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Dai sistemi locali ai network de-territorializzati:
verso i meta-distretti e le reti tra distretti*
LARA PENCO**
Abstract
Il presente contributo intende analizzare i cambiamenti intervenuti nel rapporto tra
innovazione e territorio, a seguito di alcune evoluzioni del contesto ambientale riconducibili
allo sviluppo delle Information and Communication Technologies (ICT). L’ipotesi sottostante
il presente lavoro è che l’applicazione delle ICT allo sviluppo di nuovi prodotti e processi ha
provocato una modifica dei modelli organizzativi di divisione del lavoro, rendendo quindi la
contiguità fisica meno importante, giacchè le relazioni diventano veicolate dalla rete
tecnologica e non da quella territoriale. Le economie esterne derivanti dalla colocalizzazione tendono pertanto ad evolvere verso queste nuove forme di “esternalità di
network”. Sulla base di queste premesse, quali sono le implicazioni sui sistemi locali di
imprese? Al fine di dimostrare l’evoluzione del ruolo del territorio e della co-localizzazione e
di come le imprese appartenenti a sistemi locali avvertano l’esigenza di “aprirsi” verso le
reti esterne o verso “reti di territori”, il presente lavoro si focalizza sull’analisi di casi di
meta-distretti nazionali e di reti di distretti. Per le realtà selezionate, si analizzeranno
elementi costitutivi, fattori evolutivi, criticità.
Parole chiave: distretto, network, ICT, co-localizzazione, meta-distretti, network tra distretti
This paper studies the evolution of relationship between innovation and territory, due to
the development of Information and Communication Technologies (ICT). The hypotesis is that
the application of ICT in management modifies the organizational processes of division of
labour and makes the physical proximity less important. In this way, firms - with the
application of ICT - could overcome the necessity to locate themselves closed to other firms
(suppliers, customers, competitors) and to producers of technology because the relationships
are driven by the technological network and not by territory and physical contiguity. The
development of ICT allows the construction of networks of firms belonging to different
territory and local systems. In this way, what are the implications for local systems of firms?
In order to demonstrate the evolution of the role of territory, the present work studies a few
*
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Il lavoro rientra nel Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale (Bando 2007) “La
valutazione della consonanza/dissonanza intersistemica nella media impresa”, UO di
Genova, R.S. Prof. Genco, nell’ambito del Progetto coordinato dal Prof. Corrado Gatti
“Metodologie e strumenti per la valutazione della consonanza nell’ambito delle decisioni
strategiche d’impresa”.
Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Genova
e-mail: [email protected]
sinergie n. 83/10
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DAI SISTEMI LOCALI AI NETWORK DE-TERRITORIALIZZATI
cases of meta-districts and national networks of districts, in order to show their structural
features and critical factors.
Key words: district, network, ICT, co-localisation, meta-district, network between district
1. Distretti (marhalliani e high tech) e vantaggi legati alla colocalizzazione nelle teorie tradizionali
Numerosa letteratura ha evidenziato come la localizzazione dell’impresa in aree
ad elevata concentrazione industriale provochi effetti positivi sulla produttività,
sull’innovazione aziendale e quindi sulla costruzione del vantaggio competitivo
(Loyd e Dickens, 1998; Porter, 2000; Porter, 1998). Come è noto, tali ricadute sono
state prevalentemente ricondotte alle economie di agglomerazione territoriale,
generate dalla concentrazione di imprese in un’area geografica; esse si manifestano
in un vantaggio di tipo economico derivante dalla riduzione dei costi dei fattori
produttivi e dall’aumento dell’opportunità di crescita (Marshall, 1920). Le fonti di
economie di agglomerazione sono legate al livello di skills altamente qualificate e
specializzate presenti nell’area, alla possibilità per le imprese di accedere ad un
mercato del lavoro efficiente, alla facilità di instaurare relazioni cooperative con i
fornitori e con i distributori e, infine, alle opportunità di poter sfruttare gli
information spillover discendenti dai concorrenti (Stuard e Sorenson, 2003). Le
economie di agglomerazione rappresentano fattori sottostanti l’esistenza di sistemi
di produzione locale, costituiti da agglomerazioni territoriali di attività produttive
legate da relazioni di complementarietà di natura tecnica e/o commerciale (Bellandi,
1995).
Il presente contributo si focalizza sui distretti (sia quelli tradizionalimarshalliani, sia quelli ad alta tecnologia) quali forme particolari di aggregazione di
imprese a livello territoriale. L’obiettivo è comprendere se l’applicazione delle ICT
ai processi produttivi aziendali:
a) modifichi la rilevanza della co-territorializzazione, in termini di creazione della
competitività aziendale;
b) generi trasformazioni dei sistemi territoriali, inducendo nuove traiettorie
evolutive degli stessi verso fattispecie maggiormente coerenti rispetto ai
cambiamenti ambientali.
Nella concettualizzazione originaria, il distretto industriale identifica un’entità
socio territoriale composta da Pmi, spazialmente concentrate e focalizzate su una
particolare filiera/settore produttivo (Marshall, 1920; Becattini, 1989; 1991). Da un
punto di vista dell’organizzazione del processo produttivo e della filiera, affinché si
parli di distretto non è sufficiente che le imprese siano specializzate in uno stesso
settore di attività, ma è opportuno che il processo produttivo sia suddivisibile tra le
diverse fasi, in modo che il processo non si svolga in un’unica organizzazione, né
venga diluito nell’economia, ma resti localizzato nell’area (Antonelli, 1986). Il
distretto appare identificato da meccanismi di coordinamento e da relazioni
sinergiche per cui l’insieme delle imprese del distretto possono essere considerate
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come sistema e non quindi un aggregato di unità autonome, co-localizzate e legate
da meri rapporti di transazione e di subfornitura (Becattini, 1991)1. Da un punto di
vista aziendalistico, le motivazioni che hanno condotto alla nascita dei distretti sono
state ricondotte ad un problema di efficienza della produzione, nel senso che in un
sistema distrettuale le Pmi riescono a costituire un modello efficiente alternativo a
quello della grande impresa verticalmente integrata; trattasi della teorizzazione della
specializzazione flessibile che delinea il ruolo delle piccole e medie imprese inserite
in un sistema produttivo locale (Piore e Sabel, 1984).
Con riferimento alla problematica dell’innovazione, il sistema dei distretti
marshalliani è caratterizzato da processi di innovazione “senza ricerca”. Diventano
pertanto sistemi locali di innovazione sui generis, sia per il tipo di innovazione
perseguita, sia per le modalità di sviluppo della stessa.
Per quanto riguarda la tipologia di innovazione, il modello dei distretti
marshalliani concerne settori/filiere tradizionali, in cui spesso la componente
tecnologica risulta residuale rispetto ad altri fattori competitivi legati al design, al
servizio al cliente, al concetto di prodotto e così via. L’innovazione distrettuale è
altresì tipicamente un’innovazione di processo poichè molti distretti operano in
settori supplier dominated nel senso che la maggior parte delle innovazioni
tecnologiche sono incorporate in macchinari e inputs intermedi realizzati da imprese
di altri settori, le quali vengono successivamente adattate da “assemblatori” locali di
tecnologie (Pavitt, 1984).
Con riferimento alla modalità di sviluppo della stessa, si profila un particolare
modello di innovazione tipico dell’atmosfera distrettuale: tutto il processo
innovativo si “spalma” sul sistema e non grava sulla singola Pmi, facendo
configurare una “capacità innovativa diffusa” (CID) (Bellandi, 1989).
L’accumulazione di innovazioni incrementali, resa possibile dalla contemporanea
prossimità geografica e settoriale, permette di ottenere l’innovazione senza esplicita
ricerca e come prodotto del sistema anziché di un singolo innovatore (Cnel-CerisCnr, 1997, p. 27).
In questa prospettiva, l’agglomerazione spaziale di soggetti impegnati in una
stessa attività consente di avvicinare le fasi di introduzione dell’innovazione alla
risposta del mercato. Il learning by using e learning by interacting rappresentano
infatti importanti mezzi utilizzati dalle imprese distrettuali per creare e per
diffondere le innovazioni in modo endogeno. In sintesi, il modello distrettuale si
configura pertanto come un sistema di innovazione scarsamente guidato da fattori
1
Sotto questo profilo, i distretti si differenziano nettamente da alcune agglomerazioni
industriali che nel tempo si sono formate per effetti di condizioni favorevoli ad
insediamenti industriali di natura esogena giacché derivanti da politiche di decentramento
produttivo o da azioni di marketing territoriale. In queste agglomerazioni, infatti, mancano
alcuni tratti distintivi legati alla componente socio-culturale e alla presenza di relazioni di
co-operation che vanno oltre le mere transazioni di mercato. Si differenziano altresì dai
cluster, generalmente indotti da grandi imprese e spesso privi di ogni connotazione
territoriale.
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istituzionali (mondo della ricerca, istituzione, ecc.) e ancorato invece a relazioni face
to face, conseguenti alla contiguità fisica tra gli attori.
Nell’ambito dei fenomeni distrettuali, occorre enucleare la fattispecie del
distretto ad alta tecnologia; esso è generalmente originato e alimentato da processi di
trasferimento di conoscenza da Università e da Centri di Ricerca pubblici e privati
(Garnsey e Smith, 1998) verso alcune imprese già esistenti o di nuova costituzione
(Torrisi, 2002, p. 130) e/o da processi di disintegrazione e di divisione del lavoro
attivati da grandi imprese high tech.
Diversamente dai distretti industriali marhalliani, si individua generalmente un
sistema locale di innovazione tipicamente strutturato secondo un modello definibile
come hub and spoke, in cui un soggetto hub, sia esso grande impresa innovativa,
Università o Centro di Ricerca, genera e alimenta il sistema distrettuale e i processi
innovativi (Guerrieri e Pietrobelli, 2004).
La preesistenza del soggetto “pivot” provoca la nascita di spin-off e/o di un
indotto di imprese minori satelliti, che scelgono di localizzarsi in prossimità dell’hub
per poter sfruttare i vantaggi della co-localizzazione. Sulla base della riconosciuta
importanza attribuita alla conoscenza tacita e agli spillovers nella generazione di
nuove tecnologie, la territorializzazione delle attività high tech genera un effetto
cumulativo, giacchè la specializzazione tecnologica del territorio tende ad attrarre
nuovi insediamenti produttivi che, a loro volta, provocano un aumento delle
potenzialità di quell’area e della sua attrattività verso altri soggetti (Lloyd e Dicken,
1998). L’agglomerazione consente infatti all’impresa high tech di instaurare
relazioni con altri soggetti finalizzate a scambiare e a co-produrre innovazioni
tecnologiche e nuova conoscenza; si pensi alle relazioni tra imprese e Università e
tra imprese fornitrici-clienti (Torrisi, 2002, p. 60; Storey e Tether, 1998, p. 942).
Con riferimento alle precedenti considerazioni effettuate in merito ai sistemi
distrettuali (siano essi marshalliani o ad alta tecnologia), il vantaggio competitivo e
l’innovatività aziendale discendono pertanto dal processo di apprendimento
collettivo che si è generato in un’area grazie al network territoriale; in altri termini,
le imprese non sarebbero in grado di innovarsi senza “lavorare insieme” agli altri
attori del sistema locale2.
2
Il postulato secondo cui le imprese tendono a ricercare nella co-localizzazione importanti
fattori di vantaggio competitivo può essere valorizzata facendo riferimento alle teorie
sulla learning economy o sulla learning region sviluppate da Lundvall (1992),
all’approccio relazionale dei network (Hakanson). In una prospettiva simile, il GREMI
Group (Group de Recherche Europeen sur le Milieux Innovateur) ha introdotto il concetto
di ambiente locale territoriale o innovative milieux come un insieme di rapporti
territorializzati che da un lato riuniscono “in un tutto coerente” un sistema di produzione,
differenti attori sociali, una cultura specifica e dall’altro generano un processo dinamico
di apprendimento collettivo (Camagni, 1991; Garnsey e Smith, 1998).
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2. L’affermazione delle ICT nella gestione aziendale e gli impatti sul
territorio
Sulla base delle precedenti considerazioni, emerge come il territorio assuma una
valenza assai significativa quale fattore in grado di elevare il potenziale di
competitività delle imprese. Nel caso dei distretti marshalliani, il territorio e la colocalizzazione incentivano il raggiungimento di fattori di competitività legati
all’efficienza e alla flessibilità discendenti da una particolare forma di
divisione/organizzazione del lavoro e di gestione del processo innovativo. Nel caso
dei distretti propriamente tecnologici, sono altresì gli spillover informativi e i
trasferimenti di conoscenza tacita prodotti nel territorio attraverso l’agglomerazione
che favoriscono l’avanzamento tecnologico delle imprese.
Ciò precisato, la research question cui intende rispondere questo lavoro riguarda
la comprensione degli impatti sui sistemi locali e sul rapporto tra le imprese e il
territorio, indotti dalla diffusione delle ICT, quale fattore ambientale che ha
radicalmente modificato i paradigmi della competizione economica globale (Cozzi e
Genco, 2000; Vaccà, 1989). La copiosa letteratura che si è prodotta sulla diffusione
delle ICT nell’economia ha cercato di enucleare i principali fattori di cambiamento
associati alla maggiore incorporazione delle nuove tecnologie nei processi aziendali.
In estrema sintesi, i più significativi fattori di cambiamento sono:
- la maggiore “fluidificazione” dei processi di scambio di conoscenze ed
esperienze, sempre meno concentrati in un luogo fisico e, invece, sempre più
accessibili grazie alle potenzialità cognitive aperte dalla rete (Unioncamere,
2010); in questo modo si possono sperimentare nuove modalità di
organizzazione dei rapporti interaziendali mediante l’attivazione di network tra
imprese, anche globali (Genco, 1997; Genco, 2006);
- la spinta all’esternalizzazione delle attività non core della catena del valore: le
ICT, infatti, rendendo trasmissibili le informazioni e la conoscenza generatasi in
contesti diversi a tempi e costi contenuti, contribuiscono a spingere avanti il
processo di specializzazione e, con esso, una più forte differenziazione dei ruoli
svolti dalle imprese; ed è con la diffusione di Internet che si accentua il processo
per cui l’impresa si specializza su un core business - in cui concentra tutti gli
investimenti differenziali - affidandosi invece a forniture esterne per tutto il
resto;
- la progressiva dematerializzazione dell’economia, segnata dallo spostamento,
nella catena del valore, dalle attività industriali verso quelle del terziario
avanzato anche nei comparti manifatturieri (Rullani, 1995; Genco, 1997; Genco,
2007); ne consegue che il contenuto di servizio dei prodotti (promozione,
immagine del prodotto, formule di vendita, assistenza after sale, ecc.) diventa la
componente principale della creazione del valore del prodotto presso i mercati
finali (Levitt 1976; Fitzsimmons e Sullivan, 1982; Heskett, 1986; Gershuny e
Miles, 1983); mediante le ICT, l’impresa è in grado di dislocare la produzione
manifatturiera - pur governandola telematicamente - nelle economie in fase di
sviluppo, focalizzandosi invece sulle attività ad alto valore aggiunto;
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il cambiamento dei modi di produzione industriale e dei tradizionali fattori di
competitività ricercati nei differenti processi produttivi verso una maggiore
flessibilità finalizzata all’adattamento pro-attivo rispetto alla variabilità e varietà
della domanda; in altri termini, le ICT consentono di superare il trade off che
caratterizzava la produzione di massa, rendendo possibile aumentare la
produttività contemporaneamente alla realizzazione di prodotti “taylor made”
(Rullani, 2005).
Sulla base di queste premesse, appare evidente come lo sviluppo delle ICT non
possa considerarsi una variabile “neutrale” rispetto ai tradizionali paradigmi
competitivi delle imprese appartenenti a distretti (siano essi marshalliani tradizionali
o ad alta tecnologia) e rispetto al rapporto tra le imprese e il territorio distrettuale.
Con riferimento alle imprese distrettuali marshalliane e ai loro vantaggi rispetto
a quelle isolate, occorre precisare che la teorizzazione della specializzazione
flessibile e, quindi, dei vantaggi delle Pmi rispetto alla grande impresa integrata, è
stata elaborata tenendo in considerazione le condizioni economico-tecniche proprie
degli anni ’70-’80 (Gandolfi, 2003). L’evoluzione della realtà attuale ha invece
condotto a ridimensionare gli entusiasmi della specializzazione flessibile tipica del
modello distrettuale.
Le ICT consentono anche all’impresa di grandi dimensioni di operare attraverso
la flessibilità, senza dover sostenere penalizzazioni di costo ingenti; in altri termini
le nuove tecnologie hanno consentito alle grandi imprese di ottenere un vantaggio
competitivo anche in quei business laddove non esistono rilevanti effetti di scala
(Vaccà, 1989). In questa prospettiva, il vantaggio competitivo legato alla flessibilità,
tipico dei sistemi locali, viene eroso dalle grandi imprese, che riescono ad associare
simultaneamente flessibilità ed efficienza di costo, grazie allo sfruttamento di
economie di scopo e di scala.
Una significativa trasformazione dei distretti industriali, indotta dalla crescente
applicazione delle ICT, risiede nell’affermazione nell’ambito del sistema di
produzione locale di imprese leader di medie o grandi dimensioni. Si tratta del
fenomeno dei distretti core-ring with lead firm. Nel tessuto produttivo distrettuale, si
affermano imprese, tipicamente di medie (e grandi) dimensioni, capaci di coniugare
alcune caratteristiche proprie del business model distrettuale (come la flessibilità, la
forte specializzazione, la capacità relazionale a livello locale) con altri fattori critici
di successo indispensabili per il raggiungimento del vantaggio competitivo, come
una più massiccia presenza a livello internazionale e, soprattutto, una maggiore
focalizzazione sulle attività terziarie della catena del valore.
Trattasi di imprese leader che, mediante il ricorso alle ICT, hanno saputo
governare relazioni extra-distrettuali, delocalizzando le attività prettamente
manifatturiere in territori esogeni (in cui si reperiscono fattori di vantaggio
competitivo connessi tipicamente ai costi) e concentrandosi sui fattori di natura
immateriale (marketing, design, ricerca, ecc.), attraverso cui si creano dosi crescenti
di valore per il cliente finale (Genco, 1997).
Il fatto che le imprese leader si discostino dall’attività manifatturiera primigenia
del distretto, diventando sempre più terziarie, comporta un’ibridazione delle filiere
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monosettoriali, nel senso che le imprese leader spesso esercitano pressioni affinché
il tessuto locale si trasformi da produttore di manifattura a produttore di servizi alla
produzione, specialistici e avanzati (Bagnasco et al., 2009).
In quest’ottica, è stato osservato come la centralità si trasli dal distretto
industriale nel suo complesso verso le imprese leader che lo costituiscono, e le
interrelazioni che tra queste vengono a formarsi; pertanto, non è più il “collettivo
distrettuale” di per sé che conta, bensì le reti, i gruppi, le costellazioni e i cluster di
imprese che riescono a far squadra con le realtà distrettuali e locali più dinamiche ed
aperte in una logica di sistema aperto (Ferrucci e Varaldo, 1997)3.
Con riferimento ai distretti high tech, occorre tenere presente alcune
modificazioni che sono intervenute nei processi di generazione dell’innovazione
tecnologica. L’innovazione tecnologica è divenuta sempre più il risultato di processi
di collegamento in rete tra imprese e altri soggetti aventi capacità o attitudini
complementari, appartenenti a contesti geografici diversi e spesso globali. E ciò è
vero soprattutto nei casi in cui la tecnologia sia fortemente specializzata e i detentori
di conoscenza siano pochi. Il processo innovativo e l’attività di ricerca e sviluppo,
essenziali per le imprese high tech, vengono organizzati mediante l’impiego di reti
telematiche secondo il modello “system integration and networking”, contraddistinto
dalla ricerca dell’integrazione tra le risorse e le competenze disponibili tra attori
diversi, dalla flessibilità, e dalla tendenza alle relazioni reticolari tra gli attori.
Pertanto, l’applicazione delle ICT all’innovazione ha provocato una modifica dei
processi organizzativi di divisione del lavoro, rendendo la contiguità fisica
apparentemente meno importante; secondo questo postulato, quindi, le imprese high
tech, che impiegano abitualmente le ICT, potrebbero superare la necessità di
localizzarsi presso altre imprese e ad altri produttori di tecnologia (Storper, 1985).
Sulla base delle precedenti considerazioni, come può allora delinearsi il rapporto
tra la competivività dell’imprese e la co-localizzazione in seguito alla forte
diffusione delle ICT?
In base alle precedenti considerazioni, la prima ipotesi sottostante il presente
lavoro è che le tecnologie abbiano agito da leva sul fragile equilibrio tra forze
centripete (per es. le economie di scopo, il bacino di forza lavoro locale) e forze
centrifughe, riducendo così la rilevanza della contiguità territoriale (Dal Bianco,
2006, p. 92; Krugman, 1998); la seconda è che, nonostante ciò, le esternalità
territoriali non abbiano completamente perso la propria rilevanza e quindi il sistema
locale sia sollecitato ad evolvere ma non a dissolversi.
Per quanto concerne la prima ipotesi, a seguito della maggiore penetrazione delle
ICT nella gestione aziendale, i fattori localizzativi considerati dalle teorie
3
Alla luce dell’approccio sistemico vitale, attraverso l’emersione di imprese leader, il
distretto può evolversi da “sistema embrionale” a “sistema in via di compimento”, con
una configurazione connotata dalla formazione di un organo di governo il quale, seppure
non in grado di rappresentare una visione complessiva del distretto, dà vita a processi di
quasi-integrazione verticale ed orizzontale con le diverse imprese distrettuali (Golinelli,
2008).
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tradizionali tendono a perdere gran parte del loro significato interpretativo e
comportamentale. Per imprese, infatti, i cui paradigmi produttivi sono gestiti
mediante le ICT e mediante la terziarizzazione dei processi aziendali, i costi del
trasporto dalle fonti di approvvigionamento e verso i mercati di sbocco, così come la
dotazione fattoriale di lavoro, energia, capitale, mercati e così via non possono più
essere assunti come presupposti essenziali per ottimizzare le scelte ubicazionali
(Genco 2006; Genco, 1997). In altri termini, l’applicazione delle ICT allo sviluppo
di nuovi prodotti e processi ha provocato una modifica dei processi organizzativi di
divisione del lavoro, rendendo quindi la contiguità fisica meno importante, giacchè
le relazioni possono essere veicolate dalla rete tecnologica e non, quindi, da quella
territoriale (Storper, 1985). Di conseguenza, meno importante è la co-localizzazione
tra imprese; le relazioni tra queste ultime tendono, infatti, sempre più a configurarsi
per la presenza di relazioni reticolari, guidate da network telematici, e sempre meno
da relazioni spontanee basate sul face to face. Si assiste, pertanto, ad una progressiva
de-materializzazione del territorio.
Lo sviluppo delle ICT sembra pertanto sospingere verso le “reti di impresa”, in
cui operano realtà aziendali legate non solo e non tanto dalla loro storia
territorializzata, ma dalla comune padronanza di linguaggi e regole e dalla capacità
di ciascuna di divenire un efficace punto di accumulo della conoscenza (Vaccà,
1986)4. Le economie esterne derivanti dalla co-localizzazione tendono ad evolvere
verso queste nuove forme di “esternalità di network” meno dipendenti dal contesto
territoriale.
In definitiva, il sistema territorializzato del distretto si “dematerializza” poichè:
- le relazioni face to face si fanno più formalizzate e impersonali in quanto guidate
dalla rete telematica;
- le comunicazioni prescindono sempre di più dalla contiguità fisica;
- differenze e mutamenti interni al distretto allontanano tra loro i soggetti sociali e
aumentano invece la coesione e vicinanza sociale con soggetti di altri territori
(Giovannini, 1997).
Per quanto concerne la seconda ipotesi, occorre riconoscere come la tendenza
verso le reti telematiche non conduca ad uno svilimento del ruolo del territorio e
della co-localizzazione. Nonostante la crescente disponibilità di strumenti di
comunicazione sempre più avanzati che hanno contribuito a far diminuire
l’importanza delle distanze fisiche tra i soggetti economici, il contatto diretto tra le
persone umane rimane ancora una fonte primaria e relativamente poco sostituibile.
Le evidenze empiriche mostrano come l’attivazione delle reti telematiche non
deprima completamente la valenza del territorio e della co-localizzazione di
4
Le vecchie reti corte, centrate sul capitale sociale dei territori, hanno intrapreso un
percorso evolutivo che si caratterizza per due processi (Rullani, 2009): da un lato, le reti,
che erano locali e settoriali, tendono a diventare trans-territoriali e trans-settoriali;
dall’altro, il passaggio dalle reti naturali, basate sul face to face, alle reti telematiche
dell’economia globale rende necessario un progetto condiviso dai soggetti interessati e un
investimento rilevante in conoscenze e in risorse connettive.
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imprese, giacchè una parte rilevante del vantaggio competitivo e della trasmissione
della conoscenza risulta ancorata a modelli di trasferimento tacito agevolato dalla
contiguità. Anzi, alcuni autori hanno evidenziato come le ICT possano facilitare il
rafforzamento dei legami territoriali, rendendo più snelle le relazioni intercorrenti tra
imprese appartenenti al medesimo sistema territoriale (Bramanti e Ordanini, 2004;
Gubelli, 2006).
Di conseguenza, emerge come lo sviluppo delle ICT non abbia completamente
“sganciato” l’impresa dal territorio ma ne abbia modificato la scala territoriale
(Cresta, 2008, p. 39): ovvero, il territorio si apre e si amplia, senza tuttavia perdere
la propria valenza connessa alla presenza di legami tra imprese ivi co-localizzate.
Si può sostenere che la possibile apertura del territorio verso le reti esterne, oltre
che una necessità indotta dalle trasformazioni sopra menzionate, possa invece
costituire un nuovo fattore di vantaggio competitivo per il sistema locale e per le
imprese ad esso appartenenti, apportando nuovi stimoli di innovazione e di
competitività, ed evitando così possibili cause di decadenza del sistema distrettuale
stesso per entropia5. In altri termini, le ICT possono impostare un corretto
bilanciamento fra le “sinergie interne” - derivanti dai tradizionali rapporti infradistrettuali - e l’“energia esterna” - derivante dallo sviluppo di nuove applicazioni
tecnologiche che rendono possibile l’attivazione in rete con soggetti esogeni e
detentori di competenze distintive complementari.
Questo bilanciamento è stato peraltro riscontrato empiricamente. Recenti
indagini hanno mostrato come il tessuto produttivo nazionale non possa fare a meno
dei rapporti di collaborazione e di fiducia che si creano in territori caratterizzati da
elevate esternalità positive in termini know how, qualità, differenziazione, design,
ecc. (Foresti et al., 2010). E ciò è stato individuato soprattutto nei distretti moda e
arredo, in cui la tensione verso la qualità del prodotto ha certamente privilegiato la
ricerca di esternalità distrettuali, controbilanciando la tendenza verso la
delocalizzazione spinta e l’annullamento del radicamento territoriale quale fonte di
conoscenze tacite.
Occorre altresì precisare che la permanenza del rapporto interno/esterno è
assicurata dalle imprese leader distrettuali le quali sono contemporaneamente: a) reti
aperte, poiché presenti sui mercati esteri, governando mediante la rete telematica
una supply chain internazionale; b) ancorate al territorio poiché trovano nel
substrato locale partner, soprattutto nella realizzazione di fasi terziarie a valore
aggiunto, spesso funzionali all’innovazione di prodotto (per es. prototipazione,
produzione delle prime serie, design, ecc.)6.
5
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Come è noto, Storper e Porter parlavano di location paradox per sottolineare come, in un
mondo economico sempre più globalizzato, i distretti traessero linfa vitale da un rapporto
stretto con l’ambito locale di riferimento (Unioncamere, 2010).
Ciò significa che le imprese leader estendono geograficamente i propri processi
produttivi, governando mediante le ICT una nuova geografia della produzione e una
logistica sempre più complessa. Tuttavia, la crescente focalizzazione delle imprese leader
su funzioni di “intelligenza terziaria” induce a reperire nel territorio quelle economie
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Per le agglomerazioni ad alta tecnologia, la convivenza tra “forze centrifughe” e
“forze centripete” costituisce un fatto naturale, essendo esse il frutto di preesistenze
di grandi imprese avanzate o di centri di ricerca, legati ad altre imprese e centri di
ricerca complementari ubicati in aree non contigue territorialmente. Vero è che
maggiore è la specializzazione tecnologica maggiore è la predisposizione verso
forze di connessione esterna, poiché le risorse e le competenze tacite che si
producono sul territorio risultano insufficienti per l’avanzamento tecnologico.
In definitiva, se le ICT agevolano le reti ma il territorio e il suo patrimonio
relazionale permangono quali fattori competitivi rilevanti, il risultato è che si amplia
l’orizzonte spaziale del territorio distrettuale. Le nuove tecnologie rendono
possibile il configurarsi di estensioni dello spazio distrettuale e di reti tra territori,
facendo così convivere tessuti di relazioni locali con l’esigenza di reperire altrove
nuove conoscenze, creando così filiere multi localizzate, che si appoggiano a unità
di produzione, ricerca, commercializzazione, servizio al cliente, distribuite in aree
territoriali diverse, spesso molto lontane tra loro (Rullani, 2009). Nei “distretti
ampliati”; a differenza di quelli tradizionali, le imprese appartengono allo stesso
settore e/o filiera o a settori affini ma sono localizzate in territori diversi, in cui si
individuano realtà aziendali e competenze complementari (Consolati, 2006).
Pertanto, questo mostra come la penetrazione delle ICT e la conseguente
globalizzazione, non abbiano sganciato l’impresa dal territorio, ma abbiano
contribuito a fornire un’altra dimensione operativa, in modo aggiuntivo, ma non
sostitutivo, rispetto alla scala locale (Fiorelli, 2009).
3. La mediazione tra territorio e apertura. I meta-distretti e le reti transterritoriali tra distretti
Sulla base dei presupposti precedentemente delineati, ovvero la dematerializzazione del territorio e, contemporaneamente, la permanenza del territorio
quale fonte di competitività, si evidenzia come i sistemi locali stiano cambiando e
come una traiettoria evolutiva dei sistemi locali possa individuarsi nell’estensione
delle reti locali in reti trans-territoriali. Ciò conduce alla creazione di fattispecie
nuove di sistemi territoriali, quali i meta-distretti e le reti tra distretti, di cui
verranno delineati i tratti principali.
3.1 I meta-distretti: estensione dei confini del territorio distrettuale
Il dibattito attuale sull’evoluzione dei sistemi locali in Italia è incentrato sui
cosiddetti meta-distretti, ovvero su reti tra imprese non appartenenti al medesimo
territorio ma radicate in contesti territoriali diversi ma complementari, sotto un
esterne di tipo “reputazionale”, spesso alla base della valorizzazione e dell’innovazione
del prodotto (Corò e Micelli, 2007).
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profilo dell’integrazione della filiera o delle competenze7. I meta-distretti sono
divenuti strumento di governance dei sistemi locali anche a livello normativo
(Taranzano, 2010, p. 8).
Un meta-distretto presenta elementi nuovi rispetto alla definizione tradizionale di
distretto industriale. Con riferimento alla territorialità, nel meta-distretto viene meno
la rilevanza della co-localizzazione; le ICT infatti consentono il superamento e
agevolano la strutturazione di una serie di relazioni tra imprese ed enti di ricerca ad
una scala territoriale anche molto vasta. Nei meta-distretti, il sistema delle relazioni
oltrepassa la scala locale e diviene regionale o nazionale e potenzialmente globale
poiché la diffusione dell’ICT consente di moltiplicare relazioni virtuali che
permettono di accedere a opportunità sia cognitive, sia commerciali prima
assolutamente inimmaginabili (Unioncamere, 2010; Cretì e Bettoni, 2001).
I meta-distretti sono caratterizzati da una certa multisettorialità: da un lato,
poiché rientrano nel concetto di filiera numerose attività settoriali; dall’altro perché
nei meta-distretti dovrebbe configurarsi una presenza significativa di settori di
servizi avanzati alle imprese, specie con riferimento a quelli di ricerca e
sperimentazione. In tale ottica emergono relazioni significative anche tra comparti
apparentemente slegati tra loro.
Da qui si individua ancora un connotato tipico del meta-distretto, vale a dire la
rilevanza della componente scientifica e tecnologica. I meta-distretti sono spesso
aree produttive di eccellenza con forti legami esistenti o potenziali con il mondo
della ricerca e della produzione dell’innovazione. E ciò sembra anche condizionare
la a-territorialità di questa entità: più il livello di ricerca risulta generalizzato e poco
specialistico, maggiore è il legame con il contesto produttivo locale; mentre per le
aziende altamente specialistiche, sia per il tipo di ricerca sia per le competenze
richieste, il livello di integrazione e penetrazione con il territorio diventa o
provinciale, o regionale, o addirittura nazionale.
Le regioni che attualmente hanno riconosciuto sotto un profilo normativo questa
fattispecie evolutiva del distretto sono la Lombardia e il Veneto8. Interessante è
notare che l’Emilia, regione a forte vocazione distrettuale, non ha provveduto a
riconoscere alcun distretto e meta-distretto (Pastore, 2010, p. 40), pur essendo
presente sostanzialmente un meta-distretto legato al packaging nella Val D’Enza. In
7
8
Occorre precisare che, anche sotto un profilo normativo, la legge finanziaria per il 2006
ha introdotto un nuovo concetto di distretto, non più industriale, ma produttivo. Il distretto
si configura pertanto come una filiera di imprese che operano in un determinato settore
merceologico. In questo senso, si supera il concetto di territorialità e di contiguità.
La Lombardia ha riconosciuto 6 meta-distretti ovvero distretti tematici non territorializzati
(ma caratterizzanti ampie aree, pur sempre regionali) e connotati dalla presenza di filiere
produttive significative per l’economia lombarda. Il concetto di contiguità fisica è stato
declinato in termini di contiguità di rapporti di rete tra imprese appartenenti alla
medesima filiera (Antoldi, 2006, p. 49): dal punto di vista normativo, secondo questi
parametri, la Lombardia ha riconosciuto cinque meta-distretti. Il sesto meta-distretto
(ICT) è stato istituito con D.g.r del 26 marzo 2004, n. 16917. Il Veneto ha riconosciuto 10
meta-distretti.
20
DAI SISTEMI LOCALI AI NETWORK DE-TERRITORIALIZZATI
Toscana si è attivato recentemente un “Distretto Integrato della Nautica” che opera a
livello regionale e sembra volersi aprire al fine di integrare anche territori limitrofi.
3.2 Le reti tra distretti: integrazione tra differenti territori distrettuali
L’evoluzione dei sistemi territoriali distrettuali sembra evolvere anche verso le
“reti tra distretti”, aventi una valenza interregionale o internazionale. Questa
fattispecie di apertura e di integrazione tra territori è stata illustrata da Lipietz (1993)
allorquando identificava il caso di una rete di distretti nel binomio aeronautico di
Parigi-Tolosa.
L’integrazione tra distretti diversi, localizzati in aree anche molto lontane, si
verifica tipicamente laddove si evidenzi una complementarietà di filiera, cosicché un
distretto si possa configurare come area fornitore/cliente dell’altro; oppure se i
distretti siano focalizzati su tecnologie avanzate e quindi necessitino di aperture,
spesso globali, verso altri poli tecnologici complementari in termini di conoscenze
specialistiche. In altri termini, le ICT sollecitano il territorio non solo a dilatarsi
sotto un profilo geografico, ma anche a reperire territori complementari, con i quali
si strutturano processi di divisione del lavoro nell’ambito della medesima
filiera/settore.
Di conseguenza, territori diversi, aventi specializzazione diverse, si integrano
mediante le reti telematiche per poter svolgere e co-progettare iniziative comuni.
Occorre precisare che la recente normativa in tema di contratti di rete ha agevolato
lo sviluppo di reti tra distretti9.
Si pensi alla creazione di un network tra il Comet - ovvero il distretto della
componentistica e della termomeccanica di Pordenone - il distretto della
meccatronica di Vicenza e il distretto della meccatronica di Palermo, finalizzata ad
individuare progetti comuni. Oppure, tra il Distretto della Moda di Verona e quello
tessile di Bari, con la creazione di una filiera che è maturata fino agli attuali scambi
commerciali. O ancora l’accordo di partnership tra il Distretto Ligure delle
Tecnologie Marine e i francesi Pôle Mer Paca e Pôle Mer Bretagne, al fine di
incentivare lo sviluppo di collaborazioni tecniche e commerciali e di progetti
nell’ambito delle tecnologie marine. Si precisa che questo percorso - che crea una
rete di filiera, costituita a diversi livelli, tra distretti, tra regioni e tra singole imprese
- può essere alquanto complesso, poiché richiede una chiara individuazione dei ruoli
assegnati ai diversi territori e la stabilizzazione di un organo di governo,
indispensabile per conferire un’unitarietà strategica e un coordinamento
organizzativo ai diversi componenti della rete.
9
La Legge 33 del 9 aprile 2009 introduce il contratto di rete. Si tratta di uno strumento
innovativo attraverso cui le imprese italiane e straniere potranno costituire nuove forme di
collaborazione al fine di realizzare progetti comuni diretti allo sviluppo produttivo e
all’innovazione (Pastore, 2010, p. 41).
LARA PENCO
21
4. Alcuni casi di territori “aperti”: meta-distretti e reti tra distretti
Sulla base delle considerazioni precedentemente delineate, i casi analizzati
riguardano un meta-distretto focalizzato su attività “tradizionali” (il “Meta-distretto
Legno-Arredo”); un meta-distretto focalizzato su attività immateriali e avanzate (il
“Meta-distretto del Design”); una rete interdistrettuale (“la rete dei distretti
Aerospaziali”). Per ciascuno di essi, si analizzano sinteticamente fattori costitutivi,
elementi di criticità e possibili traiettorie di sviluppo.
a) Il Meta-distretto Legno-Arredo del Veneto
Come è noto, il settore legno-arredo costituisce un comparto produttivo
particolarmente rilevante per il sistema economico italiano. Esso rappresenta 75mila
imprese, 408mila addetti e una quota rilevante del settore manifatturiero nazionale.
Si tratta di un settore articolato in comparti differenti, i quali costituiscono un punto
di forza e di eccellenza del Made in Italy. Una parte cospicua di queste attività si
realizza nell’area veneta e in senso più ampio nel Triveneto (Fondazione Nord Est,
2009). Il meta-distretto Legno-Arredo è stato costituito quale evoluzione del
preesistente distretto di Treviso; al “Meta-distretto Veneto della Filiera LegnoArredo” aderiscono aziende industriali site in tutte le province venete e attive in tutti
i comparti merceologici della filiera legno-arredo regionale10. Trattasi, pertanto, di
un caso esemplificativo di evoluzione di un distretto tradizionalmente riconosciuto
come entità provinciale e focalizzato su attività tradizionali verso un concetto più
evoluto. La trasformazione da distretto locale a meta-distretto regionale ha
comportato alcuni fattori di cambiamento. In primo luogo è cambiata la governance:
il meta-distretto non ha assunto personalità giuridica ma la gestione delle attività del
sistema è garantito dal Coordinamento Triveneto di Federlegno. Il soggetto
coordinatore, che è un ente sovra-regionale, consente di fatto di ampliare la visione
del sistema a livello interregionale e di incentivare ulteriormente un ampliamento
delle relazioni verso il Friuli e verso il Trentino, in cui sono ubicate numerose
imprese appartenenti alla medesima filiera. In secondo luogo, sono cambiati gli
obiettivi: l’obiettivo strategico del meta-distretto è quello di favorire, in
collaborazione con gli Enti e le Istituzioni venete, la creazione di un “sistema”
regionale che sviluppi relazioni produttive e commerciali all’esterno e in particolare
con i mercati internazionali. L’estensione del primigenio distretto a livello regionale
consente alle imprese di ampliare le possibilità di collaborazione, anche finalizzate
alla partecipazione di bandi pubblici.
10
Distretti e meta-distretti sono gli strumenti attraverso i quali la Regione Veneto mette a
disposizione finanziamenti per il sistema produttivo regionale, attraverso specifici bandi
per progetti di ricerca e sviluppo, di supporto all’internazionalizzazione oppure attraverso
l’erogazione di voucher formativi. Secondo il Patto di sviluppo per il meta-distretto
veneto del legno-arredo 2010-2013, le linee progettuali si incardinano lungo tre direttrici
strategiche legate all’innovazione, all’internazionalizzazione e alla qualificazione dei
prodotti legno per l’edilizia.
22
DAI SISTEMI LOCALI AI NETWORK DE-TERRITORIALIZZATI
Un’importante criticità di questo meta-distretto è connessa al fatto che
l’appartenenza allo stesso è riconosciuta alle sole imprese industriali (appartenenti ai
codici Ateco 31.0 Fabbricazione di Mobili e 16.0 Industria del legno e dei prodotti
in legno e sughero, esclusi i mobili; fabbricazione di articoli in paglia e materiali da
intreccio). Non sono pertanto inseriti, in un’ottica di filiera, alcune attività che
forniscono servizi ad alto valore aggiunto e che si pongono quali anelli cardine di
una filiera importante per il Made in Italy. Un’ulteriore criticità consiste nel fatto
che il meta-distretto è limitato alla regione del Veneto, mentre si auspicherebbe
l’estensione dello stesso anche ad un livello interregionale; estensione che, al
momento, viene impedita dall’esistenza di normative diverse a livello locale, ma che
di fatto viene condotta dal coordinamento interregionale di Federlegno.
b) Il Meta-distretto del Design di Milano
Il design riguarda un insieme di attività ad alta intensità di conoscenza che
costituisce un assets fondamentale delle economie post-industriali, giacchè
direttamente connesso alla ricerca della differenziazione del bene in termini di valori
simbolici e di messaggio evocativo che esso esprime11. A motivo della sua
pervasività rispetto ai possibili campi di applicazione, la sua diffusione territoriale
appare alquanto disseminata. Si ritrovano, pertanto, aggregazioni di attività di design
presso numerose aree produttive distrettuali, con particolare riferimento a quelle
specializzate nei beni per la casa e la persona (come nel Triveneto, nelle Marche o in
Toscana). A scala regionale, esistono sistemi di design conseguenti alla preesistenza
storica di grandi imprese produttrici di beni durevoli come l’automobile (è il caso
del Piemonte). In alcune città storiche, esistono aggregazioni di attività di design
connesse ai processi di comunicazione e di valorizzazione di risorse intangibili,
quali la città, l’ambiente, l’arte e la cultura, il gusto, il turismo (Simonelli, 2003).
Profondamente diverso è il caso della Lombardia e, in particolare, delle aree
adiacenti a Milano. In queste aree, si creano i principali processi comunicativi e di
valorizzazione dei prodotti del Made in Italy e si colgono gli orientamenti e i nuovi
trend legati alla fruizione culturale e sociale dei prodotti. Recenti studi hanno
evidenziato la dimensione e la densità delle risorse di design presenti nella regione,
alimentate da una preesistenza di attività ad alto “contenuto” di design, quali fiere,
moda, editoria, pubblicità e così via. Sulla base del riconoscimento di questi fattori,
è stato istituito dalla Regione Lombardia il cosiddetto “Meta-distretto del design
lombardo”12, che si sviluppa su sessantacinque Comuni di sei Province lombarde
11
12
Secondo la definizione generale dell’ADI (Associazione per il Disegno Industriale, nata in
Italia nel 1956): “Il design è un sistema che mette in rapporto la produzione con gli utenti
occupandosi di ricerca, di innovazione e di ingegnerizzazione, per dare funzionalità,
valore sociale, significato culturale ai beni e servizi distribuiti sul mercato”.
Con la delibera del 5 ottobre 2001, la Regione individua i Distretti Tematici o MetaDistretti, che rappresentano aree tematiche di intervento di tipo orizzontale, non limitate
territorialmente e spinte verso una forte integrazione intersettoriale, caratterizzate dal
trasferimento del patrimonio conoscitivo al campo applicativo. Per individuare i meta-
LARA PENCO
23
(Como, Milano, Bergamo, Brescia, Mantova e Lecco). Esso rappresenta 46.054
addetti e conta la presenza di undici centri di ricerca. Si stima che il fatturato annuo
del meta-distretto ammonti a circa 250 milioni di euro e circa il 40% della
produzione sia destinato alle esportazioni.
Il meta-distretto lombardo del design consente di connettere i luoghi di
generazione della conoscenza di design - quali imprese, Università (Politecnico di
Milano), Dipartimenti e Centri di Ricerca (si pensi al Dipartimento INDACO e alla
rete Polidesign) - alle tradizionali aree distrettuali (regionali e non), in cui si
ritrovano sistemi di imprese con un forte orientamento ad utilizzare il design come
risorsa competitiva. Diversamente dai distretti industriali tradizionali, la dimensione
del meta-distretto del design è cognitiva; si tratta di competenze funzionali alla
valorizzazione dei prodotti/servizi di molte imprese e in particolare dei sistemi
d’imprese organizzate nei vari distretti nazionali13.
L’iniziativa della Lombardia non presenta “omologhi” in altre regioni, anche
perché nessuna realtà italiana è caratterizzata da fenomeni di agglomerazione di
competenze di design paragonabili a quelle storicamente insediate a Milano e in
Lombardia. Essa si presenta come un’esperienza “pilota” che riguarda un’attività
trasversale per moltissimi settori del Made in Italy e che potrà fornire utili
indicazioni anche per ulteriori sperimentazioni in contesti socio-produttivi differenti.
c) Le reti dei distretti Aerospaziali: Campania-Puglia-Piemonte-Lombardia
Come anticipato, la collaborazione tra distretti e l’attivazione di reti tra gli stessi
è in fase di grande sviluppo. Un caso emblematico riguarda la “Rete dei distretti
aerospaziali” delle regioni Campania, Lombardia, Piemonte, Puglia.
Le motivazioni che hanno sospinto i quattro distretti regionali preesistenti a
ricercare la rispettiva integrazione reticolare sono alquanto significative. In primo
luogo, il settore aerospaziale è considerato un settore strategico per le economie
avanzate. Numerosi sono infatti i possibili processi di trasferimento tecnologico di
conoscenze verso altri settori. Inoltre, esso alimenta il grado di innovazione
tecnologica territoriale; nelle aree, infatti, in cui è presente questa attività, si
sviluppano numerosi centri di ricerca specializzati che forniscono conoscenze
applicabili ad altri settori manifatturieri. In secondo luogo, il prodotto aeronautico è
un prodotto altamente complesso e si caratterizza per un’elevata scomponibilità del
processo produttivo (Bonomi et al., 2009).
Esso necessita di competenze diversificate e specializzate che sono reperibili in
imprese diverse organizzate in una supply chain di tipo internazionale. Con
riferimento all’organizzazione della produzione, le relazioni sono tipicamente
strutturate in modo piramidale. Ovvero, si identificano le aziende al vertice della
13
distretti si sono utilizzati altri criteri, oltre ai tradizionali basati sulla specializzazione della
filiera, basati per esempio sulla presenza di attori di ricerca e sulle potenzialità dei centri
di ricerca stessi (per esempio numeri dei brevetti depositati) (Antoldi, 2006, p. 101).
Per un approfondimento del cluster milanese del design si vedano: Bertola et al., 2002;
Zurlo et al., 2002.
24
DAI SISTEMI LOCALI AI NETWORK DE-TERRITORIALIZZATI
piramide produttiva (i system integrators), i first tier supplier e fornitori
specializzati. Per questo motivo, il prodotto aeronautico è frutto della
complementarietà e dell’integrazione di sistemi di imprese, spesso appartenenti ad
aree territoriali diverse.
A motivo della complessità tecnologica del prodotto e della de-componibilità
del processo produttivo, si è individuato nel concetto di “rete interdistrettuale” un
modello di coordinamento e di sviluppo assai appropriato per la competitività delle
imprese appartenenti ai quattro distretti.
Di conseguenza, diversi attori istituzionali hanno riconosciuto che la
competitività del sistema aerospaziale nazionale debba passare attraverso forme
collaborative che esaltino il concetto di rete e di “filiera lunga” di imprese. Ciò è
dovuto al fatto che la crescente competizione a livello internazionale impone la
capacità di competere su processi di produzione e di ricerca più strutturati che si
estendano oltre la dimensione locale. Allo stato attuale la Rete dei distretti
aerospaziali si basa su un protocollo di intesa del 13 Settembre del 2008
formalizzato da tre regioni (Campania, Puglia e Piemonte) e in fase di estensione
alla Regione Lombardia.
Un punto di partenza per l’attivazione della rete in oggetto è comunque
connesso alla preesistenza nei diversi contesti territoriali di Alenia Aeronautica,
facendo così configurare un possibile soggetto deputato alla governance coordinata
dei diversi sistemi territoriali14.
Una recente ricerca condotta da SRM (2010), sulla base di interviste sottoposte
ai Presidenti dei rispettivi Comitati di Distretto, ha estrapolato alcuni fattori positivi
conseguenti all’avvio della rete, quali:
a) la ricerca di una complementarietà tecnologica tra diverse aree di
specializzazione territoriale;
b) la creazione di una strategia comune, volta ad integrare le differenti competenze
territoriali in modo complementare e non sostitutivo, al fine di consentire alla
filiera aerospaziale italiana, e quindi ai singoli distretti che la compongono, di
raggiungere dosi di competitività crescenti rispetto alla crescente competizione
globale;
14
Alenia è organizzata in cinque sedi produttive e di ricerca che svolgono diversi ruoli: Sito
Pomigliano D’Arco (attività di assemblaggio di fusoliere e di aerostrutture primarie);
Centro Eccellenza di Nola (produzioni di grandi componenti); Casoria (produzione di
lamiere); Foggia (ricerca su nuovi materiali); Torino Caselle (engineering, assemblaggio
dei velivoli, prove di volo). Con riferimento al territorio lombardo, una preesistenza di
attività legate al settore aerospaziale ha dato avvio al Distretto Aerospaziale Lombardo
che nasce da un’aggregazione tra 8 imprese - rappresentative delle principali tipologie
presenti sia per dimensione che per specializzazione produttiva - e l’Unione degli
Industriali della Provincia di Varese - che svolge un’azione di soggetto “catalizzatore”. I
Soci Fondatori del Distretto Lombardo sono: AgustaWestland, Alenia Aermacchi, Aerea,
Carlo Gavazzi Space, Gemelli, Secondo Mona, Selex Galileo, Spaziosystem, Unione
degli Industriali della Provincia di Varese.
LARA PENCO
25
c) la possibilità, per un settore strategico, di fare convergere politiche di ordine
regionale (che promuovono i distretti) con quelle di ordine nazionale (che
promuovono le reti);
d) il confronto di best practises che si sono sviluppate nei singoli territori al fine di
comportare un miglioramento complessivo a livello di sistema aerospaziale
nazionale.
Numerose sono le problematiche che il progetto di integrazione dovrà
affrontare, essenzialmente connesse all’individuazione di un organo di governo e al
coordinamento tra le normative delle singole regioni.
5. Alcune considerazioni conclusive
La riflessione proposta in questo contributo è partita dall’assunto che le ICT
abbiano profondamente cambiato i fattori competitivi tipici dei sistemi locali, legati
alla co-territorializzazione. In relazione a ciò, ci si è posti il duplice obiettivo di:
a) studiare i fattori di cambiamento dei sistemi locali, i percorsi che hanno condotto
alla nascita di ampliamenti dei sistemi locali e di “reti tra territori”, i relativi
punti di forza e di debolezza (valenza interpretativa);
b) identificare le possibili traiettorie evolutive per lo sviluppo di alcuni sistemi
locali di imprese attualmente in crisi (valenza normativa).
Sotto un profilo “positivo-interpretativo”, si è evidenziato come il cambiamento
ambientale indotto dall’applicazione delle ICT abbia sollecitato l’evoluzione delle
reti locali distrettuali verso reti trans-locali, ossia verso circuiti di fornitura e di
commercializzazione appoggiati a più luoghi e non soltanto ad uno. L’apertura dei
sistemi locali verso reti trans-territoriali consente da un lato di salvaguardare il
patrimonio conoscitivo, frutto dei meccanismi relazionali tipici del distretto;
dall’altro di evitare che proprio un’eccessiva focalizzazione su questi meccanismi
(che stanno alla base del location paradox) diventi una causa di possibile caduta per
entropia del sistema stesso.
Sotto un profilo “normativo”, sembra inevitabile che i distretti dovranno
necessariamente evolvere verso reti trans-territoriali. Non è un caso, infatti, che
l’esigenza di aprire ed estendere i sistemi territoriali oltre la scala locale sia stata
avvertita anche a livello legislativo; l’individuazione dei meta-distretti e i contratti di
reti (che travalicano addirittura i confini regionali e incentivano l’attivazione di reti
tra territori) risponde ad obiettivi di politica di sviluppo industriale e territoriale.
I meta-distretti rappresentano sicuramente una prima soluzione organizzativa
finalizzata al coordinamento territoriale di attività diffuse ma ancorate ad un
contesto territoriale ben specifico.
In altre parole, il meta-distretto costituisce una mediazione tra la necessità di
valorizzare il sistema locale e nel contempo di assecondare l’esigenza di
ampliamento e di apertura dello stesso.
Diviene pertanto uno strumento atto a potenziare e ad estendere sistemi locali
eccessivamente focalizzati in termini territoriali (per esempio il legno-arredo) o
26
DAI SISTEMI LOCALI AI NETWORK DE-TERRITORIALIZZATI
incentivare l’aggregazione di attività produttive non meramente individuabili in aree
circoscritte (per esempio il design).
Le reti tra distretti appaiono appropriate soprattutto per gestire attività ad alta
tecnologia, o laddove una filiera sia scomponibile in fasi corrispondenti ad aree di
specializzazione ben definite. Con le reti tra distretti si profila un modello
innovativo basato sulla ricerca di complementarietà verticali ed orizzontali che può
favorire il rilancio e lo sviluppo di numerosi comparti dell’industria manifatturiera
nazionale. Sulla base di tale modello, alcuni sistemi locali, soprattutto quelli in crisi,
potrebbero connettersi in rete tra di loro al fine di individuare percorsi di crescita
comune e di valorizzare le rispettive aree di specializzazione: si pensi alla
complementarietà esistente tra i sistemi locali della Moda e quelli del Tessile;
oppure a quelli della Nautica e quelli delle nuove tecnologie legate al mare o in
modo più trasversale all’elettronica. Serve, tuttavia, che vengano risolti i problemi di
natura legislativa, volti ad armonizzare le competenze normative di ordine regionale
e nazionale. Inoltre, sorgono problemi circa la definizione dei rapporti di potere tra i
diversi sistemi territoriali, nonché l’individuazione del soggetto deputato al governo
e al coordinamento delle rispettive attività.
In conclusione, occorre sottolineare come il lavoro presenti alcuni elementi di
novità, poiché è alquanto recente il processo che vede alcuni sistemi locali evolvere
verso la strutturazione di reti di territori. Alcuni limiti sono connessi al fatto che
questa strutturazione reticolare tra territori è recente e ancora in fase di
sperimentazione e pertanto non è sempre possibile valutarne le implicazioni in
termini di innovazione e di competitività; implicazioni, infatti, che possono essere
apprezzate solo su orizzonti temporali di medio-lungo termine.
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