Incontro con l`autore Intervista con lo scrittore Bruno Arpaia

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Incontro con l`autore Intervista con lo scrittore Bruno Arpaia
Incontro con l’autore
Intervista con lo scrittore Bruno Arpaia
di Valeria Zagami*
Bruno Arpaia è scrittore, giornalista, consulente editoriale e traduttore di letteratura spagnola e
latinoamericana: ha da poco pubblicato un romanzo giallo sui generis dal titolo Prima della battaglia.
Un’indagine del commissario Malinconico e noi abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo.
Alla base di una storia poliziesca c’è un crimine, un misfatto, in genere un omicidio, che rompe
uno stato di equilibrio e di ordine che l’investigatore si propone di ristabilire, di solito,
assicurando il colpevole alla giustizia. Quanto è importante per lei aderire a questa formula
narrativa, o quanto invece è necessario prenderne le distanze? Sente l’esigenza di ristabilire
l’ordine nel caos che descrive?
Mi sono sempre dichiarato uno scrittore transgender, disposto ad attraversare tutti i cosiddetti generi
letterari senza nessun complesso, trasgredendoli e fondendoli secondo la necessità della storia. In questo
caso, mi ero riproposto di demistificare un po’ di luoghi comuni anche del noir, che è diverso dal giallo
dove, alla fine, «l’ordine regna a Varsavia». Qui, in una Napoli e un Messico piovosi, il mio commissario
atipico fatica perfino a trovare i colpevoli. Il romanzo non mette ordine nel caos; semplicemente,
raccontando una storia, cerca di dare un senso al caos della vita, ma senza perderne la complessità.
Nelle indagini del commissario Alberto Malinconico, protagonista del suo ultimo romanzo,
Prima della battaglia, che importanza ha la classica contrapposizione tra il bene e il male?
La contrapposizione tra bene e male è troppo manichea, non m’interessa quasi per nulla. Penso che il
bene e il male convivano dentro ciascuno di noi e l’etica è la battaglia che quotidianamente combattiamo
con noi stessi. Perciò mi interessa esplorare quella «zona grigia» in cui bene e male non sono nettamente
separati, dove è più difficile riconoscerli a prima vista, quella zona grigia dove si verificano connivenze
torbide, rinunce colpevoli, accettazioni passive e non per questo più innocenti.
Di solito il protagonista che indaga è depositario di un’intelligenza superiore, in grado di
risolvere tutti gli enigmi, anche i più complicati. Sono proprio le sue facoltà analitiche che
permettono all’investigatore di risolvere il caso, persino il più complesso… La storia narrata
nel suo romanzo, invece, non rispecchia esattamente queste caratteristiche: il nostro
Malinconico comprenderà le ragioni dell’intrigo di cui è vittima, ma casualmente, senza
nessuna volontà agente, anzi diventerà vittima inconsapevole di un gioco caratterizzato dal
nonsense, dove è difficile distinguere chi è l’inseguito e chi invece l’inseguitore... Quali sono le
ragioni di questa scelta?
Questa particolare idea dell’investigatore capace di risolvere ogni enigma è ancora legata al giallo
tradizionale, quello, per intenderci, alla Agatha Christie… Da Chandler e Hammett, giù giù fino al neo noir
latinoamericano e mediterraneo, le sue caratteristiche cambiano radicalmente: è un uomo o una donna
alle prese con i nuovi legami tra malavita e politica, con la città che diventa quasi il personaggio
principale. Nel mio caso, fatico perfino a definire noir il mio libro. Il mio commissario è un reduce degli
anni settanta del Novecento che si trova suo malgrado a lavorare nella polizia. Ha tutti i pregi e tutti i
difetti della mia generazione: è ironico, colto, ma – almeno negli anni ottanta, in cui si sviluppa la storia –
è restio a diventare adulto. Ed è un investigatore inetto. E lo sa. Ma, a costo di fare delle pessime figure,
non si arrende. E intuisce cosa sta accadendo alle sue spalle. Lo intuisce, ma non può provarlo. Come
Pasolini: io so, ma non ho le prove. Succede, anche ai migliori investigatori e ai migliori pubblici ministeri.
Sicché, il mio è solo un romanzo realista, dove, come nelle nostre vite, il caso gioca un ruolo importante.
Ma non determinante.
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Possiamo affermare che Alberto Malinconico, giovane commissario che muove i primi passi in
un mondo governato da macchinazioni misteriose, non è soltanto mera funzione letteraria,
ovvero un tassello necessario allo svolgimento della storia narrata, ma rappresenta invece un
personaggio a tutto tondo, un uomo dalla personalità complessa, consegnato agli occhi del
lettore per osservare, attraverso la sua lente focale, che cosa ne è stato delle illusioni di una
generazione, in particolare della sua generazione?
Sì, possiamo. Questo è anche un romanzo generazionale – oltre a essere un romanzo storico, un
romanzo di formazione, un romanzo on the road, un noir... –. Racconta anche come la mia generazione
ha vissuto i terribili anni ottanta, quelli dell’edonismo reaganiano e della Milano da bere. Ne Il passato
davanti a noi avevo scritto che li abbiamo attraversati come quei personaggi dei fumetti che si
nascondono sotto uno stagno e respirano da una cannuccia. Ma quegli anni, a Napoli, erano anche gli
anni dell’omicidio Siani, della guerra di camorra che faceva un morto al giorno, del sequestro Cirillo e
degli accordi tra camorra, Brigate Rosse e servizi segreti… Niente macchinazioni misteriose, ma
responsabilità precise, anche se occulte. Malinconico lo sa, perché viene dai movimenti politici degli anni
settanta…
Nel suo romanzo l’indagine non rappresenta il fulcro narrativo della storia. Di fatto
l’investigazione a cui assistiamo, assume toni introspettivi, volti a indagare l’interiorità del
personaggio. Come in un gioco di specchi osserviamo il protagonista, Alberto Malinconico,
nell’atto di ripensare a sé stesso mentre ormai cinquantenne rievoca la sua prima indagine; e
mentre lui indaga, il lettore indaga a sua volta la vita del personaggio… Che valore assume per
lei la dimensione dell’indagine? Qual è il senso dell’enigma?
Senza essere un pretesto, l’indagine è uno strumento per parlare del protagonista, del suo rapporto con il
mondo, nonché della società e dei suoi lati oscuri. L’enigma, come lo chiama lei, è come la scintilla che
accende il desiderio di conoscenza. L’indagine altro non è che un processo conoscitivo che ha un inizio, e
non sempre una fine, perlomeno non definitiva…
Come ultima domanda le chiedo qualche suggerimento di lettura per gli appassionati del
genere.
A me piace molto Chandler, che è un classico, e, per consigliare qualcosa di più recente, direi Manuel
Vázquez Montalbán o Paco Ignacio Taibo II, qualche libro di Didier Daeninckx o di Jean-Patrick Manchette
o, soprattutto, di Jean-Claude Izzo… E poi ci sarebbero gli italiani… Ma la scelta è davvero infinita.
*Valeria Zagami: consulente di Pearson Italia e collaboratrice del Miur
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