Così si alimenta l`intolleranza

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Così si alimenta l`intolleranza
Crocifisso e sentenza
della Corte: contributi
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zione dettata dalla coscienza su temi sensibili, dove prevale la linea di partito.
Penso che l’indicazione data da Giovanni Paolo II al Convegno ecclesiale di Palermo
del 1995 sia ancora pienamente valida. I cattolici devono essere coerenti con i valori umani essenziali anche nel campo legislativo e politico. Nella misura in cui
questa coerenza è esercitabile nell’una o nell’altra formazione politica, i cattolici
possono svolgervi il loro compito. Se invece constatano che in una determinata formazione non ci sia più spazio, allora per coerenza dovrebbero rinunciare a quella
collocazione politica.
Seguendo il suo ragionamento, in ogni circostanza la Chiesa rimette l’uomo al
centro, questo vale anche sulle questioni economiche, come la crisi che stiamo
attraversando. Anche questa crisi ha cause antropologiche?
Certamente. Come la crisi del comunismo fu una crisi economica che aveva però
profonde cause antropologiche, una visione riduttiva dell’uomo, come scriveva Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus, così anche la crisi del sistema economico
attuale ha come causa una visione soltanto economicistica. Il fattore umano in
quanto tale, e la sua centralità non sono stati tenuti abbastanza in conto, così
come la centralità dell’etica. L’etica non è qualcosa di aggiunto dall’esterno, ma
un’esigenza interna alla stessa economia. Se viene meno, alla lunga non possono
che arrivare risultati negativi. Questo è anche il senso profondo dell’enciclica Caritas in veritate.
Da ultimo qual è il richiamo della Chiesa invece davanti alla questione morale
tornata all’ordine del giorno dopo i numerosi scandali che vedono protagonista
la politica?
Il richiamo della Chiesa è ben noto, dai dieci comandamenti in poi. La Chiesa però
non deve lasciarsi coinvolgere nell’uso strumentale di queste questioni, come
spesso accade nel dibattito politico.
(Intervista di Carlo Melato)
Così si alimenta
l’intolleranza
Intervista a Cesare Mirabelli, Docente di Diritto Costituzionale,
Pontificia Università Lateranense di Roma
Il pluralismo e la libertà religiosa sono sanciti dalla nostra Costituzione ma questi principi, dice la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, sono di fatto smentiti
dalla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche. Ora l’Italia farà ricorso contro la
sentenza della Corte europea, che intende difendere «l’obbligo di neutralità religiosa
nel contesto dell’istruzione pubblica obbligatoria». Lo Stato italiano, in altre parole,
non può imporre credenze religiose. Di nessun tipo. «Ma siamo sicuri – dice Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte costituzionale – che la neutralità dello Stato non diventi la via per escludere la dimensione religiosa dal panorama pubblico?»
Professore, una sua valutazione a caldo della sentenza?
È una sentenza molto articolata. Con un paradosso: vuole tutelare la libertà religiosa ma alimenta l’intolleranza. Perché valorizzando la libertà negativa di religione
tende a escludere ogni simbolo religioso, e perciò a privilegiare la posizione di chi si
colloca su un versante di esclusione più che di inclusione.
Ma siamo sicuri che
la neutralità dello
Stato non diventi la
via per escludere la
dimensione religiosa
dal panorama
pubblico?
Ha avuto modo di scorrere le motivazioni. Che idea si è fatto?
La sentenza è fondata su due elementi. Il primo è l’articolo 2 del primo Protocollo
addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, che afferma il diritto all’istruzione. E questo diritto dev’essere non solo garantito a tutti ma lo Stato, nell’esercizio delle proprie funzioni
in campo educativo e nell’insegnamento – dice questa disposizione – deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare l’educazione e l’insegnamento secondo le
loro convinzioni filosofiche e religiose. Quindi anche secondo le convinzioni non religiose, evidentemente.
Per lo stesso motivo, però, è compreso anche il diritto dei genitori che vogliono
impartire un’educazione religiosa a non vedere espunta la presenza di questo
simbolo, il crocifisso, dal panorama educativo…
Esatto. La cosa è bilaterale. E l’altra norma alla quale si riferisce la sentenza è la libertà di coscienza e di religione, l’articolo 9 della Convenzione. Ora, mi pare che la
sentenza non tenga conto – o meglio lo fa, ma ritiene l’elemento irrilevante – del
fatto che la presenza del crocifisso nelle scuole ha, come aveva sostenuto il nostro
Consiglio di Stato, una pluralità di significati. Esso assume un valore profondamente religioso per il credente, ma al tempo stesso manifesta valori della nostra civiltà che non si impongono né richiedono alcun atto di culto o di adesione. C’è
solamente la presenza di questo simbolo in luoghi pubblici.
È proprio quello che si contesta.
Ma basta questo per dire che diventa un’imposizione che limita il diritto dei genitori, e che viola la laicità dello Sstato? O piuttosto la neutralità dello Stato non diventa la via per escludere la dimensione religiosa dal panorama pubblico? Ma se
così fosse, la neutralità contraddirebbe se stessa.
Come può, si chiede la Corte, un simbolo «ragionevolmente associato con il cattolicesimo», servire al pluralismo educativo?
Il pluralismo educativo significa prendere atto delle realtà che ci sono e proporle,
metterle in discussione, non imporle. Dalla sentenza risulta paradossalmente una
sorta di intolleranza perché esclude che ci possa essere qualcosa di diverso da me
nel panorama nel quale io mi muovo. È assurdo ed è l’esatto contrario dello scopo
che la sentenza aveva, ma è il risultato al quale si giunge in modo coerente.
Secondo lei la memoria italiana finita sul tavolo della Corte è solida?
Ne conosco solo gli elementi che emergono dalla lettura della sentenza e mi pare
che si rifaccia in modo molto articolato a quanto espresso dal Consiglio di Stato. Fu
proprio il Consiglio, decidendo su questa materia, a ritenere che il crocifisso è simbolo altamente religioso per chi ha questa convinzione spirituale ma è anche, per
tradizione storica e realtà della nostra identità, un elemento con un forte valore civile, anche simbolico. Dunque non necessariamente ha per tutti lo stesso signifi-
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Crocifisso e sentenza
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cato. Anche lo Stato laico, ha detto il Consiglio di Stato, può avere questo simbolo
nei luoghi educativi. Ma la Corte non l’ha pensata così.
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Quali saranno secondo lei gli effetti di questa sentenza?
Può essere l’occasione per sviluppare quella coscienza critica sulla quale proprio la
sentenza insiste così tanto. Siamo di fronte a una grande opportunità educativa e
questo mi fa chiedere se alla fine non debba essere la scuola, al suo interno, a trovare un approccio e una soluzione ragionevole a un problema culturale e sociale
così importante.
A parte le sorti del ricorso che il governo farà, lei dice, quel che rimane è una
lezione per tutti.
Ci troviamo a dover riflettere sulla garanzia della libertà della persona, che deve
essere rispettata al massimo, e sulla tolleranza, che significa comprensione e non
esclusione. Il luogo principe di questo metodo è proprio la scuola.
Non le pare che l’ipotesi culturale che sottostà alla sentenza della Corte sia
quella della laïcité alla francese?
Si intravede forse la legge sul divieto dei simboli religiosi indossati dagli studenti.
Ci troviamo di fronte a due diritti: il diritto dei genitori che vogliono un’educazione
che abbia l’elemento religioso e il diritto dei genitori che non lo vogliono. Ma tolleranza non vuol dire “spegnere la luce”. Va ripensata la laicità, la libertà ed evidentemente le garanzie, perché come bisogna affermare le garanzie che ci sono per il
credente, così vanno affermate le garanzie che ci sono per il non credente.
Può un simbolo unire anziché dividere?
Sì, e mi sembra che nel nostro Paese il crocifisso sia stato finora più un elemento di
riflessione che di imposizione, e quindi di educazione alla tolleranza. La sua presenza non richiede atti di culto. Esso mantiene l’evidenza di una tradizione palpabile nelle strade del nostro Paese, nella sua arte e nella sua storia. Questa
tradizione non mette però al riparo dal rischio. Una presenza del crocifisso che si
segnalerebbe subito in maniera intollerante, se volesse imporre alcunché.
Ostellino: offesi noi laici
debitori del Vangelo
Intervista a Piero Ostellino, Editorialista del Corriere della Sera
Per la Corte di Strasburgo la presenza dei crocifissi nelle nostre aule costituirebbe
«una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni»
e una violazione della «libertà di religione degli alunni». Ma Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera, ha qualche dubbio.
Ostellino, il crocifisso in aula – ci ha detto ieri la Corte europea – non va d’accordo con la democrazia.
Non capisco proprio come l’esposizione di un crocifisso possa ledere il diritto al
pluralismo religioso da parte dei genitori che educano i propri figli come meglio