la sindrome di alienazione genitoriale
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la sindrome di alienazione genitoriale
Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI 367 LA SINDROME DI ALIENAZIONE GENITORIALE (PAS): FATTORI EZIOLOGICI, CRITERI DI IDENTIFICAZIONE E PROPOSTE DI INTERVENTO – (PARTE II) Annalisa Ritucci* - Vincenzo Orsi** - Ignazio Grattagliano*** key words: Sindrome di Alienazione Genitoriale, campagna di denigrazione, abuso emotivo 8. I CONTESTI DELLA PAS: SISTEMI FAMILIARI ED EXTRAFAMILIARI Giorgi (2001) ritiene possibile distinguere due principali livelli contestuali della Sindrome di Alienazione Genitoriale: un contesto primario ed un contesto esteso di attuazione e manifestazione della PAS. Il primo livello (Fig. 2) fa riferimento alla specifica dinamica del processo di alienazione e ai suoi tre protagonisti (genitore alienante, genitore alienato, minore); il secondo livello (Fig. 3) si riferisce, invece, alle molteplici connessioni esistenti tra il sistema familiare ed altri sistemi, ovvero tutte quelle terze persone che possono rivestire un ruolo rilevante nell’attenuare o accrescere le conseguenze della PAS su più piani (familiare, extrafamiliare, dell’intervento legale, sociosanitario, ecc.). Alcuni autori (Lodge, 1998; Waldron, Joanis, 1996) concepiscono la PAS come espressione di un sistema familiare disfunzionale, evidenziando che tale sindrome non può e non deve essere considerata solo come l’effetto di un “lavoro”, conscio o meno, relativo al solo genitore alienate, bensì come: “una dinamica familiare in cui tutti i membri della famiglia ‘giocano’ un ruolo, hanno ed esprimono le proprie motivazioni per resistere al cambiamento” (Waldron, Joanis, 1996). * Dottoressa in Psicologia Clinica dello Sviluppo e delle Relazioni. Università di Foggia, Facoltà di Medicina e Chirurgia. *** Sez. Criminologia Clinica e Psichiatria Forense, Fac. Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari. ** 368 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI Figura 2. Il contesto primario della Sindrome di Alienazione Genitoriale (fonte: Giorgi, 2001) In linea con tale concezione Ward (1996) sostiene la necessità di un approccio sistemico al fenomeno PAS. L’Autore definisce “divorce impasse system” il sistema di relazioni che si realizzerebbe a seguito della situazione di stallo creata dagli eventi “separazione” e “divorzio”, che possono indurre all’interno del nucleo familiare modificazioni, graduali o forzate, di ruoli, confini e dinamiche. È importante, dunque, articolare l’analisi su più livelli: 1. 2. 3. un livello definibile interno, proprio del singolo individuo; un livello definibile interazionale, proprio del contesto primario familiare (livello “intrafamiliare”, riferito alle relazioni tra i membri della famiglia); un livello definibile esterno, esteso a tutti i sistemi interagenti con il sistema familiare. “Una impasse a qualunque di questi livelli provoca una reazione dell’intero sistema e le modalità di risposta di ciascun membro di ogni sistema coinvolto possono influenzare tutti gli altri membri, in particolar modo il minore […] Come membro del sistema familiare, il bambino è ‘attaccato’ legalmente, emozionalmente e psicologicamente da ciascuno dei suoi genitori. In qualità di ‘membro’ del ‘divorce impasse system’, al minore viene richiesto di allinearsi necessariamente con uno o con l’altro e di mantenere tale alleanza leale ed esclusiva” (Ward, 1996). Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI 369 Figura 3. Il conteso esteso della Sindrome di Alienazione Genitoriale (fonte: Giorgi, 2001) Accanto alla collusione familiare, nella quale ogni membro della “triade” ricopre un ruolo che ben si intreccia con quello degli altri in modo da rinforzare e perpetuare modalità relazionali disadattive, Malagoli Togliatti e Franci (2005) evidenziano la coesistenza di una collusione extrafamiliare che vede coinvolti diversi sistemi: le famiglie di origine di entrambi i genitori, i parenti, gli amici, il nuovo partner. Il genitore alienante è una persona ancora fortemente invischiata con la propria famiglia, da cui si sente fortemente dipendente; la dipendenza è chiaramente reciproca, per cui la famiglia di origine appoggerà le scelte e le convinzioni di un figlio che vive il dolore della separazione e, ove presente, del tradimento. Allo stesso modo la famiglia di origine del genitore alienato si sentirà solidale col proprio figlio nel modo di vivere l’allontanamento e la denigrazione. Anche Gulotta (1998) sottolinea che un ruolo importante nell’attenuare o accrescere le conseguenze della PAS è rivestito dalle terze persone che, oltre alla famiglia, entrano a far parte della disputa per l’affidamento dei figli. Dopo la separazione, si assiste spesso alla creazione di vere e proprie alleanze di amici e parenti dell’ex-coppia con uno dei due membri: costoro, ascoltando la “versione” della storia matrimoniale di una sola parte, tendono a perdere la 370 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI visione obiettiva dei fatti. Se, per un verso, tale situazione è normale e i nuovi “alleati” hanno spesso la funzione di supportare affettivamente l’ex-partner nel difficile momento che segue la separazione, esiste, tuttavia, il rischio che essi possano rappresentare un fattore facilitante l’instaurarsi della PAS, poiché in alcuni casi collaborano, più o meno inconsapevolmente, a sostenere le manovre del genitore alienante. Un ruolo di particolare rilevanza nelle dinamiche relazionali che si instaurano dopo l’evento separativo è sicuramente quello rivestito dai nuovi partner: essi possono generare e alimentare il conflitto fra ex-coniugi facendo pressioni per ottenere concessioni in merito alle visite dei figliastri o al loro affidamento e possono, dunque, fungere da suo catalizzatore fino a spingere l’altro ad alienare il figlio dall’ex-partner e, in casi estremi, ad indurlo a sostenere false accuse di maltrattamenti o di abuso sessuale. Più spesso, un fattore indiretto connesso ai nuovi partner che favorisce l’instaurarsi della PAS è quello relativo alle differenze culturali, sociali e religiose con l’altro genitore, che può fungere da ulteriore motivo di allontanamento del figlio (Gulotta, 1998). Malagoli Togliatti e Franci (2005) ricordano, inoltre, il ruolo del sistema legale nel mantenimento e nella cronicizzazione della PAS, sottolineando che, proprio per la dinamica di antagonismi su cui è fondato, tale sistema può perpetrare la filosofia del “vincitore e del vinto”, colludendo con il meccanismo su cui si fonda la PAS (Gardner, 2002a). Inoltre l’intervento degli avvocati e dei Giudici può contribuire ad una esasperazione del conflitto, deresponsabilizzando i genitori che spesso delegano al Tribunale il proprio potere decisionale genitoriale o strumentalizzano l’intervento del Giudice al fine di imporre la propria volontà. Salluzzo (2006) ritiene opportuno sottolineare non solo la palese inadeguatezza, ma addirittura la pericolosità del contesto giudiziario nel trattare la conflittualità familiare, tanto che, a suo avviso, la PAS potrebbe configurarsi come una “patologia iurigena” (Salluzzo, 2004). L’Autore evidenzia, inoltre, quanto sia difficile per chiunque (inclusi gli psicoterapeuti) rimanere neutrale nelle dispute sull’affidamento ed evitare di cadere in “agiti difensivi”. Gulotta (1998), a tal proposito, invita a non dimenticare il ruolo che possono rivestire i professionisti della salute mentale nelle dinamiche conflittuali tra genitori separati e nell’eventuale instaurarsi della PAS. In veste di esperti chiamati ad esprimere valutazioni con valenza giuridica, essi dovrebbero innanzitutto essere pienamente consapevoli delle conseguenze deleterie derivanti da una cattiva gestione del ruolo che rivestono nel conflitto genitoriale. “È dunque necessario che si facciano carico, anche quando ufficialmente di parte, dell’intera situazione familiare, considerando la disputa genitoriale non come un gioco “a somma zero” in cui uno vince e l’altro perde, ma come oppor- Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI 371 tunità per tutti per far valere i propri interessi. Se ciò rientra di diritto nel ruolo del C.T.U., anche i consulenti di parte dovrebbero tenere presente che l’interesse primario è quello del minore, che non può certo essere diverso da quello dei genitori seppur questi non se ne rendono talvolta conto; nel caso sospetti la presenza di una PAS, il consulente del genitore alienante dovrebbe astenersi dal supportare le sue richieste e aiutarlo, invece, a comprendere che, continuando a mettere il figlio contro l’altro genitore, non lo sta tutelando ma, al contrario, lo sta danneggiando psicologicamente” (Gulotta, 1998). Tra i professionisti della salute mentale, merita specifica attenzione il ruolo dello psicoterapeuta dei figli, che può diventare parte del sistema che alimenta la PAS, in particolare quando le uniche persone con cui effettua i colloqui sono il genitore alienante ed il figlio. Nei fatti il genitore che sceglie lo psicoterapeuta per il figlio, lo accompagna per la seduta e si fa carico del pagamento, è nella posizione di influenzare lo psicoterapeuta in merito al suo ruolo, agli obiettivi della terapia ed all’eventuale partecipazione di terzi. In tale situazione, inoltre, lo psicoterapeuta si trova a svolgere la terapia sulla base di informazioni incomplete o false, e ciò può rinforzare in lui l’idea che il bambino debba essere “salvato” dal genitore “cattivo”, che è, in realtà, il bersaglio dell’alienazione genitoriale. Malagoli Togliatti e Franci (2005) ricordano, infine, il rischio, per i professionisti della salute mentale chiamati a valutare la situazione, di colludere con le richieste del genitore alienante e del figlio indottrinato, credendo alle loro dichiarazioni senza effettuare un’indagine più approfondita e valutare cosa rappresenti davvero il preminente interesse del minore. “Per questo motivo da parte dei professionisti deputati a valutare queste situazioni sono necessari una conoscenza approfondita della materia ed un aggiornamento continuo sulla letteratura internazionale. La valutazione deve essere, inoltre, effettuata caso per caso ed affidata a persone che abbiano una specifica competenza professionale in materia. Ciò potrà servire ad evitare pericolose generalizzazioni e l’innescarsi di conflitti ulteriori rispetto a quelli già normalmente presenti nell’ambito dell’affidamento dei figli, l’interesse dei quali – è bene ricordarlo – deve essere punto di partenza e di arrivo di qualsiasi intervento psicologico e di ogni decisione giudiziaria” (Gulotta, 1998). 9. GLI EFFETTI DELLA PAS SUI FIGLI La PAS costituisce una forma di “abuso emotivo” (Gardner, 1998b, 1999a) che si sostanzia nell’esposizione continuata dei figli all’opera di programmazione del genitore indottrinante, il quale trasmette loro, oltre al suo 372 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI odio patologico, un vissuto di minaccia incombente legato ai “pericolosi” tentativi di avvicinamento da parte dell’altro genitore. Come evidenziato da Burgess, Hartman e McCormack (1987), la ripetuta esposizione ad esperienze di abuso in età evolutiva può determinare l’attivazione di alcuni meccanismi difensivi propri della patologia borderline: onnipotenza, svalutazione e dissociazione. Salluzzo (2006) ricorda che nei casi di abuso è frequenze l’adozione del meccanismo del diniego, ovvero la negazione della propria vulnerabilità; solo in seguito si attiverebbe quello dell’identificazione con l’aggressore, attraverso il quale i minori possono percepire un sentimento di onnipotenza e di potere sull’altro, che viene, quindi, svalutato ed oggettivizzato. Ai soggetti coinvolti in abusi occorre, inoltre, un alto livello di dissociazione per impedire l’emergere di sentimenti di identificazione con il soggetto aggredito e di dolore e colpa. Gardner e altri autori (Gulotta, 1998; Darnall, 1997, 1998a, 1998b; Major, 1999a, 1999b) tendono a distinguere effetti a breve e a lungo termine sul minore: tali effetti possono dipendere non solo da variabili quali le tecniche di programming utilizzate, la loro intensità e durata, l’età del figlio, la possibilità di intrattenere sane relazioni extrafamiliari non allineate né invischiate, ma, soprattutto, dalla valenza, dal livello di significatività e dalla considerazione della situazione da parte dello stesso minore. In generale, tra gli effetti osservati e riportati si evidenziano: ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ aggressività; scarso controllo e tendenza all’acting-out; comportamento ostile generalizzato verso amici, parenti e colleghi del genitore bersaglio; disorientamento, confusione emotiva e intellettiva; disordini alimentari, del sonno, dell’attenzione e psicosomatici in generale; alto livello di dipendenza emotiva, passività e bassa autonomia; bassa autostima, tendenza alla depressione e alla regressione; disturbi psicosomatici; disturbi dell’identità, tendenza a sviluppare problemi sessuali, di identità di genere, relazionali, emotivi; difficoltà di decentramento cognitivo, eccesso di razionalizzazione; futuro carattere manipolatorio e/o materialistico; comportamenti autodistruttivi e/o ossessivo-compulsivi; tossicodipendenza e alcoldipendenza; egocentrismo, narcisismo e Falso Sé; problemi scolastici; presenza di sindromi di tipo psichiatrico nei casi di severe PAS. Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI 373 Gardner (1998b, 2001a), in particolare, elenca un ventaglio di alterazioni psicopatologiche che possono colpire i figli e che vanno dalla mancanza di rispetto per le autorità, al narcisismo, all’indebolimento delle capacità empatiche, fino a giungere alla compromissione dell’esame di realtà e alla paranoia. Sia per i genitori alienanti che per i figli possono diagnosticarsi (Gardner, 2001a) il Disturbo Psicotico Condiviso (folie à deux) o il Problema Relazionale Genitore-Bambino. Mentre per il genitore alienante, sono riscontrabili il Disturbo Delirante (in particolare il Tipo di Persecuzione) o i Disturbi di Personalità Paranoide, Narcistico e Borderline, per i figli, invece, sono riscontrabili i Disturbi della Condotta o d’Ansia di Separazione o Dissociativo NAS o, ancora, tutti i tipi di Disturbi dell’Adattamento (A.P.A., 2001). Waldron e Joanis (1996) sostengono che uno degli effetti più devastanti per i minori coinvolti nella sindrome è rappresentato dall’apprendere che comportamenti ostili e veicolati dall’odio e dalla vendetta sono “accettabili” nelle relazioni interpersonali e, di conseguenza, che l’inganno e la manipolazione costituiscono “modalità normative” all’interno di una relazione e parti integrati della stessa. A motivo di tale esperienza esiste, di fatto, una certa probabilità che i figli alienati diventino a loro volta genitori alienanti o abusanti, oppure manifestino, nei prodromi dell’età adulta, le stesse caratteristiche psicopatologiche del genitore alienante, specie se la sindrome ha raggiunto il livello più grave; la netta dicotomia tra “bene” e “male”, il pervasivo disorientamento affettivo e cognitivo e la forte discrepanza tra “realtà” e “programma”, perdurando in adolescenza e stabilizzandosi in età adulta, possono determinare disarmonie e squilibri in diversi ambiti dello sviluppo. Buzzi (1997) osserva che i PAS children possono essere irrispettosi, non collaboranti, ostili, maleducati, ricattatori e ricattabili; possono, inoltre, fare della manipolazione un abituale strumento di gestione delle relazionali interpersonali. L’Autrice sottolinea, inoltre, la frequente presenza in questi ragazzi di disturbi dell’identità (in particolare della sfera sessuale) e la loro maggiore vulnerabilità alle perdite e ai cambiamenti; spesso regrediscono a livello morale e continuano a ragionare, anche oltre l’adolescenza, in termini di assoluta dicotomia tra “bene” e “male”. “Le regressioni possono essere presenti anche in altri ambiti di sviluppo, in quanto il processo psicologico in atto è molto costoso, tanto da determinare un’ampia confusione cognitiva, una dissonanza ingestibile tra realtà e programma e la creazione di figure genitoriali immaginarie a sostituzione del genitore perduto. Sono, tuttavia, solo i figli più dipendenti ad essere vulnerabili alla programmazione, così come quelli con bassa autostima, quelli che si sentono col- 374 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI pevoli per qualcosa che pensano di aver fatto, quelli che già avevano problemi emotivi o psicologici al momento delta separazione” (Buzzi, 1997). 10. LINEE DI INTERVENTO AL CONFINE TRA PSICOLOGIA E GIUSTIZIA • La proposta di R. Gardner: l’Intervento Terapeutico Cooperativo Secondo Gardner (1991a, 1992a, 2001a, 2001b) è indispensabile che gli interventi finalizzati alla ricostruzione del legame tra minore e genitore alienato e al contenimento degli effetti della Sindrome di Alienazione Genitoriale siano realizzati in stretta collaborazione tra professionisti del settore legale e di quello socio-sanitario (Intervento Terapeutico Cooperativo, Tab. IV); l’Autore ribadisce, infatti, più volte il concetto della necessità di un lavoro sinergico dal momento che “nessuna delle due discipline, giuridica e psicologica, può efficacemente e significativamente intervenire sulla situazione in maniera autonoma” (Gardner, 2001b). Se da un lato, dunque, i professionisti del settore sociosanitario necessitano del consenso istituzionale dei Tribunali per svolgere il proprio lavoro, dall’altro le figure professionali operanti in campo giuridico necessitano di un adeguato e qualificato supporto diagnostico-valutativo e terapeutico per intervenire sui casi di PAS (Byrne, Maloney, 1993; Gardner, 2001a). Gli interventi integrati legali e psicoterapeutici dovrebbero essere attuati e valutati in riferimento al livello della sindrome osservato (lieve, medio o grave), tenendo conto, quindi, del grado di psicopatologia del genitore alienante (Gardner, 1999b; Lund, 1995). Per il livello lieve non sono richieste particolari modalità di intervento: è solitamente sufficiente che il tribunale confermi l’affidamento del bambino al genitore alienante, con l’auspicio che in tale situazione l’alienatore, sentendosi rassicurato nel suo ruolo di custode primario, possa attenuare il livello di programmazione del bambino, permettendo così un alleviarsi della sintomatologia PAS senza alcun ulteriore intervento psicoterapeutico o legale. Alcuni autori sostengono l’importanza di interventi di tipo informativo e preventivo per le coppie già a partire da questo livello, soprattutto per quanto concerne il rapporto con il minore e gli effetti su quest’ultimo di una prolungata situazione familiare conflittuale (Ward, 1996). La sensibilizzazione degli esperti del settore appare, inoltre, fondamentale onde evitare di cadere in pericolosi errori di valutazione ed improprie e fallimentari forme di gestione della situazione (Gardner, 2000). Per il livello medio Gardner (1985, 1987, 1991b, 1999b) propone due piani di intervento: l’adozione dell’uno o dell’altro avverrà in base alla presumibile tenacia con cui l’alienatore proseguirà nella sua opera di programmazione e alla gravità della sintomatologia PAS nel bambino. Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI 375 Tabella IV. L’Intervento Terapeutico Cooperativo (fonte: Giorgi, 2001) Grado della Sindrome Lieve Il Tribunale ordina che l’affidamento sia lasciato al genitore alienante Moderato PIANO A 1. Il Tribunale ordina che l’affidamento sia lasciato al genitore alienante. 2. Designa un terapeuta formato sulla PAS. 3. Sanzioni previste: a) deposito di una cauzione b) sanzioni pecuniarie c) lavori socialmente utili d) libertà vigilata e) arresti domiciliari f) arresto in carcere Approccio legale Grave 1) Il Tribunale ordina che l’affidamento sia trasferito al genitore alienato 2) Il Tribunale ordina il posizionamento del minore in un sito di transizione (Transitional Site Program) PIANO B 1. Il Tribunale ordina che l’affidamento sia trasferito al genitore alienato. 2. Designa un terapeuta formato sulla PAS. 3. Drastiche restrizioni delle visitations da parte del genitore alienante; può essere richiesta una supervisione durante gli incontri per prevenire il programming. Normalmente non necessario Approccio psicoterapeutico Piani A e B Trattamento terapeutico ad hoc condotto da un esperto in terapia familiare o relazionale e formato sulla PAS Monitoraggio del Transitional Site Program da parte del terapeuta designato dal Tribunale 376 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI Il primo intervento congiunto istituzionale (Tab.IV, piano A) prevede che il tribunale confermi l’affidamento al genitore alienante e designi un terapeuta esperto di PAS che interagisca con l’alienatore e il bambino, effettui il monitoraggio degli incontri, utilizzi il suo studio come luogo di passaggio e riferisca al tribunale ogni eventuale inconveniente nell’attuazione del programma delle visite. È prevista, inoltre, la messa in atto di sanzioni per il mancato rispetto del piano istituzionale, nel caso in cui, cioè, i genitori alienanti tendessero a non collaborare o a manifestare ostruzionismo e aperta opposizione al programma stesso. Qualora, invece, il processo di alienazione costituisca l’esclusivo modus vivendi del sistema familiare e si ritenga possibile una progressione della PAS al grado grave, è opportuno optare per un piano alternativo di intervento (Tab. IV, piano B), disponendo il trasferimento dell’affidamento al genitore alienato, l’avvio di un programma psicoterapeutico specifico per la PAS e, se necessario, l’attivazione del Transitional Site Program. Nei casi di PAS moderata la terapia riveste una connotazione particolare: non deve essere, infatti, mirata all’incremento dell’insight genitoriale rispetto alla situazione ma all’organizzazione e alla ristrutturazione delle visitations. L’intervento terapeutico, inoltre, dovrebbe sostenere il genitore non-affidatario nella gestione della relazione con il figlio attraverso specifiche tecniche di comunicazione (ad es. il contenimento del rifiuto del minore), nonché mirare alla deprogrammazione del minore stesso e a “sfatare” le tecniche overt e covert di alienazione del genitore affidatario (Gardner, 1999b, 2000, 2001a, 2001b), mirando alla costruzione e al mantenimento in quest’ultimo di una identità esterna al conflitto ed alternativa al centralizzato ruolo genitoriale (Lund, 1995). Nella PAS di grado grave, poiché i minori hanno ormai instaurato una relazione di folie à deux con l’alienatore e condividono le sue fantasie paranoidi circa il genitore alienato, è necessario adottare misure più severe se si vuole avere una qualche speranza di alleviare la sintomatologia del bambino. In questi casi Gardner (1985, 1987, 1992b, 1998a, 2001a) suggerisce di attuare il cambio di residenza del minore e il trasferimento dell’affidamento al genitore alienato (change in custody o changement de garde): questa soluzione può assumere carattere univoco e definitivo in base al comportamento del genitore alienante, in funzione, cioè, della sua sostanziale volontà o capacità di aderire e collaborare con il programma istituzionale e di sottoporsi ad un trattamento psicoterapeutico ad hoc. Al fine di evitare gli aspetti di criticità legati all’immediato trasferimento del bambino dall’abitazione dell’alienatore a quella del genitore alienato è opportuno che la transizione verso il genitore non affidatario in tali casi sia attuata attraverso un processo graduale: Gardner chiama tale procedura Transitional Site Program e la articola in tre livelli e in sei fasi principali (Gardner, Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI 377 1998a, 2001b). Tale programma mira a rendere il minore più “cooperativo” e dovrebbe essere avviato, monitorato e valutato sia dal Tribunale che dai professionisti sociosanitari; esso coinvolge, in qualità di luoghi neutri di transizione, non solo le residenze di parenti ed amici “non allineati” con i quali il minore abbia sempre avuto una relazione sana e positiva (Amato, Rezac, 1994) ma anche istituti per minori o, nei casi più gravi, dipartimenti di salute mentale per soggetti in età evolutiva. In un articolo pubblicato nel 2001, Gardner ha descritto 99 casi in cui è stato direttamente coinvolto come professionista e ha suggerito alla Corte, per ciascuno di essi, il cambiamento di affidamento primario: la sua proposta è stata accettata in 77 casi (il 78% circa). Nei casi in cui le Corti non hanno né attuato il cambiamento di affidamento proposto, né ridotto, neanche in minima parte, la possibilità di contatto tra il minore e il genitore alienante, l’Autore ha rilevato, attraverso interviste di follow-up, un evidente consolidamento delle manifestazioni e degli effetti della PAS. Le ipotesi di intervento formulate da Gardner hanno suscitato non poche critiche. Stahl (1999) mette in discussione la validità di una soluzione quale il cambiamento di affidamento, ritenendo che possa essere funzionale al solo contenimento delle manifestazioni della sindrome e non, in realtà, al migliore interesse per il minore: “quando un bambino possiede un forte attaccamento, anche se non particolarmente salutare, con il genitore alienante, un brusco cambiamento potrebbe essere ugualmente pericoloso a livello emotivo”. Mentre Palmer (1988) e Cartwright (1993) hanno sostenuto l’importanza di attuare “energici decreti” per contrastare la potenza del processo di alienazione e Turkat (1994) ha supportato l’ipotesi di Gardner ribadendo la necessità di attuare la soluzione del cambio d’affido nei casi gravi di alienazione, altri autori sono, invece, favorevoli all’adozione di un atteggiamento più cauto, specie in presenza delle famiglie che presentano un livello di PAS grave. Waldron e Joanis (1996), ad esempio, pur sostenendo la necessità della collaborazione tra professionisti del settore legale e di quello sociosanitario, evidenziano l’opportunità di un “approccio specie-specifico” con le famiglie e la sostanziale inefficacia di un metodo univoco (da loro definito sostanzialmente “sbrigativo”) quale, appunto, il “change in custody”. Anche molti professionisti del settore legale nutrono forti perplessità in merito a tale ipotesi: la considerano, infatti, una soluzione estrema e potenzialmente pericolosa, ribadendo, inoltre, la fondamentale mancanza dello status di “objective standard” della stessa PAS e di un suo unanime riconoscimento all’interno della comunità scientifica (Stahl, 1999). Il dibattito, tuttavia, è ancora aperto e i modelli di intervento proposti ancora in fase ampiamente sperimentale. 378 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI • Il ruolo dei professionisti negli interventi sui casi di PAS Tra le numerose rilevanti questioni sollevate dall’opera di Gardner particolare importanza riveste quella relativa al ruolo dei professionisti che a vario titolo intervengono nelle dispute per l’affidamento dei figli: giudici, avvocati, periti, consulenti di parte, psicoterapeuti, mediatori, educatori, operatori del sociale. Accanto, infatti, alla possibilità di svolgere un lavoro proficuo in ciascun caso familiare, esiste il rischio che i professionisti colludano con le dinamiche conflittuali del “divorce impasse system” (Ward, 1996) e finiscano con il polarizzarsi all’interno del sistema esteso (Fig. 3), divenendo a loro volta divisi e litigiosi e, soprattutto, “dimostrando ai minori l’inadeguatezza e l’incapacità degli adulti nel loro mondo” (Waldron, Joanis, 1996). Per quanto riguarda il ruolo dei giudici, si raccomanda di valutare con maggiore attenzione le dinamiche attive nei contesti familiari ad elevata conflittualità e di avvalersi sempre di professionisti in grado di riconoscere la presenza della PAS o, comunque, di consulenti con una preparazione specifica in materia, in particolare quando si tratta di valutare se la preferenza di un minore verso questo o quel genitore sia genuina o indotta (Gardner, 1991a, 1998b; Gulotta, 1998). Il principale problema che si pone in questi casi, infatti, è la messa a fuoco di ciò che rappresenta il reale interesse del minore e delle parti; come ricorda Cartwright (1993) “il ruolo del Tribunale e dei giudici nei casi PAS va oltre la sola decisione finale sulle modalità di affidamento”. Il ruolo dell’avvocato o dell’eventuale tutore del minore risulta cruciale in questa situazione, in quanto contatto iniziale con il genitore alienante o con quello alienato e, quindi, con il sistema familiare coinvolto nella sindrome. Particolarmente problematica è la posizione dell’avvocato difensore del genitore alienante: secondo vari autori (Gulotta, 1998; Waldron, Joanis, 1996) egli dovrebbe astenersi dal colludere con il proprio assistito e cercare di persuadere il genitore alienante a porre fine al comportamento patologico che adotta con il figlio, fino a rinunciare al mandato nell’eventualità in cui lo stesso cliente non comprenda la situazione o si rifiuti di comprenderla. Il compito principale dell’avvocato dovrebbe risiedere in un’ampia e “soddisfacente” esplorazione iniziale del caso da attuare prima della messa in atto del contenzioso, valutando, in particolare, quanto siano realistiche le convinzioni e le motivazioni del suo cliente (Ward, Harvey, 1993); egli dovrebbe, inoltre, mantenere un “sano grado di scetticismo” di fronte ad eventuali richieste di un genitore separato che vuole ridurre drasticamente o eliminare del tutto gli Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI 379 incontri del figlio minorenne con l’ex-coniuge, nonché adottare un atteggiamento imparziale e, ove necessario, ascoltare tutte le parti in causa (Byrne,1989). I professionisti della salute mentale dovrebbero sempre tener presente il loro ruolo all’interno del sistema determinato dal conflitto genitoriale, nonché i possibili effetti disastrosi di una gestione inefficace e superficiale della situazione, effetti che possono portare le parti ad affrontarsi sempre più aspramente. In più occasioni lo stesso Gardner ha evidenziato la necessità fondamentale del ricorso ad un unico terapeuta (Gardner, 1991a, 1998b, 2001a), il cui operato sia rivolto alla risoluzione del “divorce impasse” (Ward, 1996), agendo sul comportamento di ciascuna parte in causa (minore compreso) e sulla dinamica familiare nel suo complesso, al fine di contenere gli effetti del processo di alienazione. Malagoli Togliatti e Franci (2005) suggeriscono la possibilità di attuare a livello clinico “interventi di valutazione e di controllo sociale” attraverso la consulenza tecnica d’ufficio e gli incontri negli spazi neutri. Secondo le autrici, la CTU rimane, infatti, un importante osservatorio delle dinamiche familiari conflittuali che ha anche utili valenze di controllo e monitoraggio della situazione. Pur limitandosi a rispondere ai quesiti del Giudice, il consulente può creare degli spazi di dialogo tra gli ex-coniugi, ponendo l’accento sulle funzioni genitoriali e sulla soddisfazione dei bisogni del figlio; può, inoltre, proporre interventi di supporto sia al figlio che ai genitori, come la terapia individuale degli adulti e del figlio o la mediazione familiare. Nei casi più conflittuali può inviare la famiglia in spazi neutri dove organizzare, con il sostegno e il monitoraggio degli operatori, degli incontri protetti tra genitore e figlio, volti al contenimento di agiti distruttivi e alla riconquista di una relazione funzionale. Dal momento che la CTU si presenta come intervento limitato nel tempo e negli obiettivi il consulente può richiedere al Giudice che la situazione familiare venga seguita longitudinalmente sia proponendo nuovi incontri a distanza di tempo, sia incaricando i Servizi Sociali al fine di controllare che i provvedimenti vengano attuati e di fornire un sostegno continuativo ai genitori e al minore. Per quanto riguarda gli interventi più squisitamente terapeutici, il fine ultimo è quello di tutelare il figlio e il suo fondamentale bisogno di mantenere un legame con entrambe le figure parentali, attraverso degli interventi di sostegno che coinvolgano non solo lui, ma anche i suoi genitori. Si lavora innanzitutto per detriangolare il figlio dal conflitto coniugale e favorire una riorganizzazione delle relazioni, in modo da riportare in primo piano l’interesse del minore come unica priorità. Si aiuta, inoltre, i genitori a riappropriarsi del loro ruolo genitoriale e, con il supporto adeguato, a condividere le loro responsabilità, trovando nuove forme di cooperazione. Questa condivisione dei 380 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI compiti genitoriali può alleggerirli dal fardello di essere l’unico genitore ad occuparsi del figlio, ritrovando anche una progettualità individuale. Ridefinendo i confini tra la sfera coniugale e quella genitoriale è possibile garantire al figlio due spazi relazionali distinti ed una relazione serena sia con il padre che con la madre (Gonçalves, Grimaud De Vincenzi, 2003). 11. LA PAS COME TEMA CONTROVERSO Le idee di Gardner fino ad oggi hanno goduto dell’appoggio di diversi sostenitori ma sono state anche oggetto di numerose critiche: vi è chi sostiene, infatti, che la PAS non esiste o che è solo la “teoria di Gardner” o, soprattutto, che non si può parlare della PAS come entità clinica perché non risulta inserita nel DSM-IV (Levy, 1992). Gardner ha, tuttavia, difeso il suo “modello” descrittivo e di intervento, affermando che: “professionisti della salute mentale e del mondo legale devono averla osservata. Può darsi che non abbiano voglia di riconoscerla. È possibile che le diano un altro nome (come “alienazione parentale”). Ma ciò non ne esclude l’esistenza. […] Dire che la PAS non esiste perché non è elencata nel DSM-IV è come dire che nel 1980 l’AIDS non esisteva perché non elencata nei manuali standard medici e diagnostici. La PAS non è una teoria ma un fatto” (Gardner, 2002b). In letteratura alcuni autori (Darnall, 1997, 1998a, 1998b; Lodge, 1998) utilizzano l’espressione Alienazione Genitoriale o Parentale (PA) invece di parlare di Sindrome di Alienazione Genitoriale, ritenendo che quest’ultimo risulti un termine eccessivamente restrittivo, poiché tiene conto solo del ruolo del minore e del livello di gravità dei sintomi; essi suggeriscono, invece, di tenere in maggiore considerazione il ruolo e il comportamento di entrambi i genitori, nonché le loro eventuali caratteristiche psicopatologiche. A tal proposito Gardner (2002b) ritiene che: “la sostituzione dell’espressione “Sindrome di Alienazione Genitoriale” con quella di “alienazione parentale” può causare confusione. Quest’ultima, infatti, è un’espressione più generica, mentre la “Sindrome di Alienazione Genitoriale” è una sottospecie molto specifica di “alienazione parentale”. L’alienazione parentale ha molte cause, quali trascuratezza, violenza fisica, emozionale o sessuale, abbandono e altri comportamenti alienanti dei genitori: tutte queste condotte genitoriali possono causare alienazione nei figli. La Sindrome di Alienazione Genitoriale è una sottocategoria specifica di alienazione parentale causata dall’associazione della programmazione parentale e dei contributi del figlio, e si osserva quasi esclusivamente nel contesto di controversie legali sull’affidamento. Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI 381 È questa particolare associazione che permette la denominazione di “Sindrome di Alienazione Genitoriale”. A fronte della critica (mossa specialmente in Tribunale nel contesto delle cause per l’affidamento dei figli) secondo cui non la PAS non si qualifica come una vera e propria sindrome, Gardner (1998b) sottolinea che “la Sindrome di Alienazione Genitoriale è un disturbo molto specifico. Una sindrome è, per definizione medica, un gruppo di sintomi che si presentano insieme e che caratterizzano un particolare disturbo. I sintomi, per quanto apparentemente disparati, possono essere raggruppati insieme per un’eziologia comune o una causa basilare sottostante. Inoltre c’è compattezza all’interno del gruppo, in quanto la maggior parte di essi, se non tutti, appaiono insieme. […] Allo stesso modo la PAS è caratterizzata da un gruppo di sintomi che di solito appaiono insieme nel bambino, specialmente nei casi di media e grave entità. Questa compattezza ha come conseguenza che tutti i bambini che soffrono di PAS si assomiglino. È a causa di queste considerazioni che la PAS consente una diagnosi relativamente “pura”, che può essere facilmente formulata da coloro che non abbiano qualche motivo per non voler vedere quello che è proprio davanti a loro. Come per altre sindromi, c’è una causa alla base: una programmazione da parte di un genitore alienante con contributi da parte del bambino programmato. È per questo motivo che la PAS è davvero una sindrome, secondo la migliore definizione medica del termine”. Gulotta (1997, 1998) suggerisce che, così come avviene per la “sindrome del bambino maltrattato”, anche nel caso della PAS la parola “sindrome” possa essere intesa e utilizzata in senso metaforico, in quanto non denota una malattia, ma “traumi provocati da un comportamento violento”. “Chi avrà il compito di investigare per diagnosticare questa sindrome dovrà rendersi conto che essa non è stata “scoperta” come si scopre una malattia ma costruita e, in un certo senso, “inventata”, come la “sindrome del bambino maltrattato”. […] Bisogna, invece, evitare, in questa materia, di reificare delle metafore ritenendo che il “bambino alienato” abbia una sorta di malattia trasmessagli dal genitore e che, ogniqualvolta siano presenti critiche nei confronti di un genitore da parte del figlio, questi sia vittima della sindrome in questione” (Gulotta, 1998). Una delle questioni maggiormente controverse legate alla Sindrome di Alienazione Genitoriale risulta, dunque, quella relativa al suo “riconoscimento” su più livelli. Negli Stati Uniti diverse pubblicazioni sostengono l’esistenza della sindrome: le rassegne di Conway Rand (1997a, 1997b), comparse sul- 382 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI l’autorevole American Journal of Forensic Psychology, attestano il crescente interesse per il fenomeno e le sue ripercussioni in campo giuridico e sociale. Sul piano clinico di particolare rilievo è lo studio di Dunne e Hendrick (1994), che hanno analizzato sedici casi in cui era possibile evidenziare il complesso delle manifestazioni della PAS descritte da Gardner. In Italia, nonostante restino ancora alcuni nodi irrisolti e siano ancora poco numerosi gli studi empirici sul fenomeno, i primi risultati e le evidenze cliniche permettono, tuttavia, di ipotizzare l’ammissibilità dell’esistenza della PAS anche nel nostro contesto socio-culturale. Il crescente interesse per il fenomeno è, inoltre, testimoniato dalle sempre più numerose pubblicazioni di autori italiani sull’argomento (Buzzi, 1997; Giordano, Pastrocchi, Dimitri, 2006; Giorgi, 2001; Gulotta, 1998; Lubrano Lavadera, Marasco, 2005; Malagoli Togliatti, Franci, 2005; Salluzzo, 2006) e traduzioni dei lavori originali di R. Gardner (1998a, 2001b, 2002a, a cura di G. Parodi; 2004 a cura di L. Milani). 12. LA SINDROME DI ALIENAZIONE GENITORIALE NEL CONTESTO ITALIANO • Uno studio pionieristico Un primo interessante lavoro sul problema della PAS nel nostro Paese è stato condotto da Lubrano Lavadera e Marasco (2005) che, attraverso una ricerca d’archivio, hanno analizzato i testi di 24 relazioni di consulenza tecnica d’ufficio (stilate da consulenti del Tribunale Civile di Roma dal 2000 al 2004) su famiglie separate conflittuali, di cui 12 con diagnosi di PAS grave (gruppo sperimentale), secondo i criteri descritti da Gardner (1992a) e 12 senza diagnosi di PAS (gruppo di controllo). Scopo dello studio è evidenziare le caratteristiche dei genitori nelle famiglie in cui è stata diagnosticata una PAS, le peculiarità dei minori e le conseguenze emotive, comportamentali e psicopatologiche cui possono andare incontro nel tempo, nonché passare in rassegna gli interventi proposti dagli esperti nei casi di PAS e formulare ipotesi per comprendere le dinamiche relazionali soggiacenti a queste situazioni altamente disfunzionali. Rispetto al gruppo di famiglie con PAS gli autori non hanno riscontrato alcuna differenza di genere tra l’essere genitore alienante o alienato, osservando come il genitore alienante possa essere indistintamente il padre (50% dei casi esaminati) o la madre (l’altro 50%): fondamentale sembra essere, invece, la variabile “genitore affidatario-non affidatario”, per cui il genitore alienante è sempre quello affidatario o quello con cui vive il minore. I casi di PAS sembrano essere quelli in cui il conflitto dura da maggior tempo e, in un certo senso, si può ipotizzare che lo stesso intervento del sistema giudiziario possa contribuire allo sviluppo di questo tipo di patologia. Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI 383 Dal confronto con il gruppo di controllo è emerso come nei casi di PAS sia più frequente la presenza di una nuova relazione della madre dopo la separazione, quasi a suggerire che la ricomposizione di un nuovo nucleo familiare da parte della madre possa essere un fattore importante alla base di una conflittualità esasperata. I risultati mostrano che i genitori con diagnosi di PAS differiscono dagli altri anche in relazione ad alcune variabili di personalità: le madri sono più frequentemente insicure, mentre nei padri sono stati riscontrati tratti di rigidità ed ipercontrollo nonché difficoltà nell’espressione dell’affettività: non sono state, tuttavia, riscontrate alterazioni psicopatologiche a carico di questi genitori. Nelle famiglie con PAS, inoltre, non sembrano maggiormente ricorrenti episodi di assenza da casa o ricovero di un genitore, né sono più frequenti i tradimenti coniugali, nonostante l’importanza riconosciuta a questo fenomeno in letteratura. Per quanto concerne le variabili relative ai minori, gli autori hanno riscontrato differenze interessanti tra i due gruppi. Rispetto all’età il dato emerso è in linea con quanto evidenziato dalla letteratura, secondo cui sarebbero a maggiore rischio i minori tra i 9 e i 12 anni (Johnston, Roseby, 1997): a questa età, infatti, essi possiedono caratteristiche cognitive ed emotive che consentono loro di partecipare attivamente alle dinamiche familiari, ma allo stesso tempo non hanno ancora del tutto sviluppato capacità di pensiero astratto ipotetico-deduttivo, per cui i loro ragionamenti sono ancora tendenzialmente concreti ed in un certo senso “malleabili”. Dal confronto tra i due gruppi, inoltre, non sono emerse differenze significative rispetto alla variabile “genere”, per cui il coinvolgimento dei minori in situazioni di PAS sembrerebbe non essere in relazione con il loro sesso. I minori con PAS sono più di frequente figli unici e, oltre ad essere triangolati nel conflitto coniugale, mostrano più frequentemente problematiche a livello identitario, con possibile costruzione di un Falso Sé, problemi nelle relazioni, tendenza al comportamento manipolativo e alla distorsione della realtà familiare, scarso rispetto per l’autorità, svalutazione delle figure genitoriali, un maggiore senso di abbandono ed un’affettività tipicamente conflittuale e ambivalente; nei casi esaminati i minori non presentano, tuttavia, alcuna forma di psicopatologia diagnosticabile. Tra i due gruppi di minori (con PAS e senza PAS), comunque, non è emersa alcuna differenza significativa rispetto alla presenza di problematiche a livello psico-emotivo. Rispetto a questi dati gli autori hanno formulato diverse ipotesi, osservando in primis come in entrambi i casi i minori siano esposti ad una situazione di conflitto non adeguatamente gestito e, in secondo luogo, come possano essere diverse, anche per intensità, le problematiche presentate. La presenza di un Falso Sé, inoltre, potrebbe far apparire i minori con PAS meglio adattati rispetto a quanto lo sono nella realtà. Ad ogni modo, 384 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI il consulente ha suggerito molto più di frequente una psicoterapia individuale ai minori nei casi in cui è stata diagnosticata una PAS, riconoscendo il maggiore rischio evolutivo del minore e ritenendo la psicoterapia uno spazio necessario per lavorare sulla ricostruzione del legame con il genitore alienato o quanto meno sugli effetti che a lungo termine tale rottura può provocare. La terapia, infatti, può rappresentare uno spazio per la realizzazione di un processo di trasformazione delle esperienze negative attraverso la sollecitazione di capacità di integrazione e riparazione: ciò protegge il bambino da una pericolosa scissione tra “genitore buono” e “genitore cattivo” e può aiutarlo a riconoscere ed integrare le parti negative dei propri genitori (Montecchi, 2005). Infine, rispetto ai provvedimenti e agli interventi consigliati dal CTU, si è riscontrato che nei casi di PAS il consulente affida molto più frequentemente i figli al servizio sociale e mai al padre, pur essendo indicato come genitore alienante nella stessa percentuale di casi della madre. È emerso, inoltre, che il consulente non ha mai diviso i fratelli riconoscendo l’importanza di questo legame nel fornire continuità relazionale ai minori. Tra gli interventi proposti quello prevalente è risultato il lavoro condotto dai Servizi Sociali, riconosciuti come i migliori garanti dell’interesse del minore, soprattutto perché si qualificano come “spazio neutro” rispetto all’uno o all’altro genitore; meno frequenti, invece, sono il suggerimento di una terapia individuale ai genitori e di una terapia o di una mediazione familiare, ritenuti da soli non sufficienti a risolvere il problema. Gli autori sottolineano la particolare importanza della questione concernente gli interventi dal momento che, se questi ultimi non sono adeguati e non prendono in carico il sistema nel suo insieme, possono risultare controproducenti e contribuire ad accrescere la patologia. La loro opinione è che il consulente nei casi di PAS debba proporre provvedimenti ed interventi di natura diversa rispetto ai casi di conflittualità in cui non è stata diagnosticata tale sindrome. In letteratura sono state proposte diverse ipotesi, ma non vi sono ancora protocolli condivisi, anche perché a livello internazionale si discute ancora sull’esistenza o meno della Sindrome di Alienazione Genitoriale e, in particolare, in Italia è ancora in fase embrionale la ricerca sul fenomeno. Studi come questo di Lubrano Lavadera e Marasco, tuttavia, possono rappresentare un prezioso input per lo sviluppo di ricerche-intervento future al fine di accrescere la conoscenza delle peculiarità del fenomeno della PAS nel nostro Paese e delineare proposte di intervento ad hoc. • La PAS nelle istituzioni e nella società italiana Il parametro concettuale della Sindrome di Alienazione Genitoriale, benché affacciatosi solo intorno alla metà degli anni ’90 nel panorama della psi- Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI 385 cologia italiana, ha guadagnato negli ultimi anni sempre maggior credito non solo nella letteratura specialistica ma anche nell’ambito del sistema giudiziario e presso l’opinione pubblica. A livello istituzionale la PAS, secondo Gulotta (1998), viene citata per la prima volta in Italia in un’ordinanza del Tribunale per i Minorenni di Milano (ord. 19/6/1998 proc. n. 1652/E/97) per la quale, nonostante il minore dichiarasse di continuare a voler vivere con il padre, veniva affidato ai Servizi Sociali accogliendo la consulenza tecnica di parte della madre secondo cui l’affidamento del minore al padre era di grave pregiudizio per il primo in quanto: “tra i due si era instaurato un rapporto gravemente lesivo dell’integrità psicologica del minore: quest’ultimo stava progressivamente, infatti, assumendo i tratti paranoici della personalità del padre ed appariva affetto da quella che alcuni esperti chiamano “ Sindrome di Alienazione Genitoriale (…)”. Lo stesso Gulotta illustra un’altra decisione giudiziaria che conferisce dignità giurisprudenziale alla PAS, assunta nel maggio 2004 dal Tribunale di Bergamo, Ufficio Gip, sent. n. 349 con riferimento agli artt. 609 bis, 609 ter, 572 c.p. Nel caso di specie un padre, nell’ambito di un’accesa lite con l’ex-moglie sull’affidamento del loro bambino di tre anni, è stato accusato di abusi sessuali e maltrattamenti ai danni del minore. Le accuse sono state raccolte dalla moglie che avrebbe ascoltato le confidenze del piccolo utilizzandole per escludere l’ex-coniuge dalla causa sull’affidamento del bambino. L’audizione protetta del minore e le intercettazioni ambientali nella casa dell’imputato hanno messo in luce che, da un lato, il racconto del bambino non era sufficientemente compatibile con le dichiarazioni de relato della madre e che, dall’altro lato, l’imputato (che di certo non sapeva di essere intercettato nell’ambiente domestico), invece di comportarsi coerentemente con le accuse della ex-moglie, si era mostrato affettuoso e premuroso verso il minore che si prestava volentieri a stare in compagnia del proprio padre. Recita la sentenza: “inficia l’attendibilità del racconto del minore l’accertata presenza di un acceso conflitto coniugale dei genitori relativo alla loro separazione e all’affidamento del figlio, specie ove si riscontri la cosiddetta “Sindrome di Alienazione Genitoriale”, stato psicologico tipico delle coppie che si separano con liti senza esclusione di colpi pur di impedire all’altro la custodia del minore”. È stata, inoltre, approvata la Mozione Parlamentare n. 1-00400 del gennaio 2005, che cita esplicitamente la Sindrome di Alienazione Genitoriale a proposito delle separazioni “difficili” e, in particolare, del problema dell’interruzione del rapporto tra i figli ed il genitore non affidatario quale lesione del diritto bilaterale alla continuità relazionale e affettiva: 386 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI “il sistema legislativo non riconosce i ventennali studi di Gardner sulla Parental Alienation Syndrome (Sindrome di Alienazione Genitoriale), che si manifesta con una serie di manovre attuate con successo dal genitore affidatario per alienare il figlio dal genitore non residente, non si attiva per garantire il recupero degli incontri perduti, non si attiva per eliminare i boicottaggi e garantire futuri incontri regolari, non si attiva per il rimpatrio di un genitore affidatario fuggito all’estero con i figli, mentre non hanno rilevanza i trasferimenti di un genitore affidatario in altra città, che, di fatto, rendono impossibili le modalità di frequentazione così come previste da sentenze e decreti, anche ove si tratti di accordi consensuali” (Parodi, 2005). Nella stessa seduta è stata approvata anche la Mozione n. 1-00421 sulla sottrazione dei figli minori da parte di un genitore al fine di impedirgli qualsiasi rapporto con l’altro genitore. Particolare importanza riveste, infine, la sentenza della Corte di Appello di Firenze che nel febbraio 2008 ha applicato per la prima volta l’articolo 709 ter del codice di procedura civile, introdotto dalla Legge n. 54/2006 sull’affidamento condiviso, nel caso di una donna che, contravvenendo a quanto stabilito dalla sentenza di divorzio, aveva ripetutamente impedito gli incontri tra il figlio minorenne e l’ex-marito. Nell’articolo citato si prevede che il genitore che non rispetti i provvedimenti del giudice possa essere sanzionato e condannato a corrispondere, a titolo di risarcimento danni, una somma a favore del figlio e dell’altro genitore, oltre ad una pena pecuniaria a favore dello Stato. A livello sociale la crescente e ormai sempre più diffusa sensibilità rispetto alle problematiche inerenti le separazioni conflittuali è testimoniata dalla nascita spontanea su tutto il territorio nazionale di numerose associazioni che si prefiggono lo scopo di fornire assistenza psicologica e legale ai genitori separati e divorziati e di tutelare il diritto dei figli minori a crescere mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi. Alcune di esse hanno anche condotto interessanti ricerche sul disagio da separazione in Italia (Eurispes, 2002): in particolare, l’associazione GESEF (Genitori Separati dai Figli) ha diffuso i dati relativi ad uno studio basato sull’analisi dei colloqui con gli utenti che si sono avvalsi della consulenza offerta dai suoi professionisti nel corso del 2002 (circa 20.000 di cui l’83% di padri non affidatari, l’8% di madri affidatarie e lo 0,5% di madri non affidatarie). Ne è emerso che i padri non affidatari soffrono la mancanza di un vissuto quotidiano con i figli, di partecipazione attiva alla loro vita e ai loro problemi e di potere decisionale; nello stesso tempo denunciano ingerenze ed ostacoli da parte delle madri (pressione psicologica sui figli, denigrazione e svalutazione del ruolo paterno, ricatti economici), tanto che nel 70% dei casi non riescono ad avere alcun contatto o frequentazione con i figli. Temono, inoltre, per la stabilità Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI 387 psichica dei figli e di complicare la situazione intervenendo; percorrono le vie legali per tentare di attenuare la conflittualità e, in extremis, solitamente dopo inutili tentativi, intraprendono azioni penali. Le madri affidatarie tendono a porre in primo piano questioni di tipo economico e spesso non esitano ad attivare procedimenti giudiziari per ottenere quanto stabilito; in generale, valutano in chiave economica la responsabilità e l’attaccamento paterno nei confronti dei figli, soprattutto perché si ritengono depositarie della capacità di comprensione psicoaffettiva e di cura dei figli. Si è registrato un solo caso in cui una madre è ricorsa alle vie giudiziarie per abbandono morale dei figli da parte del padre, che si disinteressava di loro pur versando regolarmente il mantenimento. È importante sottolineare, di contro, che le madri non affidatarie lamentano le stesse problematiche dei padri. Secondo l’associazione GESEF in questa disparità di trattamento va rintracciata una delle cause principali dell’estremizzazione del conflitto e della successiva comparsa di psicopatologie che sempre più spesso conducono a gesti estremi di violenza che vedono coinvolti interi nuclei familiari. Il monitoraggio svolto dall’Associazione Ex sui risvolti penali nelle separazioni, nei divorzi e nelle cessazioni di convivenza nel periodo 1993-2002 mostra che su un totale di 38.966 casi monitorati le implicazioni penali riguardano ben 33.822 casi (l’86% del totale): si va dalla calunnia all’ingiuria, dalla sottrazione di minore al mancato rispetto delle ordinanze, dalla violenza privata a quella sessuale. Dal 1994, inoltre, l’Associazione Ex è impegnata nel monitoraggio nazionale del fenomeno degli omicidi-suicidi consumati all’interno del nucleo familiare e maturati nel contesto delle separazioni e dei divorzi. Il quadro che emerge dai dati raccolti – giustamente definito come una “scia di sangue” – è impressionante: si parla in Italia, nel periodo gennaio 1994-giugno 2002, di 556 episodi di morte violenta che hanno coinvolto in totale 761 individui. La violenza che si consuma nel contesto delle separazioni e dei divorzi non fa differenze di condizione economica, né tanto meno culturale, toccando in qualche modo tutti gli strati sociali; l’elemento unificante appare rintracciabile, piuttosto, in un profondo disagio e nell’incapacità di affrontare e superare la separazione della coppia. L’associazione Ex sottolinea, inoltre, come le carenze del nostro sistema giudiziario non facciano altro che alimentare il conflitto e acuire il senso di impotenza che conduce a farsi giustizia da soli. Può, infine, essere utile, per comprendere l’ampiezza di un fenomeno che coinvolge spesso in modo drammatico i minori nella separazione dei genitori, considerare i dati che emergono dall’analisi delle richieste di aiuto pervenute al Telefono Azzurro: nel corso del 2001 sono state 5.877 le consulenze offerte su problematiche rilevanti e tra queste, nel 18,5% dei casi, la richiesta di aiuto riguardava difficoltà e disagi legati alla separazione o al divorzio dei 388 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI propri genitori. Il maggior numero di richieste ha riguardato bambini fino ai 10 anni di età (58,6%): il riscontro di un disagio così accentuato nella fascia d’età più bassa dimostra quanto possa essere difficile per soggetti in fase evolutiva, che ancora non hanno a disposizione tutti gli strumenti per delineare razionalmente gli eventi, elaborare il trauma che inevitabilmente deriva dalla separazione dei propri genitori: ciò pone con forza la questione della tutela della salute psichica del minore coinvolto nell’evento separativo. Al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sul profondo disagio vissuto dai genitori esclusi dalla vita dei figli e sull’importanza della creazione di un rapporto di collaborazione e di dialogo fra genitori separati in funzione dell’interesse dei figli, si è costituito e diffuso in tutta Italia il “Movimento Marcia per la Bigenitorialità”, culminato in una manifestazione svoltasi per la prima volta a Roma nel maggio 2004. Questo evento fa parte di una più ampia iniziativa, la Million Dads March, partita dagli Stati Uniti, che unisce ogni anno in una marcia per le strade delle maggiori città del mondo decine di migliaia di genitori deprivati del loro ruolo, a sostegno del diritto dei loro figli alla bigenitorialità. Eventi come questi sono il segno tangibile dell’impressionante diffusione, non solo in Italia ma in tutto il mondo, di un disagio crescente legato alle attuali profonde trasformazioni delle relazioni familiari, a fronte del quale le istituzioni sono chiamate a fornire risposte tangibili volte alla salvaguardia dei diritti di genitori e figli. Le importanti questioni poste all’attenzione della giurisprudenza negli ultimi anni, le denunce delle varie associazioni nate nel nostro Paese, i richiami dell’Unione Europea all’arretratezza e all’esiguità del nostro corpo normativo in materia, le numerose convenzioni internazionali ratificate dal nostro Paese (prima per importanza la Convenzione ONU del 1989 sulla tutela dell’infanzia e dell’adolescenza) confermano l’urgenza di interventi volti a comprendere ed interpretare la conflittualità legata alla disgregazione del nucleo familiare e a recuperare, nell’ambito del diritto di famiglia, il valore fondamentale della bigenitorialità. BIBLIOGRAFIA AMATO P. R., REZAC S. J. (1994): “Contact with non-residential parents, inter-parental conflict and children’s behavior”, Journal of Family Issues, 25, 191. AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (2001): DSM IV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Text Revision. Tr. it. Masson, Milano, 2002. BURGESS A. W., HARTMAN C. 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Per quanto concerne i progetti di intervento e trattamento, si sottolinea la necessità di integrare il livello giuridico e quello psicologico (Intervento Terapeutico Cooperativo) e si illustra la proposta di Gardner (1991a, 1992a, 2001a, 2001b), che delinea diverse possibilità di intervento integrato legale e psicoterapeutico da attuare e valutare in riferimento al livello della PAS osservato. Vengono, altresì, fornite alcune indicazioni circa il ruolo che i professionisti (giudice, avvocato, CTU, psicoterapeuta) dovrebbero rivestire per gestire adeguatamente l’intervento sui casi di PAS, per passare, poi, ad illustrare i principali rilievi critici nei confronti dell’opera i Gardner e le controversie circa l’esistenza stessa della Sindrome di Alienazione Genitoriale e il suo status di “objective standard”. In conclusione, si delinea un quadro relativo allo stato delle conoscenze sulla PAS nel contesto italiano e al suo riconoscimento su più livelli: nella letteratura specialistica il crescente interesse per il fenomeno è testimoniato dalle sempre più numerose pubblicazioni di autori italiani sull’argomento, incluso un importante studio pilota sulla Sindrome di Alienazione Genitoriale nelle C.T.U. (Lubrano Lavadera, Marasco, 2005); a livello istituzionale e giurisprudenziale la sindrome è sempre più di frequente citata nelle sentenze dei Tribunali ordinari e per i minorenni, oltre ad essere menzionata in due importanti e recenti mozioni parlamentari sul tema delle separazioni “difficili”; a livello sociale la crescente sensibilità verso le problematiche inerenti le dispute per l’affidamento dei figli è testimoniata dall’ampia diffusione sul territorio nazionale di associazioni per la tutela dei diritti dei genitori separati e dei loro figli, nonché da iniziative (quali il “Movimento Marcia per la Bigenitorialità”) a sostengo del diritto dei figli minori a crescere mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, anche dopo il divorzio. 392 Jura Medica - N. 3 - 2008, Anno XXI SUMMARY The authors’ aim is completing their literary review about Parental Alienation Syndrome describing the two principal contexts the syndrome appears in: in fact, in addition to a family collusion in which the “triad” members (alienating parent, alienated parent, child) play complementary roles that begin and perpetuate disfunctional relational dynamics, there’s an extrafamily collusion involving not only the two parents’ families, relatives, friends and new partners but also the professional men intervening with different roles in child custody disputes. Illustrated are, then, short and long term PAS effects on minors and the principal psychopathological disorders that may arise, especially in severe PAS cases. Regarding intervention and treatment plans, integrating legal and psychological levels is necessary (Co-operative Therapeutic Intervention); concerning this, Gardner (1991a, 1992a, 2001a, 2001b) proposes various possible psycholegal interventions: they should be realized and evaluated with regard to the PAS level observed. Discussed is, besides, the role that professional men (judges, lawyers, experts, psychotherapeutists) should play to realize adequately their interventions in PAS cases; illustrated are, then, the main critical argumentations about Gardner’s theory and studies and the controversy on the very existence of Parental Alienation Syndrome and its “objective standard” status. Outlined is, finnally, the present knowledge level of PAS in Italy and its recognition in our social and cultural context: in the specialistic literature the increasing interest about the syndrome is testified by the more and more numerous Italian authors’ publications, among which there’s the first important research on Parental Alienation Syndrome in legal consultations (Lubrano Lavadera, Marasco, 2005). At an institutional and jurisprudencial level the syndrome is more and more frequently cited in Civil and Juvenile Courts decisions and is mentioned in two important and recent parliamentary motions about conflictual separations. At a social level the increasing attention to problems concerning child custody disputes is testified by the presence over Italian territory of several associations whose aim is defending separeted parents’ and their children’s rights and also by manifestations (like the “March for Coparentality Movement”) in support of children’s right to grow keeping a balanced and continuative relationship with both parents also after divorce.