercita sui poveri. La ulteriore corrispondenza non ha bisogno di spiegazione; come pure la penultima. L'ultima è chiara se si ricorda che il Potere arriva a perseguitare chi vuole la giustizia. Si noti in più che il 6° e l'8° consiglio possono essere associati, in Misericordiosi 8° Purificatori 6° Pacificatori 5° Perseguitati 9° e 10° quanto, come si diceva dianzi, riguardano ambedue lo stesso male, l'impestare i rapporti sociali. Allora le corrispondenze della tabella rivelano una struttura: le Beatitudini sono composte da due quaterne simili. E a ben guardare, la prima quaterna di Beatitudini riguarda situazioni passive; mentre la seconda quaterna riguarda attività (fatte; o, come le persecuzioni, subite). Ma allora se consideriamo le Beatitudini come una coppia di quaterne, abbiamo che esse sono in corrispondenza diretta anche con i quattro flagelli; proprio come indica il loro senso spirituale: l'essere le risposte positive ai flagelli che imperversano nel mondo. Per brevità con la Tabella 2 rappresentando le corrispondenze, in forma unitaria e sintetica. Tab. 2: CORRISPONDENZE TRA I CONSIGLI SOCIALI, I FLAGELLI E LE BEATITUDINI I mali sociali Quattro Flagelli I Consigli sociali del Padre Le Beatitudini (passive) (attive) Uccidere Abusare del sesso / Dire il falso (peste nelle relazioni) Guerra Peste Rubare Miseria 5° Non uccidere 6° Non abusare del sesso / 8° Non dire il falso 7° Non rubare Miti Coloro che piangono Poveri Desiderare le cose e la donna d’altri (Potere) Sedizione M secondo il Padre A L E 32 9° e 10° Non desiderare Assetati di le cose e la donna giustizia d’altri APPROFONDIMENTI Pacificatori Purificatori del cuore Misericordiosi Perseguitati B E N E Tre note sulla organizzazione della Tabella. Per chiarezza ho aggiunto due colonne, la prima e l'ultima, per sottolineare la complessiva contrapposizione tra il Male e il Bene (le loro parole sono scritte con due differenti caratteri). Inoltre le quattro righe della tabella sono in quell'ordine che ha dato il Padreterno ai dieci consigli (salvo l'anticipazione dell'8° col 6°); mi sembra giusto che questo ordine prevalga su quello delle Beatitudini, che sono ricordate da soli due apostoli, a memoria e differentemente. Dianzi si diceva che il 6° e 8° consiglio possono essere associati perché vogliono evitare il medesimo flagello, la Peste; questa associazione viene confermata dal loro corrispondere a due precise modalità, una attiva e una passiva, 9 della stessa coppia di Beatitudini . Ora, leggendo la Tabella per riga si vede una chiara sequenza: il male compiuto con un preciso atto negativo, può portare ad un male sociale che genera un flagello specifico; a questo male personalesociale risponde, prima negativamente, uno specifico consiglio del Padreterno e poi, positivamente, rispondono due specifiche beatitudini: una passiva (come ad es., quella di essere miti) ed una attiva (nell'esempio precedente, quella di pacificare); cioè, due maniere di andare controcorrente rispetto ai quattro 10 flagelli che colpiscono il mondo . Quindi il Figlio, non solo ha dato l'esempio della completa osservanza dei consigli, ma con le Beatitudini (chiaramente ispirate a Lui dallo Spirito Santo) ha indicato le azioni sociali precise per attuare socialmente l'etica sociale positiva; in altri termini, come realizzare il Regno di Dio il più possibile in Terra. Proprio così le ha proposte Lanza del Vasto come risposta ai mali sociali che lui aveva interpretato; e così le ha intese progettando e fondando le Comunità 9 In Mt 5 il brano delle Beatitudini (20-49) prosegue con alcuni ammonimenti sull'importanza del messaggio (13-20) che riguarda “il compimento della legge” (17); dopodiché nel versetto 20 Gesù annuncia la logica sociale del suo discorso; e poi ripassa in maniera forte tre consigli sociali, incominciando giustamente dal 5° (21, ma anche 38 e 43), per passare al 6° consiglio (27-31) e al 7° (33); mancano solo quelli sul potere (9° e 10°) che certamente non riguardavano gli apostoli e la folla che lo seguiva. E' diverso in Luca 6, dove ci sono quattro sole Beatitudini contrapposte a corrispondenti maledizioni. Queste quattro riguardano tutti i consigli sociali: il 7° consiglio (Poveri e Fame), l'8° (Pianto) e il 9° e il 10° (Perseguitati); ma non il 5° consiglio; però poco più avanti il testo dice due volte “Amate i vostri nemici…” (27 e 35). Quindi la quaterna di consigli sociali c'è ed è completa, ma non raddoppiata ed è in ordine scomposto. Ciò non sembra strano, sapendo che gli Apostoli hanno scritto i Vangeli a memoria, dopo anche alcuni decenni dai fatti; argomenti così superiori non erano facili da afferrare a primo colpo. Comunque in Luca è forte l'accento sociale, non solo per le maledizioni di categorie sociali indicate con precisione (“ricchi”, ecc.), ma anche per la parabola finale della casa sulla roccia (48-49), che deve resistere agli eventi turbinosi sicuramente di natura sociale, perché di solito nel Vangelo gli eventi interiori sono attribuiti a demoni). In definitiva, ambedue i brani sono molto coerenti, anche se in maniera poco ordinata. APPROFONDIMENTI 33 11 dal basso al massimo grado. Ed essa è essenzialmente nonviolenta; noi l'abbiamo trovata solo perché, guidati dalla nonviolenza, abbiamo accettato per intero il 5° consiglio del Padreterno. Verso la maturità Dino Dazzani ARCA IN ITALIA dell'Arca . Con ciò l'etica biblica cristiana è completa, sia nelle indicazioni dei Mali possibili a tutti i livelli di complessità sociale, sia nelle indicazioni di come realizzare il Bene 10 Per articolare e completare la serie di insegnamenti etici biblici basterebbe aggiungere alla Tabella altre quattro colonne: 1) una dopo il Male, che indichi il Peccato originale, il quale rende spontaneo, invece del bene che ci sarebbe naturale, il male, che poi viene precisato dalla colonna successiva; 2) un'altra dopo i quattro Flagelli, la quale ricordi la situazione ancor più negativa delle due Bestie di Apocalisse 13; 3) un'altra prima dei consigli del Padreterno; essi possono essere seguiti se ci si converte; quindi occorre porre questa colonna per indicare la conversione; ma secondo la nuova comprensione sociale che qui viene suggerita, non solo a livello individuale ma anche a livello sociale; 4) una ulteriore dopo i consigli del Padreterno, i quali, secondo il Figlio, sono compendiati dai due più grandi precetti; qui dovrebbe essere ricordato quello sociale, il secondo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22, 39). 11 Lanza del Vasto: I quattro Flagelli, op.. cit., 472-474, 533-542, 578-585. 34 APPROFONDIMENTI Uno dei tanti gradini della vita è quella del passaggio dall'adolescenza all'età adulta. Non esiste un'età uguale per tutti in cui questo avviene. Sono le circostanze della vita stessa a determinare le modalità di questo percorso. Può essere graduale o addirittura veloce, traumatico o dolce, comunque mai codificabile. È un viaggio personale, unico come è la vita e impossibile da catalogare. Esistono, altresì dei tratti comuni, forme diverse sulla stessa sostanza. Uno di questi tratti lo si può definire come “uccidere” il padre. Nel senso che “bisogna” mettere in discussione, distruggere e creare una nuova autorità. La Verità non viene più distribuita dalla famiglia di origine, padre e madre, ma da sé stessi, dunque una nuova fonte. Spesso coincide con la creazione di una nuova famiglia, nuove unioni. I genitori vengono messi ai margini di scelte di vita e vanno a ricoprire altri ruoli. Una presenza discreta e spesso silenziosa, la perdita di autorità ma non di autorevolezza, va a creare anche in loro una nuova identità. Resta il fatto che comunque e qualunque cosa accada i padri rimangono sempre padri, i figli sempre figli. Può essere banale, ma non è così scontato. Mi ha impressionato molto leggere un'intervista al padre di Novi Ligure la cui figlia ha ucciso la moglie e il figlio. Ricorderete tutti certamente, una strage di una violenza inaudita. Ebbene quel padre invece di erigere un muro verso di lei, diceva di volerle stare vicino perché, nonostante tutto, quella ragazza era sempre sua figlia e lui il padre. Queste meditazioni non sono casuali. Le mie figlie di 26 e 24 anni stanno intraprendendo vite di lavoro. La più grande, ora medico, si sta specializzando in oncologia. Vive e lavora a Milano. L'altra comincerà un lavoro a Busto Arsizio in ottobre. Il distacco è avvenuto piano piano con le loro esperienze di vita universitaria a Bologna. Mi è “rimasto” un figlio di 13 anni, in cui si intravedono i primi turbamenti e problemi legati all'adolescenza. Ci sono miei amici coetanei che sono già diventati nonni. C'è chi ha divorziato, chi in questa fascia di età si è depresso e malinconicamente si lascia vivere, chi deluso dal mondo, dalle donne, dal lavoro, dalla politica ha perso ogni entusiasmo. C'è chi convive male con i propri lutti, con i genitori malati e da accudire. Insomma credo sia ARCA IN ITALIA 35 comune a chiunque legge queste righe, basta guardarsi intorno, sono sicuro che vede quello che vedo anch'io. Queste riflessioni si addicono bene al mio periodo di vita e se analizziamo bene anche all'Arca. Con la morte di Shantidas l'Arca è rimasta orfana del padre fondatore. Dopo di lui c'è stata la crescita verso un'età adulta che, credo, si è compiuta con l'ultimo Capitolo Generale e in questi ultimi anni di nuovo cammino. Venticinque anni sono molti nella vita di una persona ma poca cosa per un Ordine come l'Arca. Questo percorso non è stato facile e nemmeno indolore. Tanti hanno lasciato, tanti anche con acredine. Questo nuovo indirizzo può diventare anche uno strumento per riconciliare e per sanare conflitti e ferite interiori aperte. Facciamo tutti un piccolo passo affinché questo sia possibile, affinché il tesoro dell'Arca possa tornare a dare frutti! Devo però onestamente riconoscere che alcuni Compagni vivono ancora alcune situazioni tipiche del passaggio tra l'adolescenza e l'età adulta. Shantidas era un po' burbero nella vita comunitaria, lui stesso l'ha riconosciuto più volte, ma mettere in discussione la sua autorevolezza non fa che fermare il cammino verso la maturità. Si rimane fermi nella fase della contestazione tipica dell'adolescenza. In questo caso “uccidere” il padre fa solo del male perché è come se rinnegassimo la nostra identità perdendo una parte importante di 36 noi stessi. Non è terapeutico e non serve per crescere. Il mio atteggiamento ha un che, forse, di infantile. Io vivo ancora nell'atteggiamento tipico dell'ultimo figlio: un misto di riconoscenza e di devozione filiale. Non so se devo ancora crescere o sono cresciuto troppo. Non so se questo è un segnale positivo o negativo, di progresso o di regresso. So per certo che questo comportamento lo sento come un approfondimento del mio essere e della mia identità. Per la mia vita gli incontri con Shantidas sono stati la chiave di svolta per la conoscenza di me stesso, per capire il mio essere e il senso della mia vita. Capire e conoscere la vita di Shantidas è come indagare su di me, un ulteriore tassello ed aiuto per comprendere perché sono così e non in un altro modo. Anche nei dettagli. A me piacciono le storie vissute, le vicende umane mi appassionano. La chiamano storia, ma io cerco la storia di quelli considerati piccoli ma che hanno fatto e tramandato valori importanti. I santi, certamente, ma anche coloro che, consapevolmente o no, hanno vissuto storie che ai miei occhi riluce di nonviolenza. Ad esempio: sant'Ambrogio nonostante sia il patrono di Milano è sconosciuto ai più, ma la sua vita e le sue azioni sanno di nonviolenza senza ombra di dubbio. Questo vuol dire che influenza anche la mia vita, perché il filo “antico come le montagne” mi avvolge e avvolge noi tutti. La vita di Shantidas è una continua e strabiliante scoperta. La biografia di Arnaud de Mareuil è importante e molto esauriente, ma non coglie i dettagli. ARCA IN ITALIA Ne voglio raccontare uno. A pag. 81 di tale libro, brevemente, si cita che agli inizi degli anni '30 Lanza del Vasto partecipò come attore in un film. Si sapeva che il film era diretto da Alessandro Blasetti e il titolo “1860” e Lanza vi ebbe una piccola parte. Poco altro. Questo film in bianco e nero dal valore storico è ora uscito in dvd. Fa sorridere se confrontato con le tecniche odierne ma se pensiamo ai mezzi di allora si capisce perché è considerato importante. È la storia della rivolta dei picciotti siciliani in attesa dell'arrivo dei mille di Garibaldi con la battaglia di Calatafimi come finale. In allegato al dvd c'è un libretto con alcuni testi dello scambio epistolare tra Blasetti e la produzione. Quest'ultima invita il regista a dare una parte a tal Del Vasto. Allego qui sotto questo scambio di vedute, a mio avviso, interessante. (1) Si capisce ad esempio perché nel film a Lanza non vengono date delle battute da recitare, ma solo espressioni del volto. Sono pure riuscito ad extrapolare alcune immagini dal film in cui compare il nostro. Allego anche alcune di queste a beneficio dei curiosi. Qual è il senso di tutto questo? Il senso, cioè, della mia ricerca? Io credo che se facciamo dei santini e mettiamo sul piedistallo le persone che riteniamo importanti, speciali e fuori dal normale, esse rimarranno fuori dalla nostra portata e resteranno sopra l'altarino mentale dove le abbiamo collocate. Forse questo serve affinché questo distacco non possa intaccare e condizionare più di tanto la nostra vita. Allora l'Arca, per noi, sarà un hobby, un passatempo ma niente di più. Ma se rendiamo più umane le loro esistenze, con i limiti, il peccato, i fallimenti e le burrasche che hanno vissuto, allora diventeranno più vicini a noi e non avremo più alibi per cercare di imitarli e fare nostri i comuni valori, le speranze, la bellezza, le lotte, i sogni di questi grandi della storia della nonviolenza che sono entrati nella nostra vita. Dino Dazzani ARCA IN ITALIA 37 FILO DI LUCE PUBBLICAZIONI RECENTI LA FILOSOFIA DI LANZA DEL VASTO Tonino Drago ha curato la pubblicazione degli atti del convegno su “La filosofia di Lanza del Vasto” tenutosi presso l'Università di Pisa all'inizio del 2007 con il patrocinio del Dipartimento di Filosofia e del Corso di laurea in Scienze della Pace. Il testo, pubblicato dalle edizioni Jaka book, raccoglie una riflessione collettiva sulla filosofia di Lanza del Vasto e viene a colmare una lacuna poichè in Italia mancava uno studio sul suo lavoro filosofico. Esso è caratterizzabile come sicuramente originale e profondo; ma finora è stato poco frequentato, anche perché lo stesso Lanza del Vasto l'ha distinto dal suo insegnamento spirituale e di nonviolenza e, ad un primo esame, esso appare lontano dagli usuali parametri della filosofia occidentale. Il libro raccoglie quattordici contributi che hanno esaminato la riflessione filosofica del fondatore dell'Arca; alcuni ne approfondiscono particolari aspetti culturali del suo pensiero, altri cercano di ricostruire lo sviluppo della sua personalità filosofica e sono concentrati sui problemi propriamente filosofici. L'aspetto più significativo che emerge è quello che, fin dalla sua tesi di laurea in Filosofia Lanza del Vasto, aveva pensato un sistema di relazioni trinitarie, che egli trovava sia nella realtà divina che nella realtà umana. Sistema più volte rielaborato e pubblicato, solo in tarda età, nel “La Trinité Spirituelle. Che significato ha questo originale sistema di relazioni trinitarie? Molti relatori hanno sottolineato che su questo sistema trinitario fonda tutta la sua vita, per lui è la relazione che costituisce tutto ciò che è conoscibile e che fa convergere il divino e l'umano. Anche il suo ritorno al cristianesimo, avvenne quando (come racconta lui stesso) ritrovò in una frase di S. Tommaso la sua idea originaria di un mondo di relazioni trinitarie. Da allora egli ha legato il suo sistema intellettuale alla concezione cristiana di Dio trinitario. Questa congiunzione così forte lo ha indotto a considerarsi ancor più al servizio delle sue idee fondamentali. Ma si tratta di un “trinitarismo” di relazioni dove la frase: “In principio è il rapporto”; dà una direzione di lavoro molto promettente per la ricerca, anche quella odierna. Lanza ha inoltre il merito di aver proposto una sua metafisica trinitaria che si colloca nel fondo intellettuale comune dell'Occidente e dell'Oriente, tanto da costruire un ponte filosofico tra i due mondi. 38 ARCA IN ITALIA recensione Casciago 5 febbraio 2009 Bel racconto coinvolgente, si resta presi dalla lettura in una cavalcata dentro duemila anni di storia, da Gesù fino ai giorni nostri, cogliendo il filo di un profondo amore per la ricerca della verità, trovata di volta in volta e vissuta con profonda partecipazione, testimoniando così quel filo di Luce che lega le vicende di tanti personaggi che nel tempo testimoniano l'amore per la vita, la nonviolenza e la profonda Fede nella buona novella di Gesù di Nazaret. L'autore mi sorprende per intensità e tenacia nello svolgimento, la narrazione, introduce in un percorso terreno che già fa percepire la bellezza dell'eterno. Si potrebbe parlare anche dell'altra Storia, non quella dei potenti e degli eserciti, ma quella della semplicità della vita quotidiana, fatta di persone forti e coraggiose che seguendo il richiamo della propria coscienza, perseguono con tenacia il cammino della fede e dell'amore iniziato da Gesù e i suoi apostoli più di duemila anni fa. Così il racconto assume una dimensione unitaria che manifesta, oltre ad un grande amore per la vita, una libertà di spirito che si trasmette nelle intense relazioni che il protagonista vive con le persone che incontra sul suo cammino. Il richiamo alla festa è una costante che sublima di volta in volta i momenti forti, quasi come un passaggio ad una nuova consapevolezza che conferma la bontà del cammino e la voglia di ricominciare, senza indugiare sulla bellezza del presente. Ricominciare, aprirsi all'ignoto, partire con la speranza che coltiva la certezza di un nuovo incontro, che permette al cammino di continuare anche in contesti nuovi e completamente cambiati, senza perdere lo slancio vitale dell'inizio. Saper rinnovare le motivazioni restando fedeli allo spirito, vivere in luoghi e tempi diversi le stesse ragioni dell'origine, evolvendo in una spirale virtuosa che attraverso il Filo di Luce, conduce la creatura a contemplare il Creatore. Giampiero Zendali ARCA IN ITALIA 39 CAMPI DELL'ARCA 2009 BELPASSO 2-8 agosto Entriamo nel cerchio e diamoci la mano L'insegnamento dell'Arca nel nostro tempo. comune Sede: Casa dell'Arca C.ta Tre Finestre Belpasso (CT). Attività previste: Sessioni di pratica Yoga; canto e danza ; attività per la preparazione di una festa comune; approfondimento di temi dell'insegnamento dell'Arca; lavoro per conduzione della casa e la preparazione dei pasti. È prevista una passeggiata sull'Etna. Data: 2-8 agosto 2009. Il campo inizierà nella mattinata del 2 con sistemazione e pranzo alle ore 13.30 si concluderà con la colazione dell'8 . Accoglienza dalle ore 10,00 del 2 agosto. Quota di partecipazione: € 160,00 comprendente vitto, alloggio, spese organizzative. La questione economica non deve essere un impedimento. Chi avesse difficoltà ne può parlare con gli organizzatori. Numero massimo di partecipanti: 30 (15 in dormitorio con letti a castello, 15 in tenda propria). Iscrizioni: Ad esaurimento dei posti previsti e non oltre il 10 luglio 2009 con pagamento del 50% della quota tramite vaglia postale o altra modalità da concordare entro la data indicata.Info: Enzo Sanfilippo Via E. Carnevale 4 - 90145 Palermo. e-mail: [email protected] cell. 338.6808484 Gruppi proponenti: Comunità dell'Arca di Lanza del Vasto Fraternità delle Tre Finestre Belpasso (CT) Portare: Sacco a pelo, abiti da lavoro, abiti comodi, stuoino e coperta (per lo Yoga), abiti bianchi per la festa; per chi dorme in tenda: torcia. Finalità del Campo: Il Campo, si propone di presentare l'insegnamento nell'Arca, la sua fondazione, la sua evoluzione, il suo essere proposta per il nostro tempo . Lavoro su di sé, semplificazione di vita, lavoro manuale, nonviolenza, canto, danza, yoga, punti cardine della proposta dell'Arca saranno sperimentati in una settimana di, convivialità, lavoro, riflessione 40 Come raggiungere le Tre Finestre: Da Palermo: Autostrada PA-CT. Subito dopo l'area di servizio “Gelso Bianco” uscita per MESSINA (tangenziale). Proseguire fino all'uscita PATERNO' e continuare per la SS 121 fino all'uscita PIANO TAVOLA BELPASSO. Seguire le indicazioni per BELPASSO. Giunti a Belpasso attraversare il paese in direzione ETNA NICOLOSI fino alla Piazza di Borrello, dove si trova la Pasticceria Condorelli ARCA IN ITALIA (attenzione: a Belpasso ci sono altri Bar che hanno lo stesso nome). Da qui seguire le indicazioni RAGALNA. Sulla destra incontrerete degli impianti sportivi comunali e ancora, sempre sulla destra la Fabbrica Condorelli. Dopo circa 100 m. sulla sinistra imboccare una stradina sterrata all'inizio della quale c'è un cartello con l'indicazione “Strada Vicinale Sciddicuni”. Proseguire fin quando la strada diviene asfaltata. Il primo cancello sulla destra porta ad una casa di colore rosa: siete arrivati. Da Messina: Austrada ME-CT. Tangenziale per Palermo.Uscita PATERNO'. A questo proseguire punto come nelle indicazioni da Palermo. CASCIAGO (VA) Dal 17 agosto al 23 agosto Il campo è un'occasione di incontro per chi vuole conoscere attraverso testimoni l'Arca di Lanza Del Vasto e le esperienze che propone. La missione dei membri della Comunità dell'Arca è di vivere lo spirito e i modi della nonviolenza la dove si trovano a vivere secondo la vocazione personale di ognuno. Formando gruppi, fraternità di vita o comunità residenziali, assumendo un impegno con se stessi e con gli altri, dentro una dimensione ecumenica che si pone in un atteggiamento di rispetto per ogni tradizione religiosa. Questo impegno, viene rinnovato ogni anno. Il programma del campo prevede tempi di incontro dedicati agli argomenti che costituiscono la Comunità dell'Arca. Momenti di condivisione sulla sua possibile attualizzazione nella vita quotidiana. Un tempo di lavoro manuale e di servizio per la casa. Un tempo per le danze e il canto. La giornata sarà ritmata da momenti di preghiera a carattere ecumenico. Dove: presso il condominio solidale dell'Ass. “Mondo di Comunità e Famiglia” “Giuseppe Riganti” Via Angela Dell'Acqua 24 CASCIAGO 21020 Varese Date: il Campo inizierà con la cena di lunedì 17 Agosto e terminerà con la colazione di domenica 23 Agosto il numero dei partecipanti è limitato a 40 posti disponibili Alloggio: Sarà possibile alloggiare in camere a più letti, lo stile sarà semplice, portate il vostro sacco a pelo o le lenzuola. La cucina sarà semplice e vegetariana. Quota di partecipazione: Per il Campo chiediamo un contributo spese di € 160 per gli adulti e di € 60 per i bambini sotto i 12 anni. E' necessario inviare una quota d'iscrizione pari a € 50. Se non potete partecipare avvertiteci al più presto in modo tale da poter accogliere qualcun altro al vostro posto. L'acconto non verrà restituito. Come sempre però la questione economica non deve ARCA IN ITALIA 41 IN AUTOMOBILE Autostrada A8 dei Laghi (MilanoVarese) fino a Varese Sempre diritto lungo la Via Magenta, (si lascia sulla sinistra la Piazza Repubblica con il Centro Commerciale Le CORTI)*, Via Volta, Via Sacco (si lascia sulla sinistra il palazzo Estense, grande costruzione rosa). Si prosegue su Via Sanvito e Via Caracciolo, superando alcuni semafori. Alla rotonda di Masnago sulla destra supermercato Esselunga e diritto è segnalato per Laveno, girare a sinistra in direzione “Casciago Morosolo”. Dopo pochissimo stradina sulla sinistra e si arriva al cancello della 42 Villa Galimberti, dopo aver girato a sinistra dalla rotonda non dovete superare un ponticello che passa sopra alla strada, altrimenti siete andati troppo avanti. IN TRENO Dalla Stazione delle Ferrovie dello Stato di Varese, prendere l'autobus di città della linea “E” in direzione “AVIGNO”. Scendere alla fermata di Via Borghi, davanti all'ESSELUNGA DI MASNAGO. Poi valgono le indicazioni date prima per chi arriva in auto. Dalla fermata alla casa ci sono circa cinquecento metri. Per l'iscrizione: Contattate PATRIZIA ZENDALI Tel. 335 6928031 GIAMPIERO ZENDALI Tel. 347 9814021 BOLLETTINO D'ISCRIZIONE = CCP N° 14079214 da inviare a : PATRIZIA ZENDALI Via Sotto Campagna 65 21020 COMABBIO SPECIFICARE CUSALE ; CAMPO DELL'ARCA ISCRIZIONE -NOME E COGNOME - ETA' e PROFESSIONE -INDIRIZZO - N° TELEFONO n° ARCA IN ITALIA CAMPO-CANTIERE INTERNAZIONALE “GIOVENTU' E NONVIOLENZA” ARCA NEL MONDO essere un impedimento per nessuno, basterà parlarne con gli organizzatori. Consigli pratici: Non portate animali ma la vostra chitarra o il vostro flauto saranno preziosi per animare la festa che concluderà il Campo. Portare abiti bianchi per la festa. E' prevista a metà Campo una gita che organizzeremo nei dintorni. Come arrivare a Casciago Francia, Jaoul (La Borie Noble, Herault, a due ore da Montpellier) 6-20 luglio 2009 Questo campo-cantiere internazionale è un luogo di incontro dove si condividono le conoscenze e le esperienze di ciascuno per approfondire i temi relativi alla nonviolenza mediante attività di cantiere, laboratori pedagogici e attività artistiche. Questo campo è indirizzato ai giovani e agli adolescenti, così come alle famiglie che li volessero accompagnare. Il campo accoglie tre gruppi di partecipanti così suddivisi: “giovani dai 14 ai 17 anni”, “giovani di oltre 18 anni” “ accompagnatori e famiglie”. Il campo si svolge a “Jaoul”, a due Km. da La Borie Noble, sistemazione in tenda. Ognuno deve portare la propria tenda, un sacco a pelo e un tappeto per le attività. Gli istruttori che seguono i minorenni hanno una formazione specifica per l'animazione di campi di giovani e i diplomi necessari( pronto soccorso, BAFA ecc...). Il campo non è però una colonia; è essenziale che i partecipanti abbiano deciso autonomamente di parteciparvi; il loro interesse per la nonviolenza è condizione essenziale per gli scambi fra le persone. I partecipanti sono essi stessi anche organizzatori; vengono suddivisi in vari gruppi che a turno animano le giornate e le veglie. Accogliamo giovani dell'Europa e dei paesi vicini in partenariato con il Servizio Civile Internazionale. Il campo è bi-lingue, francese-inglese. Quello che lo caratterizza, dal punto di vista pedagogico e relazionale, è che gli animatori dei laboratori non sono lì per insegnare, utilizzano certo le loro competenze per dirigere meglio la dinamica degli scambi, ma la teoria viene costruita insieme attraverso la condivisione dell'esperienza e il vissuto di ciascuno. Partiamo dal principio di imparare gli uni dagli altri. Il nostro scopo è rafforzare una cultura di pace mediante l'educazione, sviluppare la comprensione, la tolleranza e la solidarietà; incentivare la comunicazione partecipativa e la libera circolazione dell'informazione e della conoscenza. Pensiamo infatti che l'educazione dei giovani alla nonviolenza sia il miglior modo per assicurare un avvenire di pace, dando loro i mezzi per apprendere a risolvere i conflitti in modo pacifico. Per iscrizione e informazioni: e.mail: [email protected], sito: www.jeunesse-non-violence.org ARCA NEL MONDO 43 COMUNICATO STAMPA Crotone 1 Marzo 2009 Grande successo della Manifestazione “Crotone, 1 Marzo 2009 - Dall'Alleanza al Progetto”. Circa 10.000 partecipanti al corteo, provenienti da ogni parte d'Italia, sopratutto della Calabria, che hanno riempito le strade della città. La rete dell'Alleanza con la Locride e la Calabria, contro la 'ndrangheta e le massonerie deviate, per la democrazia ed il bene comune, scesa in piazza il 1 Marzo 2008 a Locri, in questo ultimo anno si è ampliata e consolidata, portando a Crotone entusiasmo e speranza di cambiamento. Dal palco, i saluti delle istituzioni locali, del presidente del Consiglio Comunale di Firenze, presente con il Gonfalone, del Vescovo della Diocesi di Crotone - Santa Severina, Mons. Domenico Graziani, che ha seguito dal palco tutta la manifestazione. Di seguito, gli interventi dei responsabili degli enti facenti parte delle cabine di regia, nazionale e regionale, che oggi governano l'Alleanza. Il Presidente del Consorzio Goel, Vincenzo Linarello, ha illustrato nel suo intervento i progetti concreti su cui, da domani, si andrà a lavorare per realizzare gli obiettivi contenuti nel manifesto dell'Alleanza: 1.Comunità Mutualistiche 2.Fondazione di Comunità 3.Scuola per Dirigenti di Imprese Comunitarie 4.Combattere le infiltrazioni al nord Primo passo di questo progetto di cambiamento, la costituzione di un organismo che raccoglierà tutti coloro che hanno sottoscritto l'Alleanza, singoli ed enti, e che avrà lo scopo di fungere da comitato promotore della Fondazione di Comunità e delle Comunità Mutualistiche. Un cammino, oltre che di speranza, di comunione, teso a valorizzare ed esaltare le diversità, facendole convergere nei progetti di cambiamento, locali e nazionali, cui tutti sono chiamati a far parte. La sera del 28 marzo, grande partecipazione alla Veglia di preghiera per la democrazia e la libertà in Calabria, che ha preceduto l'evento, presso la Cattedrale di Crotone. Stamattina nell'edificio della Comunità di Liberazione (di cui è responsabile Vincenzo Linarello) e della cooperativa sociale l'Utopia (entrambi soci del consorzio sociale GOEL) è stato rilevato un furto di monitor LDC ad opera di ignoti. Anche lo scorso anno, dopo il 1 Marzo, vi sono stati pesanti danneggiamenti ad una struttura per malati psichiatrici destinata al Consorzio Sociale GOEL. Gioiosa Jonica 04.03.2009 44 RICORDANDO ALBERTA Giovedì 26 febbraio è mancata. Alberta Nelli, la genovese di Ivrea, alleata della comunità dell'Arca. Raccogliamo in questa pagina i messaggi ed i pensieri che ci siamo scambiati nelle giornate immediatamente successive. " Cara Alberta in tutti questi anni abbiamo condiviso in quella che oggi è la Comunità dell'Arca gioie, fatiche, impegno e speranze, abbiamo creduto e crediamo ancora con te che un mondo diverso è possibile. Abbiamo camminato con te, compagna generosa e disponibile lungo questa strada tracciata da Gandhi e Lanza del Vasto credendo nella nonviolenza come scelta di vita. Oggi tu continui questo cammino in una dimensione diversa. Grazie Alberta per quello che sei stata e ci hai donato. vogliamo salutarti con la preghiera che tante volte abbiamo recitato insieme, la preghiera del fuoco" Mi sono sentita e permessa di dire queste parole per ricordarla come Comunità dell'Arca al termine della celebrazione. Non ho potuto concordarle con voi e me ne scuso, ma spero possiate condividerle. Patrizia Zendali Vogliamo tenere nella nostra mente un momento dell'ultima volta che Alberta venne a Palermo. Volle fare il bagno nell'acqua fresca e trasparente di Mondello. Vogliamo ricordarla cosi': temeraria e felice tra le onde del mare nella tarda estate siciliana di novembre. Ci manchera' la nostra forte e fragile compagna di viaggio. Restera' sempre nel nostro cuore il suo sorriso luminoso, intelligente e gioioso. Pace Forza e Gioia Enzo e Maria Santifilippo Carissimi, Vanna ed io ci uniamo a tutti voi nel dolore per il passaggio di Alberta, nonostante la sua vitalità e lo sforzo che ha fatto, insieme al nostro piccolo aiuto di preghiera, per resistere al male. A me piace ricordarla quando passando io per Ivrea, mi invitò a cena per presentarmi Leo, che aveva appena felicemente sposato; aveva assunto una nuova dimensione. E poi quando, quattro anni fa, essendo lei in vacanza sul Tirreno, venne a trovarci e, io con la gamba zoppa per l'incidente che avevo RICORDANDO ALBERTA 45 avuto col motorino, andammo a pranzare assieme, in una giornata piena di sole. Suo nonno era originario di qui di Calci e lei si interrogava su questo luogo come luogo delle sue radici. Che lei continui a darci il sostegno che ha sempre voluto darci Pace Forza e Gioia Tonino In onore di Alberta, che era anche alleata della Comunità dell'Arca, dal libro di Lanza Del Vasto cito le ultime parole della lettera che la moglie Chanterelle scrisse due mesi prima di morire e le parole conclusive dei sette voti: Ed ecco! Sono infine stata esaudita! Sono finalmente sola davanti a Te solo. Cari compagni, cari amici, tutto il bene che mi volete ricada su di voi, qualunque cosa succeda. Lodiamo dunque e benediciamo il Signore e serviamoLo con tutte le nostre forze, finchè abbiamo forze, ed Egli si glorifichi nella nostra debolezza quando non ne abbiamo più. così come Mario, e io ero lì per sostituirlo. Poi tutta la famiglia è venuta per due anni a La Longuera con altre famiglie italiane; era già malata ma piena di speranza, quella speranza che ci permette di vivere nei momenti difficili della vita. Ma la vita umana è molto fragile e vulnerabile. Solo Dio conosce il momento in cui termina la nostra missione in questa forma di esistenza. La sofferenza di Alberta è ora finita e la sua anima ha iniziato il suo volo fino alla LUCE, la PACE e l'AMORE ETERNO. I momenti difficili della perdita e assenza della sua presenza fisica cominciano ora per la sua famiglia. Quelli che sono lontani, come noi, possono solo pregare per inviare a loro la nostra energia; ma voi che siete vicini dovete star loro accanto nel loro dolore e aiutarli a superare questo momento così difficile. Mio marito ed io e tutta l'Arca Spagnola inviamo a loro e a voi tutti il nostro forte abbraccio di pace e forza nella sofferenza. Rosa Rosa Valles Spagna Dacci, Signore, di portyare il nostro voto fino alla fine, di conoscerTi, di amarTi, di servirTi, infine di essere. AMEN Pierangelo Monti Cara Laura, la notizia della morte di Alberta ci dà profonda pena. Marta e Antonio hanno un bellissimo ricordo di lei, del suo impegno e fiducia nell'arca, della bella persona che era. Come credenti sappiamo che questo è solo un passaggio e che ora starà godendo della totale pienezza là dove si trova. Il nostro affettuoso ricordo a suo marito e ai suoi figli, il nostro cuore è con lei assieme a tutti i compagni dell'Arca. Che la pace, la forza e la gioia siano in tutti noi . Un abbraccio Casa del Arca di Buenos Aires. Monica Alonso Casa del Arca di Buenos Aires Sono commossa dalla notizia della scomparsa di Alberta, che ora è presso l'Amato/a. E' stata una grande grazia per voi l'aver ricevuto tanta saggezza e forza da lei come per me per il tempo che ebbi modo di conoscerla. Sono con voi nella preghiera, per la quale le distanze non esistono. La consolazione viene dalla gioia interiore. Ad ognuno auguro pace, forza e gioia. Martha Bonilla Martha Bonilla - Ecuador Cara Laura, grazie di farci partecipi di questa triste notizia. Ieri, mio marito José Luis et io, abbiamo molto pensato a tutta la sua famiglia e pregato per loro affinché Dio li protegga con il suo amore e la sua misericordia, e che possano far fronte a tanta sofferenza e dolore. Alberta era una donna piena di gioia e di tenerezza. L'ho incontrata la prima volta nel gennaio 2004, in occasione del Capitolo dell'Ordine a St. Antoine; lei faceva parte della CIMA, 46 RICORDANDO ALBERTA RICORDANDO ALBERTA 47